Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14749 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14749 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23566/2023 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
MINISTERO DI GIUSTIZIA, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso DECRETO di CORTE D’APPELLO SALERNO n. 751/2022 depositata il 18/07/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE domandarono l’indennizzo ex l. n.89/2001 in relazione alla irragionevole durata della procedura fallimentare della RAGIONE_SOCIALE, aperta nel 2007 e chiusa nel 2021: le tre società erano state ammesse al passivo del fallimento della società debitrice nel novembre 2007, la prima per un credito di € . 44.018,50, la seconda per un credito di € . 17.386,69, la terza per un credito di € . 15.983,10.
Il ricorso era stato accolto con limitazione degli indennizzi riconosciuti al solo periodo di durata oltre il termine ragionevole della procedura determinato in relazione all’effettiva copertura della carica sociale da parte dei legali rappresentanti delle società istanti. RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE avevano inutilmente proposto opposizione, respinta dalla Corte d’Appello di Salerno in base alla seguente motivazione: -il patimento per il ritardo irragionevole, pur se astrattamente imputabile alla società, deriva dai disagi e dai turbamenti di carattere psicologico subiti dagli organi che la rappresentano; -appare di conseguenza corretto verificare il rispetto del termine di durata del processo non in relazione alla posizione degli enti societari astrattamente considerati ma in relazione alla posizione psicologica dei rispettivi legali rappresentanti succedutisi nel periodo temporale di riferimento; l’indennizzo è stato quindi correttamente riconosciuto ‘ nei soli limiti in cui i rispettivi legali rappresentanti siano stati esposti al patimento, in termini di ansia e stress, per l’irragionevole durata della procedura fallimentare presupposta per un arco temporale superiore a quello ritenuto ragionevole dall’art.2 co 2 bis, legge n.89/2001 ‘.
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE hanno proposto ricorso per cassazione, affidandolo ad un unico motivo.
Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso le tre società ricorrenti lamentano la ‘violazione e/o mancata applicazione degli art. 2 l. n.89/01, art.75, 77 e 78 c.p.c., art.2056 e 2059 c.c. in relazione agli art.24 e 111 Cost. ed art.6§ 1 della CEDU’, rilevante ex art.360 comma 1 n.3 c.p.c: a loro dire, la Corte di merito non avrebbe tenuto adeguato conto del contesto normativo di riferimento, interno ed europeo, e dell’evoluzione dell’interpretazione giurisprudenziale secondo cui ‘ il nucleo essenziale del diritto all’equa riparazione, costituito dal pregiudizio derivante dalla durata non ragionevole del procedimento, riguarda l’interesse della società, quale centro autonomo d’imputazione di interessi, essendo del tutto irrilevante l’eventuale turbamento psicologico patito dall’amministratore tenuto a svolgere i compiti del suo ufficio previo pagamento del compenso ‘ (così, letteralmente, il ricorso a pag.16). L’interpretazione dell’art.2 l. cit. offerta dalla Corte di merito sarebbe pertanto contra ius , perché farebbe dipendere il diritto alla ragionevole durata del processo per le persone giuridiche dall’immutabilità delle cariche sociali, così abrogando di fatto il periodo di irragionevole durata prodottosi durante la gestione del precedente amministratore/legale rappresentante.
Il ricorso è fondato.
Questa Corte, superate da tempo le iniziali incertezze, ha avuto modo di pronunciarsi più volte positivamente sulla possibilità di riconoscere, e in che termini, il diritto all’indennizzo per equa riparazione alle persone giuridiche, alla luce non solo della ratio della legge n.89/2001 ma anche della Carta Costituzionale e della Convenzione EDU in particolare dell’art.6 e dell’interpretazione datane, per il profilo in esame, dalla Corte di Strasburgo-. Si richiamano, in proposito: la sentenza di questa Corte n.13504/2004, alla quale si sono conformate le pronunce di legittimità successive, che ha appunto evidenziato come ‘ In tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo ai sensi
dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, anche per le persone giuridiche (e, più in generale, per i soggetti collettivi) il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo, è, tenuto conto della giurisprudenza della CEDU, e non diversamente da quanto avviene per gli individui persone fisiche, conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell’ente o ai suoi membri; sicché, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale “in re ipsa” -ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione -, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo, il giudice deve ritenere tale danno esistente, sempre che l’altra parte non dimostri che sussistono, nel caso concreto, circostanze particolari (come, ad esempio, la consapevolezza della infondatezza della pretesa azionata dal soggetto collettivo nel processo principale ovvero la modificazione, nel corso del processo, dei soci o degli amministratori dell’ente), le quali facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente ‘ -negli stessi termini, tra le altre, Cass. n.21094/2005; Cass. n.25730/2011-; la sentenza di questa Corte n.322/2016 che ha ancora precisato, in motivazione, come essendo il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo correlato a turbamenti di carattere psicologico, conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, appare ‘ superflua la valutazione circa la concreta e puntuale sofferenza di amministratori e preposti nel corso del giudizio presupposto perché tali soggetti non potevano che essere
interessati, in quanto organi rappresentativi ed esecutivi della società, alla sollecita trattazione del giudizio di cui la RAGIONE_SOCIALE era parte …’.
Le pronunce più recenti di questa Corte sui temi in esame confermano l’uniformità dell’orientamento interpretativo nei termini esposti: cfr. Cass. n.7034/2020, Cass. n.123/2024 e Cass. n.4460/2024. Tutte ribadiscono il riconoscimento del diritto anche per le persone giuridiche all’indennizzo ex l. n.89/2001, l’esclusione della configurabilità di un danno “in re ipsa” ma la necessità comunque, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo, di ritenere tale danno esistente, ‘ sempre che non risulti la sussistenza, nel caso concreto, di circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente ‘: in sostanza, l’irragionevole durata del processo determina anche per le persone giuridiche il sorgere di un danno non patrimoniale, che si presume esistente e indennizzabile ai sensi della l. n.89/2001, salvo che non si possa positivamente escluderne l’esistenza sulla base di circostanze particolari da evidenziare, relative al caso concreto.
Alla luce delle considerazioni che precedono si deve rilevare che la Corte di merito non ha correttamente applicato il disposto dell’art.2 l. n.89/2001 -da interpretare come sopraperché, pur riconoscendo il diritto delle società ricorrenti di accedere all’indennizzo, ai sensi della norma richiamata, per il ristoro del danno non patrimoniale -come identificato nelle pronunce di legittimità sopra riportate, in parte citate anche dalla Corte di merito- subito a causa della irragionevole durata della procedura fallimentare presupposta, ne ha limitato la debenza a periodi determinati, individuati sulla base dei tempi di svolgimento della carica ad opera dei legali rappresentanti, attribuendo così rilevanza, ai fini del sorgere del danno, solo allo stress e al patema
d’animo da questi personalmente subiti e protrattisi ‘ per un arco temporale superiore a quello ritenuto ragionevole dall’art.2 co 2 bis, legge n.98/2001 ‘ (così il provvedimento ricorso). Ragionando in tal modo la Corte di merito non ha considerato la presunzione di esistenza del danno direttamente correlata all’intero periodo di irragionevole durata della procedura fallimentare -da verificare sulla base del disposto dell’art.2 cit., tenendo conto della data di ammissione al passivo delle società-, presunzione operante anche a favore delle persone giuridiche una volta che si riconosca pure per esse il diritto all’indennizzo e superabile solo ove risulti la sussistenza -nel caso specifico nemmeno allegata- di circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato effettivamente subito.
Il decreto impugnato va quindi cassato, con rinvio alla stessa Corte di merito perché, in diversa composizione, rivaluti la domanda di indennizzo ex lege n.89/2001 secondo il principio di diritto già emergente dalle sentenze di legittimità sopra richiamate, con specifica accentuazione del seguente profilo: ‘ riconosciuto anche in capo alle persone giuridiche il diritto all’indennizzo per il danno non patrimoniale subito a causa della durata irragionevole del processo ai sensi dell’art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo, il giudice deve ritenere tale danno esistente, sempre che l’altra parte non dimostri che sussistono, nel caso concreto, circostanze particolari (come, ad esempio, la consapevolezza della infondatezza della pretesa azionata dal soggetto collettivo nel processo principale ovvero la modificazione, nel corso del processo, dei soci o degli amministratori dell’ente), le quali facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente’ .
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese processuali del giudizio di cassazione.
P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa il provvedimento impugnato e rinvia alla Corte d’Appello di Salerno, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’adunanza in camera di consiglio della