Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7812 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7812 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15555/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso da sé medesimo, domiciliato per legge presso il proprio indirizzo di posta elettronica certificata
-ricorrente-
contro
NOME, rappresentata e difesa dall ‘ AVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIO, presso il cui studio di posta elettronica certificata è domiciliata per legge
-controricorrente-
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall ‘ AVV_NOTAIO, presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata sono domiciliati per legge -controricorrenti-
INDIRIZZO, nella persona dell ‘ amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dall ‘ AVV_NOTAIO COGNOME;
-controricorrente-
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall ‘ AVV_NOTAIO, presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata sono domiciliati per legge
-controricorrenti-
COGNOME NOME
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di NAPOLI n. 3992/2020 depositata il 24/11/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/03/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.Nel 2010 NOME, proprietaria del locale seminterrato nell’edificio condominiale sito in Napoli alla INDIRIZZO, conveniva innanzi al Tribunale di Napoli COGNOME NOME, proprietario dell’appartamento al piano soprastante per i danni all’immobile e agli arredi (determinati in € 8.500,00) causati dalla fuoriuscita di acqua dalla condotta potabile a servizio dell’appartamento del COGNOME.
Si costituiva il convenuto che, nel contestare interamente quanto ex adverso dedotto, dopo aver premesso che l’edificio condominiale era composto da tre livelli fuori terra (ognuno costituito da un appartamento) e da uno interrato, deduceva che l’intero edificio era in totale degrado e, per tale ragione, era in fase di ristrutturazione (anche negli impianti e nelle tubature) ed era disabitato, con esclusione del piano rialzato occupato illegittimamente e saltuariamente usato dagli eredi di COGNOME NOME (i quali, a suo dire, si rifiutavano di rilasciarlo nonostante i lavori in corso, la mancanza di titolo e gli ordini esecutivi del giudice). Parte convenuta chiedeva il rigetto dell’infondata
domanda ex adverso proposta; e, previa autorizzazione alla chiamata in causa dei controinteressati, in via riconvenzionale, chiedeva: a) dichiararsi che gli eredi COGNOME erano tenuti a risarcire gli eventuali danni subiti dalla NOME corrispondendole direttamente l’importo ovvero rimborsando esso convenuto o in subordine ripartendo i danni secondo il rispettivo grado di responsabilità o secondo le quote condominiali; b) dichiararsi illegittimo il vincolo pertinenziale tra la cantina ed altro appartamento in altro immobile della NOME e per l’effetto nullo l’atto di compravendita in data 25.2.2010 del locale cantina o parzialmente nullo nella parte in cui prevedeva il vincolo pertinenziale; c) condannarsi la NOME a rimuovere dalla cantina le opere e gli arredi non rientranti nella destinazione di legge del locale.
Notificati gli atti di chiamata in causa, si costituivano COGNOME NOME, NOME, NOME e COGNOME NOME vedova di COGNOME NOME, che: in via preliminare, eccepivano la nullità dell’atto di chiamata in causa in quanto non era determinato il petitum nei loro confronti; e, nel merito, contestavano che il locatore e dante causa di COGNOME NOME sin dal 2001 aveva ottenuto la convalida dello sfratto dell’appartamento ed essi già da anni avevano lasciato detto appartamento, avendo costituito in altri luoghi autonome famiglie, mentre la sola COGNOME era rimasta nella detenzione precaria dell’immobile (rilasciato il 28.10.2010, appunto per le condizioni di inabilità dello stesso ed in particolare per l’inutilizzabilità dell’impianto idrico potabile che aveva provocato le infiltrazioni al sottostante locale della NOME, prontamente segnalate allo stesso COGNOME).
Si costituivano COGNOME NOME e COGNOME NOME, venditori della cantina acquistata dalla NOME, che eccepivano in primo luogo la nullità della chiamata in causa in quanto non conteneva alcuna domanda nei loro confronti. In ogni caso eccepivano il loro difetto di legittimazione passiva, in quanto erano del tutto estranei alla costituzione del vincolo pertinenziale ‘dichiarato’ nell’atto di compravendita solo dalla NOME.
Si costituiva anche il RAGIONE_SOCIALE del fabbricato in Napoli, INDIRIZZO, che eccepiva la nullità della chiamata in causa in mancanza di specificazione della causa petendi e finanche di un petitum rivolto nei confronti del RAGIONE_SOCIALE. In ogni caso chiedeva il rigetto delle infondate prospettazioni del COGNOME in quanto lo stesso aveva riconosciuto che le infiltrazioni erano provenute dal suo impianto idrico e non da condotte condominiali.
Istruita la causa mediante acquisizione delle produzioni documentali delle parti, audizione di testimoni, interrogatori formali dell’attrice e del convenuto nonché mediante consulenza tecnica, il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 3051/15:
-dichiarava COGNOME NOME responsabile delle infiltrazioni lamentate da parte attrice e, di conseguenza, condannava il predetto al pagamento in favore della attrice della somma d € 4.220,00 oltre interessi come in motivazione;
dichiarava la nullità dell’atto di chiamata in causa proposto da COGNOME NOME nei confronti del RAGIONE_SOCIALE sito in Napoli alla INDIRIZZO;
rigettava la domanda formulata da COGNOME NOME nei confronti di COGNOME NOME, NOME, NOME e COGNOME NOME;
dichiarava inammissibile la domanda riconvenzionale formulata da COGNOME NOME nei confronti di COGNOME NOME nonché della domanda formulata nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME;
provvedeva alla regolamentazione delle spese processuali.
Avverso tale sentenza proponeva appello il COGNOME, che, reiterando le conclusioni rassegnate in primo grado e in conformità delle stesse, chiedeva la riforma dell’impugnata sentenza articolando dieci motivi.
Si costituivano tutti gli appellati, che chiedevano il rigetto dell’inammissibile ed infondato gravame.
La corte d’appello, con sentenza n. 3992/2020, in rigetto dell’appello:
confermava la sentenza n. 3051/15 del Tribunale di Napoli;
condannava l’appellante al pagamento delle spese processuali, relative al grado, in favore delle controparti.
La corte d’appello con sentenza n. 3992/2020 in rigetto dell’appello:
confermava la sentenza n. 3051/15 del Tribunale di Napoli;
condannava l’appellante al pagamento delle spese processuali, relative al grado, in favore delle controparti.
La stessa corte territoriale, con successiva ordinanza, ordinava la correzione della sentenza, in relazione ai soggetti del procedimento indicati nell’intestazione ed alle spese processuali liquidate in dispositivo.
Avverso la sentenza della corte territoriale ha proposto ricorso COGNOME NOME.
Al ricorso hanno resistito con distinti controricorsi: NOME; il RAGIONE_SOCIALE; NOME, NOME e NOME COGNOME; NOME COGNOME, nonché NOME e NOME COGNOME, tutte nella qualità di coeredi di NOME COGNOME, nelle more deceduto e la prima anche in proprio.
Per l’odierna adunanza camerale il Procuratore Generale non ha rassegnato conclusioni scritte, mentre il Ricorrente ed il Difensore del RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memorie, insistendo nell’accoglimento delle rispettive conclusioni.
Il Collegio si è riservato il deposito della motivazione della decisione entro sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Il ricorso di NOME NOME è affidato a nove motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia <>, nella parte in cui la corte territoriale:
dichiarando inammissibile il suo terzo motivo di appello, ha affermato: <>;
rigettando il quarto motivo di gravame, ha dichiarato che anche al riguardo valgono le considerazioni di cui sopra, <>.
Il motivo è inammissibile sotto un triplice profilo.
In primo luogo, occorre qui ribadire il consolidato principio di diritto per cui: «In tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione
di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse». La mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei è ancora più evidente nel caso di specie, nel quale parte ricorrente eccepisce anche il vizio di cui all’art. 360 primo comma n. 4 c.p.c.
