Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16345 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 16345 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/06/2024
ordinanza
sul ricorso n. 10193/2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, difesa da ll’ AVV_NOTAIO NOME COGNOME e domiciliata a Roma presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE;
-intimata- avverso la sentenza della Corte di appello di Firenze n. 214/2023 del 18/4/2023.
Ascoltata la relazione del consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
Il 3/7/1992 RAGIONE_SOCIALE vende (con scrittura privata) un’azienda agricola (in provincia di Grosseto) a RAGIONE_SOCIALE, riservandosi la proprietà fino al pagamento integrale del prezzo. Quest’ultimo è stabilito in lire 1.080.000.000, di cui lire 530.000.000 corrisposti mediante cessione di credito, lire 50.000.000 versati alla sottoscrizione della scrittura privata, lire 50.000.000 da versare (e versati) entro il 15/9/1992, lire 450.000.000 da versare a saldo dell’intero prezzo al momento della
consegna dell’azienda , che è originariamente fissata per il 10/2/1993. Se la venditrice non consegna l’azienda entro tale termine (pattuito come essenziale), l’acquirente ha diritto al risarcimento del danno, forfettariamente determinato in lire 250.000.000, con facoltà di detrarre tale cifra dal saldo del prezzo complessivo. La data di consegna, concordemente prorogata al 30/6/1993, non viene rispettata dalla venditrice . Il 14/09/1993 l’acquirente notifica alla venditrice copia di verbale di deposito della somma di lire 200.000.000, datato 30/06/1993, qualificandola come saldo dell’intero prezzo, poiché ritiene maturato il diritto a ritenere la cifra di lire 250.000.000 pattuita come penale (detraendola dall’ultima rata del prezzo) . Con atto successivo (del 23/12/1993), la venditrice comunica all’acquirente la volontà di immetterla nel possesso dell’azienda, previo saldo dell’ultima rata di prezzo , nell’entità originariamente prevista . Sorge quindi controversia tra le parti, poiché l’acquirente ritiene al contrario di aver già saldato il prezzo, dopo aver incamerato legittimamente la penale. Pertanto, la venditrice conviene dinanzi al Tribunale di Napoli l’acquirente in risoluzione per inadempimento. L’acquirente chiede il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la condanna alla consegna dell’azienda e al risarcimento di ogni ulteriore danno da ritardo nella consegna, da liquidarsi in separato giudizio. Nel gennaio 2001, il Tribunale rigetta la domanda di risoluzione, ritenendo contrattualmente corretto il comportamento dell ‘acquirente e rigetta altresì le domande svolte in via riconvenzionale da quest’ultima, ritenendole non tempestive. Nel 2004, in parziale riforma della sentenza di prime cure, la Corte di appello di Napoli dichiara ammissibili le domande riconvenzionali e le rigetta nel merito. Entrambe le parti ricorrono in cassazione. Cass. 4218/2009 accoglie il primo motivo di ricorso incidentale dell’acquirente, con cui questa denuncia che la domanda di consegna è stata rigettata per genericità, cagionata dalla mancata indicazione degli immobili facenti parte dell’azienda. La Corte di cassazione ritiene il motivo fondato, in quanto la richiesta di consegna riguarda l’azienda e la Corte di appello avrebbe dovuto
motivare sul se l’indicazione inequivoca del complesso dei beni che la compongono integri sufficienti elementi di identificazione della domanda.
Dal punto di vista giudiziario, la vicenda riprende nel 2010, quando è introdotta la controversia odierna . L’acquirente conviene dinanzi al Tribunale di Grosseto la venditrice, affinché -previa conferma dell’ordinanza cautelare con la quale è stato concesso il sequestro conservativo sui beni di proprietà della venditrice -sia accertata la responsabilità contrattuale e/o e xtracontrattuale della venditrice, con condanna di quest’ultima al pagamento della somma dovuta a titolo di risarcimento, sia per il mancato utilizzo, sia per l’omessa manutenzione del bene , quantificata in € 3.490.900. La causa viene istruita mediante la escussione di testi e c.t.u. per quantificare i costi del ripristino del complesso immobiliare compravenduto nello stato in cui si trovava al momento della conclusione del contratto. Il Tribunale accoglie la domanda per un’entità di circa € 165.220. La Corte di appello riforma parzialmente, rideterminando l’importo del risarcimento dovuto dalla venditrice in € 492.669.
