Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 10616 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 10616 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
SENTENZA
sul ricorso nr. 13498/2020 proposto da:
Studio Commerciale dr. NOME COGNOME e dr.ssa NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME
-ricorrente –
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE intimato
avverso il decreto nr. 1302/2020 del Tribunale di Roma depositato in data 26/3/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/2/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
FATTI DI CAUSA
1 Il Tribunale di Roma, con decreto del 26/3/2020, ha respinto l’opposizione proposta dallo Studio Associato dr. NOME COGNOME e dr.ssa NOME COGNOME (di seguito Studio Associato) avverso lo stato passivo formato dal curatore del Fallimento della RAGIONE_SOCIALE e reso esecutivo dal Giudice Delegato, che aveva escluso il credito di € 34.228,22 di cui l’opponente aveva chiesto l’ammissione – con collocazione privilegiata ex art 2751 bis, 1° comma nr. 2, c.c. – a titolo di compenso per prestazioni professionali rese in favore della società poi fallita.
2 Il Tribunale ha ritenuto che lo RAGIONE_SOCIALE non avesse fornito prova della titolarità del credito insinuato, in quanto da tutti i documenti prodotti si evinceva che l’incarico era stato conferito personalmente al dr. NOME COGNOME e che anche il compenso per le prestazioni eseguite era stato pattuito fra RAGIONE_SOCIALE e detto professionista; ha escluso, inoltre, che la prova in questione potesse trarsi dalle dichiarazioni rese dai testi chiamati a deporre nel giudizio di cognizione ordinaria promosso dall’associazione dei due professionisti contro RAGIONE_SOCIALE ancora in bonis, conclusosi in primo grado con sentenza di rigetto della domanda.
3 Lo Studio RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione del decreto affidato a tre motivi; il Fallimento non ha svolto difese.
3.1 Con ordinanza interlocutoria del 4/7/2024 il procedimento, avviato per la trattazione in camera di consiglio, è stato rimesso alla pubblica udienza per un approfondimento sulla questione della estensibilità o meno anche all’ attuale testo dell’ art. 96 L.Fall. (il cui 2° comma, al n. 3, prevede l’ammissione al passivo con riserva dei crediti accertati con sentenza non ancora passata in giudicato pronunziata prima della dichiarazione di fallimento, lasciando nel contempo al curatore la possibilità di proporre o proseguire il giudizio d’impugnazione), dell’indirizzo giurisprudenziale, formatosi in epoca anteriore alla riforma della legge fallimentare, secondo il quale, nel caso in cui il credito insinuato sia stato già azionato in sede ordinaria, con domanda respinta in primo grado da sentenza non ancora coperta da giudicato alla data del fallimento, trovi comunque applicazione il disposto dell’art 95, 3 comma, l.fall., quale espressione di un principio generale per tutti i crediti che abbiano avuto un accertamento giudiziale anche in senso negativo. Il ricorrente ha depositato memoria ex art 380 bis 1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 Il primo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 36 c.c. e 81 c.p.c. per non aver il tribunale tenuto conto che, indipendentemente dal conferimento del mandato al solo dr. COGNOME la legittimazione dello Studio Associato ad azionare il credito trovava fondamento negli accordi interni degli associati e, segnatamente, nell’art. 8 dell’atto costitutivo dell’ associazione professionale, in base al quale « gli associati apportano allo studio ogni diritto di credito esistente a loro favore verso i propri clienti alla data del 1 gennaio 2004 ».
1.1 Il secondo motivo prospetta violazione dell’art. 360, comma 1 nr. 5 c.p.c. -omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio
che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dal contenuto del citato art. 8 dello statuto dell’associazione.
1.2 Il terzo motivo oppone violazione degli artt. 116 c.p.c., 2697 c.c. e 2709 e 2710 c.c. per avere il tribunale valutato in maniera non adeguata il quadro probatorio.
2 I motivi da esaminarsi congiuntamente sono infondati anche se la motivazione del decreto va integrata.
2.1 Secondo quanto emerge dagli atti di causa, lo Studio RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE aveva promosso contro RAGIONE_SOCIALE ancora in bonis un giudizio di cognizione ordinaria per ottenere il pagamento del credito professionale di cui si controverte in questa sede. Il giudizio si era concluso in primo grado con sentenza del Tribunale di Roma del 10/9/2013, di rigetto della domanda, che era stata appellata dall’attore. Nelle more del giudizio di secondo grado la convenuta/appellata era però fallita. Lo Studio Associato si era quindi insinuato al passivo, mentre il processo d’appello era stato dichiarato interrotto il 16/9/2019 e mai più riassunto dalle parti, come da affermazione dello stesso ricorrente (pagina sette del ricorso), con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.
2.2 Secondo la giurisprudenza formatasi anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 5/2006 e del successivo decreto “correttivo”, nel caso, quale quello di specie, in cui il credito insinuato era stato già azionato in sede ordinaria, con domanda respinta in primo grado da sentenza non ancora coperta da giudicato alla data del fallimento, trovava comunque applicazione il disposto dell’art 95, comma 3, l-fall. a tenore del quale « se il credito risulta da sentenza non passata in giudicato, è necessaria l’impugnazione se non si vuole ammettere il credito » con la conseguenza che il creditore che aveva visto respinta la propria domanda di condanna, una volta intervenuto il fallimento del preteso debitore, era tenuto a proporre o proseguire l’appello nei confronti del curatore,
legittimato non solo a proporre l’impugnazione ma anche (passivamente) a subirla (cfr., tra le tante, Cass. nn. 11692/2005, 3598/1998, 13974/1991, 928/1989).
2.3 A sostegno di tale opinione militavano sia l’esigenza di evitare che la sentenza pronunciata prima della dichiarazione di fallimento divenisse irretrattabile per effetto della mancata impugnazione, sia evidenti ragioni di economia processuale, onde evitare che una questione già decisa nella sua sede naturale fosse posta nuovamente in discussione in un giudizio di primo grado, sia infine l’illogicità del diverso regime processuale cui il medesimo credito sarebbe altrimenti rimasto assoggettato a seconda dell’ accoglimento o del rigetto della domanda.
2.4 Orbene, le suindicate ragioni di evitare inutili duplicazioni di attività processuali, sottese all’ interpretazione estensiva dell’art 95, comma 3, l.fall., nella sua primigenia versione, in modo da comprendere anche i crediti oggetto di accertamento negativo da parte della sentenza di merito non passata in giudicato, sono state ritenute valide ed efficaci anche alla luce del nuovo art. 96 comma 2 l.fall secondo il quale « oltre che nei casi stabiliti dalla legge , sono ammessi al passivo con riserva : 3) i crediti accertati con sentenza del giudice ordinario o speciale non passata in giudicato pronunciata prima della dichiarazione di fallimento. Il curatore può proporre o proseguire il giudizio di impugnazione ».
2.5 La consolidata giurisprudenza di questa Corte (cui il Collegio intende dare piena continuità) ha, infatti, affermato che « in tema di ammissione al passivo fallimentare con riserva, la L. Fall., art. 96, comma 2, n. 3, deve essere interpretato estensivamente, in modo da ricomprendere anche i crediti oggetto di accertamento negativo da parte di una sentenza non passata in giudicato e pronunciata prima della dichiarazione di fallimento” (così Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 11362 del 10/05/2018, Rv. 648583-01). In altri termini, il principio per cui “nel caso in cui un soggetto,
rimasto soccombente all’esito di un giudizio di condanna, sia dichiarato fallito nel corso del giudizio di impugnazione, l’azione proposta non è improcedibile, in quanto, a norma della L. Fall., art. 96, il creditore, sulla base della sentenza impugnata, può insinuarsi al passivo con riserva, mentre il curatore, dal suo canto, può proseguire il giudizio di impugnazione” (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 14768 del 30/05/2019, Rv. 654096-01), in realtà vale anche nella contraria ipotesi in cui il fallimento (o la liquidazione coatta amministrativa) sopravvenga alla sentenza di rigetto, anche solo parziale, della domanda proposta da un creditore, risultando tale soluzione coerente con il principio della ragionevole durata del processo. Ne consegue che, in tal caso, il creditore, per evitare gli effetti preclusivi derivanti dal passaggio in giudicato della decisione di merito, deve proporre impugnazione in via ordinaria nei confronti della curatela, e la sentenza di accertamento del credito, eventualmente emessa in riforma di quella di primo grado, spiega efficacia nei confronti della procedura, allo stesso modo di quella di rigetto dell’impugnazione proposta o proseguita dal curatore in caso di accoglimento della domanda in primo grado (cfr. ex multis: Cass., Sez. L, Ordinanza n. 2018 del 26/01/2018; Sez. 1, Sentenza n. 3338 del 19/02/2015; Sez. 6-1, Ordinanza n. 17834 del 22/07/2013; Sez. 1, Sentenza n. 26041 del 23/12/2010; Sez. 1, Sentenza n. 4646 del 26/02/2009; Sez. L, Sentenza n. 5113 del 27/02/2008) ».(cfr. Cass. 7741/2020 vedi anche Cass. 11741/2021, 17154/2024 e, in tema di amministrazione straordinaria, 3165/2021 e 6293/2022).
Nella specie si è verificata la prima ipotesi sopra descritta.
2.7 Il fallimento della convenuta RAGIONE_SOCIALE è sopraggiunto dopo la sentenza di rigetto in primo grado della domanda proposta nei suoi confronti dallo Studio Commerciale; sempre anteriormente all’apertura della procedura concorsuale lo Studio RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello ed il relativo giudizio si è interrotto, ma
l’appellante non ha provveduto alla sua riassunzione con il conseguente passaggio in giudicato dell’accertamento negativo del credito contenuto nella sentenza di primo grado che preclude l’accoglimento della pretesa creditoria fatta valere in sede fallimentare.
3 Nulla è da statuire sulle spese del presente giudizio non avendo il Fallimento svolto difese.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Dà atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del d.P.R. del 30.05.2002 n.115, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, se dovuto, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella Camera di Consiglio tenutasi in data 25 febbraio