Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22907 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 22907 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28912/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME e COGNOME con domicilio digitale in atti.
-RICORRENTE- contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME con domicilio digitale in atti.
-CONTRORICORRENTE- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 2291/2020 depositata il 11/09/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con contratto preliminare del 24.11.2004 la RAGIONE_SOCIALE aveva promesso di acquistare da NOME COGNOME il terreno edificabile sito nel Comune di Schio, per il corrispettivo di €. 560.000, sottoposto alla condizione del rilascio di un permesso a costruire una volumetria complessiva di mc 2741; con separato preliminare redatto in pari data, la società aveva promesso in vendita alla COGNOME due appartamenti e due garage nel costruendo complesso residenziale,
per il prezzo di € 230.000 ciascuno. Sebbene fossero insorti contrasti in merito alla possibilità di ottenere il rilascio del permesso a costruire e di utilizzare l’intera cubatura , possibile solo costruendo in aderenza ad un muro posto sul confine, la promissaria acquirente era stata diffidata a concludere il definitivo.
Decorso vanamente il termine assegnato, NOME COGNOME ritenendo il preliminare di vendita del terreno ormai risolto, ha alienato il terreno a terzi.
La RAGIONE_SOCIALE ha adito il tribunale di Vicenza per far accertare la nullità o inefficacia dei contratti o per far dichiarare la risoluzione per inadempimento del preliminare di vendita del terreno, con restituzione della caparra versata , pari ad € 90.000,00.
NOME COGNOME ha resistito, proponendo riconvenzionale per il risarcimento del danno causato dall’aver venduto l’immobile a terzi per un prezzo inferiore a quello concordato con la GEC.
Il Tribunale ha accolto la domanda della società e ha ordinato la restituzione della caparra, respingendo le riconvenzionali.
In accoglimento dell’appello di NOME COGNOME la Corte distrettuale di Venezia ha invece dichiarato la risoluzione del preliminare avente ad oggetto il terreno, per inadempimento della promissaria acquirente, ritenendo che non sussistesse alcun ostacolo per lo sfruttamento edificabile del suolo per l’intera volumetria e che il contratto fosse regolarmente eseguibile; ha condannato la società al risarcimento del danno, liquidato in € 90.000,00 , pari alla differenza tra il prezzo concordato dalle parti e quello, inferiore, al quale il bene era stato alienato ad altra società (RAGIONE_SOCIALE, regolando le spese.
La cassazione della sentenza è chiesta dalla RAGIONE_SOCIALE con ricorso in sei motivi, cui ha resistito con controricorso NOME COGNOME la quale, in prossimità dell’adunanza camerale, ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo deduce la violazione degli artt. 112, 342 e 345 c.p.c. e vizio di motivazione, per non aver la Corte d’Appello dichiarato l’inammissibilità dei motivi di gravame con cui erano state proposte domande e questioni nuove. Si evidenzia che la resistente aveva chiesto solo in secondo grado di verificare lo stato dei luoghi per stabilire se fosse possibile costruire in aderenza al fondo confinante e realizzare l’intera volumetria indicata nel preliminare, ed aveva contestato per la prima volta la documentazione posta a base della sentenza di primo grado, chiedendo di accertare la corretta esecuzione del preliminare.
Il motivo è infondato.
La possibilità di realizzare un complesso immobiliare con una volumetria complessiva di mc 2741 era tema discusso sin dal primo grado e già posto a fondamento della pronuncia del tribunale, che aveva dichiarato l’ineseguibilità del preliminare; la riproposizione in appello non sollevava una questione nuova o una deduzione difensiva preclusa ai sensi dell’art. 345 c.p.c.
L’eseguibilità del preliminare integrava, comunque, una mera difesa, volta a negare i fatti costitutivi delle domande introdotte dalla società, al pari della richiesta di accertare che la società, non NOME COGNOME aveva disatteso gli obblighi contrattuali, tema strettamente connesso alle questioni oggetto della riconvenzionale di risarcimento del danno per mancata stipula del preliminare, che presupponeva che NOME COGNOME non fosse a sua volta inadempiente.
