Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 27439 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 3 Num. 27439 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 23/10/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al numero 234 del ruolo AVV_NOTAIO dell’anno 2023, proposto da
COGNOME NOME NOMEC.F.: CODICE_FISCALE) COGNOME NOME NOMEC.F.: CODICE_FISCALE)
rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
-ricorrenti- nei confronti di
NOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
rappresentati e difesi dagli avvocati NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
RAGIONE_SOCIALE (C.F.: CODICE_FISCALE), in persona del rappresentante per procura NOME COGNOME
rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
-controricorrenti-ricorrenti in via incidentale-
e
COGNOME NOME NOMEC.F.: CODICE_FISCALE)
per la cassazione della sentenza della Corte d’a ppello di Milano n. 3396/2022, pubblicata in data 28 ottobre 2022; udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 11 settembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME; uditi:
il pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso, come da requisitoria scritta già in atti, come segue: « chiede che la Corte di Cassazione voglia rigettare il ricorso principale, dichiarare inammissibile il ricorso incidentale di NOME COGNOME e NOME COGNOME e accogliere il ricorso incidentale di RAGIONE_SOCIALE nel suo secondo motivo. Conseguenze di legge »; l’AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO, per i ricorrenti NOME e NOME NOME;
gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME per i controricorrenti e ricorrenti in via incidentale NOME COGNOME e NOME COGNOME;
lAVV_NOTAIO, per la controricorrente e ricorrente in via incidentale RAGIONE_SOCIALE.
Fatti di causa
NOME COGNOME e NOME COGNOME, eredi di NOME COGNOME, hanno agito in giudizio nei confronti di RAGIONE_SOCIALE per ottenere il pagamento della prestazione prevista da una polizza di assicurazione sulla vita stipulata da NOME COGNOME, nella quale era stata indicata quale beneficiaria la COGNOME, premorta rispetto al contraente.
La società convenuta, nel contestare la pretesa degli attori, ha chiamato in giudizio NOME COGNOME, erede del contraente, in favore della quale aveva effettuato il pagamento della prestazione assicurativa, per essere eventualmente manlevata; la
NOME, a sua volta, ha contestato la stessa validità del contratto di assicurazione.
Il Tribunale di Milano ha rigettato la domanda degli eredi di NOME.
La Corte d’a ppello di Milano ha confermato la decisione di primo grado, correggendone la motivazione.
La sentenza di appello è stata, però, cassata con rinvio da questa Corte (Cass, Sez. 3, Sentenza n. 9948 del 15/04/2021).
All’esito del giudizio di rinvio, la Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, ha accolto la domanda degli attori, di accertamento della loro titolarità, quali eredi di NOME COGNOME, del diritto al beneficio di cui alla polizza assicurativa, ma, al tempo stesso, ha rigettato la loro domanda di condanna della RAGIONE_SOCIALE al pagamento del relativo importo, ritenendo liberatorio l’adempimento da quest’ultima effettuato in favore di NOME COGNOME, quale creditore apparente ai sensi dell’art. 1189 c.c. .
Ricorrono NOME e NOME COGNOME (eredi beneficiati di NOME COGNOME), sulla base di due motivi.
Resistono con due distinti controricorsi: da un lato, NOME COGNOME e NOME ; dall’altro, RAGIONE_SOCIALE.
Entrambe le parti controricorrenti propongono a loro volta ricorso in via incidentale, rispettivamente sulla base di cinque e di due motivi.
È stata inizialmente disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c..
Il collegio ha, peraltro, disposto la trattazione in pubblica udienza, previa notificazione dei ricorsi incidentali a NOME COGNOME, ai fini della corretta instaurazione del contraddittorio.
Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c..
Ragioni della decisione
La notificazione del ricorso incidentale a NOME COGNOME, disposta con l’ordinanza interlocutoria del luglio 2023, risulta correttamente effettuata sia dagli eredi COGNOME che da RAGIONE_SOCIALE; e risulta tempestivamente versata in atti la prova dei relativi adempimenti.
Il contraddittorio nel presente giudizio di legittimità deve, pertanto, ritenersi correttamente instaurato.
2. Ricorso principale (proposto da NOME e NOME COGNOME)
2.1 Con il primo motivo si denunzia « Art. 360, 1° comma, n. 4 – errores in procedendo: violazione degli artt. 166, 167, 168 bis co. 4, 269 cpc ».
I ricorrenti deducono che la chiamata in causa della loro dante causa NOME COGNOME sarebbe avvenuta tardivamente, in quanto la RAGIONE_SOCIALE si sarebbe costituita, chiedendo tale chiamata, solo il 28 marzo 2013, a fronte di una udienza di prima comparizione originariamente fissata, in citazione, per il 2 aprile 2013, benché differita dal giudice, ai sensi dell’art. 168 bis c.p.c., al 17 aprile 2013, con provvedimento del 31 gennaio 2013.
Il motivo è infondato.
Ai sensi dell’art. 166 c.p.c., il termine per la costituzione del convenuto è di venti giorni prima dell’udienza fissata dall’attore ovvero differita dal giudice ai sensi dell’art. 168 bis , comma 5, c.p.c..
L’unica eccezione a tale chiarissima disposizione riguarda il caso in cui il differimento dell’udienza, operato ai sensi dell’art. 168 bis , comma 5, c.p.c., avvenga addirittura quando il termine per la costituzione del convenuto sia già scaduto (in quanto ciò equivarrebbe ad una arbitraria rimessione in termini del convenuto stesso, da parte del giudice; cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2394 del 03/02/2020, Rv. 657137 – 01): ma, nella specie, è pacifico che il differimento dell’udienza sia stato disposto a
gennaio 2013, mentre l’originario termine per la costituzione scadeva a marzo dello stesso anno.
Il differimento della prima udienza, avvenuto a gennaio 2013 (dal 2 al 17 aprile 2013), è stato disposto espressamente ai sensi del comma 5 dell’art. 168 bis c.p.c. (come emerge chiaramente dallo stesso provvedimento, in atti, e come del resto ammettono gli stessi ricorrenti, nella loro memoria), non ai sensi del comma 4 della medesima norma.
Di conseguenza, il termine per la costituzione del convenuto scadeva venti giorni prima del 17 aprile 2013 (non trattandosi di termine ‘libero’, ma di termine ordinario), cioè proprio il 28 marzo 2013.
2.2 Con il secondo motivo si denunzia « Art. 360, 1° comma, n. 4 – errores in procedendo: Violazione dell’ articolo 112 cpc ».
I ricorrenti, quali eredi beneficiati di NOME, contestano la loro condanna al pagamento delle spese dell’intero giudizio (relativamente ai due gradi di merito ed alla fase di legittimità, oltre al giudizio di rinvio), disposta genericamente nei confronti degli « eredi di NOME NOME ».
Sostengono che, essendo avvenuta l’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario, non avrebbe potuto pronunciarsi la loro condanna alle spese del presente giudizio. In particolare, la corte d’appello avrebbe, a loro avviso, dovuto prendere atto del l’accettazione beneficiata « attribuendo-regolando ed estendendo di conseguenza anche alle spese legali il regime appropriato derivante dal riconoscimento di tale beneficio ».
Il motivo di ricorso in esame, avendo ad oggetto le spese processuali del giudizio di merito, resta assorbito dalla decisione sul ricorso incidentale COGNOME–COGNOME, che, come si va ad esporre, ne avrà ad oggetto l’accoglimento, con conseguente cassazione con rinvio della decisione impugnata, anche in relazione alle spese stesse.
3. Ricorso incidentale proposto da NOME e NOME COGNOME
3.1 Con il primo motivo si denunzia « Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’ art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. ».
Viene contestata la parte della motivazione della pronuncia impugnata in cui si afferma: « Non è stata provata l’esistenza di elementi certi e documentali che permettessero a NOME, all’epoca in cui si COGNOME svolti i fatti, di dubitare della genuinità delle comunicazioni ricevute da parte del sacerdote ».
I ricorrenti deducono che il dubbio sulla genuinità delle comunicazioni inviate dal sacerdote e, più in AVV_NOTAIO, la mancanza di univocità delle circostanze in cui è avvenuto il pagamento in favore della NOME, derivava -e doveva essere percepita come tale da parte della RAGIONE_SOCIALE -da una pluralità di circostanze di fatto emerse e discusse nel corso della controversia, ma di cui la corte d’appello avrebbe omesso l’esame. In particolare, fanno riferimento ai seguenti fatti: il possesso, da parte della Compagnia, al momento in cui ha effettuato il pagamento (cioè, nel luglio 2012), di una serie di documenti attestanti che il sacerdote contraente NOME COGNOME non era in grado di firmare almeno dal 18 luglio 2011 ed era in condizioni mentali precarie, tanto che gli era stato nominato un amministratore di sostegno (al quale la stessa RAGIONE_SOCIALE aveva inviato una lettera di conferma della disposta variazione del beneficiario della polizza); il contenuto ed il tenore complessivo -oscuro, impreciso e addirittura in alcuni casi sconclusionato o confuso -di tutte le contraddittorie missive ricevute e apparentemente sottoscritte, anche dopo il 18 luglio 2011, dal NOME stesso; il fatto che non era stata esibita da NOME COGNOME, con la richiesta di li quidazione della polizza, l’originale di detta polizza, ma una pretesa ‘copia conforme’ (conformità non attestata da alcun pubblico ufficiale).
Sostengono, inoltre, che la corte territoriale non avrebbe preso in esame, a tal fine, neanche la circostanza di fatto -evidentemente controversa e decisiva -che il pagamento era stato contestualmente richiesto anche dagli effettivi creditori, con espressa diffida a non effettuarlo in favore di eventuali terzi non legittimati.
Con il secondo motivo si denunzia « Violazione degli artt. 1362, 1363 e 1189 c.c. ai sensi dell’ art. 360 comma 1 n. 3 c.c. ».
I ricorrenti deducono che in realtà il sacerdote contraente non aveva propriamente ‘ disconosciuto ‘ la propria sottoscrizione sulla dichiarazione di rinuncia al potere di revoca del beneficiario della polizza, ma si era limitato, almeno in un primo tempo, a negare di avere inviato la lettera personalmente e, successivamente, aveva rappresentato di non avere mai ‘ sottoscritto liberamente ‘ atti restrittivi della sua libertà negoziale, quindi si sostiene -senza esplicitamente negare di avere effettivamente sottoscritto la rinuncia alla facoltà di revoca (per quanto ‘ non liberamente ‘) .
Con il terzo motivo si denunzia « Violazione degli artt. 2702, 2703 e 1189 c.c. ai sensi dell’ art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. ».
I ricorrenti contestano la motivazione della pronuncia impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha affermato quanto segue: « Resta il dato oggettivo che l’assicurazione ricevette DAL SOGGETTO TITOLATO a disconoscere la propria firma sulla rinuncia alla revoca, la dichiarazione di non aver firmato tale rinuncia’ e ‘2) b.’: ‘DAL SOGGETTO TITOLATO ad effettuare la designazione di un nuovo beneficiario, la nomina della sorella ». Si tratta della parte della sentenza impugnata in cui si afferma che le dichiarazioni (apparentemente) del sacerdote pervenute alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dopo il 9 giugno 2011 costituirebbero circostanze univoche di apparenza della titolarità del di- ritto controverso in capo ad NOME COGNOME.
Con il quarto motivo si denunzia « Violazione degli artt. 1176 e 1189 c.c. ai sensi dell’ art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. ».
I ricorrenti ribadiscono tutte le precedenti censure anche sotto l’aspetto della diligenza richiesta al debitore che adempie (nella specie un operatore professionale come una RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE), diligenza che avrebbe imposto accertamenti più approfonditi in ordine alla situazione, prima di effettuare il pagamento in favore di uno dei soggetti che lo reclamavano, in conflitto tra loro.
Con il quinto motivo si denunzia « Violazione dell’ art. 132 comma 1 n. 4 c.p.c. ai sensi dell’ art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. ».
I ricorrenti deducono che mancherebbe del tutto una effettiva motivazione, nella decisione impugnata, in ordine alla ‘scusabilità’ dell’errore commesso dalla RAGIONE_SOCIALE sulla individuazione dell’effettivo creditore.
I motivi del ricorso incidentale degli eredi COGNOME COGNOME connessi, sia logicamente che giuridicamente e, quindi, posCOGNOME essere esaminati congiuntamente, avendo essi tutti ad oggetto, nella sostanza, la contestazione della sussistenza dei presupposti di diritto i ntegranti la fattispecie di cui all’art. 1189 c.c., cioè del pagamento liberatorio al creditore apparente.
In questi termini -e così complessivamente interpretato -il ricorso è fondato.
3.2 In primo luogo, è opportuno chiarire che la corte d’appello:
-ha ritenuto fondata ed accolto la domanda degli eredi della ‘ perpetua ‘ del sacerdote contraente, NOME COGNOME, di accertamento della loro qualità di effettivi creditori della prestazione controversa, cioè ha statuito che fossero tali eredi ad avere diritto al pagamento della somma oggetto dell’assicurazione e non della sorella del sacerdote NOME COGNOME, cui l’assicurazione aveva, invece, di fatto pagato gli oltre € 650.000,00 dovuti, in quanto ha ritenuto non provata la genuinità delle sottoscrizioni
del sacerdote su tutte le comunicazioni inviate alla RAGIONE_SOCIALE dopo la stipula dell’assicurazione a favore della COGNOME (vale a dire: a) la rinuncia alla facoltà di revoca del beneficiario; b) il ‘disconoscimento’ di tale rinuncia; c) l’indicazione della s orella NOME COGNOME come nuova beneficiaria); su tale pronuncia deve ritenersi di fatto caduto il giudicato, stante il mancato accoglimento degli altri ricorsi proposti in questa sede con riguardo alla stessa;
-ha, però, rigettato la domanda di condanna al pagamento della suddetta somma, proposta dai medesimi eredi della COGNOME contro la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, ritenendola liberata in virtù del pagamento effettuato in favore del ‘creditore apparente’, cioè la sorella del sacerdote, NOME COGNOME, pur non avendo quest’ultima alcun diritto a quella somma;
-non ha, d’altra parte, condannato gli eredi della sorella del sacerdote assicurato, NOME COGNOME, a restituire agli aventi diritto la somma illegittimamente incassata, in quanto la relativa domanda non è stata da questi reiterata in sede di rinvio.