Inoltre, il ricorso è inammissibile per violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366 n. 6. Occorre al riguardo ribadire che il formante normativo, giurisprudenziale e convenzionale segnala che il ricorso è ‘autosufficiente’, e quindi ammissibile, quando: i) i motivi rispondono ai criteri di specificità previsti dal codice di rito; ii) ogni motivo indica, se del caso, l’atto, il documento, il contratto su cui esso si basa ed i riferimenti topografici (pagine, paragrafi o righe) dei brani citati; iii)
ogni motivo indica la fase processuale in cui il documento o l’atto è stato creato o prodotto; iv) il ricorso è accompagnato da un fascicoletto che contiene, ai sensi dell’art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., gli atti, i documenti, i contratti o gli accordi collettivi cui si fa riferimento nel ricorso. Orbene, nel caso di specie, parte ricorrente riporta in nota i passaggi della ctu, ma inammissibilmente non dà conto di quanto ritenuto dal giudice di primo grado.
Infine, il motivo è inammissibile in quanto con esso sollecita sostanzialmente questa Corte a procedere ad una rivalutazione nel merito (accertamento delle cause dei danni ed effetti delle infiltrazioni nell’appartamento della NOME), che è invece preclusa in sede di legittimità.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia <> nella parte in cui la corte territoriale, rigettando il primo ed il sesto motivo del suo appello (attinenti all’accertamento dei danni e alla quantificazione degli stessi), ha affermato:
-<>;
-<>.
Il secondo motivo è anch’esso inammissibile per i profili indicati nella disamina del primo motivo. In particolare, la violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366, n. 6, va ravvisata nel fatto che parte ricorrente si riferisce ad un presunto diritto di rivalsa o di regresso che egli avrebbe nei confronti degli eredi COGNOME, già conduttori dei locali di sua proprietà, senza precisare le ragioni giuridiche sulle quali detto diritto dovrebbe essere configurabile e, soprattutto, senza specificare quando e in quali termini le avrebbe sottoposte ai giudici del merito.
1.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale, rigettando il secondo motivo del suo atto di appello, ha affermato che:
<<Se è vero che il mutamento di destinazione d'uso, da locale accessorio o pertinenza a vano abitabile, attuabile con un intervento di tipo ristrutturativo, presenta carattere urbanisticamente rilevante, così da richiedere il permesso di costruire per la sua esecuzione, essendo
del tutto assimilabile a un cambio di categoria riconducibile all'art. 23 ter, comma 1, d.P.R. n. 380/2001 e all'art. 2, comma 7, l. reg. Campania n. 19/2001, come tale avente rilevanza urbanistica ai sensi del punto 39 della Tabella A – Edilizia allegata al decreto SCIA 2 -d.lgs. n. 222/2016 (T.A.R. Napoli, Campania, sez. VIII, 14/05/2020, n.1798),
<<è altrettanto vero che il bene giuridico (cioè i locali a prescindere dalla loro destinazione urbanistica) è stato danneggiato dalle infiltrazioni d'acqua provenienti dal piano superiore e perciò è configurabile un «danno ingiusto» risarcibile ai sensi dell'art. 2043 c.c. per il quale si intende la perdita economica ingiusta, ovvero verificatasi con modalità contrarie al diritto;
<>.
Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
È inammissibile, in quanto il ricorrente in primo grado (né in comparsa di costituzione e risposta, né con il successivo atto di chiamata in causa dei terzi e neppure nel termine di cui all’art. 183 comma sesto numero 1 c.p.c.) non risulta – in base agli atti legittimamente esaminabili da questa Corte – avere mai eccepito l’irrisarcibilità dei danni a causa dell’abusivo mutamento di destinazione del locale della NOME da cantina a vano abitabile, ma ha chiesto di escludere i danni riferiti a beni (opere, impianti o arredi) illegittimi per quanto hanno indotto una modificazione della destinazione di uso della cantina>>. Tale eccezione, in base a quanto risulta dal ricorso (non potendo eventuali sue lacune essere colmate da
alcun atto successivo), è stata per la prima volta proposta nel presente giudizio di legittimità.
Invero, contrariamente a quanto ritiene il ricorrente, in linea astratta nulla vieta che sia configurabile una responsabilità ex art. 2043 c.c. anche nel caso in cui il bene, oggetto dei danni, di cui taluno chieda il risarcimento, sia da considerarsi <> per effetto di un suo mutamento di destinazione. Tanto più se – come nel caso di specie, dove sono stati riconosciuti solo i danni alle strutture – i danni non sono strettamente collegati all’abuso.