Erano state legittimamente contestate la pertinenza e la rilevanza probatoria della documentazione utilizzata dal c.t.u. (non essendovi alcuna preclusione alle facoltà di sollevare osservazioni e rilievi anche in comparsa conclusionale o in appello: Cass. SU 5624/2022), non un’eccezione di nullità della consulenza poiché fondata su elementi acquisiti irritualmente, atti di cui la sentenza di appello non ha comunque tenuto conto, avendo semplicemente rilevato, a confutazione di quanto sin dall’inizio sostenuto dalla società, che la
costruzione realizzata dal successivo acquirente era posta in aderenza al muro posto sul confine il che provava che era possibile utilizzare a fini edificatori l’intera cubatura di mc. 2471.
Il secondo motivo deduce la violazione degli artt. 904, 874 e 873 c.c., assumendo che il regolamento edilizio del Comune di Schio, nel richiamare l’art. 9 DM 68/1444 , che prescrive una distanza minima di 10 m tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, imponeva il rispetto di tale distanza anche in presenza di luci, con disposizione inderogabile che escludeva la facoltà di chiudere le luci in applicazione de ll’art. 904 c.c.
Il motivo è infondato.
La sentenza ha aderito all’insegnamento di questa Corte, da cui non si ha ragione di dissentire, che ha stabilito che l’obbligo di rispettare la distanza di dieci metri tra pareti finestrate sussiste solo in presenza di vedute e non di luci.
La dizione “pareti finestrate” contenuta in un strumento urbanistico che si ispiri all’art. 9 del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 – il quale prescrive nelle sopraelevazioni la distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti – non potrebbe che riferirsi esclusivamente alle pareti munite di finestre qualificabili come “vedute”, senza ricomprendere quelle sulle quali esistano apertura “lucifere” (Cass. 6604/2012; Cass. 26383/2016).
Proprio su tale premessa la sentenza ha accertato che il complesso realizzato dal successivo acquirente era posto in aderenza al muro posto sul confine, conformemente al permesso rilasciato, negando l’obbligo di rispetto della distanza di dieci metri contemplata dal regolamento edilizio.
Il terzo motivo deduce la violazione degli artt. 1175, 1176, 1218, 1220 e 1227, primo comma, c.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, lamentando che la sentenza non abbia escluso la responsabilità della RAGIONE_SOCIALE nonostante detta società avesse proposto una soluzione transattiva del tutto ragionevole, ossia di
avviare i lavori in aderenza al muro confinante riservandosi la scelta tra proseguirli o sospenderli in caso di opposizione del confinante, con differimento del pagamento del prezzo alla definizione dell’eventuale contenzioso . Il fatto che in loco fosse stata successivamente realizzata una costruzione in aderenza al muro, non provava che il progetto originario fosse eseguibile, né poteva trascurarsi che NOME COGNOME aveva taciuto dell’esistenza di conflitti con i vicini e che, quando tale circostanza era divenuta nota, non aveva voluto prestare garanzia, comunicando falsamente di aver composto ogni ragione di contrasto con i confinanti.
Il motivo è inammissibile poiché attinge profili in fatto cui la sentenza ha dato soluzione con motivazione esente da vizi.
La Corte di merito ha ritenuto la società inadempiente per essersi sottratta all’obbligo di concludere il definitivo nonostante la diffida ad adempiere, affermando che l’intera cubatura edificabile prevista dal contratto era utilizzabile, come provava il fatto che il complesso successivamente costruito in loco era posto in aderenza al muro sul confine.
Era, quindi, irrilevante che la controparte avesse rifiutato la proposta di differire il pagamento qualora fosse insorto contrasto sulla possibilità di costruire in aderenza sul confine, o che non avesse inteso garantire l’eseguibilità del preliminare, data l’ accertata possibilità di realizzare l’intera volumetria programmata.
Le giustificazioni addotte dalla società sono state respinte anche riguardo alla pretesa conflittualità con i confinanti, con cui era cessata ogni materia del contendere, non potendo la società sospendere l’esecuzione del preliminare o differirne l’integrale esecuzione.
Deve anteporsi, per ragioni di ordine logico, l’esame dei motivi quinto e sesto.
Il quinto motivo deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. , lamentando che la Corte territoriale abbia
condannato l’appellata al risarcimento del danno in un importo superiore a quanto richiesto, riconoscendo il diritto della resistente a trattenere la caparra confirmatoria in assenza di domanda.
Il motivo è infondato.
