Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21640 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21640 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1723/2021 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO n. 330/2020 depositata il 05/11/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/02/2024 dal Consigliere COGNOME NOME COGNOME.
RITENUTO CHE:
con atto di citazione del 10 gennaio 2009, la società RAGIONE_SOCIALE (di seguito, ICI), odierna ricorrente, ha proposto opposizione al decreto con cui le era stato ingiunto il pagamento di euro 118.316,23 in favore della curatela di RAGIONE_SOCIALE in fallimento (di seguito, Fallimento), sul presupposto -per quello che si legge nel ricorso – del mancato pagamento da parte della società opponente dei canoni relativi al contratto di affitto di azienda intercorso con la Curatela con data 28 ottobre 2005 (indicato come risolto) per un importo di € 46.800,00, nonché , per l’importo di € 67.113,83 <>;
nella costituzione della Curatela opposta, il Tribunale di Isernia, con sentenza n. 905 del dicembre 2017, rigettava l’opposizione con la quale la società RAGIONE_SOCIALE aveva affermato l’infondatezza della richiesta di pagamento, perché non dovuto per effetto di compensazione con un suo maggior credito pari ad € 576.00,00 ;
avverso la suddetta sentenza, RAGIONE_SOCIALE proponeva appello dinanzi la Corte di appello di Campobasso, dinanzi alla quale si costituiva il Fallimento insistendo per il rigetto del gravame;
con ordinanza collegiale del 17 febbraio 2019, dep. il 6 marzo 2019, la corte territoriale -per quello che si legge in ricorso –
disponeva il passaggio dal rito ordinario al rito speciale ai sensi dell’art. 447 bis c.p.c.;
con sentenza n. 330 del 4 novembre 2020, pubblicata il 5 novembre 2020, la Corte di appello di Campobasso dichiarava quindi inammissibile per tardività l’opposizione a decreto ingiuntivo in quanto introdotta non già con ricorso ai sensi dell’art. 447 -bis c.p.c., ma con citazione iscritta a ruolo oltre il termine entro il quale avrebbe dovuto essere depositato il ricorso, e per l’effetto, rigettava l’appello;
la corte territoriale ha osservato in via preliminare che erroneamente il Tribunale di Isernia ha omesso di esaminare l’eccezione di tardività dell’opposizione al d.i. n. 479/2009, così non avvedendosi della circostanza che, essendo la controversia in esame relativa ad un contratto d’affitto di azienda, il giudizio avrebbe dovuto essere introdotto con l’osservanza delle norme di rito ad essa applicabili e, precisamente, con il rito locativo ex art. 447 bis c.p.c.;
la corte, pertanto, facendo applicazione della costante giurisprudenza in materia di controversie locative erroneamente introdotte con atto di citazione, ritiene che, non essendo stato rispettato nel caso di specie il termine previsto dall’art. 641 c.p.c. per l’iscrizione a ruolo dell’atto di citazione, l’opposizione vada dichiarata inammissibile in quanto tardiva;
avverso la predetta sentenza, RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo di impugnazione;
ha resistito con controricorso, illustrato da memoria, RAGIONE_SOCIALE in fallimento;
è stata fissata la trattazione per l’adunanza camerale del 13 febbraio 2024 ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.; non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero;
parte resistente ha depositato memoria;
nell’imminenza dell’adunanza, a causa di impedimento del relatore designato, la trattazione del ricorso veniva assegnata dal Presidente Titolare al Presidente del Collegio.
CONSIDERATO CHE:
con l’unico motivo di ricorso, si deduce la ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 40 c.p.c. ex art. 360, n. 3 e 4, c.p.c.’, per avere la corte territoriale, nel dichiarare l’inammissibilità per tardività dell’opposizione al decreto ingiuntivo allora proposta dalla ricorrente, erroneamente applicato i criteri desumibili dall’art. 40 c.p.c. come interpretati dalla giurisprudenza. Secondo i principi generali, infatti, alle domande connesse andrebbe applicato prevalentemente il rito ordinario, a meno che una di queste cause non preveda l’adozione del rito del lavoro (previsto per le controversie individuali di lavoro e per le cause in materia di previdenza e assistenza obbligatoria);
il legislatore, infatti, afferma il ricorrente, ha stabilito che in caso di concorso tra due diversi riti speciali, dei quali uno non è quello laburistico, le cause connesse debbono essere trattate e decise col rito previsto per quella tra esse in ragione della quale viene determinata la competenza o, in subordine, con il rito previsto per la causa di maggior valore;
in ogni caso, osserva il ricorrente, l’eccezione prevista dall’ultima parte dell’art. 40 c.p.c. è applicabile, per pacifica interpretazione, solo ove si tratti del rito del lavoro nel suo campo di applicazione istituzionale e non anche ove si tratti di controversia locatizia soggetta al rito del lavoro per il richiamo previsto dall’art. 447bis c.p.c.;
aggiunge il ricorrente che, una parte della giurisprudenza di merito, ritiene che, nel caso in cui sia proposta una domanda di pagamento di canoni di locazione e/o di affitto di azienda afferente un rapporto già risolto (come il caso in esame), andrebbe applicato non il rito
locativo, ma quello ordinario, proprio perché sarebbe rilevante la richiesta di pagamento di una somma di denaro a prescindere dal titolo originario della debenza, titolo che, per essere stato risolto inter partes, non comporterebbe la soggezione al rito locatizio; infine, avendo la corte territoriale esaminato solo il problema pregiudiziale della tardività della opposizione a decreto ingiuntivo, il ricorrente richiama i motivi di appello dichiarati assorbiti, auspicando che siano esaminati nell’eventuale giudizio di rinvio; il Collegio rileva in primo luogo che l’unico motivo di ricorso risulta inammissibile, in quanto dedotto in violazione dell’art. 366 n. 6 c.p.c., giacché prospetta che il cumulo di domande proposte con il ricorso per decreto ingiuntivo riguardasse una domanda fondata sull’affitto di azienda ed altra per un titolo che viene descritto come <>, ma omette di indicare se e dove sarebbe possibile esaminare il ricorso monitorio, al fine di riscontrare l’assunto, atteso che non si indica se e dove tale atto sia stato prodotto in questo giudizio di legittimità;
l’onere di cui all’art. 366 n. 6 sotto il profilo della localizzazione del detto atto non risulta assolto nemmeno -come ammette Cass., Sez. Un., n. 22726 del 2011 -dichiarando (al fine di esentarsi dall’onere di cui al n. 4 del secondo comma dell’art. 369 c.p.c.) di voler fare riferimento alla sua eventuale presenza nel fascicolo d’ufficio del giudice in appello ed eventualmente in quello di primo grado in ipotesi in esso acquisito;
parimenti -sempre alla stregua di quanto ammettono le Sezioni Unite -ci si astiene dal fare riferimento alla sua eventuale produzione da parte avversaria in questo giudizio di legittimità, cosa che avrebbe richiesto anche l’indicazione della sede di produzione;
ne consegue che questa Corte non è stata messa in grado di verificare se, ai sensi dell’art. 40, terzo comma c.p.c. l’opposizione dovesse effettivamente proporsi con citazione e non con ricorso, data -ex art. 40, terzo comma, c.p.c. – la prevalenza del rito ordinario su quello locativo e l’asserita proposizione con il decreto di una domanda di canoni di affitto di azienda, soggetta al c.d. rito locativo, e di altra estranea ad esso ed inerente ad una vendita, soggetta al rito ordinario;
l’inosservanza dell’art. 366 n. 6 c.p.c. concerne ma lo si rileva ad abundantiam -anche l’indicazione della localizzazione dell’ordinanza di mutamento di rito emessa dal giudice di appello, giacché parimenti non la si dice né prodotta (evidentemente in copia, non trattandosi di atto della ricorrente), né si dichiara di voler fare riferimento alla sua presenza nel fascicolo di ufficio del giudice di appello;
il Collegio rileva, peraltro, che la sorte del motivo e, dunque, del ricorso non cesserebbe di essere negativa e, dunque, nel senso della inammissibilità, qualora si reputasse di superare la carenza di osservanza dell’art. 366 n. 6 c.p.c., dando rilievo al fatto che la stessa sentenza identifica come oggetto della domanda monitoria l’altra domanda come relativa al <> , così confermando che l’azione monitoria, il cui contenuto era decisivo per la forma di introduzione dell’opposizione, era stata esercitata sia per un credito riconducibile al rito ex art. 447-bis c.p.c. (quello per i canoni di affitto di azienda) sia per un credito riconducibile al rito ordinario;
invero, a questo punto sorgerebbe il problema di valutare la deduzione svolta -nel rispetto dell’art. 366 n. 6 c.p.c. e non replicata comunque dalla ricorrente – nel controricorso (e ribadita pure nella memoria) secondo cui il cambiamento del rito e la
trattazione in appello con il rito locativo erano stati sollecitati dalla stessa appellante qui ricorrente con un apposito motivo di appello; ebbene tale atteggiamento appare incompatibile con il ravvedimento espresso con il motivo di ricorso, atteso che parte ricorrente con quest’ultimo fa valere una ipotetica nullità che avrebbe essa stessa concorso a determinare;
il Collegio rileva che tale incompatibilità non potrebbe dirsi insussistente in ragione della circostanza che -come del resto ha osservato la stessa corte territoriale nell’ incipit della motivazione -la questione del rito applicabile rilevava ai fini del problema a rilievo officioso della tempestività dell’opposizione ;
si deve rilevare, infatti, che l’errore in ordine al rito dell’opposizione e, dunque, della controversia, integrava certamente una nullità -provocata dalla stessa corte molisana – che quella stessa corte territoriale avrebbe potuto elidere fino al momento della decisione rilevando che il rito applicabile era quello ordinario e dunque una nullità rilevabile d’ufficio, ma anche una nullità che analogamente parte ricorrente avrebbe a sua volta potuto far constare, abbandonando la prospettazione dell’appello, fino al momento della decisione;
la giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, con la sentenza n. 21381 del 2018 (seguita da numerose decisioni conformi) affermato che <>;
ne consegue che, se anche il motivo il motivo di ricorso si esaminasse, risulterebbe inammissibile, in quanto parte ricorrente ha consumato il potere di rilevare la nullità in ipotesi determinata dall’ordinanza di mutamento del rito (con il suo contributo causale) e dalla conseguente soggezione del giudizio al rito locativo con le implicazioni poi fattene derivare dalla corte molisana, perché avrebbe dovuto prospettarla entro il momento finale di interlocuzione ai fini della decisione del giudice di appello correlato alle modalità di decisione che la sentenza impugnata indica a pagina 2;
è appena il caso di rilevare che, anche a prescindere dall’atteggiamento svolto con l’atto di appello, la ricorrente , nulla avendo eccepito sul mutamento del rito nel giudizio di appello, non sarebbe stata legittimata -secondo la richiamata giurisprudenza a proporre il motivo di ricorso che ha svolto;
il ricorso è, conclusivamente, dichiarato inammissibile e le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 6.000,00 oltre € 200,00 per compensi ed oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 , comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello eventualmente dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13 .
Così deciso in Roma, il 13/02/2024 nella camera di consiglio della