Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1092 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1092 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 38640/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende giusta procura in atti;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore e RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliate in ROMA, INDIRIZZO NOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che le rappresenta e difende giusta procura in atti;
-controricorrenti e ricorrenti incidentali -nonché
CONGREGAZIONE DELLE SUORE MISSIONARIE DI SAN COGNOME in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo
studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende giusta procura in atti;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 3295/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 16/05/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
RAGIONE_SOCIALE espose in giudizio di essersi resa promissaria acquirente di un suolo edificabile di proprietà della Congregazione delle Suore Missionarie di San Pietro Claver per il prezzo di € 1.600.000,00, versando una caparra di € 150.000,00, che nelle more della stipula del contratto definitivo, alcune volte rinviata per esigenze della promittente alienante, questa aveva inopinatamente concluso altro contratto preliminare con RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE adducendo l’intervenuta risoluzione del precedente preliminare per la scadenza del termine essenziale fissato per il contratto definitivo.
Ciò premesso, chiese che la promittente alienante e i nuovi promissari acquirenti, responsabili d’illecito extracontrattuale, fossero solidalmente condannati a risarcire il danno da lucro cessante, quantificato in € 18.000.000,00.
La promittente alienante, in primo luogo, eccepì l’esistenza di clausola compromissoria contemplante arbitrato irrituale e litispendenza con altro giudizio, incoato sempre da RAGIONE_SOCIALE al fine di ottenere sentenza costitutiva ai sensi dell’art. 2932 cod. civ.
Nel merito, tutti i convenuti contestarono l’avverso assunto.
Il Tribunale adito, istruita la causa, rigettò la domanda.
La Corte d’appello di Roma rigettò l’impugnazione di RAGIONE_SOCIALE
2.1. Questi, in sintesi, per qual che qui rileva, gli argomenti sposati dalla sentenza di secondo grado.
L’appellante con l’impugnazione aveva inammissibilmente introdotto un tema d’indagine nuovo, prospettando l’ipotesi di responsabilità per abuso del diritto, mai esposta in primo grado.
La decisione d’appello soggiunge che la Cassazione aveva confermato la natura contrattuale della responsabilità del venditore che alieni due volte lo stesso bene, mentre quella del secondo acquirente aveva natura extracontrattuale e i presupposti di una tale responsabilità andavano identificati nella consapevolezza del secondo acquirente dell’esistenza del precedente contratto e la previsione della mancata trascrizione del precedente contratto.
Indi, la Corte romana, sulla base delle emergenze di causa, afferma essere rimasto provato che le seconde promissarie acquirenti fossero a conoscenza del precedente preliminare non trascritto.
Tuttavia, reputa non provato il prospettato danno da mancato guadagno.
La prova dell’utilità patrimoniale mancata avrebbe dovuto soddisfare <>, dovendosi escludere la forza probatoria di mancati guadagni meramente ipotetici e dipendenti da condizioni incerte.
In particolare, la sentenza addebita all’appellante di non avere dimostrato di avere <>.
RAGIONE_SOCIALE ricorre avverso la sentenza d’appello sulla base di cinque motivi, ulteriormente illustrati da memoria.
RAGIONE_SOCIALE resistono con unitario controricorso, in seno al quale propongono ricorso incidentale condizionato, avversato da controricorso della ricorrente principale.
Resiste, del pari, con separato controricorso e successiva memoria la Congregazione delle Suore Missionarie di San Pietro Claver.
Posticipata, per comodità espositiva, la trattazione del primo motivo, va esaminato il secondo, con il quale la ricorrente denuncia <> per violazione degli artt. 2043, 1175 e 1375 cod. civ.
La ricorrente, premettendo che le regole per la determinazione del danno risarcibile debbano rinvenirsi negli artt. 1223 e 1227 cod. civ., per il rinvio operato dall’art. 2056 cod. civ., e che, pertanto, a mente dell’art. 1223 il risarcimento deve essere integrale, <>, composto dal danno emergente e dal lucro cessante, sostiene che la Corte d’appello aveva omesso di considerare il danno subìto, costituito dal versamento della caparra, costituente danno emergente.
