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Danno da appropriazione indebita: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione conferma la condanna al risarcimento per un amministratore, ritenuto responsabile di un danno da appropriazione indebita ai danni della società. L’illecito consisteva in un complesso schema di anticipi personali e prelievi di cassa non giustificati che hanno generato un ammanco. La Corte ha anche confermato la legittimazione ad agire del socio co-amministratore, in quanto persona danneggiata dal reato.

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Danno da appropriazione indebita: la Cassazione fa il punto sulla responsabilità dell’amministratore

La gestione dei fondi societari richiede trasparenza e rigore. Ma cosa succede quando le operazioni contabili mascherano una condotta illecita? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta il tema del danno da appropriazione indebita commesso da un amministratore, chiarendo i confini della sua responsabilità civile e i diritti del socio danneggiato. La decisione sottolinea come una gestione finanziaria opaca possa integrare un illecito civile, anche quando il reato penale è prescritto.

I Fatti del Caso: Una Complessa Gestione Contabile

La vicenda riguarda due amministratori di una società a responsabilità limitata. Uno di essi, che era anche titolare di un’altra impresa cliente della società, gestiva personalmente gli acquisti di merce da fornitori terzi. Secondo la ricostruzione, l’amministratore anticipava i pagamenti ai fornitori con la propria carta di credito personale. Successivamente, registrava le fatture d’acquisto nella contabilità della società come ‘pagate in contanti’, prelevando le somme corrispondenti dalla cassa sociale a titolo di rimborso.

Infine, la merce veniva rivenduta alla sua impresa personale, emettendo fatture che venivano anch’esse registrate come ‘pagate in contanti’, senza però che vi fosse un effettivo versamento di denaro nella cassa della società. Questo meccanismo ha creato un ammanco di cassa di oltre 26.000 Euro, configurando un illecito civile a danno della società e, di riflesso, del socio co-amministratore.

L’Iter Giudiziario: Dal Penale al Civile

Inizialmente, il caso era stato trattato in sede penale, dove il reato di appropriazione indebita era stato dichiarato estinto per prescrizione. Tuttavia, i giudici penali avevano confermato le statuizioni civili, ovvero la condanna generica al risarcimento del danno. A seguito di un primo ricorso in Cassazione, la causa era stata rinviata al giudice civile competente, la Corte d’Appello, per la quantificazione del danno.

La Corte d’Appello, in sede civile, ha confermato la sussistenza dell’illecito e ha condannato l’amministratore a risarcire la società e il socio per la somma accertata, al netto di un acconto già versato. Contro questa decisione, l’amministratore ha proposto un nuovo ricorso per Cassazione.

Analisi dei motivi di ricorso e del danno da appropriazione indebita

Il ricorrente ha basato la sua difesa su diversi punti, contestando sia aspetti procedurali che di merito.

La questione della legittimazione ad agire del socio

Il primo motivo di ricorso contestava il diritto del socio co-amministratore di agire in proprio per il risarcimento. Secondo il ricorrente, eventuali danni avrebbero dovuto essere lamentati solo dalla società. La Cassazione ha respinto questa argomentazione, chiarendo un principio fondamentale: la ‘persona danneggiata’ da un reato non coincide necessariamente con la ‘persona offesa’ dal punto di vista penale. Chiunque subisca un danno civile, patrimoniale o personale, a causa di un’azione delittuosa ha il diritto di chiedere il risarcimento. Nel caso di specie, la costituzione di parte civile nel precedente giudizio penale era sufficiente a fondare la legittimazione del socio a proseguire l’azione in sede civile.

La contestazione nel merito dell’illecito

I motivi centrali del ricorso miravano a smontare l’accusa di appropriazione, sostenendo che si trattasse solo di passaggi contabili scorretti ma ‘neutri’ e inoffensivi, e che le operazioni rappresentassero semplici rimborsi per le anticipazioni effettuate. In pratica, si cercava di derubricare la condotta a mera irregolarità contabile. Si lamentava inoltre che la Corte d’Appello non avesse rivalutato autonomamente le prove, basandosi troppo sul fascicolo penale.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili i motivi di ricorso relativi al merito della vicenda. I giudici hanno ribadito che il loro ruolo non è quello di condurre un nuovo giudizio sui fatti, ma di verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione della sentenza impugnata. La Corte d’Appello aveva, secondo la Cassazione, liberamente e motivatamente apprezzato le prove, concludendo che la condotta dell’amministratore integrava un illecito civile. La ricostruzione dei fatti, che evidenziava un danno concreto derivante dalla mancata presenza in cassa di somme che avrebbero dovuto esserci, era stata ritenuta logica e ben fondata.

I tentativi del ricorrente di offrire una lettura alternativa delle risultanze istruttorie sono stati quindi respinti, in quanto rappresentano una richiesta di riesame del merito, preclusa in sede di legittimità. La motivazione della Corte d’Appello, non presentando vizi logici o giuridici evidenti (come mancanza totale, apparenza o contraddittorietà insanabile), è stata considerata incensurabile.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza offre importanti spunti di riflessione. In primo luogo, riafferma che la responsabilità civile di un amministratore per la gestione dei beni sociali può sussistere indipendentemente dall’esito di un procedimento penale. La prescrizione del reato non cancella l’obbligo di risarcire il danno causato. In secondo luogo, chiarisce che il socio, anche in una società di capitali, può agire direttamente per il risarcimento se dimostra di aver subito un danno diretto e personale dalla condotta illecita dell’altro amministratore. Infine, la decisione ribadisce i limiti del giudizio in Cassazione: la valutazione delle prove e la ricostruzione dei fatti sono di competenza esclusiva dei giudici di merito, e la Suprema Corte interviene solo in caso di gravi vizi motivazionali o errori di diritto.

Chi può chiedere il risarcimento per i danni derivanti da un illecito come l’appropriazione indebita?
Secondo la Corte, non solo la ‘persona offesa’ dal reato (in questo caso, la società), ma chiunque abbia subito un danno civile, patrimoniale o personale, a causa dell’azione delittuosa. Pertanto, anche il socio co-amministratore è legittimato ad agire in proprio se ha subito un danno diretto.

Una serie di irregolarità contabili può essere considerata un semplice errore di gestione anziché un illecito risarcibile?
No, se tali irregolarità, come nel caso esaminato, non sono mere formalità ma realizzano una condotta appropriativa che causa un danno concreto, come un ammanco di cassa. La Corte ha ritenuto che lo schema di prelievi e mancate entrate configurasse un vero e proprio fatto illecito civile, non una semplice gestione contabile scorretta.

Qual è il ruolo della Corte di Cassazione nella valutazione delle prove?
La Corte di Cassazione non riesamina le prove per decidere nuovamente i fatti della causa. Il suo compito è verificare se la motivazione della sentenza del giudice di merito (come la Corte d’Appello) sia logicamente coerente, non contraddittoria e giuridicamente corretta. Non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella del giudice precedente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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