Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18282 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18282 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/07/2024
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso nr. 13498/2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE dr. NOME COGNOME e dr.ssa NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimato – avverso il decreto nr. 1302/2020 del Tribunale di Roma depositato in data 26/3/2020;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1 Il Tribunale di Roma, con decreto del 26/3/2020, ha respinto l’opposizione proposta dallo RAGIONE_SOCIALE e dr.ssa NOME COGNOME (di seguito RAGIONE_SOCIALE) avverso lo stato passivo formato dal curatore del Fallimento della RAGIONE_SOCIALE e reso esecutivo dal G.D., che aveva escluso il credito di € 34.228,22 di cui l’opponente aveva chiesto l’ammissione -con collocazione privilegiata ex art 2751 bis, 1° comma nr. 2, c.c. -a titolo di compenso per prestazioni professionali rese in favore della società poi fallita.
2 Il tribunale ha ritenuto che lo RAGIONE_SOCIALE non avesse fornito prova della titolarità del credito insinuato, in quanto da tutti i documenti prodotti si evinceva che l’incarico era stato conferito personalmente al AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e che anche il compenso per le prestazioni eseguite era stato pattuito fra AVV_NOTAIO e detto professionista; ha escluso, inoltre, che la prova in questione potesse trarsi dalle dichiarazioni rese dai testi chiamati a deporre nel giudizio di cognizione ordinaria promosso dall’associazione dei RAGIONE_SOCIALE professionisti contro NOME COGNOME ancora in bonis, conclusosi in primo grado con sentenza di rigetto della domanda.
3 Lo RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione del decreto affidato a tre motivi; il Fallimento non ha svolto difese.
CONSIDERATO CHE:
1 Il primo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 36 c.c. e 81 c.p.c. per non aver il tribunale tenuto conto che, indipendentemente dal conferimento del mandato al solo AVV_NOTAIO COGNOME, la legittimazione dello RAGIONE_SOCIALE ad azionare il credito trovava fondamento negli accordi interni degli associati e,
segnatamente, nell’art. 8 dell’atto costitutivo dell’ associazione professionale, in base al quale « gli associati apportano allo studio ogni diritto di credito esistente a loro favore verso i propri clienti alla data del 1 gennaio 2004 ».
1.1 Il secondo motivo prospetta violazione dell’art. 360 1° comma nr. 5 c.p.c. -omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dal contenuto del citato art. 8 dello statuto dell’associazione.
1.2 Il terzo motivo oppone violazione degli artt. 116 c.p.c., 2697 c.c. e 2709 e 2710 c.c. per avere il tribunale valutato in maniera non adeguata il quadro probatorio.
2.Va preliminarmente rilevato che, secondo quanto emerge dagli atti di causa, lo RAGIONE_SOCIALE aveva promosso contro RAGIONE_SOCIALE ancora in bonis un giudizio di cognizione ordinaria per ottenere il pagamento del credito professionale di cui si controverte in questa sede. Il giudizio si era concluso in primo grado con sentenza del Tribunale di Roma del 10/9/2013, di rigetto della domanda, che era stata appellata dall’attore. Nelle more del giudizio di secondo grado la convenuta/appellata era però fallita. Lo RAGIONE_SOCIALE si era quindi insinuato al passivo, mentre il processo d’appello era stato dichiarato interrotto il 16/9/2019 e mai più riassunto dalle parti, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.
2.1. Secondo la giurisprudenza formatasi anteriormente all’entrata in vigore del d. lsg. n. 5/2006 e del successivo decreto ‘correttivo’, nel caso, quale quello di specie, in cui il credito insinuato era stato già azionato in sede ordinaria, con domanda respinta in primo grado da sentenza non ancora coperta da giudicato alla data del fallimento, trovava comunque applicazione il disposto dell’art 95, 3° comma, l.fall, a tenore del quale «se il credito risulta da sentenza non passata in giudicato, è necessaria l’impugnazione se
non si vuole ammettere il credito»; con la conseguenza che il creditore che aveva visto respinta la propria domanda di condanna, una volta intervenuto il fallimento del preteso debitore, era tenuto a proporre o proseguire l’appello nei confronti del curatore, legittimato non solo a proporre l’impugnazione ma anche (passivamente) a subirla (cfr., tra le tante, Cass. nn. 11692/2005, 3598/1998, 13974/1991, 928/1989).
2.2. A sostegno di tale opinione militavano sia l’esigenza di evitare che la sentenza pronunciata prima della dichiarazione di fallimento divenisse irretrattabile per effetto della mancata impugnazione, sia evidenti ragioni di economia processuale, onde evitare che una questione già decisa nella sua sede naturale fosse posta nuovamente in discussione in un giudizio di primo grado, sia infine l’illogicità del diverso regime processuale cui il medesimo credito sarebbe altrimenti rimasto assoggettato a seconda dell’ accoglimento o del rigetto della domanda.
3 Ciò premesso, il collegio reputa che sia meritevole di un approfondimento in pubblica udienza, alla presenza delle parti e del p.m., la questione della estensibilità o meno dei predetti approdi, formatisi in epoca anteriore alla riforma della l. fall., anche all’attuale testo dell’ art. 96 l.fall., il cui 2° comma, al n. 3, prevede l’ammissione al passivo con riserva dei crediti accertati con sentenza non ancora passata in giudicato pronunziata prima della dichiarazione di fallimento, lasciando nel contempo al curatore la possibilità di proporre o proseguire il giudizio d’impugnazione,
PQM
La Corte rinvia il ricorso a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza
Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2024
La Presidente
NOME