5. La doglianza non supera lo scrutinio d’ammissibilità.
È la stessa ricorrente a spiegare (pagg. 5 e 6 del ricorso) che il Tribunale aveva giudicato <>.
Di conseguenza, la pretesa oggi coltivata con il motivo in esame è priva di concludenza poiché non incide sulla controversia
decisa dalla Corte di Roma, estranea a <>, devoluta al collegio arbitrale con la richiamata sentenza di primo grado, divenuta irrevocabile.
Ciò esonera la Corte dal verificare la corretta individuazione delle norme evocate in premessa.
Con il terzo e il terzo motivo bis, la ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, nonché violazione dell’art. 116 cod. proc. civ.
Si assume che la sentenza aveva operato confusione <> e omesso di valutare la c.t.u., nonché la documentazione posta a disposizione del consulente, dalle quali era emerso <>.
Il complesso censorio non supera lo scrutinio d’ammissibilità.
La critica non attinge efficacemente la ratio decisoria.
Il ragionamento con il quale la Corte d’appello ha rigettato la domanda di risarcimento da lucro cessante prescinde, per ben comprensibili ragioni logico-giuridiche, dalla stima del potenziale guadagno e, di conseguenza, le asserite conclusioni del c.t.u. si mostrano del tutto ininfluenti.
Per vero, la Corte di Roma nega che l’esponente abbia dimostrato l’ ‘an’ del danno da mancato guadagno, non avendo fornito <>. A completamento del ragionamento la
Corte locale spiega che l’appellante non aveva provato la ‘forza economica’ per portare a compimento l’ambizioso e sperato programma edilizio.
La critica, insistendo nel sostenere la correttezza dell’ipotesi di guadagno, quantificato in € 9.842.331,00, non coglie la ‘ratio decidendi’.
Peraltro, per non mancare di completezza, deve evidenziarsi che in presenza di ‘doppia conforme’, sulla base dell’art. 348 ter, co. 5, cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Sez. 2, n. 5528, 10/03/2014, Rv. 630359; conf., ex multis, Cass. nn. 19001/2016, 26714/2016), evenienza che nel caso in esame non ricorre affatto.
Senza contare che la critica alla ricostruzione probatoria, come noto, anche qualora sostenuta dall’asserita violazione degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ., non può essere contestata in questa sede, poiché, come noto, l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito non è, in questa sede, sindacabile, neppure attraverso l’escamotage dell’evocazione dell’art. 116, cod. proc. civ., in quanto una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (cfr., da ultimo, Sez. 6, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299). Punto di diritto, questo, che ha trovato recente conferma nei principi enunciati dalle Sezioni unite (sent. n. 20867, 30/09/2020, Rv.659037, conf. Cass. n. 16016/2021), essendosi affermato che in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione
dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Rv. 659037). E inoltre che per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Rv. 659037).
Il quarto motivo (quinto, conteggiando il terzo bis), denunciante violazione degli artt. 2023, 2056 e 1226 cod. civ., con il quale la ricorrente lamenta la mancata stima equitativa del danno da lucro cessante, segue lo stesso destino dei precedenti.
Anche in questo caso la critica non attinge la ‘ratio decidendi’: essendo stato negato che la ricorrente abbia provato il danno è inconferente la doglianza attinente al ‘quantum’.
A questo punto il primo motivo, con il quale, denunciata la violazione degli artt., 2043 1175 e 1375 cod. civ., la ricorrente sostiene il concorrere di responsabilità contrattuale ed extracontrattuale, resta assorbito in senso improprio, essendo privo di utilità il suo scrutinio all’esito del vaglio degli altri.
Stante l’epilogo , il ricorso incidentale condizionato è assorbito.
Rigettato il ricorso nel suo complesso, il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo, in favore delle controricorrenti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della Congregazione delle Suore Missionarie di San Pietro Claver, di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per la Congregazione in euro 32.000,00 e, unitariamente, per RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in euro 30.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27