Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20269 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20269 Anno 2024
RAGIONE_SOCIALE: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14729/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOME, domiciliazione telematica EMAIL, dell’AVV_NOTAIO COGNOME NOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, domiciliazione telematica EMAIL, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrenti-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 698/2021 depositata il 18/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che
AVV_NOTAIOAVV_NOTAIO ricorre, sulla base di cinque motivi, avverso la sentenza n. 698 del 2021 della Corte di appello di Venezia, esponendo, per quanto ancora qui di utilità, che:
-nel corso di una trasmissione radiofonica sul canale RAGIONE_SOCIALE, nel 2014, erano state diffuse notizie diffamatorie riguardo alla persona del fratello, NOME COGNOME, manager e politico italiano già deceduto, che aveva ricoperto ruoli pubblici di rilievo come dirigente della società RAGIONE_SOCIALE e Senatore della Repubblica eletto, nel DATA_NASCITA, tra le fila del partito RAGIONE_SOCIALE;
-i partecipanti alla trasmissione avevano discusso il contenuto di una sentenza della Corte di Assise di Palermo che, nel 2011, aveva definito, con assoluzione per non aver commesso il fatto, il processo a carco di NOME COGNOME per l’uccisione del giornalista NOME COGNOME, riferendo che sarebbe d’altra parte emersa la responsabilità di NOME COGNOME sia in relazione a quel sequestro e omicidio sia in relazione alla morte del RAGIONE_SOCIALE dell’RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME, sottolineando con rammarico la lentezza della giustizia italiana che, nel caso, non sarebbe arrivata in tempo a processarlo e condannarlo;
–NOME COGNOME, in particolare, sarebbe stato il mandante del crimine commesso contro COGNOME proprio per le scoperte fatte dallo stesso con riguardo alla tragica scomparsa del RAGIONE_SOCIALE dell’RAGIONE_SOCIALE;
-il deducente aveva quindi convenuto in giudizio per il risarcimento dei danni la società RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, quale direttore di RAGIONE_SOCIALE al momento dei fatti, NOME COGNOME, direttore di RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, curatore della rubrica radiofonica interessata, NOME COGNOME e NOME COGNOME, conduttori della trasmissione, allegando che:
-la Corte di Assise di appello di Palermo, nel confermare l’assoluzione dell’imputato COGNOME, aveva chiarito come non vi fosse alcuna certezza in ordine alle ricostruzioni ipotizzate quanto alla persona di NOME COGNOME, e tale decisione era stata confermata a sua volta dalla Corte di cassazione;
-di tali seguiti processuali non era stato dato alcun conto, in specie del primo intervenuto precedentemente alla trasmissione;
-aveva chiesto la rettifica per due volte rivelatasi insufficiente e avvenuta all’esito del procedimento di mediazione ex art. 5, comma primo bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, in ragione di un accordo intervenuto, nell’occasione, solo dopo due anni e mezzo dalla puntata radiofonica;
-il Tribunale aveva accertato la natura diffamatoria dei fatti, ma disatteso la domanda perché con essi non si era attinto alla persona dell’attore;
-la Corte di appello aveva confermato la sentenza di prime cure osservando, in particolare, che, nella chiave della ragione più liquida, non vi era prova del danno conseguenza, in termini di rapporto tra soggetto asseritamente diffamato e deducente, senza allegazione e dimostrazione, cioè, di circostanze atte a qualificare la detta relazione tra i congiunti in modo da poter ipotizzare
un effettivo pregiudizio, neppure dal punto di vista di danno morale da sofferenza, non potendo bastare la mera qualità di erede universale del deceduto, privo di figli, e le iniziative legali intraprese, rimesse alla iniziativa discrezionale dell’attore medesimo, tenuto conto del fatto che tra i due vi erano quasi vent’anni di differenza tanto far presumere un’autonomia delle sfere di vita nelle loro diverse realtà geografiche risultate, a maggior ragione stanti i sei anni trascorsi dalla morte di NOME sino ai fatti assunti come diffamatori;
resistono con controricorso la RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME;
tutte le parti hanno depositato memorie;
rilevato che
con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 307, cod. proc. civ., 2043, 2059, cod. civ., 597, cod. pen., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare le ricadute diffamatorie sui prossimi congiunti delle condotte descritte, sia in termini inevitabilmente reputazionali che in termini di dolore psicologico;
con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727, 2729, 2697, 2043, 2059, cod. civ., 185, cod. pen., poiché, pur nella prospettiva ricostruttiva della Corte di appello, quest’ultima avrebbe errato escludendo fosse risultato il preteso rapporto ulteriormente qualificato tra i due, atteso che: la differenza di età aveva contribuito, in assenza di figli di NOME, a far sì che questo vedesse il fratello maggiore quasi come un padre, tanto da nominarlo unico erede pur essendo l’undicesimo dei fratelli, sicché le iniziative giudiziarie a tutela del buon nome suo e della famiglia, compresa quella che aveva dato origine al processo odierno, erano ulteriore dimostrazione di tutto
ciò, non potendo essere ostativa alla conclusione la circostanza che NOME avesse trascorso una parte della vita altrove, per poi peraltro far ritorno a Padova, nella cui provincia viveva a lavorava come AVV_NOTAIO il deducente;
con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727, 2729, 2043, 2059, cod. civ., 185, cod. pen., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che il danno da sofferenza morale, richiesto sin dall’originaria citazione, era stato dimostrato dalle circostanze riassunte con la seconda censura, se correttamente sussunte nella disciplina delle presunzioni, tanto più tenendo conto del rilievo pubblico dei fatti e della persona del fratello del deducente, verso cui non poteva non evincersi pure un significativo sentimento di pietà, e della professione del secondo specie nel circoscritto foro padovano, fermo restando che era stato violato il divieto di doppia presunzione praticata dal Collegio di merito inferendo dalla differenza di età e lontananza geografica un’autonomia delle sfere esistenziali e da questa l’assenza di danni conseguenza;
con il quarto motivo si prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso e la violazione, ancora, della disciplina delle presunzioni, poiché la Corte di appello avrebbe errato obliterando la portata pubblica di vicende che avevano segnato la storia del Paese, il numero degli ascoltatori di una trasmissione sul principale canale radiofonico dell’emittente di Stato, in uno all’estrema gravità delle accuse a fronte del piccolo ambiente in provincia di Padova dove viveva il deducente esercitando un professione, come detto, quale quella legale, e tutto ciò a maggior ragione atteso il persistente rifiuto di rettifica opposto dalla stessa RAGIONE_SOCIALE per due anni e mezzo;
con il quinto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2727, 2729, cod. civ., 597, cod. pen., 307, cod., proc. civ., poiché la Corte di appello avrebbe errato
escludendo, in tesi, la natura lesiva ovvero diffamatoria delle condotte in parola che tale non poteva non essere ritenuta, in relazione ai più stretti congiunti, salva, infine, la liquidazione equitativa dei pregiudizi necessariamente desumibili da quelle;
considerato che
il quinto motivo, da scrutinare prioritariamente per ragioni logiche, è inammissibile;
la Corte di appello non ha infatti in alcun modo affrontato, in tesi escludendola, come cautelativamente ipotizzato dalla censura, la natura diffamatoria delle condotte descritte, facendo propria la ragione decisoria esplicitamente qualificata «più liquida» (pag. 8 della sentenza in questa sede gravata) afferente all’affermata carenza di allegazione e prova di un effettivo danno conseguenza;
e proprio perciò il Collegio di merito discorre di «soggetto asseritamente diffamato» (pag. 10) e di «fatti assunti come diffamatori» (pag. 11), sicché il riferimento alla mancata prova della «lesione denunciata» dev’essere correttamente riferito a quella del danno conseguenza;
il primo, terzo e quarto motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono fondati per quanto di ragione, con assorbimento logico del secondo;
nella contigua materia del risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, questa Corte ha chiarito di recente che «la presunzione iuris tantum di esistenza del pregiudizio – configurabile per i membri della famiglia nucleare successiva (coniuge e figli) – si estende ai membri della famiglia originaria (genitori e fratelli), senza che assuma ex se rilievo il fatto che la vittima e il superstite non convivessero o che fossero distanti; tale presunzione impone al terzo danneggiante l’onere di dimostrare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, con conseguente insussistenza in concreto dell’aspetto interiore del danno risarcibile, c.d. sofferenza morale, derivante dalla perdita, ma non riguarda,
invece, l’aspetto esteriore, c.d. danno dinamico-relazionale, sulla cui liquidazione incide la dimostrazione, da parte del danneggiato, dell’effettività, della consistenza e dell’intensità della relazione affettiva, desunta dalla coabitazione o da altre allegazioni fornite di prova (Cass., 4/03/2024, n. 5769);
analogamente, e proprio in tema di diffamazione, è stata ritenuta una corretta applicazione del regime normativo delle presunzioni, l’attribuzione di condotte disonorevoli quanto indimostrate a componenti deceduti della famiglia, desumendosene, secondo una valutazione ordinaria, ovvero in difetto di prove contrarie, sia il diretto riverberarsi sugli altri quali familiari, sia un’offesa alla condivisa memoria dell’asserito autore, in un contesto di esplicita esclusione di danni in re ipsa (Cass., 27/12/2017, n. 20956, § 2.2., in specie pag. 5, 6, 8);
nella giurisprudenza di legittimità, dunque, la relazione tra componenti della famiglia nucleare, originaria, come nel caso, o successiva, è stata costantemente ritenuta da sussumere, nella fattispecie legale delle presunzioni, come fatto da cui evincere un pregiudizio da sofferenza morale e, come appena visto, reputazionale, in assenza di elementi opposti che, quali fatti modificativi o anche impeditivi, non possono che ricadere nell’area di onere probatorio della parte destinataria della pretesa risarcitoria;
e si è ribadito che tale valore d’attribuire, per la descritta inferenza, alla relazione in parola non può, per ciò in cui essa stessa si sostanzia, essere eliso dalla mancanza di convivenza -come tra fratelli in fase adulta -o dalla mera lontananza, in tesi valorizzabili sul complessivo piano della liquidazione;
nel caso, tutto ciò si correla all’estrema gravità dei fatti, pur relativamente distanti nel tempo, pacificamente addebitati durante una trasmissione radiofonica di rilievo nazionale, anche dopo che era intervenuta una seconda sentenza di merito a rovesciare la loro
ipotesi, in uno alla figura marcatamente pubblica del destinatario delle attribuzioni, già Senatore oltre che dirigente di una rilevantissima società partecipata, e all’incidenza significativa su vicende storiche nazionali, a fronte di un ruolo quale quello del fratello attore AVV_NOTAIO, che, secondo un pari id quod plerumque accidit , acuisce il profilo reputazionale evidenziato;
non assume pertanto un significato ostativo il fatto, pure da rimarcare in questa sede, per cui alcune allegazioni risultano inammissibili: e così la pretesa relazione quasi filiale, che si indica sottolineata solo in comparsa conclusionale meramente illustrativa nelle fasi di merito (nota 24 a pag. 28), al pari di quella inerente alla dimensione e alle relazioni proprie della città di residenza dell’attore (pag. 46 e nota 47), e di quella concernente la dimensione degli ascolti della trasmissione radiofonica (pag. 55, nota 56, e pag. 57, nota 57);
così come non assume rilievo ostativo l’ambivalente indicazione della mera qualità di erede, tale correttamente letta, sul piano logico-normativo, dalla Corte territoriale;
resta quindi assorbita da tale scrutinio, la violazione del divieto di doppia presunzione, pure censurata, e consistente nell’inferire dalla differenza di età e dalla lontananza geografica un’autonomia di sfera esistenziale da cui, a sua volta, evincere l’esclusione di sofferenze morali o pregiudizi reputazionali;
quanto a questi ultimi due profili, dev’essere sottolineato che, contrariamente a quanto sostenuto dai controricorrenti, a fronte dell’ampiezza della domanda di risarcimento «del danno morale conseguente a diffamazione a mezzo radio», quale svolta in prime cure, la Corte di appello non può dirsi aver statuito alcuna infatti non esplicitata inammissibilità con la mera e ambigua affermazione per cui il pregiudizio da «sofferenza personale» era stato «evidenziato solo in sede di appello ed ivi specificato in sede di precisazione delle conclusioni»;
ne deriva quanto anticipato; spese al giudice del rinvio;
P.Q.M.
La Corte accoglie per quanto di ragione i motivi primo, terzo e quarto motivo, assorbito il secondo, inammissibile il quinto, cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Venezia perché, in diversa composizione, si pronunci anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 17/05/2024.