LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Danno da lucro cessante: come provarlo in giudizio

Una società edile ha citato in giudizio un ente religioso e altre due società per un’operazione immobiliare fallita, chiedendo un cospicuo risarcimento per danno da lucro cessante. La Cassazione ha respinto il ricorso, confermando le decisioni dei gradi precedenti. La ragione fondamentale è stata la mancata prova, da parte della società ricorrente, di possedere la ‘forza economica’ necessaria per realizzare il costoso progetto edilizio. Senza tale dimostrazione, il presunto guadagno perso è stato considerato meramente ipotetico e non risarcibile.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Il Danno da Lucro Cessante: La Prova Va Oltre le Ipotesi

Quando un affare sfuma per colpa altrui, è naturale pensare al guadagno perso. Ma come si dimostra in tribunale? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce un punto fondamentale: per ottenere un risarcimento per danno da lucro cessante, non basta presentare stime e calcoli di potenziali profitti. È necessario fornire una prova rigorosa che quel guadagno era concretamente realizzabile. Analizziamo insieme un caso emblematico che illustra perfettamente questo principio.

I Fatti del Caso: Un Affare Immobiliare Sfociato in Causa

Una società edile stipula un contratto preliminare con un ente religioso per l’acquisto di un terreno edificabile, versando una cospicua caparra. Il piano è ambizioso: realizzare un importante progetto immobiliare. Tuttavia, prima della firma del contratto definitivo, l’ente venditore conclude un nuovo accordo preliminare con altre due società, di fatto estromettendo la prima promissaria acquirente.

Sentendosi danneggiata, la società edile cita in giudizio sia l’ente venditore che le nuove società acquirenti, chiedendo un risarcimento di svariati milioni di euro a titolo di danno da lucro cessante, corrispondente al profitto che avrebbe ricavato dal progetto edilizio non realizzato.

La Decisione della Corte: La Prova del Danno da Lucro Cessante è Rigorosa

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello respingono la domanda di risarcimento. La questione arriva fino alla Corte di Cassazione, che conferma le decisioni precedenti e rigetta definitivamente il ricorso della società edile. Il fulcro della decisione non risiede nella quantificazione del danno, ma in un passaggio logico precedente: la prova della sua stessa esistenza.

I giudici hanno stabilito che la società non è riuscita a superare lo scoglio fondamentale di dimostrare l’ ‘an’ del danno, ovvero che un profitto si sarebbe effettivamente e con alta probabilità concretizzato. Di conseguenza, ogni discussione sul ‘quantum’, cioè sull’ammontare del risarcimento, è diventata irrilevante.

Le Motivazioni: Perché la Sola Ipotesi di Guadagno Non Basta

La Corte ha articolato il proprio ragionamento su un principio cardine: la prova del lucro cessante deve basarsi su un giudizio rigoroso di probabilità e non di mera possibilità. I mancati guadagni puramente ipotetici, dipendenti da condizioni incerte e non dimostrate, non sono risarcibili.

Nel caso specifico, l’elemento che ha fatto crollare l’intera impalcatura accusatoria è stata la mancata dimostrazione, da parte della società ricorrente, di avere la forza economica per poter realizzare il costoso progetto edilizio. Non bastava presentare un progetto ambizioso e una stima dei possibili ricavi. La società avrebbe dovuto provare, anche solo tramite indizi, di avere le risorse finanziarie, la capacità operativa e l’accesso al credito necessari per portare a termine l’opera.

Senza questa prova fondamentale, il presunto guadagno rimane confinato nel regno delle ipotesi. La Corte ha chiarito che il giudice non può presumere la capacità finanziaria di un’impresa; essa deve essere provata, perché costituisce il presupposto indispensabile per trasformare un’opportunità in un profitto reale. L’assenza di tale prova rende il danno non concreto, ma solo un’eventualità astratta.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per le Richieste di Risarcimento

Questa ordinanza offre una lezione cruciale per chiunque intenda chiedere un risarcimento per mancato guadagno. La decisione della Cassazione ribadisce che non è sufficiente lamentare un’occasione persa; è imperativo costruire un quadro probatorio solido che dimostri la concreta possibilità di successo dell’iniziativa sfumata. Chi agisce in giudizio per il danno da lucro cessante deve essere preparato a dimostrare non solo la colpa altrui e il potenziale profitto, ma anche e soprattutto la propria capacità di aver potuto cogliere quell’opportunità. Questo significa documentare la propria solidità finanziaria, le competenze tecniche e la pianificazione operativa. In assenza di questi elementi, anche la richiesta di risarcimento più alta rischia di essere considerata nient’altro che un’ipotesi non meritevole di tutela giuridica.

Quando è risarcibile il danno da lucro cessante?
Il danno da lucro cessante è risarcibile quando il danneggiato dimostra, sulla base di un rigoroso giudizio di probabilità e non di mera possibilità, che avrebbe conseguito un determinato vantaggio economico se l’inadempimento o l’illecito non si fossero verificati.

Perché la richiesta di risarcimento è stata respinta in questo caso?
La richiesta è stata respinta perché la società ricorrente non ha fornito la prova di possedere la ‘forza economica’ necessaria per portare a compimento il costoso progetto edilizio. Di conseguenza, il presunto mancato guadagno è stato considerato meramente ipotetico e dipendente da condizioni incerte.

Cosa significa che la prova del danno deve riguardare prima l’ ‘an’ e poi il ‘quantum’?
Significa che il richiedente deve prima di tutto dimostrare l’esistenza stessa del danno (‘an debeatur’), cioè provare che una perdita di guadagno si sarebbe verificata con un alto grado di probabilità. Solo una volta provato questo aspetto, si può procedere alla quantificazione del suo ammontare (‘quantum debeatur’). Nel caso in esame, la domanda è stata respinta già nella prima fase.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati