Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33858 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33858 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25619/2020 R.G. proposto da : COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO NOME COGNOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
FINO RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO COGNOME INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 1760/2020 depositata il 07/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti, solo RAGIONE_SOCIALE) ha stipulato in data 18 febbraio 2005 un contratto di conto corrente con la Unicredit Corporate Banking (d’ora innanzi, Unicredit) rispetto al quale, fino alla concorrenza di € 200.000,00, prestavano fideiussione i signori NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La Banca, previo recesso dal contratto in oggetto, ha richiesto ed ottenuto dal Tribunale di Roma, sia nei confronti di RAGIONE_SOCIALE che dei due fideiussori, a titolo di scoperto di conto corrente, un decreto ingiuntivo (notificato al Bosco in data 14.12.2009) avverso il quale è stata proposta opposizione.
Con riferimento alla stessa vicenda, NOME COGNOME con atto di citazione notificato in 1.2.2010, ha adito la Corte d’appello di Venezia, in unico grado, chiedendo la declaratoria di nullità del contratto di fideiussione stipulato con la Banca nonché la condanna della stessa al risarcimento dei danni, quantificati in € 500.000,00, e la cancellazione del suo nominativo dalla Centrale Rischi della Banca d’Italia. In subordine, il COGNOME ha chiesto la declaratoria di
nullità delle clausole 2, 6 e 8 del contratto di fideiussione e l’accertamento negativo del credito vantato dalla Banca per lo scoperto di conto corrente.
L’attore ha dedotto, a sostegno delle sue domande, che il contratto di fideiussione dallo stesso stipulato era pacificamente conforme allo schema contrattuale predisposto dall’ABI e che la Banca d’Italia, all’esito dell’istruttoria svolta – ai sensi degli artt. 2 e 14 della L. n. 287 del 1990 – proprio nei riguardi dell’ABI, su parere conforme dell’AGCM aveva dichiarato che gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’Associazione bancaria per la stipula delle fideiussioni da sottoscrivere a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussioni omnibus) contenevano disposizioni che «nella misura in cui venivano applicate in modo uniforme» dalle proprie associate erano in contrasto con l’art. 2, co. 2, lett. a), L. n. 287 del 1990.
Con sentenza n. 1287/2013, la Corte d’Appello di Venezia ha rigettato le domande dell’attore.
Avverso tale decisione il signor COGNOME ha proposto ricorso per cassazione.
Questa Corte, con l’ordinanza n. 29810/2017, ha accolto il ricorso per cassazione ed ha rimesso la causa alla Corte d’Appello di Venezia per la celebrazione del giudizio, enunciando il seguente principio di diritto:
‘in tema di accertamento dell’esistenza di intese anticoncorrenziali vietate dall’art. 2 della legge n. 287 del 1990, la stipulazione «a valle» di contratti o negozi che costituiscano l’applicazione di quelle intese illecite concluse «a monte» (nella specie: relative alle norme bancarie uniformi ABI in materia di contratti di fideiussione, in quanto contenenti clausole contrarie a norme imperative) comprendono anche i contratti stipulati anteriormente all’accertamento dell’intesa da parte dell’Autorità indipendente preposta alla regolazione o al controllo di quel mercato [nella
specie, per quello bancario, la Banca d’Italia, con le funzioni di Autorità garante della concorrenza tra istituti creditizi, ai sensi degli artt. 14 e 20 della L. n. 287 del 1990 (in vigore fino al trasferimento dei poteri all’AGCM, con la legge n. 262 del 2005, a far data dal 12 gennaio 2016)] a condizione che quell’intesa sia stata posta in essere materialmente prima del negozio denunciato come nullo, considerato anche che rientrano sotto quella disciplina anticoncorrenziale tutte le vicende successive del rapporto che costituiscano la realizzazione di profili di distorsione della concorrenza’ .
Con atto di citazione in riassunzione innanzi alla Corte d’Appello di Venezia, il Sig. COGNOME ha chiesto dichiarare nullo – per violazione dell’art. 2, comma 2, lettera a) della legge 287/1990 – il contratto di fideiussione sottoscritto tra la Unicredit Corporate Banking s.p.a. (ora fusa per incorporazione nella UniCredit s.p.a.) ed il Sig. NOME COGNOME e, per l’effetto, dichiarare che nulla era dovuto dall’attore alla Banca convenuta per l’eventuale scoperto del conto corrente n. 30040578 della Albatel RAGIONE_SOCIALE; comunque, riconoscere il diritto del Sig. NOME COGNOME al risarcimento dei danni morali e patrimoniali e, per l’effetto, condannare la UniCredit s.p.a. al pagamento della complessiva somma di € 500.000,00 ovvero al pagamento di quella diversa somma, maggiore o minore, ritenuta di giustizia dalla Corte, oltre naturalmente alla immediata cancellazione dell’attore dalla Centrale Rischi della Banca d’Italia.
Nel corso del giudizio di rinvio, è intervenuta in giudizio la RAGIONE_SOCIALE e, per essa RAGIONE_SOCIALE chiedendo, in via preliminare la dichiarazione di ammissibilità dell’intervento spiegato nel presente giudizio e di inammissibilità ed infondatezza della domanda di risarcimento ex art.96 c.p.c. formulata dal Sig. COGNOME e nel merito il rigetto di tutti i gravami proposti dall’appellato.
La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza n. 1760/2020, depositata il 7.7.2020, dando atto che, con precedente sentenza non definitiva n. 5389/2019, era stata parzialmente accolta la domanda di nullità delle clausole n. 2, 6 e 8 della fideiussione, in quanto corrispondenti a quelle contenute nello schema dell’ABI, (ritenute dalla Banca d’Italia in contrasto con il divieto di intese anticoncorrenziali a norma dell’art. 2 comma 2 L. n. 287/1990), ha rigettato la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale e di cancellazione della segnalazione alla Centrale Rischi; ha dichiarato l’inammissibilità della domanda di risarcimento del danno patrimoniale formulata al punto 2 b) delle conclusioni dell’atto di citazione in riassunzione (in relazione alla sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 6464/2019 con cui era stata accolta la domanda ex art. 2901 cod. civ. di Unicredit); ha rigettato la domanda ex art. 96 c.p.c. In ordine alla domanda di accertamento negativo del credito a titolo di scoperto di conto corrente, ha dichiarato la litispendenza e continenza rispetto al procedimento pendente davanti al Tribunale di Roma iscritto al n.r.g. 7790/2010. Il giudice d’appello, per quanto ancora rileva, ha rigettato la domanda di risarcimento del danno della Banca per la segnalazione alla Centrale Rischi, non potendosi ritenere illecita la segnalazione del Bosco quale fideiussore e non risultando provata (e nemmeno dedotta) che vi fosse una segnalazione negativa quanto alla sulla solvibilità o una sua posizione di sofferenza o di incapacità di far fronte alle sue obbligazioni. In ogni caso, non risultava provato neppure il danno derivante dalla segnalazione, atteso che l’unico documento prodotto dall’attore riguardava il RAGIONE_SOCIALE ed un diverso soggetto giuridico ovvero la società RAGIONE_SOCIALE di cui l’attore aveva dedotto di essere socio e sulla cui concreta solvibilità nulla era stato provato. Tale documento non conteneva alcun riferimento alla segnalazione del Bosco alla Centrale Rischi.
Sotto il diverso profilo della lesione alla libertà contrattuale, il giudice d’appello ha affermato che l’inserimento di clausole nulle nel contratto di fideiussione, pur configurando un illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c., non determinava un’automatica risarcibilità del pregiudizio (morale e/o patrimoniale), il quale andava allegato e provato, anche attraverso presunzioni semplici, non potendosi configurare ‘in re ipsa’.
La Corte d’Appello ha, inoltre, dichiarato inammissibile le nuove domande proposte dal Bosco con la nota autorizzata del 10.1.2020 dirette ad ottenere l’accertamento negativo del diritto di Unicredit di riscuotere le spese legali liquidate in suo favore con sentenze del Tribunale di Roma n. 7144/2016 e della Corte d’Appello di Roma n. 6464/2019 nel giudizio promosso dalla banca per ottenere la revoca ex art. 2901 c.c. della cessione di diritti immobiliari conclusa tra il Bosco e la moglie NOME in data 30.12.2008
Sul punto, la Corte territoriale ha ritenuto che trattavasi di domande nuove, diverse per petitum e causa petendi, rispetto a quelle proposte con l’atto introduttivo del giudizio.
Infine, il giudice d’appello, dando atto che la domanda di accertamento negativo del credito, derivante dallo scoperto del conto corrente per cui il Bosco aveva prestato fideiussione, era stata proposta dall’attore anche innanzi al Tribunale di Roma nell’ambito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo -giudizio che risultava radicato prima di quello instaurato innanzi alla Corte d’Appello di Venezia e che era stato sospeso ex art. 295 c.p.c. in attesa del passaggio in giudicato della pronuncia sulla nullità della fideiussione -ha ritenuto che sussistesse la litispendenza e la continenza tra le due azioni. In ogni caso, non essendo la causa di accertamento negativo del credito equiparabile alla domanda di risarcimento del danno da illecito anticoncorrenziale, essa non rientrava nelle materie riservate alla competenza funzionale in un unico grado della Corte d’Appello ai
sensi degli artt. 2 e 33 L. n. 287/1990, con la conseguenza che tale domanda non poteva essere sottratta al suo giudice naturale ovvero il giudice dell’opposizione a l decreto ingiuntivo.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandolo a cinque motivi.
La Banca Unicredit s.p.a. e RAGIONE_SOCIALE e, per essa, doValue, hanno resistito in giudizio con controricorso.
Il Procuratore Generale ha chiesto che il ricorso sia rigettato.
Il ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la ‘ Nullità della sentenza -ex art. 360, n. 3 c.p.c. -per violazione e falsa applicazione degli artt. 101 del T.F.U.E., 1, 3, 9 e 17 della Dir. 2014/104/UE, 2 e 33 della L. 287/1990, 1, 7 e 14 del D. Lgs. 3/2017, 1226, 2043, 2697 e 2729 c.c., 115 e 116 c.p.c., nonché per contrarietà alla ferma giurisprudenza della Corte di Cassazione, avendo la Corte di Appello ritenuto non provati i danni morali subiti in conseguenza e per gli effetti derivanti dell’illecito antitrust’.
Espone il ricorrente che in base alla normativa eurounitaria (artt. 3, 9 e 17 dir. N. 2014/104/UE) e nazionale (artt. 1, 7 e 14 d.lgs n. 3/2017) il danno da illecito antitrust è presunto, salvo prova contraria, e deve essere liquidato con una valutazione equitativa.
Nel caso di specie, il ricorrente aveva comunque fornito i riscontri indiziari (gravi, precisi e concordanti) dei pregiudizi subiti per effetto dell’illecito concorrenziale posto in essere dalla Banca nonché in relazione alla illegittima segnalazione alla Centrale Rischi, essendo stato dimostrato in giudizio che il Credito artigiano aveva revocato un affidamento in precedenza concesso alla RAGIONE_SOCIALE, società di cui il Bosco aveva dimostrato essere socio.
Il motivo presenta concomitanti profili di infondatezza ed inammissibilità.
In primo luogo, va osservato che non sono applicabili alla controversia in esame né la direttiva 2014/104/ UE, né il d.lgs n. 3/2017 che ha attuato la direttiva europea, in quanto normative entrate in vigore successivamente sia ai fatti di causa, sia all’introduzione del giudizio presso la Corte d’Appello di Venezia.
In proposito, in primo luogo, l’art. 22 della stessa direttiva europea del 2014 si è preoccupata di disporre al paragrafo 1 che ‘ Gli Stati membri assicurano che le misure nazionali adottate ai sensi dell’articolo 21 al fine di rispettare le disposizioni sostanziali della presente direttiva non si applichino retroattivamente’. Tale prescrizione è stata attuata dal legislatore nazionale, il quale non solo, nel d.lgs. n. 3/2017, con riferimento alle norme sostanziali, non ha derogato al principio di irretroattività della legge, sancito dall’art. 11 delle preleggi del codice civile (secondo cui ‘la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo’), ma, ha addirittura previsto all’art. 19 comma 1, anche con riferimento alle norme processuali, una disciplina transitoria, disponendo che ‘Ai fini dell’applicazione temporale del presente decreto, gli articoli 3, 4, 5, 15, comma 2, quali disposizioni procedurali, si applicano ai giudizi di risarcimento del danno da violazione del diritto della concorrenza promossi successivamente al 26 dicembre 2014’.
Ne consegue che non è pertinente il richiamo effettuato dal ricorrente agli artt. 17, comma 2, direttiva 2014/104/UE (secondo cui ‘ Si presume che le violazioni consistenti in cartelli causino un danno’. L’autore ha diritto di fornire prova contraria a tale presunzione) e 14, comma 2, d.lgs n. 3/2017 (secondo cui ‘L’esistenza del danno cagionato da una violazione del diritto alla concorrenza consistente in un cartello si presume, salva prova contraria dell’autore della violazione’).
Pertanto, il giudice, nell’esaminare la domanda di risarcimento del danno da illecito antitrust, deve applicare i principi generali che
regolano le conseguenze del fatto illecito (art. 1223 cod. civ.), e, sia che venga allegato, per effetto di tale violazione, un pregiudizio di natura patrimoniale, sia morale, tale danno non può ritenersi sussistente in re ipsa, dovendo essere circostanziato, e debitamente provato, anche con presunzioni semplici (vedi, recentemente, Cass. n. 21123/2023 in tema di illecito connesso alla distorsione della concorrenza; vedi, anche, in tema di risarcimento del danno da concorrenza sleale confusoria, Cass. n. 21586/2023).
Va, inoltre, rilevato che proprio con riferimento al tema dei danni da illecito antitrust, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella sentenza del 6 novembre 2012, C-199/11, Otis, ha evidenziato che la domanda di risarcimento danni implica non soltanto la constatazione della sopravvenienza di un fatto lesivo, ma anche la sussistenza di un danno e di un nesso diretto tra tale danno ed il fatto lesivo, occorrendo, pertanto, che il giudice nazionale stabilisca la sussistenza di un pregiudizio e di un nesso di causalità diretta tra lo stesso e l’intesa o la pratica scorretta.
Con riferimento ai danni lamentati per l’illegittima segnalazione alla Centrale Rischi, le censure del ricorrente si appalesano inammissibili, in quanto finalizzate a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti ed una differente valutazione del materiale probatorio rispetto a quello esaminato dalla Corte d’Appello, la quale ha evidenziato, in primo luogo, che la segnalazione aveva riguardato solo la qualità di fideiussore del ricorrente, e non una sua posizione di sofferenza o di incapacità di far fronte alle sue obbligazioni. In ogni caso, non risultava provato neppure il danno derivante dalla segnalazione, atteso che l’unico documento prodotto dall’attore riguardava il Credito Artigiano ed un diverso soggetto giuridico – ovvero la società RAGIONE_SOCIALE di cui l’attore aveva dedotto di essere socio -e non
conteneva alcun riferimento alla segnalazione del Bosco alla Centrale Rischi.
3. Con il secondo motivo è stata dedotta la ‘Nullità della sentenza ex art. 360, n. 3 c.p.c. per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 101 del T.F.U.E., degli artt. 1, 3, 9 e 17 della Dir. 2014/104/UE, degli artt. 2 e 33 della Legge n. 287 del 1990, degli artt. 1, 7 e 14 del D. Lgs. n. 3 del 2017, degli artt. 2043, 2697 e 2729 c.c. e degli art. 115, 116, 153 e 183 c.p.c., nonché per contrarietà alla ferma giurisprudenza della Corte di Cassazione, avendo la Corte d’Appello ritenuto inammissibili i documenti prodotti dall’attore con le note autorizzate del 10.1.2020, e nuova la domanda formulata per i danni materiali sopravvenuti in corso di causa, ma comunque conseguenza dell’illecito antitrust’.
Espone il ricorrente che, dovendo essere risarcita ogni conseguenza dell’illecito antitrust, con le note autorizzate del 10.1.2020, aveva dedotto ed allegato i fatti sopravvenuti che gli avevano causato un danno emergente, conseguenza dell’illecito posto in essere dalla banca convenuta. In particolare, aveva chiesto l’accertamento negativo del diritto di Unicredit di riscuotere le spese legali liquidate in suo favore con sentenze del Tribunale di Roma n. 7144/2016 e della Corte d’Appello di Roma n. 6464/2019 nel giudizio promosso dalla banca, nella sua qualità di creditore, in relazione alla fideiussione prestata dal Bosco, per ottenere la revoca ex art. 2901 c.c. della cessione di diritti immobiliari conclusa tra il Bosco e la moglie NOME COGNOME in data 30.12.2008. Rileva, ora, il ricorrente che la Corte d’Appello, quale giudice di rinvio, aveva ritenuto nuova ed inammissibile la domanda di risarcimento del danno, non considerando che la domanda di risarcimento dei danni materiali non era mai stata trattata ed era consentito al COGNOME, per fatti sopravvenuti, di integrare la domanda di risarcimento, allegando fatti materiali ‘diversi’ per quantità e qualità rispetto a quelli comunque prospettati sin dalla citazione introduttiva del primo
grado di giudizio. Non era neppure possibile sostenere che fosse stato introdotto un nuovo tema d’indagine, atteso che quelli sopravvenuti erano danni materiali derivanti sempre dallo stesso illecito antitrust dedotto.
Il motivo è inammissibile.
Va osservato che è principio consolidato di questa Corte (vedi Cass n. 5137/2019; vedi, recentemente, Cass. n. 24357/2023) quello secondo cui, essendo il giudizio di rinvio un procedimento chiuso, preordinato a una nuova pronuncia in sostituzione di quella cassata, è comunque inibito alle parti ampliare il thema decidendum , mediante la formulazione di domande ed eccezioni nuove, salvo che queste, intese nell’ampio senso di qualsiasi attività assertiva o probatoria, siano rese necessarie da statuizioni della sentenza della Corte di cassazione, evenienza che non ricorre nel nostro caso.
Ne consegue che, correttamente, la Corte territoriale ha ritenuto inammissibile la domanda svolta per la prima volta nel giudizio di rinvio con le note autorizzate del 10.1.2020.
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 88 e 96 comma 3° c.p.c. in quanto la Corte di Appello non ha riconosciuto la responsabilità aggravata delle odierne resistenti sia pur, in presenza di ‘evidenti e generali mala fede e/o colpa grave e/o negligenza della Banca nell’acquisire la consapevolezza della temerarietà di tutte le eccezioni e difese svolte dalla stessa in tutti i gradi del giudizio, nonché per ‘l’intasamento’ del sistema giudiziario scaturito dall’illecito antitrust già definitivamente accertato anche a suo carico ‘ .
Il motivo è inammissibile.
Va osservato che è orientamento consolidato di questa Corte (vedi Cass. n. 7222/2022, 5337/2007, 327/2010; 13071/2003) quello secondo cui l’accertamento della responsabilità aggravata, che ricorre quando la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio
con mala fede o colpa grave, rientra nei compiti esclusivi del giudice del merito e non è censurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato.
Ne consegue che l’accertamento del giudice di merito in ordine alla responsabilità aggravata non è sindacabile in sede di legittimità.
