Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19723 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 19723 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 655/2020 R.G. proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
COGNOME COGNOME COGNOME e COGNOME
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MESSINA n.582/2019 depositata il 15.7.2019.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26.6.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto del 1999, COGNOME Carmelo e COGNOME, in qualità di eredi di COGNOME NOME, proprietaria di un terreno con sovrastanti manufatti in Barcellona Pozzo di Gotto, INDIRIZZO riassumevano il giudizio nei confronti di COGNOME NOME, proprietario del confinante fondo sottostante sul quale aveva eseguito degli scavi per una nuova costruzione, che avevano provocato oltre al franamento del terreno sovrastante, danni al massetto esterno dei manufatti della Torre, per poi riempire lo scavo eseguito e realizzare un muretto di contenimento in calcestruzzo, in prosecuzione di un procedimento possessorio del 1991 conclusosi con l’adozione di misure volte a garantire la sicurezza, allo scopo di ottenere la condanna del COGNOME al risarcimento dei danni subiti e subendi dai manufatti della Torre, da determinare in corso di causa.
Si costituiva il COGNOME che contestava la pretesa avversaria, chiedendo la revoca dei provvedimenti interdittali e la demolizione delle porzioni dei manufatti abusivi dei Bucolo, sostenendo che non rispettavano la distanza legale dal confine e la normativa antisismica, e che erano lesionati già prima dei suoi scavi, con conseguente condanna dei medesimi all’arretramento ed al risarcimento dei danni da lui subiti, da accertare in separata sede.
Con la sentenza n. 113/2017 il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, dopo l’integrazione del contraddittorio nei confronti di COGNOME NOME e COGNOME NOME, a loro volta eredi di Torre Maria, in esito all’espletamento della CTU dell’ing. COGNOME COGNOME e del geologo COGNOME NOME, quest’ultimo deceduto prima di poter rendere i chiarimenti richiesti, condannava il COGNOME al risarcimento dei danni subiti dai COGNOME, quantificati in € 98.832,00, oltre interessi dalla sentenza al saldo ed alle spese processuali e di CTU, rigettando le altre domande.
Il COGNOME proponeva gravame avverso la predetta sentenza, e si costituivano in secondo grado COGNOME COGNOME e COGNOME mentre COGNOME NOME e COGNOME rimanevano contumaci.
Con la sentenza n. 582/2019 del 9/15.7.2019, la Corte d’Appello di Messina, espletata CTU dall’ing. COGNOME, confermava la decisione impugnata, condannando il Celi alle spese di secondo grado, condividendo quanto statuito dal primo Giudice in ordine all’insussistenza di un collegamento causale tra la circostanza che i manufatti dei COGNOME non osservassero le distanze legali dal confine e i danni da essi subiti, ricondotti ai lavori di scavo senza precauzioni del Celi, rilevando peraltro che gli stessi attori avevano dichiarato che, all’epoca degli scavi, i manufatti danneggiati erano ancora in via di regolarizzazione urbanistica, nonché incompleti.
Avverso la predetta sentenza COGNOME Giuseppe ha proposto ricorso a questa Corte sulla scorta di sette motivi, mentre COGNOME, COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME sono rimasti intimati.
La Procura Generale ha concluso per l’accoglimento del terzo motivo di ricorso, con assorbimento dei restanti.
In prossimità della pubblica udienza il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Col primo motivo, articolato ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n.4) c.p.c., il ricorrente si duole della violazione dell’art. 132, comma 2°, n. 4) c.p.c.. Il Giudice del gravame avrebbe recepito integralmente la motivazione della sentenza di primo grado, senza alcun esame critico della stessa alla luce dei motivi di appello formulati dal COGNOME e senza alcun autonomo processo deliberativo, salvo il riferimento al fatto che gli stessi attori avevano dichiarato che la costruzione danneggiata al tempo dei fatti era ancora in via di regolarizzazione amministrativa dal punto di vista urbanistico ed
incompleta, peraltro esaminando congiuntamente tutti i motivi di appello, il tutto senza spiegare autonomamente le ragioni del mancato accoglimento di quei motivi.
Attraverso la seconda censura, in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 5) c.p.c., si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione al vizio di omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti. La Corte d’Appello avrebbe omesso di esaminare la comunicazione del Genio Civile di Messina del 15.5.2009, dalla cui lettura emergeva l’illegittimità dei manufatti di proprietà dei COGNOME, da collegare alla circostanza che nel tempo essi non avevano dimostrato di aver proceduto alla sanatoria dei loro manufatti.
Col terzo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ.. La Corte territoriale avrebbe erroneamente accolto la domanda risarcitoria degli originari attori, riconoscendo il risarcimento dei danni che avrebbero subito dei manufatti abusivi, sprovvisti di sanatoria, oltre che edificati a distanza dal confine con la proprietà del Celi inferiore a quella legale.
Con la quarta doglianza si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, nn. 3) e 4) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2°, n. 4) c.p.c. in relazione all’art. 167 c.p.c., nel testo vigente alla data del 2.7.1999. La Corte distrettuale avrebbe erroneamente valutato gli effetti da attribuire alla domanda riconvenzionale, atteso che gli originari attori si erano limitati, in sede di comparse conclusionali, a contestare genericamente le difese del COGNOME, senza precisare le ragioni della loro asserita inammissibilità o infondatezza.
Col quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1°, nn. 3) e 4) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2°, n. 4) c.p.c. in relazione agli artt. 872 e 873 cod. civ., nonché in relazione all’art. 35 della L.n.47 del 28.2.1985, così
come recepita in Sicilia con l’art. 1 della L.R. n. 37 del 10.8.1985. Sostiene il ricorrente che, stante l’esistenza di un regolamento edilizio locale, che prevedeva un distacco minimo dei fabbricati dal confine, il principio di prevenzione non poteva trovare applicazione al caso in esame.
Con la sesta doglianza il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., la nuova violazione e falsa applicazione dell’art. 872 cod. civ. in relazione all’art. 2043 cod. civ., nonché, ancor prima, in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 4) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.. I giudici di merito avrebbero omesso di pronunciarsi sulla domanda spiegata dall’originario convenuto, volta ad ottenere la condanna dei Bucolo alla demolizione delle porzioni di fabbricato poste a distanza dal confine inferiore a quella legale ed al risarcimento dei danni, sino all’eliminazione della situazione lesiva.
Col settimo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1°, n. 3) c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c..
La Corte territoriale avrebbe erroneamente confermato la statuizione del primo Giudice relativamente alle spese, ponendo parimenti quelle del secondo grado a carico del COGNOME, in violazione del principio della soccombenza.
Il primo motivo, relativo alla motivazione apparente dell’impugnata sentenza, deve ritenersi fondato.
La Corte d’Appello, infatti, dopo avere riprodotto i cinque motivi di appello del COGNOME (in seguito ha riportato il sesto sulle spese processuali), si é limitata ad esporre sinteticamente la ricostruzione in fatto e la motivazione della sentenza di primo grado, ed ha trattato tutti insieme i sei motivi di appello fatti valere dal COGNOME, nonostante la loro eterogeneità e la mancanza di profili comuni di improcedibilità, o inammissibilità, ed a compiere una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in
base ai motivi di gravame di rito e di merito fatti valere dal COGNOME, ed in particolare di quelli concernenti la mancata considerazione della CTU geologica e dell’instabilità del terreno argilloso di sedime dei manufatti dei COGNOME, già lesionati prima dello scavo nel terreno a valle compiuto dal COGNOME, indicati come rilevanti sotto il profilo causale, o almeno concausale, per i quali in primo grado erano stati chiesti, ma non acquisiti chiarimenti dal dott. COGNOME perché deceduto prima di poterli rendere, ed il CTU ing. COGNOME in secondo grado si era limitato ad escludere il rilievo causale, perché gli spostamenti maggiori dei manufatti dei Bucolo si erano verificati in concomitanza con le operazioni di scavo del Celi, senza indicare però per quale ragione gli spostamenti e franamenti anteriori a quegli scavi non avessero influito, almeno come concause, sull’evento dannoso (vedi sul vizio di motivazione apparente delle sentenze di appello, che senza alcun esame critico delle argomentazioni della sentenza di primo grado sulla base dei motivi proposti, si limitino a fare ad esse ed alla già compiuta ricostruzione in fatto rinvio per relationem , o a riportarle pedissequamente Cass. ord. 20.8.2021 n.23260; Cass. sez. lav. ord. 24.6.2020 n. 12486; Cass. 25.10.2018 n.27112).
Sul motivo di appello relativo alla riconvenzionale di arretramento dei manufatti dei Bucolo per violazione delle distanze legali, il giudice di secondo grado si é limitato a dire, che l’esame di quella domanda non incideva sul risarcimento danni chiesto dai Bucolo, senza dire perché il giudice di primo grado non si fosse pronunciato su quella riconvenzionale, che era comunque una domanda autonoma, e non una mera eccezione volta a contrastare la pretesa risarcitoria dei Bucolo.
Sul motivo di appello relativo alla mancata considerazione della CTU del geologo COGNOME che aveva evidenziato la natura argillosa del terreno di sedime dei manufatti dei COGNOME, costituente autonoma causa di franamento del terreno e del dissesto
riscontrato su quei manufatti prima degli scavi sul terreno a valle del Celi, ai fini almeno dell’applicazione dell’art. 1227 cod. civ. sul concorso di colpa dei danneggiati, la Corte distrettuale si é limitata incomprensibilmente ed apoditticamente a dire, che la condotta dell’originaria parte ricorrente (Torre Maria, dante causa dei Bucolo) non era causalmente collegata all’evento lesivo (frana del terreno e dissesto dei manufatti dei Bucolo), senza spiegarne le ragioni, ed a richiamare il principio che spetta al giudice di merito valutare discrezionalmente le prove, principio che però non può essere invocato per giustificare la mancata risposta alle ragioni specifiche fatte valere col motivo di appello, che neppure hanno trovato risposta nelle apodittiche conclusioni del CTU ing. Recupero incaricato in secondo grado, acriticamente richiamate.
L’unico argomento aggiuntivo speso dalla Corte distrettuale, rispetto alla sentenza di primo grado, quello che i Bucolo stessi avrebbero ammesso che i loro manufatti erano ancora incompleti e con regolarizzazione amministrativa in corso al momento degli scavi del Celi sul fondo sottostante, non spiega per quale ragione non sia stata data risposta ai motivi di appello del Celi n. 2, 3, 4, 5 e 6 sulla violazione delle distanze legali e sulla connessa richiesta del Celi di risarcimento dei danni a lui provocati dai manufatti dei Bucolo, non sanati e non conformi alle distanze legali dal confine ed alla normativa antisismica e sulle spese processuali.
La motivazione resa, pertanto, basata quasi solamente sulla riproduzione testuale della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni della sentenza di primo grado, è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo , in quanto, benchè graficamente esistente, non rende, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di
integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. sez. un. 22.2.2023 n. 5556; Cass. sez. un. 30.1.2023 n. 2767; Cass. sez. un. 27.12.2019 n.34476; Cass. sez. un. 18.4.2018 n. 9558; Cass.
sez. un. 31.12.2018 n.33679; Cass. sez. un. 7.4.2014 n. 8053).
L’accoglimento del primo motivo di ricorso determina l’assorbimento dei restanti motivi fatti valere dal Celi, ma in relazione al terzo motivo, fermo restando l’assorbimento, sono da condividere, a fini di orientamento del giudice di rinvio, i rilievi della Procura Generale, secondo i quali, in base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, il danno subito da un immobile costruito abusivamente ancor prima che ingiusto é inesistente, in quanto il bene abusivo non é suscettibile di essere scambiato sul mercato (Cass. 21.4.2016 n. 8038; Cass. 11.9.2013 n. 20849; Cass. 21.2.2011 n. 4206).
P.Q.M.
La Corte di Cassazione accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Corte d’Appello di Messina in diversa composizione, che provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 26.6.2025