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Credito professionale privilegiato: la Cassazione decide

Un professionista, socio di un’associazione, ha richiesto il riconoscimento del suo credito professionale privilegiato nei confronti di una società in concordato preventivo. La Corte d’Appello aveva negato il privilegio, attribuendo la prestazione all’associazione. La Corte di Cassazione ha annullato questa decisione, definendola un’illogica contraddizione. Se il credito è del singolo professionista, il privilegio non può essere negato riconducendo la prestazione a un soggetto terzo, l’associazione, che non era nemmeno parte in causa.

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Credito Professionale Privilegiato: a chi spetta se il professionista è socio di un’associazione?

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un’importante questione relativa al credito professionale privilegiato, chiarendo la titolarità del credito e del relativo privilegio quando il prestatore d’opera è socio di un’associazione professionale. La decisione sottolinea un principio di logica giuridica fondamentale: non si può riconoscere la titolarità di un credito a un soggetto per poi negargli il privilegio attribuendo la prestazione a un altro. Analizziamo insieme i dettagli di questo interessante caso.

I Fatti di Causa

Un dottore commercialista, socio di un’associazione professionale, aveva svolto per anni attività di consulenza e assistenza in favore di una società. Successivamente, quest’ultima veniva ammessa alla procedura di concordato preventivo. Nell’ambito di tale procedura, il credito del professionista veniva riconosciuto solo in parte e, soprattutto, veniva contestata la sua natura privilegiata ai sensi dell’art. 2751-bis n. 2 c.c.

Il professionista, agendo in proprio nome, si rivolgeva al Tribunale, che accoglieva la sua domanda, riconoscendo l’intero ammontare del credito e confermandone la natura privilegiata. La società, tuttavia, proponeva appello.

La Decisione Contraddittoria della Corte d’Appello

La Corte d’Appello, pur confermando l’esistenza e l’ammontare del credito in capo al singolo professionista, riformava la decisione di primo grado su un punto cruciale: il privilegio. Secondo i giudici di secondo grado, il credito professionale privilegiato non poteva essere riconosciuto perché la prestazione era, a loro avviso, riconducibile all’associazione professionale di cui il professionista era socio. In sostanza, la Corte d’Appello affermava che il credito era del singolo, ma la prestazione era dell’associazione, negando così il carattere personale necessario per il riconoscimento del privilegio.

Le motivazioni della Cassazione sul credito professionale privilegiato

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del professionista, definendo il ragionamento della Corte d’Appello un “ossimoro”, ovvero una palese contraddizione in termini. I giudici supremi hanno chiarito che l’affermazione del giudice di merito è logicamente insostenibile. Se il credito è del professionista che ha agito in giudizio, come confermato dalla stessa Corte d’Appello, non si può poi affermare che la prestazione sia riconducibile a un soggetto terzo (l’associazione professionale) che non è nemmeno parte del processo.

La Cassazione ha evidenziato che, seguendo la logica della Corte d’Appello, la domanda del professionista avrebbe dovuto essere rigettata nel merito fin dall’inizio, in quanto proposta da un soggetto non titolare del diritto. Invece, una volta accertato che il creditore è il singolo professionista, ogni valutazione, inclusa quella sulla natura privilegiata del credito, deve essere condotta avendo come unico riferimento la sua persona. Attribuire la titolarità del credito a una parte e la fonte della prestazione a un’altra, estranea al giudizio, per negare un diritto conseguente come il privilegio, costituisce un errore giuridico che vizia l’intera decisione.

Le conclusioni

La Suprema Corte ha quindi cassato la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte d’Appello in diversa composizione. Il principio stabilito è di fondamentale importanza: la titolarità di un diritto di credito non può essere scissa dalla prestazione che ne è all’origine. Se un professionista agisce in proprio per il recupero di un compenso, e il giudice accerta che egli è l’effettivo creditore, non può poi negare il credito professionale privilegiato sulla base del fatto che egli operi all’interno di un’associazione. Questa pronuncia riafferma la coerenza logica come pilastro del ragionamento giuridico e tutela i diritti dei professionisti che, pur associati, agiscono e vantano crediti a titolo personale.

Il credito di un professionista che è socio di un’associazione professionale appartiene sempre all’associazione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, se il professionista agisce in proprio e viene accertato che la titolarità del credito è in capo a lui, il credito è da considerarsi suo e non dell’associazione.

L’omologazione di un concordato preventivo rende definitive le decisioni sui singoli crediti?
No, l’approvazione (omologazione) del piano di concordato non forma un giudicato sull’esistenza, l’importo o il rango (privilegiato o meno) dei crediti. Un creditore può sempre intentare una causa ordinaria per far accertare pienamente i propri diritti.

Può un giudice affermare che un credito appartiene a una persona, ma negargli il privilegio perché la prestazione è di un altro soggetto (come un’associazione)?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che questo tipo di ragionamento è un’illogica contraddizione (“ossimoro”). Se viene accertato che una persona è la titolare del credito, la valutazione del relativo privilegio deve basarsi su questa titolarità, senza poter attribuire la prestazione a un soggetto terzo ed estraneo alla causa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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