3.3 Tanto premesso, risultano fondate le censure di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1189 c.c..
La corte d’appello non solo ha omesso di prendere in considerazione, nella motivazione della decisione impugnata, tutti i molteplici fatti (controversi e decisivi) da cui emergeva con assoluta chiarezza la situazione di incertezza in ordine all’effettivo t itolare del credito, ma ha erroneamente affermato l’applicabilità della fattispecie del pagamento liberatorio al creditore apparente di cui all’art. 1189 c.c., sulla base dei seguenti rilievi: a) la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE era certamente ‘estranea’ a tutte le vicende relative alle asserite falsificazioni delle sottoscrizioni del sacerdote NOME;
b) essa aveva ricevuto dal soggetto ‘ titolato a disconoscere la propria firma sulla rinuncia alla revoca ‘, la dichiarazione di non aver firmato tale rinuncia nonché, sempre dal soggetto titolato ad effettuare la designazione di un nuovo beneficiario, la nomina della sorella;
non era stata provata l’esistenza di elementi certi e documentali che permettessero alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di dubitare della ‘ genuinità ‘ delle comunicazioni ricevute da parte dal sacerdote.
Tale motivazione deve ritenersi, oltre che viziata dall’omesso esame di fatti decisivi e controversi:
erronea in diritto, in quanto viziata da falsa applicazione dell’art. 1189 c.c. (oltre che degli artt. 214 e ss. c.p.c.);
intrinsecamente contraddittoria sul piano logico;
infine, del tutto mancante -o al più meramente apparente -con riguardo alle questioni (di fatto e di diritto) effettivamente rilevanti ai fini dell’applicabilità dell’art. 1189 c.c..
3.3.1 In primo luogo, l’affermazione sopra indicata come sub a) , secondo cui la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE era estranea alle vicende relative alla falsificazione delle sottoscrizioni del COGNOME, risulta di per sé del tutto priva di rilievo ai fini dell’integrazione della fattispecie di cui all’art. 1189 c.c.: tale ult ima disposizione richiede la valutazione della situazione di ‘apparenza univoca’, nonché la valutazione della buona fede soggettiva del debitore (cioè la sua ignoranza di ledere l’altrui diritt o); non ha alcun rilievo, quindi, il concorso o meno del debitore ad eventuali operazioni scorrette dei creditori per ottenere il pagamento.
E tanto senza neanche considerare che, estranea o meno che fosse a quelle vicende, la RAGIONE_SOCIALE restava pur sempre la controparte di chi quelle prestazioni contrattuali pretendeva.
3.3.2 L’ affermazione sopra indicata come sub b) , secondo cui la RAGIONE_SOCIALE debitrice aveva ricevuto dal soggetto ‘ titolato a
disconoscere la propria firma sulla rinuncia alla revoca ‘, la dichiarazione di non aver firmato (o, almeno di non averlo fatto ‘liberamente’) tale rinuncia alla facoltà di revoca, nonché, sempre dal soggetto titolato ad effettuare la designazione di nuovo beneficiario, la nomina della sorella è, per un verso, erronea in diritto e, per altro verso, logicamente contraddittoria.
3.3.2.1 Sotto il primo profilo, è decisivo il rilievo che, al di fuori del processo civile, non COGNOME applicabili le disposizioni sul disconoscimento della sottoscrizione di cui agli artt. 214 e ss. c.p.c.: di conseguenza, non è sufficiente che chi abbia eventualmente sottoscritto un atto negoziale abdicativo di talune facoltà giuridiche a vantaggio di un terzo (nella specie: la rinuncia al potere di mutare il beneficiario della polizza sulla vita, irrevocabile dopo l’accettazione del beneficiario) dichiari semplicemente alla propria controparte negoziale, in via stragiudiziale, di disconoscere la propria sottoscrizione per privare il documento effettivamente sottoscritto del suo valore giuridico, in tal modo ottenendo un effetto a sé favorevole e svantaggioso per il terzo, come invece potrebbe avvenire -a determinate condizioni -nel corso di un processo civile, in caso di produzione di una scrittura privata contro il soggetto che l’ha sottoscritta.
Al di fuori del processo, quelle disposizioni (che COGNOME certamente disposizioni processuali, appunto) ovviamente non operano e, quindi, per stabilire se una dichiarazione negoziale (che appare) sottoscritta sia valida ed efficace, conta esclusivamente il dato oggettivo, e cioè se la relativa sottoscrizione sia autentica o meno: il che significa che non è configurabile un semplice ‘ disconoscimento stragiudiziale ‘ del suo autore (specie se diretto a soggetto diverso da quello che in base a tale scrittura acquista un diritto) per privare una siffatta dichiarazione dei suoi effetti (come avviene nel processo), ma occorre, al limite, un accertamento oggettivo.
In concreto, per chi (come la RAGIONE_SOCIALE, nella specie) si trovi a dovere effettuare un pagamento in favore di soggetto da individuare sulla base di scritture prive di attestazioni di autenticità, quindi, è quanto meno necessaria una adeguata e motivata affidabilità in ordine al fatto che effettivamente ogni specifica sottoscrizione non sia autentica, non potendo di certo essere sufficiente fondarsi sulla mera dichiarazione di chi ha interesse a negarne la autenticità, benché sia il suo apparente autore (e, anzi, proprio per questo).
Una siffatta ragionevole certezza sulla falsità della sottoscrizione del sacerdote COGNOME sull’atto di rinuncia al potere di revoca/modifica del beneficiario (così come sull’autenticità di quelle successive, di contestazione della prima e di nomina di un nuovo beneficiario), di sicuro nella specie non era emersa, come del resto afferma espressamente la stessa corte d’appello, nella sentenza impugnata e, in realtà, per come si COGNOME svolti gli eventi, era certamente da escludere.
3.3.2.2 In ogni caso, qualunque eventuale iniziale ragionevole affidamento della debitrice sull’identità della controparte sarebbe senza alcun dubbio venuto meno nel momento in cui COGNOME state avanzate alla stessa RAGIONE_SOCIALE debitrice le contrastanti pretese sulla liquidazione della polizza da parte dei vari possibili beneficiari, che hanno reso palese la sussistenza di una seria controversia sulla autenticità delle sottoscrizioni del NOME e, ancor più in radice, sulla titolarità del diritto alla liquidazione della polizza: il che esclude sia che NOME COGNOME potesse apparire alla RAGIONE_SOCIALE debitrice come legittimata a ricevere il pagamento in base a circostanze univoche, sia la buona fede (soggettiva) della RAGIONE_SOCIALE che quel pagamento ha effettuato.
3.3.3 D’altra parte, anche l’affermazione sopra indicata come sub c) , secondo cui non vi erano elementi certi e documentali che permettessero alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di dubitare
della ‘ genuinità ‘ delle comunicazioni ricevute da parte dal sacerdote contraente, finisce per risolversi in una argomentazione logicamente ed intrinsecamente contraddittoria, nel suo stesso svolgimento razionale.
Se anche, cioè, non si intendesse (almeno per un momento) mettere in discussione l’affermazione espressa della corte territoriale in ordine alla ‘ apparente genuinità ‘ di tutte le comunicazioni che la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE aveva ricevuto dal sacerdote assicurato, sul presupposto che essa RAGIONE_SOCIALE non disponeva di adeguati strumenti per stabilire se e quali di esse non lo fossero, ciò implicherebbe necessariamente che la RAGIONE_SOCIALE stessa avrebbe dovuto ritenere genuina anche l’originaria dichiarazione di rinuncia al potere di revoca del beneficiario. Il che, però, avrebbe inevitabilmente determinato l’assoluta inefficacia di tutte le successive dichiarazioni (anche se effettivamente sottoscritte dall’apparente autore) volte a negare l’autenticità della prima: queste dichiarazioni, cioè, non avrebbero p otuto avere l’effetto di privare di efficacia l’originaria rinuncia alla facoltà di revoca, dal momento che, una volta che il contraente abbia sottoscritto la rinuncia alla facoltà di revoca del beneficiario e questa sia stata accettata dal beneficiario stesso, non è sufficiente a privarla di effetti né una successiva revoca, né, tanto meno (come è ovvio e come si è già chiarito), un mero ‘ disconoscimento stragiudiziale ‘ della genuinità di quella originaria rinuncia, anche se effettivamente proveniente dall’interessato, in quanto quest’ultimo ha ormai perduto il potere di revoca (e non può certamente recuperarlo semplicemente limitandosi a negare, quanto meno al di fuori di un processo, l’autenticità della sua sottoscrizione sulla dichiarazione di rinuncia). Di conseguenza, pure a seguire l’impostazione della corte territoriale e ad ammettere, quindi, l’apparente autenticità delle sottoscrizioni di tutte le comunicazioni ricevute dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE da parte del sacerdote assicurato (ovvero ad
ammettere -pur contro l’evidenza l’assenza di motivi idonei ad indurre la RAGIONE_SOCIALE stessa a dubitare della loro genuinità, come afferma, sorprendentemente, la stessa corte, dopo avere essa stessa negato che vi fossero elementi sufficienti ad affermare la genuinità di dette sottoscrizioni), la logica conseguenza, in diritto, di questa affermazione, avrebbe dovuto essere che i creditori legittimati a riscuotere la polizza sarebbero stati comunque gli eredi della ‘ perpetua ‘ COGNOME, di modo che l’errore sul la individuazione del creditore effettivo da parte della RAGIONE_SOCIALE sarebbe stato da ritenersi, anche in tal caso, del tutto inescusabile.
