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Danno da diffamazione: la presunzione per i familiari

In un caso di diffamazione a mezzo stampa contro un politico deceduto, la Corte di Cassazione ha stabilito un principio fondamentale sul danno da diffamazione. La Corte ha chiarito che il pregiudizio morale e reputazionale subito dai parenti stretti, come un fratello, si presume (presunzione ‘iuris tantum’). Le corti inferiori avevano negato il risarcimento al fratello del defunto, ritenendo non provato un danno concreto. La Cassazione ha ribaltato questa decisione, affermando che spetta al diffamatore dimostrare l’assenza di un legame affettivo, e non al familiare provarne l’esistenza. Fattori come la distanza geografica non sono sufficienti a escludere il diritto al risarcimento.

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Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Danno da Diffamazione di un Congiunto Defunto: La Presunzione di Pregiudizio per i Familiari

Il danno da diffamazione assume contorni particolarmente delicati quando la persona offesa non è più in vita. In questi casi, la lesione all’onore e alla reputazione si ripercuote inevitabilmente sui familiari più stretti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato proprio questo tema, stabilendo un principio cruciale: il pregiudizio subito dai congiunti non deve essere provato in modo specifico, ma si presume per legge. Analizziamo la vicenda e la decisione dei giudici.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine da una trasmissione radiofonica di una nota emittente nazionale. Durante la puntata, i conduttori avevano discusso della figura di un noto manager e politico, deceduto anni prima, associandolo a gravi fatti criminali, tra cui l’omicidio di un giornalista e la morte del presidente della società statale che dirigeva. Veniva descritto come il mandante di un omicidio, lamentando che la giustizia non fosse riuscita a processarlo in tempo.

Il fratello del defunto, ritenendo tali affermazioni gravemente lesive della memoria del congiunto e della reputazione dell’intera famiglia, citava in giudizio l’emittente radiotelevisiva e i responsabili della trasmissione per ottenere il risarcimento dei danni.

Il Percorso Giudiziario e la Decisione della Corte d’Appello

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello respingevano la domanda di risarcimento. Pur riconoscendo la potenziale natura diffamatoria delle affermazioni, i giudici di merito ritenevano che l’attore non avesse fornito la prova di un danno concreto e personale. In particolare, la Corte d’Appello sottolineava che la mera qualità di erede non fosse sufficiente e che la notevole differenza di età tra i fratelli, unita alle loro diverse realtà geografiche e di vita, facesse presumere una ‘autonomia delle sfere esistenziali’, escludendo così un pregiudizio risarcibile.

Le Motivazioni della Cassazione: il Danno da Diffamazione e la Presunzione per i Parenti

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del fratello, cassando con rinvio la sentenza d’appello. La motivazione della Suprema Corte si fonda su un’errata applicazione, da parte dei giudici di merito, delle regole sulle presunzioni legali.

I giudici di legittimità hanno affermato che, analogamente a quanto accade per il danno da perdita del rapporto parentale, anche nel caso del danno da diffamazione di un congiunto defunto opera una presunzione iuris tantum (cioè, valida fino a prova contraria) dell’esistenza di un pregiudizio morale e reputazionale per i membri della famiglia originaria, inclusi i fratelli.

In altre parole, il legame di parentela stretto è di per sé un fatto noto dal quale la legge presume l’esistenza di una sofferenza e di una lesione alla reputazione condivisa. Non è quindi il familiare a dover dimostrare l’intensità del suo legame o il dolore patito; al contrario, è il diffamatore che ha l’onere di fornire la prova contraria, dimostrando, ad esempio, che tra i congiunti vi fossero rapporti di odio o totale indifferenza.

La Corte ha inoltre chiarito che circostanze come la mancanza di convivenza in età adulta o la lontananza geografica non sono elementi idonei a vincere tale presunzione. Questi aspetti, semmai, possono essere valutati in un secondo momento, al fine di quantificare l’entità del risarcimento, ma non possono essere utilizzati per negare l’esistenza stessa del danno.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La decisione della Cassazione rafforza in modo significativo la tutela della memoria delle persone defunte e dei loro familiari. Il principio affermato è chiaro: quando la reputazione di una persona viene attaccata dopo la sua morte, i suoi parenti più stretti (come genitori e fratelli) sono considerati danneggiati ‘per presunzione’.

Questo orientamento sposta l’onere della prova e semplifica l’azione legale per i familiari, che non dovranno più imbarcarsi nella difficile dimostrazione di un legame affettivo o di un concreto patema d’animo. Sarà il responsabile della diffamazione a dover provare l’assenza di un vincolo significativo per poter essere esonerato dalla responsabilità risarcitoria.

Quando un parente defunto viene diffamato, i suoi familiari hanno automaticamente diritto al risarcimento?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, il danno morale e reputazionale per i familiari stretti (come i fratelli) si presume fino a prova contraria. Non è necessaria una dimostrazione specifica del pregiudizio subito.

La distanza geografica o la mancanza di convivenza tra fratelli esclude il danno da diffamazione?
No, la Suprema Corte ha stabilito che questi elementi non sono sufficienti a superare la presunzione di danno. Possono, al massimo, influire sulla determinazione dell’importo del risarcimento, ma non sull’esistenza del diritto.

Chi deve provare l’esistenza o l’assenza di un legame affettivo in una causa per diffamazione di un congiunto?
L’esistenza di un legame familiare stretto (es. tra fratelli) è sufficiente a far presumere il danno. Spetta alla parte che ha diffuso le notizie offensive dimostrare l’assenza di un legame affettivo significativo (ad esempio, rapporti di indifferenza o di odio) per escludere la propria responsabilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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