La domanda di risarcimento non era contenuta entro un importo pari o non superiore ad € 90.000 : la resistente aveva esplicitamente precisato, anche in appello, di voler ottenere il risarcimento integrale del pregiudizio, tenendo conto di quanto già percepito, pretendendo una somma aggiuntiva rispetto all’ammontare della caparra che già le era stata corrisposta: la pronuncia non ha ecceduto dai limiti della domanda e non ha riconosciuto alla promittente venditrice la facoltà di trattenere la caparra pur aven do esercitato un’azione di risoluzione e non di recesso, come è esplicitamente affermato a pag. 8 della sentenza.
Se ne trae conferma dal fatto che la Corte di merito ha escluso che sulle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno spettasse la rivalutazione monetaria proprio perché gli importi liquidati, pari alla differenza tra il prezzo concordato dalle parti e quello ricavato dalla vendita a terzi (solo nomin almente corrispondente all’importo della caparra), erano stati già incamerati dalla promittente venditrice, a conferma del fatto che null’altro quest’ultima avrebbe potuto pretendere.
5.Il sesto motivo deduce la violazione degli artt. 1218, 1223 e 2697 c.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio per aver la Corte d’Appello quantificato il risarcimento nella differenza tra il prezzo pattuito con il preliminare del 24.11.2006 ed il prezzo ricavato dalla successiva vendita, senza considerare il collegamento tra i due preliminari per effetto del quale la promittente venditrice avrebbe percepito non € 560.000,00, ma il minor importo di € 277.000,00, dovendo corrispondere antici patamente alla società € 283.000,00 per gli appartamenti e i box da realizzare e, successivamente, anche l’Iva sui trasferimenti e le imposte catastali
e di registro. Occorreva tener conto del fatto che, con la vendita ad altra società, la resistente aveva ottenuto il vantaggio di ricevere immediatamente il pagamento di € 470.000,00 senza attendere anni per la costruzione degli immobili da realizzare, e che con l’originario preliminare la società acquirente non avrebbe sostenuto il costo di € 560.000,00 ma un importo minore, avendo titolo al pagamento del il prezzo che la Pretto era obbligata a corrispondere anticipatamente. La censura, che contesta la correttezza del metodo di quantificazione del danno da inadempimento, è fondata.
La Corte di merito ha liquidato il danno da inadempimento nella differenza tra quanto la Pretto avrebbe ottenuto dalla corretta esecuzione del preliminare ed il prezzo incassato dalla vendita del terreno a terzi, pari ad € 90.000,00.
Tale automatismo non è però condivisibile : l’entità del danno va ancorata alla perdita o al mancato conseguimento di un utile provocato dall’inadempimento e si traduce nella differ enza tra il prezzo concordato nel preliminare e quello che il medesimo bene aveva al momento in cui l’inadempimento è divenuto definitivo, coincidente con la scadenza del termine fissato con la diffida ad adempiere o, in generale, con quello di proposizione della domanda di risoluzione ovvero altro anteriore, accertato in concreto, potendosi tener conto anche di ulteriori circostanze, suscettibili di determinare un incremento o una riduzione del pregiudizio, a condizione che esse siano allegate e provate e appaiano ragionevolmente prevedibili e non meramente ipotizzate (Cass. 8905/2025; Cass. 32536/2022; Cass. 18498/2021, Cass. 28375/2017; Cass. 17688/2010).
Dalla fondatezza del sesto motivo discende l’assorbimento del quarto, con cui si denuncia la nullità della sentenza ex art. 156, comma 2, c.p.c., per contrasto tra dispositivo e motivazione, sostenendo che la Corte distrettuale abbia affermato in motivazione che NOME COGNOME non aveva titolo per trattenere la caparra di € 90.000.00, avendo agito per la risoluzione, ma che poi, riconoscendo
la società responsabile per non aver eseguito il preliminare, l’abbia condannata a versare € 90.000, quale differenza tra il prezzo previsto dal preliminare e quello versato dal terzo acquirente, senza ordinare in dispositivo la restituzione della caparra, con il risultato di aver imposto l’obbligo di corrispondere un importo complessivo di € 180.000,00.
Il giudice di rinvio deve procedere ad una quantificazione del danno e poi, se del caso, compensare il credito, parzialmente o totalmente, con la caparra versata dalla società, disponendo l’eventuale restituzione della differenza.
In conclusione, è accolto il sesto motivo, è assorbito il quarto e sono respinte le altre censure. La sentenza è cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il sesto motivo di ricorso, dichiara assorbito il quarto e respinge le restanti censure, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Venezia, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione