Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21940 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21940 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23233/2020 R.G. proposto da :
NOME COGNOME, in proprio e quale amministratrice di sostegno della figlia COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO COGNOME INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende;
-controricorrenti-
NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 2585/2020, depositata il 29/05/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 2/07/2025 dal
Consigliere NOME COGNOME
PREMESSO CHE
1. Nel 1988 NOME COGNOME ha acquistato da NOME COGNOME un appartamento con atto rogato dal notaio NOME COGNOME nel quale era garantita ‘la libertà dell’immobile de quo da pesi, oneri e formalità ipotecarie pregiudizievoli volendo in ogni caso essere tenuta per l’evizione e danni come per legge e per patto espresso’. L’11 aprile 1989 la Cassa di Risparmio di Roma notificava a COGNOME un atto di precetto col quale intimava a COGNOME di pagare la somma di lire 72.227.992, in relazione ai ratei non pagati del mutuo concesso alla stessa COGNOME con atti a rogito del medesimo notaio COGNOME, assistito da garanzia ipotecaria sull’immobile acquistato da COGNOME. Con atto di citazione notificato il 18 luglio 1989 COGNOME ha convenuto in giudizio COGNOME e COGNOME davanti al Tribunale di Roma, chiedendo che fossero condannati in solido al pagamento della somma precettata e al risarcimento dei danni. Con sentenza n. 1639/1993 il Tribunale di Roma ha respinto la domanda, in quanto l’attore non aveva provato da un lato il concreto pagamento di quanto richiesto dalla Cassa di Risparmio e dall’altro lato gli ulteriori possibili danni connessi all’esistenza dell’ipoteca ed eventualmente imputabili a COGNOME e al notaio. La Corte d’appello di Roma, con la sentenza n. 3281/1997, ha respinto il gravame di COGNOME, sostenendo che l’appellante non aveva dimostrato l’effettivo pregiudizio subito, non
essendo stata data prova né del pagamento di quanto richiesto in via esecutiva, né degli ulteriori possibili danni connessi all’esistenza dell’ipoteca, essendo questa un onere reale che costituisce una garanzia e quindi solo un danno eventuale. Impugnata la sentenza per cassazione, questa Corte con la sentenza n. 6123/2000 confermava la sentenza d’appello, trattandosi di una ‘fattispecie nella quale incontestabilmente non si era ancora verificata l’evizione totale o parziale della cosa e non erano pertanto applicabili e del resto non erano stati invocati gli artt. 1483 e 1484 c.c.’. Successivamente la procedura esecutiva sfociava in data 14 maggio 2002 nella vendita forzata dell’immobile al prezzo di euro 73.545.
2. Il 17 gennaio 2017 COGNOME ha introdotto il presente processo, citando davanti al Tribunale di Roma COGNOME e COGNOME, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell’evizione dell’immobile ai sensi dell’art. 1483 c.c. Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 23528/2013, ha rigettato le domande dell’attore perché coperte da giudicato esterno, dichiarando l’inammissibilità della domanda volta a ottenere il risarcimento del danno da evizione per effetto del giudicato formatosi tra le parti sulla precedente domanda di risarcimento del danno, nonché per effetto del principio giurisprudenziale di infrazionabilità del giudizio di liquidazione del danno. La sentenza è stata confermata dalla Corte d’appello con la pronuncia n. 2585/2020: l’orientamento di legittimità richiamato dalla pronuncia n. 6123/2000 che aveva definito il primo giudizio, secondo cui è improponibile la domanda risarcitoria che non abbia ad oggetto un danno attuale, effettivo e concreto, è stato abbandonato dalla successiva sentenza n. 10072/2010, con cui è stato affermato il principio opposto, per cui la domanda risarcitoria è invece proponibile anche in presenza del solo rischio concreto di pregiudizio, laddove l’effettiva diminuzione patrimoniale costituisca
il naturale sviluppo di fatti concretamente accertati, con l’effetto che nel caso di specie la domanda di risarcimento del danno da evizione era ammissibile e procedibile già nel primo giudizio.
Avverso la sentenza ricorre per cassazione NOME COGNOME in proprio e quale amministratrice di sostegno della figlia NOME COGNOME entrambe in qualità di eredi di NOME COGNOME.
Resistono con separati atti di controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME in qualità di eredi di NOME COGNOME e NOME COGNOME. Memoria è stata depositata dalle ricorrenti e dagli eredi del notaio.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in tre motivi.
Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 111, comma 6 Cost. e 132 c.p.c.: la sentenza è affetta da un chiaro vizio motivazionale, nella parte in cui pretende di fare coesistere simultaneamente la violazione del giudicato e la violazione del principio di infrazionabilità della domanda risarcitoria, obliterando che si tratta di fattispecie tra loro distinte e inconciliabili, tali da elidersi a vicenda; mentre la violazione del giudicato presuppone che la domanda sia stata già proposta e rigettata in un precedente giudizio, la violazione del principio di infrazionabilità presuppone al contrario che la domanda per le nuove voci di danno non sia stata proposta nel pregresso giudizio; delle due l’una, o COGNOME ha riproposto una domanda già giudicata in un pregresso giudizio o ha formulato una domanda nuova, che però avrebbe dovuto essere stata proposta in quel pregresso giudizio.
Il secondo motivo contesta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2909 c.c., 324 c.p.c. e dell’art. 12 preleggi: l’assunto della Corte d’appello, secondo cui la domanda risarcitoria formulata da COGNOME nel primo giudizio comprendeva anche il danno da evizione, non risponde al vero e soprattutto non riflette il concreto andamento del giudizio; COGNOME, una volta scoperto che l’immobile acquistato era gravato da ipoteca iscritta
antecedentemente all’acquisto e la cui esistenza era stata taciuta in sede di stipula dell’atto di compravendita, conveniva in giudizio la venditrice e il notaio e la domanda era finalizzata a ottenere il risarcimento del solo danno da esistenza di ipoteca e non anche del danno da evizione il quale, non essendosi all’epoca ancora verificata la materiale espropriazione del bene, non poteva essere richiesto.
3. Il terzo motivo lamenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175, 1375, 2043 e 2009 c.c., 2, 24 e 111 Cost., 88 c.p.c.: la Corte d’appello ha predicato la concorrente violazione del divieto di frazionamento della domanda sulla base dei principi enunciati dalla Corte di cassazione con l’innovativa sentenza n. 10072/2010, che, in espresso e motivato contrasto proprio con la sentenza n. 6123/2000, aveva affermato che in caso di taciuta ipoteca la domanda di risarcimento del danno da evizione era immediatamente proponibile anche prima dell’espropriazione del bene; la Corte d’appello ne ha ricavato la conclusione che nel caso di specie, a fronte dell’atto di precetto, la domanda di risarcimento del danno da evizione era azionabile e doveva pertanto essere stata inderogabilmente proposta già nel primo giudizio; tale decisione è illegittima, ponendosi in aperto contrasto con i principi ripetutamente affermati dalle sezioni unite in tema di overruling .
I primi due motivi sono fondati. La Corte d’appello ha osservato come il presente giudizio sia volto a ottenere una pronuncia che ponga rimedio all’esclusione della risarcibilità del danno in futuro sancita nel primo giudizio, avendo questa Corte nel 2000, con la pronuncia n. 6123/2000, distinto tra pericolo di danno e pericolo che determina un danno attuale, il solo che godrebbe della tutela risarcitoria. Dal rigetto della prima domanda, rigetto fondato su un orientamento che questa Corte ha superato nel 2010, la Corte d’appello deduce l’inammissibilità della seconda domanda, che sarebbe preclusa dal giudicato di rigetto sulla prima. In tal modo la
Corte d’appello non considera che il rigetto della prima domanda era appunto basato sulla non attualità del danno fatto valere, il che certamente non escludeva la proponibilità della domanda una volta che tale danno fosse divenuto attuale, con la conseguente ammissibilità della domanda proposta da COGNOME dopo avere subito l’evizione del bene immobile da lui acquistato. Inconferente poi è il riferimento all’orientamento di questa Corte sulla infrazionabilità del credito, orientamento che appunto impone alla parte di far valere i crediti maturati in relazione a un rapporto unitario, dato che nel caso in esame si è trattato di un credito che è stato fatto valere ed è stato ritenuto non attuale e quindi non azionabile nel processo. Senza contare che, anche in relazione all’orientamento che impone di non frazionare i crediti maturati, la conseguenza della proposizione separata del credito non porta all’improponibilità della domanda qualora non sia altrimenti possibile far valere il credito, ma ha conseguenze unicamente in relazione alla ripartizione delle spese del processo (vedere al riguardo la recente pronuncia delle sezioni unite n. 7299/2025).
L’accoglimento dei primi due motivi comporta l’assorbimento del terzo motivo di ricorso.
II. La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Roma,