3.4 In realtà, la corte territoriale ha ritenuto liberatorio per il debitore il pagamento effettuato ad un soggetto diverso dall’effettivo creditore, in un caso in cui vi erano contestuali richieste di pagamento provenienti da diversi soggetti, in conflitto tra loro, affermando, nella sostanza, la sussistenza di una situazione di apparenza univoca e della buona fede del debitore, ai sensi dell’art. 1189 c.c., quando questi paghi ad uno qualsiasi dei pretesi creditori, almeno laddove egli ritenga che quel preteso creditore sia l’effettivo legittimato attivo.
Tale assunto è certamente infondato in diritto.
La corte d’appello è, pertanto, incorsa nel vizio di falsa applicazione delle disposizioni di cui all’art. 1189 c.c. e, precisamente, in un cd. vizio di sussunzione (sul quale, di recente, cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14/01/2019, Rv. 652398 -01; Sez. 5, Sentenza n. 23851 del 25/09/2019, Rv. 655150 -02): essa ha, infatti, applicato la disposizione di legge (l’art. 1189 c.c., il quale dispone la liberazione del debitore che paghi, in buona fede, ad un soggetto che non è creditore ma appaia univocamente come tale) ad una fattispecie concreta che, anche sulla base della stessa ricostruzione in fatto operata dalla stessa corte di merito, non rientrava affatto nel suo campo di applicazione.
Di seguito, COGNOME più dettagliatamente esposte le ragioni di tale conclusione.
3.5 Infatti, deve certamente ritenersi che l’applicazione dell’art. 1189 c.c. resti esclusa, in radice, in tutti i casi in cui al debitore siano espressamente avanzate pretese contrastanti, da diversi soggetti in conflitto tra loro, in ordine all’adempimento di un’obbligazione, quanto meno laddove non vi siano circostanze oggettive e univoche, come -tra l’altro un ordine giudiziale (se non pure la manifesta infondatezza o pretestuosità prima facie delle ragioni di uno dei contendenti), che gli impongano di effettuare il pagamento in favore di uno dei pretendenti e non dell’altro.
Sia dalla lettera che dalla ratio dell’art. 1189 c.c., infatti, si ricava che si tratta di una disposizione che mira semplicemente a tutelare il debitore che adempia, in buona fede (cd. soggettiva, cioè nell’ignoranza di poter danneggiare un altro soggetto), in una situazione in cui il soggetto al quale ha effettuato il pagamento appariva effettivamente e ‘ univocamente ‘ l’unico creditore legittimato, onde, non sussistendo alcun palese conflitto, egli non poteva ragionevolmente immaginare che l’effettivo creditore legittimato potesse essere un soggetto diverso, ignorando, anzi, del tutto (incolpevolmente) che vi fosse un altro soggetto potenzialmente legittimato.
Al contrario, è certamente fuori del campo di applicazione della disposizione in esame la ben diversa situazione in cui vi siano più soggetti che, contestualmente, ed in conflitto di pretese tra loro, avanzino al debitore la richiesta di pagamento.
La disposizione di cui all’art. 1189 c.c., diversamente da quanto ritenuto dalla corte territoriale, non è affatto diretta a tutelare il debitore, in caso di pretese creditorie in conflitto, attribuendogli una sorta di ‘ facoltà di scelta ‘ del soggetto cui utilmente pagare, sulla base di una, pur non irragionevole, valutazione degli elementi a sostegno del diritto dei pretesi creditori in
conflitto tra loro: per una situazione del genere l’ordinamento prevede, infatti, altre disposizioni a tutela della posizione del debitore ( in primis , il procedimento disciplinato dall’ art. 687 c.p.c., come meglio si vedrà).
Non può sussistere, d’altra parte, l’univocità richiesta dalla norma, laddove vi sia una situazione di palese conflitto (manifestato o, comunque, noto al debitore) tra più pretesi legittimati al pagamento.
In questa seconda situazione, infatti, in cui -stante l’effettiva incertezza sull’effettivo legittimato il debitore finirebbe per essere liberato a chiunque dei pretendenti effettui il pagamento (salvi casi limite) e, a parte la considerazione della tendenziale difficoltà di un recupero di quanto dovuto nei confronti di chi, pur non essendo creditore, abbia ottenuto la prestazione, in sostanza si finirebbe per attribuire, paradossalmente, al debitore la facoltà di decidere, di fatto arbitrariamente, quale dei pretendenti in conflitto favorire, ovvero, quanto meno, si tutelerebbe senza ragione la ‘ scelta non irragionevole ‘ del creditore, di pagare ad uno dei più pretendenti in conflitto tra loro.
È, dunque, qui l’equivoco che vizia, in diritto, la decisione impugnata: certamente non è quest’ultima la ratio e, quindi, la funzione dell’art. 1189 c.c., disposizione che presuppone, al contrario, l’assenza di un conflitto manifesto.
Proprio il richiamo della situazione di ‘ univocità ‘ dell’apparenza e la necessità della ‘ buona fede ‘ (soggettiva) del debitore, stanno chiaramente ad indicare che, in tutti i casi in cui vi siano più soggetti che manifestino al debitore contestualmente, ed in conflitto tra loro, le proprie pretese in relazione alla medesima obbligazione, l” univocità ‘ e la ‘ buona fede ‘ (cioè l’ignoranza di ledere il diritto altrui) non possano sussistere per definizione (salvi i casi eccezionali già indicati) e, quindi, ci si trova del tutto al di fuori del campo di applicazione dell’art. 1189 c.c..
Tale norma ha una ben precisa ratio ed un conseguente limitato campo di applicazione: la tutela dell’affidamento incolpevole del debitore che paghi in una situazione in cui non vi sia o non gli sia noto alcun conflitto in ordine all’individuazione del creditore effettivamente legittimato ad esigere (onde la legittimazione del soggetto a cui paga gli possa apparire effettivamente ‘ univoca ‘); essa non tutela, invece, la sua eventuale ‘ scelta ‘, perfino per quanto non irragionevole, nel caso in cui vi siano più soggetti in conflitto che, contemporaneamente, pretendano la prestazione, assumendo entrambi di essere legittimati a riceverla ; in quest’ultimo caso non può esservi, per definizione, ‘univocità’, fatta eventualmente salva unicamente la manifesta e palese pretestuosità di alcune delle pretese o l’esistenza di un ordine giudiziale (situazioni che di certo non ricorrono nella fattispecie in esame).
Escluso in radice che l’art. 1189 c.c. possa applicarsi in caso di contestuali e conflittuali pretese note al debitore al momento del pagamento, quanto meno se non del tutto manifestamente infondate, prima facie , in tali ultimi casi COGNOME altri gli strumenti di tutela di cui può avvalersi il debitore per evitare di incorrere in responsabilità e nella mora debendi : oltre alla temporanea sospensione del pagamento in attesa dell’accertamento del legittimato effettivo, è infatti per lui possibile avvalersi dell’ istituto del cd. sequestro liberatorio previsto dall’art. 687 c.p.c., al fine di mettere a disposizione dell’effettivo creditore la somma dovuta.
Laddove non intenda avvalersi di tali strumenti di tutela ed effettui il pagamento ad uno dei vari soggetti in conflitto che lo pretende, in una situazione in cui vi siano dubbi, soprattutto se non manifestamente infondati, sull’effettivo avente diritto, i l debitore che paghi ugualmente, invece di sospendere il pagamento in attesa dell’accertamento dell’effettivo avente diritto, si assume il rischio del l’erroneità del pagamento -in quanto,
cioè, non liberatorio -e non può invocare la tutela di cui all’art. 1189 c.c..
È, insomma, evidente anche che, essendo noto al debitore il conflitto tra più pretesi creditori, il pagamento in favore di uno di essi non potrebbe mai ritenersi connotato dalla cd. buona fede soggettiva , cioè dall’ignoranza di ledere l’altrui diritto, in quanto è evidente che il debitore non può non rendersi conto che, in una siffatta situazione, il pagamento in favore di uno dei pretendenti in conflitto potrebbe ledere irrimediabilmente le ragioni dell’altro, se quest’ultimo, cioè il ‘vero’ creditore, non avesse poi altra tutela che agire nei confronti del ‘falso’ creditore con l’azione di ripetizione.
3.6 Sulla base delle considerazioni fin qui esposte, è agevole rilevare che il presupposto in diritto (implicito, ma inequivocabile) della decisione impugnata sia del tutto contrastante con la corretta ricostruzione della ratio legis e del campo di applicazione dell’art. 1189 c.c.: la corte d’appello si è limitata, erroneamente, a valutare se il soggetto al quale è stato effettuato il pagamento potesse apparire ragionevolmente legittimato in astratto, come se non vi fosse alcun conflitto, cioè come se il pagamento non fosse avvenuto in presenza di una contemporanea e contrastante pretesa di un altro soggetto, che anch’esso poteva apparire legittimato ad esigerlo (anzi, nel caso di specie il pagamento è stato effettuato a favore del soggetto che, come poi accertato ormai in via definitiva, non era affatto l’effettivo legittimato).
In tal modo è, però, stato falsamente applicato l’art. 1189 c.c., in una fattispecie concreta estranea al suo ambito di operatività.
Deve concludersi che la motivazione con la quale la corte d’appello ha affermato la sussistenza di una situazione di apparente univocità della legittimazione di NOME COGNOME a riscuotere quanto dovuto in base alla polizza stipulata dal fratello risulta:
in primo luogo, fondata su argomentazioni erronee in diritto e logicamente contraddittorie;
inoltre, viziata dall’omesso esame di fatti controversi e decisivi.
3.7 La sentenza impugnata va, per quanto sin qui esposto, cassata affinché, in sede di rinvio, la corte d’appello rivalut i la fattispecie:
applicando il principio di diritto per cui « poiché l’art. 1189 c.c. è diretto a tutelare il solo debitore che paghi il creditore che appaia ‘univocamente’ tale, cioè la situazione in cui il pagamento avvenga in mancanza di un conflitto, noto al debitore, sulla relativa legittimazione, tale disposizione non è, di regola, applicabile nel caso in cui siano espressamente rivolte al debitore, prima del pagamento, pretese contrastanti da diversi potenziali aventi diritto (disponendo del resto il debitore di diversi e adeguati strumenti di tutela della sua posizione, per tale eventualità), salvo solo il caso eccezionale in cui alcune di suddette pretese appaiano, già prima facie, manifestamente infondate e pretestuose ovvero vi sia un ordine giudiziale che imponga il pagamento in favore di uno dei pretendenti »;
escludendo il rilievo automatico di un mero disconoscimento stragiudiziale di una sottoscrizione da parte del soggetto interessato, in mancanza di elementi oggettivi certi di riscontro, non essendo la disciplina di cui agli artt. 214 e ss. c.p.c. applicabile al di fuori del processo;
tenendo conto dei fatti decisivi e controversi di cui è stato omesso l’esame, dai quali emergeva che la RAGIONE_SOCIALE debitrice avesse elementi che dovevano indurla a dubitare della ‘genuinità’ delle contrastanti comunicazioni apparentemente ricevute da parte del sacerdote NOME, in ordine al beneficiario finale della polizza assicurativa.
Ricorso incidentale CNP RAGIONE_SOCIALE
4.1 Con il primo motivo si denunzia « violazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. e, in particolare, dell’ art. 1189 c.c. e art. 1235 c.c. ».
La società ricorrente deduce che l’« accertamento della ‘titolarità del diritto al beneficio’, ossia del diritto di credito agli importi dovuti dall’assicurazione è incompatibile con la statuizione della medesima sentenza che ha accertato la liberazione di CNP ex art. 1189 c.c. ».
Il motivo resta assorbito , in conseguenza dell’accoglimento del ricorso incidentale degli eredi COGNOME, in quanto la questione della effettiva liberazione della RAGIONE_SOCIALE di assicurazione, ai sensi dell’art. 1189 c.c., dovrà essere oggetto di rivalutazione in sede di rinvio.
4.2 Con il secondo motivo si denunzia « violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. e in particolare degli artt. 91 e 92 c.p.c. ».
La società ricorrente contesta la disposta compensazione delle spese di lite nei rapporti con gli eredi COGNOME.
Pure questo motivo resta assorbito, in ragione dell’accoglimento del ricorso incidentale degli eredi COGNOME, avendo esso ad oggetto la regolamentazione delle spese processuali, che dovrà essere oggetto di una nuova pronunzia in sede di rinvio.
Il ricorso incidentale proposto da NOME e COGNOME è accolto, nei limiti di cui sopra. È rigettato il primo motivo del ricorso principale. Sono assorbiti tutti gli altri motivi di ricorso.
La sentenza impugnata è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte d’a ppello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Per questi motivi
La Corte:
-rigetta il primo motivo del ricorso principale; accoglie, per quanto di ragione, il ricorso incidentale di NOME e COGNOME, assorbiti tutti gli altri motivi di ricorso proposti dalle
parti; per l’effetto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e nei limiti di cui in motivazione, con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Ci-