7. Con il quarto motivo è stata dedotta la ‘ Nullità della sentenza ex art. 360, nn. 2 e 3 c.p.c. per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 101 del T.F.U.E., degli artt. 1, 3, 9 e 17 della Dir. 2014/104/UE, degli artt. 2 e 33 della Legge n. 287 del 1990, degli artt. 1, 7 e 14 del D. Lgs. n. 3 del 2017, degli artt. 2043, 2697 e 2729 c.c. e degli art. 28, 38 e 39 c.p.c., nonché per contrarietà alla ferma giurisprudenza della Corte di Cassazione, avendo la Corte d’Appello ritenuto che la questione relativa all’accertamento negativo del credito fosse, per litispendenza e/o continenza tra le azioni ex art. 33 della Legge n. 287 del 1990 e di opposizione a decreto ingiuntivo pendente tra le medesime parti, di competenza del giudice dell’opposizione ‘.
Contesta il ricorrente l’affermazione con cui la Corte d’Appello ha riconosciuto la competenza per materia e per territorio del Tribunale di Roma in ordine alla domanda di accertamento negativo del credito da scoperto di conto corrente: non essendo questo giudice competente a decidere sulla domanda di nullità derivante dall’illecito antitrust, non era neppure competente ad eliminare le sue conseguenze, così come disposto dall’art. 33 L. n. 287/1990.
Tale domanda doveva essere equiparata ad una domanda di risarcimento del danno in quanto diretta ad eliminare un effetto derivante dall’illecito denunciato (il credito e la qualità di creditrice da parte della Banca in conseguenza della illecita deroga al termine di cui all’art. 1957 c.c. prevista dall’art. 6 del contratto di fideiussione, dichiarato nullo dalla Corte d’Appello).
L’accertamento della inesistenza di tale qualità di creditore avrebbe dovuto essere effettuato nel giudizio finalizzato ad eleminare le conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’illecito denunciato.
Non poteva, infine, sussistere alcun genere di litispendenza e/o continenza tra cause che avevano petitum e causa petendi totalmente autonome, anche in ragione delle norme sostanziali e processuali della legge antitrust.
Il motivo è inammissibile.
Va osservato che la Corte d’Appello ha declinato la propria competenza a decidere sulla domanda di accertamento negativo del credito da scoperto di conto corrente sulla base di una doppia ratio decidendi :
la sussistenza di una situazione di litispendenza e la continenza tra il giudizio instaurato innanzi alla Corte d’Appello di Venezia e quello di opposizione a decreto ingiuntivo pendente innanzi al Tribunale di Roma, con conseguente necessità di demandare la trattazione della domanda di accertamento negativo del credito a quest’ultimo tribunale in quanto preventivamente adito;
2) la sussistenza della competenza per materia e per territorio del Tribunale di Roma, e ciò sul rilievo che la Corte d’Appello di Venezia, oltre ad essere stata successivamente adita, non era neppure competente per la domanda di accertamento negativo, non rientrando questa tra le materie riservate alla competenza funzionale della Corte d’Appello in unico grado, secondo la legislazione vigente ratione temporis . In particolare, essendo la competenza della Corte territoriale per le azioni antitrust eccezionale, non poteva estendersi alle domande connesse che trovassero un mero antecedente storico e logico nella declaratoria di nullità totale o parziale, e che non potevano, pertanto, essere sottratte al loro giudice naturale, non potendosi, altresì, privare le parti di un grado del giudizio.
Il ricorrente ha contestato la prima ratio decidendi , mentre nessuna censura ha mosso alla seconda.
Orbene, è orientamento consolidato di questa Corte che ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza. (Cass. n. 18641/2017; vedi anche Cass. n. 13880/2020).
Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 91, 92 e 97 c.p.c., per avere la Corte d’appello compensato le spese di tutti i gradi del giudizio.
Il motivo è inammissibile.
Va osservato che in materia il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia di provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (Cass. n. 19613/2017).
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida, in favore di ciascuna controricorrente, nella somma di €
7.800,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 , comma 1-quater, del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I Sezione civile