1.4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale, rigettando il quinto motivo del suo atto appello, ha affermato (pp. 6-8):
-<<In caso di sinistro come nella specie avvenuto all'interno o nell'ambito della cosa in custodia (impianto idrico-potabile a servizio dell'appartamento del COGNOME), dei danni conseguenti ad omessa o insufficiente relativa manutenzione, il proprietario o il custode (tale essendo anche il possessore, il detentore e il concessionario) risponde ex art. 2051 c.c., in ragione del particolare rapporto con la cosa che al medesimo deriva dalla disponibilità e dai poteri di effettivo controllo sulla medesima, salvo che dalla responsabilità presunta a suo carico si liberi dando la prova del fortuito.
…. omissis …
<>.
Il motivo è infondato.
Invero, per consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di responsabilità ex art. 2051 c.c., sul danneggiato incombe l’onere di provare il nesso eziologico tra la res e l’evento lesivo; mentre sul custode grava la prova liberatoria costituita dall’esistenza di un fattore esterno (caso fortuito, fatto del terzo e forza maggiore), idoneo ad interrompere il nesso causale.
Dando applicazione a tale principio, la corte territoriale ha ritenuto che il COGNOME, quale proprietario (e, quindi, custode) della res, non ha provato l’esistenza di detto fattore esterno, non essendo tale <> e l’impianto idrico disabilitato.
A fronte di tale statuizione contenuta nella sentenza impugnata, parte ricorrente inammissibilmente omette di indicare, nel ricorso (solo a rilevare a tal fine), quali mezzi istruttori aveva richiesto per fornire la necessaria prova liberatoria.
1.5. Con il quinto motivo il ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale, rigettando il settimo motivo del suo atto di appello, ha affermato:
<>.
Il motivo è inammissibile.
La qualità di proprietario dell’appartamento in capo al COGNOME lo ha idoneamente costituito responsabile della manutenzione dell’impianto idrico a servizio dell’appartamento.
Rispetto a tale statuizione di nessuna rilevanza nei rapporti coi danneggiati sono i comportamenti eventualmente tenuti dagli eredi COGNOME con riferimento ai rapporti con il COGNOME in relazione alla detenzione dell’appartamento.
Al riguardo, sul solco di quanto affermato da Cass. n. 30729/2019, si ribadisce che: a) in generale, in tema di danni causati a terzi da cose in custodia ai sensi dell’art. 2051 c.c., originati da un immobile condotto in locazione, sussiste la responsabilità del proprietario ove detti danni siano derivati da vizio strutturale del bene, che investa le mura od impianti ivi conglobati, dovendosi presumere che il conduttore sia stato immesso in queste condizioni nella disponibilità della ‘res locata’; b) tuttavia, <> (in senso analogo, vedi anche, più di recente, Cass. n. 10983/23).
1.6. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale, dichiarando inammissibile l’ottavo motivo del suo atto di appello, ha affermato che:
<>.
Il motivo è inammissibile e comunque, come formulato, infondato.
È inammissibile, in quanto il COGNOME non specifica dove nel corso del giudizio di merito avrebbe esposto le ragioni per le quali avrebbe dovuto essere accolta la sua domanda di determinare l’esatto ammontare dei danni ripartendoli secondo il grado di responsabilità ed eventualmente secondo le quote condominiali.
Ed è infondato, in quanto il ricorrente in sede di appello si era lamentato della intervenuta declaratoria di nullità del suo atto di chiamata in causa del RAGIONE_SOCIALE. La corte territoriale ha ritenuto che
il COGNOME non avesse interesse alla riforma della questione della nullità della domanda nei confronti del RAGIONE_SOCIALE per essersi limitato a censurare soltanto il profilo formale del vizio motivazionale della pronuncia di nullità. Invero, entrambi i giudici di merito, esaminando la domanda nel merito, hanno escluso qualsivoglia responsabilità del condominio in ordine all’origine ed alla causazione dei danni per cui è ricorso,
1.7. Con il settimo motivo il ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale, esaminando il nono motivo del suo atto di appello, ne ha affermato l’infondatezza nei sensi di cui appresso:
<<…anche se la motivazione della pronuncia di inammissibilità della domanda di nullità anche solo parziale dell'atto di compravendita della cantina in questione per carenza di interesse ad agire del COGNOME, deve essere corretta.
…. omissis …
<<Ciò detto è evidente che il vincolo di pertinenzialità programmaticamente dichiarato dalla sola acquirente COGNOME (e cioè di adibire la cantinola acquistata e sita in INDIRIZZO, a pertinenza dell'appartamento in INDIRIZZO) e di fatto non attuato atteso il pacifico (perché non contestato e riscontrato dal consulente) mutamento della destinazione della cantina a mini appartamento, giammai può comportare la pretesa nullità integrale e nemmeno
parziale (della sola dichiarazione di destinazione della NOME) dell'atto di compravendita.
<>.
Il motivo non è fondato.
Invero, il ricorrente reitera nei confronti dei coniugi COGNOME richieste che esulano da qualsivoglia prospettiva estensiva della causa petendi del giudizio di merito (e cioè dai lamentati danni da infiltrazioni e dalle relative responsabilità in ordine alla provenienza delle stesse).
L’unico elemento di collegamento con l’azione promossa potrebbe ravvisarsi nell’avvenuta alienazione da parte dei predetti coniugi in favore della NOME del locale cantinola, sito all’interno del condominio, già interessato dai fenomeni infiltrativi, con atto del 25 febbraio 2010.
Senonché, in disparte la considerazione che tale locale è stato verosimilmente alienato nello stato di fatto e di diritto in cui si trovava al momento della stipula, resta tuttavia il fatto che il COGNOME, essendo terzo rispetto a detto contratto, non ha alcun interesse ad agire ai fini della declaratoria della sua nullità (totale o parziale).
1.8. Con l’ottavo motivo il ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale, rigettando il decimo motivo del suo atto di appello, ha affermato che:
<<… per nessuna delle ragioni giuridiche peraltro inammissibilmente prospettate per la prima volta solo con l'atto di appello, il COGNOME ha diritto e può pretendere dalla NOME la rimozione delle opere, servizi e arredi non rientranti nella destinazione d'uso della cantina.
<>.
Il motivo è inammissibile.
Il COGNOME lamenta una violazione o falsa applicazione di legge in tema di rimozione (da parte della NOME) delle opere riferibili alla variazione di destinazione (e non rientranti nella destinazione di legge), ma inammissibilmente non precisa esattamente in quali termini avesse sottoposto tale questione all’esame della corte territoriale con l’atto di appello.
1.9. Con il nono motivo il ricorrente denuncia: <> nella parte in cui la corte territoriale, provvedendo sulle spese processuali, ha affermato che:
<>.
Il motivo è infondato.
Invero, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, la corte lo ha condannato alla rifusione delle spese processuali, in applicazione del principio della soccombenza, essendo risultato per l’appunto tale l’odierno ricorrente rispetto alle plurime richieste articolate in sede di merito nei confronti di molteplici parti. D’altronde, a fronte della chiamata in causa, gli eredi COGNOME, i coniugi COGNOMECOGNOME ed il RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO non potevano che costituirsi per far valere le rispettive ragioni.
Al rigetto del ricorso conseguono la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore delle controparti in relazione alla concreta attività defensionale espletata nel presente giudizio e, quanto al RAGIONE_SOCIALE ed alle ricorrenti NOME, con la chiesta attribuzione, nonché la declaratoria della sussistenza dei presupposti processuali per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo, se dovuto (Cass. Sez. U. 20 febbraio 2020 n. 4315).
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente COGNOME NOME al pagamento delle spese del presente giudizio, spese che liquida:
in favore del INDIRIZZO INDIRIZZO, in euro 3.200 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi in euro 200 ed agli accessori di legge, con attribuzione al difensore per dichiaratone anticipo;
in favore di ciascuna delle altre tre parti resistenti (COGNOME NOME; NOME, NOME e NOME COGNOME; NOME COGNOME, nonché NOME e NOME COGNOME, quanto a queste ultime con attribuzione al difensore per dichiaratone anticipo), in euro 2.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi in euro 200 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 13 marzo 2024, nella camera di consiglio