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Danno da illecito antitrust: non è mai presunto

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 33858/2024, ha rigettato il ricorso di un fideiussore che chiedeva il risarcimento per un contratto di fideiussione contenente clausole anticoncorrenziali. La Corte ha stabilito che il danno da illecito antitrust non è mai presunto (in re ipsa), ma deve essere sempre specificamente provato dal danneggiato, sia nella sua esistenza che nel suo ammontare, in base ai principi generali della responsabilità civile.

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Danno da illecito antitrust: la Cassazione nega ogni automatismo risarcitorio

La stipula di un contratto di fideiussione conforme a uno schema dichiarato anticoncorrenziale non dà diritto a un risarcimento automatico. Il danno da illecito antitrust, infatti, non è mai presunto, ma deve essere rigorosamente provato da chi lo lamenta. Questo è il principio cardine ribadito dalla Corte di Cassazione, Sezione I Civile, con l’ordinanza n. 33858 del 2024, che chiude una complessa vicenda giudiziaria e offre importanti chiarimenti sull’onere della prova in materia di violazioni della concorrenza.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine da un contratto di conto corrente stipulato nel 2005 tra una società e un noto istituto di credito. A garanzia delle obbligazioni della società, due soci avevano prestato una fideiussione omnibus fino a un importo di 200.000 euro. Successivamente, a seguito del recesso della banca dal contratto e della richiesta di pagamento per lo scoperto di conto, veniva emesso un decreto ingiuntivo sia contro la società che contro i due fideiussori.

Uno dei garanti, ritenendo il contratto di fideiussione nullo, avviava una causa autonoma. La sua tesi si basava sul fatto che il contratto era conforme allo schema predisposto dall’ABI (Associazione Bancaria Italiana), le cui clausole 2, 6 e 8 erano state giudicate dalla Banca d’Italia in contrasto con la legge antitrust (L. n. 287/1990), in quanto frutto di un’intesa restrittiva della concorrenza. Il garante chiedeva quindi non solo la declaratoria di nullità, ma anche un cospicuo risarcimento danni (500.000 euro) e la cancellazione del proprio nome dalla Centrale Rischi.

L’iter Giudiziario e la Prova del Danno da Illecito Antitrust

Il percorso processuale è stato particolarmente articolato. Dopo una prima decisione della Corte d’Appello di Venezia che aveva rigettato le domande, la Corte di Cassazione, con una precedente ordinanza (n. 29810/2017), aveva accolto il ricorso, affermando il principio secondo cui la nullità dei contratti “a valle” di un’intesa anticoncorrenziale “a monte” si applica anche ai contratti stipulati prima dell’accertamento dell’illecito da parte dell’Autorità garante.

La causa veniva quindi rinviata alla Corte d’Appello di Venezia. Quest’ultima, con sentenza parziale, dichiarava la nullità delle clausole 2, 6 e 8 della fideiussione, ma con la sentenza definitiva rigettava la domanda di risarcimento del danno. Secondo i giudici di merito, la nullità delle clausole non comportava un’automatica risarcibilità del pregiudizio, che, invece, andava allegato e provato, anche tramite presunzioni, non potendosi configurare come un danno “in re ipsa”. Inoltre, il garante non aveva fornito prova di un danno specifico derivante dalla segnalazione in Centrale Rischi.

Le Motivazioni della Suprema Corte

Investita per la seconda volta della questione, la Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi di ricorso del garante, confermando la decisione della Corte d’Appello. Le motivazioni sono dense di principi di diritto sia sostanziale che processuale.

Innanzitutto, la Corte ha chiarito che la normativa europea (Direttiva 2014/104/UE) e nazionale di attuazione (D.Lgs. 3/2017), che introducono una presunzione di danno in caso di violazioni antitrust, non sono retroattive. Di conseguenza, alla fattispecie, risalente a prima della loro entrata in vigore, si applicano i principi generali del codice civile in materia di illecito (art. 2043 c.c.) e onere della prova (art. 2697 c.c.).

Questo significa che chi agisce per il risarcimento del danno da illecito antitrust deve provare tre elementi fondamentali:
1. Il fatto lesivo: la stipula del contratto con clausole nulle.
2. Il danno-conseguenza: il pregiudizio patrimoniale o morale effettivamente subito.
3. Il nesso di causalità: il legame diretto tra il fatto lesivo e il danno.

La Suprema Corte, citando anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza Otis), ha ribadito che il danno non può ritenersi sussistente in re ipsa, cioè per il solo fatto che sia stata commessa una violazione. Il danneggiato deve fornire prove, anche presuntive, purché gravi, precise e concordanti, del pregiudizio patito. Nel caso di specie, il ricorrente non aveva assolto a tale onere.

La Corte ha inoltre dichiarato inammissibili gli altri motivi di ricorso, ricordando che nel giudizio di rinvio non è possibile formulare domande nuove che amplino il thema decidendum (l’oggetto del giudizio) e che, qualora una decisione di merito sia fondata su una duplice ratio decidendi (due autonome ragioni), il ricorso è inammissibile se non le contesta entrambe.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento consolida un orientamento fondamentale in materia di contenzioso bancario e antitrust. La nullità, anche solo parziale, di una fideiussione per violazione della normativa sulla concorrenza è un presupposto necessario ma non sufficiente per ottenere un risarcimento. Il fideiussore che intende agire in giudizio deve armarsi di prove concrete per dimostrare il danno effettivo subito a causa di quelle specifiche clausole. La battaglia legale, quindi, non si esaurisce con la dimostrazione dell’illecito “a monte”, ma richiede una rigorosa e puntuale dimostrazione del pregiudizio “a valle”, senza poter contare su alcun automatismo risarcitorio.

Il danno derivante dalla stipula di un contratto con clausole anticoncorrenziali è presunto?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che, per i fatti antecedenti all’entrata in vigore della Direttiva 2014/104/UE, il danno da illecito antitrust non si presume (non è “in re ipsa”), ma deve essere specificamente provato dal danneggiato secondo le regole generali della responsabilità civile (art. 2043 c.c.).

È possibile presentare nuove domande nel giudizio di rinvio dopo una pronuncia della Cassazione?
No. Il giudizio di rinvio è un procedimento “chiuso”, finalizzato a una nuova pronuncia in sostituzione di quella annullata. È inibito alle parti ampliare l’oggetto della causa (il cosiddetto “thema decidendum”) con domande o eccezioni nuove, salvo che non siano rese necessarie dalla sentenza della Cassazione stessa.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione contesta solo una delle due ragioni autonome su cui si fonda la decisione del giudice di merito?
Il ricorso è inammissibile. Se una sentenza è sorretta da una pluralità di ragioni di per sé sufficienti a giustificarla (doppia “ratio decidendi”), l’omessa impugnazione di una di esse rende definitiva quella motivazione, e l’eventuale accoglimento del ricorso sull’altra non potrebbe comunque portare all’annullamento della sentenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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