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Credito sopravvenuto fallimento: i termini per agire

Una società presenta una domanda di insinuazione per un credito sopravvenuto al fallimento dopo 15 mesi dal suo sorgere, attendendo una perizia tecnica. La Corte di Cassazione conferma l’inammissibilità della domanda, stabilendo che anche per i crediti post-fallimentari, il creditore deve agire con ragionevole diligenza. L’attesa ingiustificata della perizia costituisce un ritardo colpevole, non essendo una causa esterna non imputabile.

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Credito Sopravvenuto al Fallimento: Quando è Troppo Tardi per Agire?

Cosa succede quando un credito sorge dopo che il debitore è già stato dichiarato fallito? Esiste un limite di tempo per presentare la domanda di ammissione al passivo? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questo tema cruciale, delineando i confini tra un’attesa legittima e un ritardo colpevole. L’analisi del credito sopravvenuto al fallimento rivela che il principio di ragionevolezza è la chiave per bilanciare i diritti del creditore con l’esigenza di celerità della procedura concorsuale.

I Fatti del Caso

Una società immobiliare, committente di lavori edili, scopriva un grave difetto di costruzione (il distacco di una mattonella dalla facciata di un edificio) il 13 aprile 2017. La società costruttrice, responsabile del difetto, era nel frattempo stata dichiarata fallita. Per quantificare con esattezza il danno, la società immobiliare avviava un procedimento di accertamento tecnico preventivo. Solo all’esito di tale procedimento, in data 24 settembre 2018, e quindi a distanza di ben quindici mesi dal manifestarsi del danno, presentava la domanda di insinuazione al passivo del fallimento per ottenere il risarcimento.

La Decisione del Tribunale e i Motivi del Ricorso

Il Tribunale di Pescara rigettava la domanda, dichiarandola inammissibile perché “ultratardiva”. Secondo il giudice di merito, il ritardo era imputabile alla stessa società creditrice, la quale aveva atteso inutilmente la conclusione dell’accertamento tecnico, procedura non indispensabile per presentare la domanda di insinuazione. La società creditrice ricorreva in Cassazione, sostenendo che i termini rigidi previsti dall’art. 101 della Legge Fallimentare non dovrebbero applicarsi ai crediti sorti dopo la dichiarazione di fallimento e che il termine per agire avrebbe dovuto decorrere non dal giorno del danno, ma dal deposito della consulenza tecnica che ne accertava l’entità.

Credito Sopravvenuto Fallimento: L’Analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando la decisione del Tribunale. Gli Ermellini hanno chiarito un principio fondamentale: anche in relazione a un credito sopravvenuto al fallimento, il creditore è tenuto a un dovere di collaborazione e deve agire secondo un criterio di ragionevolezza e buona fede per non pregiudicare la celerità della procedura fallimentare.

Il Principio di Ragionevolezza e la Prova Liberatoria

Sebbene per i crediti sopravvenuti non si applichi il termine decadenziale fisso previsto per i crediti anteriori al fallimento, il creditore non può presentare la domanda a suo piacimento. Se la domanda viene presentata “tardivamente”, spetta al creditore fornire la prova liberatoria, ossia dimostrare che il ritardo è dipeso da una causa a lui non imputabile. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che l’attesa dell’esito dell’accertamento tecnico non costituisse una causa esterna giustificativa. La società creditrice avrebbe potuto e dovuto presentare la domanda di ammissione al passivo non appena il diritto al risarcimento era sorto (cioè al manifestarsi del danno), lasciando che l’esatto ammontare del credito venisse accertato all’interno della procedura fallimentare stessa.

Le Motivazioni

Il cuore della motivazione della Corte risiede nel bilanciamento tra il diritto di azione del creditore e l’interesse pubblico alla rapida conclusione delle procedure concorsuali. I giudici hanno sottolineato che la disciplina delle domande ultratardive (art. 101, comma 4, l. fall.) si fonda su una presunzione di inammissibilità superabile solo con la prova della non imputabilità del ritardo. Attendere la conclusione di un giudizio esterno per la quantificazione del credito, quando questo poteva essere accertato in sede fallimentare, non è una causa di forza maggiore o un fatto terzo, ma una scelta procedurale del creditore. Tale scelta, protraendosi per quindici mesi, ha generato un ritardo irragionevole e quindi colpevole, giustificando pienamente il rigetto della domanda.

Le Conclusioni

La decisione offre un’importante lezione pratica: chi vanta un credito sorto dopo la dichiarazione di fallimento di un’impresa deve attivarsi con tempestività. Non è prudente attendere la definizione di procedimenti esterni per la quantificazione esatta del proprio diritto. La via corretta è presentare la domanda di insinuazione al passivo non appena il credito sorge, anche con riserva di successiva quantificazione, per poi partecipare attivamente alla fase di verifica dei crediti. Agire diversamente espone al rischio concreto di vedere la propria domanda dichiarata inammissibile per ritardo colpevole, con la conseguente impossibilità di recuperare quanto dovuto.

Esiste un termine per presentare una domanda di insinuazione per un credito sopravvenuto al fallimento?
Non esiste un termine di decadenza fisso e predeterminato come per i crediti sorti prima del fallimento. Tuttavia, il creditore è tenuto ad agire secondo un criterio di ragionevolezza e buona fede, senza ritardi ingiustificati, per non ostacolare la celerità della procedura fallimentare.

Attendere l’esito di un accertamento tecnico preventivo giustifica un ritardo nella presentazione della domanda?
No. Secondo la Corte di Cassazione, attendere la conclusione di un procedimento di istruzione preventiva per quantificare il danno non è una causa esterna non imputabile che giustifica il ritardo. La domanda poteva essere presentata prima e l’ammontare esatto del credito poteva essere accertato direttamente in sede di verifica del passivo fallimentare.

Chi deve provare che il ritardo nella presentazione di una domanda ultratardiva non è colpevole?
L’onere della prova spetta interamente al creditore. È quest’ultimo che deve dimostrare in modo rigoroso che il ritardo è dipeso da una causa a lui non imputabile, al fine di superare la presunzione di inammissibilità della domanda.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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