Ricorre in cassazione la venditrice con sei motivi, illustrati da memoria. Rimane intimata l’acquirente.
Ragioni della decisione
1. -Il primo motivo (p. 20) denuncia la violazione degli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c. per avere la Corte di appello omesso di rilevare che la domanda di risarcimento dei danni proposta dall ‘acquirente è preclusa in conseguenza del giudicato scaturente dalla sentenza del 2004 della Corte di appello di Napoli.
La venditrice fa valere che il giudicato della Corte di appello di Napoli copre anche il risarcimento del danno da deterioramento. La domanda riconvenzionale di risarcimento del danno, come formulata da ll’acquirente, non aveva ad oggetto il solo danno da ritardo bensì, testualmente: «ogni ulteriore danno comunque conseguente al ritardo nella consegna dell’immobile stesso, da liquidarsi in separato giudizio». La domanda risarcitoria
comprendeva quindi ogni profilo di danno, comunque conseguente al ritardo nella consegna, ulteriore rispetto a quello forfettariamente determinato nella misura di lire 250.000.000. È in questi termini -prosegue la venditrice -che la sentenza n. 384/2004 della Corte di appello di Napoli ha rigettato la domanda, accertando che: «non può essere accolta perché infondata la domanda relativa al risarcimento del danno già liquidato convenzionalmente con la penale e conseguito con la sua detrazione dal prezzo». Proposto ricorso per cassazione dalla venditrice, l’acquirente resiste con ricorso incidentale, con cui attacca la sentenza di secondo grado limitatamente alla parte in cui è stata rigettata la richiesta di condanna alla consegna della azienda. Viceversa, il capo della sentenza con cui è stata rigettata la domanda di risarcimento del danno da ritardo non è stato impugnato. Quand’anche si ammetta che non sia mai stata fatta valere una voce di danno da degrado ovvero deterioramento da omessa manutenzione d ell’azienda , essa è coperta dal giudicato di rigetto della domanda di danni da ritardo, poiché il danno da degrado è una specie di danno da ritardo sotto il profilo del danno emergente (non del lucro cessante). La frammentazione in sottocategorie di danno compiuta dalla Corte di appello urta in generale contro l’art. 1223 c.c., ma soprattutto urta specificamente contro la menzionata sentenza della Corte di appello di Napoli ormai passata in giudicato, nella parte in cui essa, rigettando la domanda risarcitoria avanzata dalla acquirente, ha escluso la risarcibilità dei danni ulteriori rispetto a quelli forfettariamente determinati nella misura di lire 250.000.000. È invocata la giurisprudenza di legittimità sul precedente giudicato sul medesimo rapporto giuridico e preclusioni di questioni di fatto (cfr. Cass. tra le altre 11314/2018). Fin qui, nei suoi profili essenziali per la pronuncia, la censura proposta dalla ricorrente.
Il motivo è infondato.
Una cosa è l’obbligo di consegnare entro il termine essenziale, che è violato con il semplice ritardo nella consegna (con il tardivo conseguimento e
godimento del bene) rispetto al termine essenziale pattuito per il trasferimento del possesso, pur nello stesso stato in cui si trova al momento del sorgere dell’obbligazione . Altra cosa è l’obbligo , sussidiario rispetto al principale, di custodire il bene intatto fino alla consegna. L’ordinamento italiano non manca di attribuire rilevanza a tale obbligo strumentale attraverso una norma legislativa specifica (art. 1177 c.c.: «L’obbligazione di consegnare una cosa determinata include quella di custodirla fino alla consegna»). Infatti, il bene può essere consegnato in ritardo rispetto al termine essenziale pattuito (così giustificandosi il corrispondente risarcimento), ma, al contempo, ben può essere consegnato in perfetto stato di manutenzione (senza danno da degrado o deterioramento).
La distinzione tra i due obblighi si profila in modo saliente laddove il bene sia (come nel caso attuale) un’azienda. Trattandosi di un’ entità complessa, che non è data solo dalla somma dei suoi singoli componenti, ma costituisce un’organizzazione integrata e funzionale all’esercizio dell’attività imprenditoriale , l’obbligo di custodia si profila con un contenuto spiccatamente gestionale, diretto a mantenere inalterati non solo i singoli componenti, ma proprio i tratti funzionali all’esercizio dell’attività imprenditoriale (che sono quelli di regola tenuti in considerazione dall’acquirente al momento dell’acquisto). Come è stato precisato dalla Corte di appello, tra i due obblighi vi può essere tutt’al più un nesso di dipendenza fattuale dell’entità del danno da degrado (o deterioramento) per omissione dell’obbligo di custodia , rispetto alla violazione del termine di consegna, nel senso che, più si ritarda, maggiori sar anno le occasioni di omettere l’attività funzionale alla manutenzione del bene (con aumento conseguente del danno risarcibile). Ciò conferma la distinzione tra i due obblighi, che è d’altra parte patrimonio della giurisprudenza di legittimità, ove si afferma espressamente «il carattere strumentale dell’obbligo di custodia rispetto a quello di consegna sicché, finché la cosa non viene trasferita materialmente al compratore, il venditore è obbligato a conservarla nella consistenza materiale e giuridica
sussistente all’epoca del contratto» (cfr. Cass. 7957/2013). Ne segue, la correttezza della conclusione raggiunta dalla Corte di appello in punto di delimitazione oggettiva del giudicato: solo il danno da ritardo (convenzionalmente forfettizzato dalle parti nella clausola penale) risulta ormai oggetto di giudicato di cui alla sentenza della Corte di appello di Napoli . Oggetto del presente giudizio, invece, è il diverso danno da omessa manutenzione dell’immobile, sul quale, allora, correttamente il T ribunale ha proceduto alla disamina nel merito, senza scontare la preclusione del ne bis in idem di cui agli artt. 2909 c.c. e 324 c.p.c.». La conclusione è ineccepibile: se gli obblighi sono distinti, essi sono fronteggiati da diritti distinti, cosicché il petitum che trae ad oggetto il danno da lesione del diritto alla semplice tempestività della consegna non attrae nell’orbita del giudicato il distinto danno da lesione del diritto alla consegna di un bene che sia inalterato rispetto al suo stato al momento del sorgere dell’impegno contrattuale. Né invocare l’art. 1223 c.c. giova alla ricorrente, anzi: la disposizione distingue il danno da ritardo dal danno da inadempimento (vuoi dell’obbligazione principale, vuoi dell’obbligazione sussidiaria, come quella nel caso attuale). Infine, la soluzione confermata ben si armonizza con il fermo orientamento giurisprudenziale che riconosce al locatore il risarcimento dei danni da deterioramento cagionati dal conduttore e constatati al momento della restituzione del bene (cfr., tra le altre, Cass. 6596/2018).
Il primo motivo è rigettato.
2. -Il secondo motivo (p. 24) denuncia la violazione de ll’ art. 1382 c.c. per avere la Corte di appello (p. 14) escluso l’operatività della clausola penale e della preclusione da essa nascente. Si fa valere essenzialmente il carattere onnicomprensivo della liquidazione preventiva del danno contenuta nella clausola penale (che è sempre suscettibile di deroga, sia in senso quantitativo, che in senso qualitativo, per cui è configurabile un patto circa l’ulteriore risarcibilità di un determinato tipo di danno, non compreso nella
penale e quindi in aggiunta alla stessa, ma è a tal fine indispensabile una esplicita pattuizione).
Il secondo motivo è infondato.
La clausola penale così dispone: «In caso di mancato adempimento nel termine essenziale della consegna, la società venditrice sarà tenuta al pagamento di un indennizzo a titolo di risarcimento del danno forfettariamente ed equamente determinato nella misura di lire 250.000.000 con espressa facoltà della parte acquirente di detrarlo dalla rata di saldo convenuta». Ferma la distinzione tra danno da ritardo e danno da deterioramento, ne segue anche il rigetto del secondo motivo. Infatti, la portata della clausola penale è da riferire al solo danno da ritardo nella consegna dell’azienda, non anche al danno da deterioramento.
Il secondo motivo è rigettato.
3. -Il terzo motivo (p. 27) denuncia la violazione degli artt. 2935 e 2946 c.c. per avere il giudice di merito determinato erroneamente il momento iniziale del termine di prescrizione. Si fa valere che, per la tipologia di pregiudizio lamentato, non è necessaria la disponibilità del bene tramite la consegna perché l’ acquirente possa acquisire contezza del danno subito. La riprova è costituita dalla circostanza che la compratrice ha quantificato la richiesta risarcitoria del danno da degrado quando il bene non le era stato ancora consegnato. Il dies a quo decorre dalla scadenza del termine essenziale per la consegna dell’azienda, per cui (quantomeno) i danni verificatisi nel decennio successivo dovranno escludersi dal computo del risarcimento.
Il terzo motivo è infondato.
Il termine di prescrizione decorre dal momento in cui la compratrice ha conseguito il possesso dell’azienda, poiché solo da quel momento il fatto costitutivo della pretesa risarcitoria (il degrado) è entrato nella sua sfera concreta di conoscibilità. L’eccezione di prescrizione sollevata in primo grado e riproposta in appello è stata quindi correttamente rigettata, anche con il richiamo del l’orientamento di questa Corte secondo il quale, ai fini
della individuazione del momento iniziale di decorrenza del termine prescrizionale, si deve avere riguardo all’esistenza di un danno risarcibile ed al suo manifestarsi all’esterno come percepibile dal danneggiato alla stregua della diligenza esigibile ex art. 1176 c.c., secondo standard oggettivi (cfr. Cass. 16631/2023).
Il terzo motivo è rigettato.
4. -Il quarto motivo (p. 28 ss.) denuncia la violazione degli artt. 816, 1476 e 1477 c.c., per avere la Corte di appello ritenuto erroneamente la venditrice responsabile del deterioramento e/o della mancanza di alcuni beni aziendali.
Il quinto motivo (p. 30) denuncia che la Corte di appello ha erroneamente assolto la compratrice dall’onere di allegare e provare le condizioni del complesso immobiliare alla data di stipula del contratto. Si deduce violazione degli artt. 2697, 2730 c.c., anche in relazione agli artt. 112, 155, 116 c.p.c.
Il sesto motivo (p. 31) denuncia ex art. 132 co. 2 n. 4 c.p.c. la motivazione omessa apparente o perplessa sul rigetto del quinto motivo di appello. In particolare, si censura l’adesione immotivata e acritica ad una delle molteplici ipotesi astratte enucleate dal c.t.u., in relazione alla liquidazione del danno. Infatti, dall’esito delle prove orali non è emerso un quadro probatorio oggettivo utile ad una adeguata ricostruzione dello stato del bene al momento della stipula del contratto, per confrontarlo con quello al momento della consegna, né tale carenza istruttoria è stata supplita da una c.t.u.
Il quarto, il quinto e il sesto motivo sono da esaminare contestualmente. Pur nella diversità del tipo di vizi fatti valere (errori di diritto, motivazione omessa o apparente) e dei punti censurati, la parte ricorrente prospetta come questioni di diritto o vizi di motivazione doglianze relative alla ricostruzione istruttoria della situazione di fatto rilevante. Dinanzi a tali censure, il compito di questa Corte è di verificare che il giudice di merito manifesti di aver fatto buon governo del proprio potere di apprezzamento. Ciò è accaduto nel caso di specie. Nella parte censurata dal quarto motivo la sentenza
impugnata fa essenzialmente leva sull ‘obbligazione sussidiaria di custodia . Nelle parti censurate dal quinto e dal sesto motivo, la sentenza fa leva, da un lato, sulle prove testimoniali assunte, pur se formulate dalla parte non gravata dello specifico onere della prova sul punto. In virtù del principio di acquisizione della prova, esse dimostrano il «differente stato manutentivo dell’azienda nel 1993 rispetto al tempo della consegna, per cui si giustifica la riforma parziale». Dall’altro lato, essa si basa su una valutazione ampia e analitica (valendosi di prove testimoniali ed accertamenti tecnici) delle singole unità componenti il compendio aziendale (p. 22-27).
Il quarto, il quinto e il sesto motivo sono rigettati.
5. – Il ricorso è rigettato. Non vi è da provvedere sulle spese, poiché la controparte non ha svolto attività difensiva in questa sede.
A i sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto. P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso a Roma il 10/4/2024.