Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 10524 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 10524 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12667/2022 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona dell’Amministratore unico e legale rappresentante p.t., NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE, domicilio digitale ex lege ; -ricorrente-
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, domicilio digitale ex lege ; -controricorrente-
e nei confronti di RAGIONE_SOCIALE
– intimate-
e sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente incidentale-
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, domicilio digitale ex lege ;
– controricorrente- avverso la SENTENZA della CORTE d’appello di NAPOLI n. 4227/2021, depositata il 15/11/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Benevento, con sentenza n. 2508/2015, accoglieva la domanda proposta dalla NOME RAGIONE_SOCIALE e per l’effetto dichiarava, ai sensi dell’art. 2901 cod.civ., l’inefficacia nei suoi confronti e nei confronti di NOME COGNOME (cui la Mario RAGIONE_SOCIALE aveva ceduto pro soluto il credito litigioso nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, della RAGIONE_SOCIALE nonché dell’RAGIONE_SOCIALE società consortile) del contratto con cui la RAGIONE_SOCIALE aveva venduto due immobili, siti in Napoli, alla RAGIONE_SOCIALE
Pur dando atto che il decreto n. 542/1997, con cui alla RAGIONE_SOCIALE era stato ingiunto il pagamento in favore della Mario RAGIONE_SOCIALE di euro 350.429,75, era stato revocato dal Tribunale di Napoli, con sentenza n. 2966/2012, che il credito della ingiungente era stato rideterminato in euro 99.125,25 e che la RAGIONE_SOCIALE aveva già corrisposto alla RAGIONE_SOCIALE la maggior somma di euro 410.000,00, il tribunale, dopo aver precisato che la sentenza n. 2966/2012 era stata impugnata e che quindi il credito era ancora sub iudice , riteneva
ricorrenti tutti i presupposti per accogliere la domanda revocatoria, precisando che: i) era stato posto in essere un atto di trasferimento a titolo oneroso successivo al sorgere del credito in favore di una società <>, in quanto il suo legale rappresentante, alla data della vendita, era NOME COGNOME, amministratore della RAGIONE_SOCIALE; ii) la disponente aveva già alienato altri immobili di sua proprietà alla Intesa Leasing S.p.A. e quindi con l’atto revocando aveva dismesso l’intero suo patrimonio immobiliare e non aveva dedotto né provato di essere proprietaria di altri beni idonei a garantire il soddisfacimento delle ragioni di credito della società attrice.
La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza n. 4227/2021 depositata il 15/11/2021, all’esito del giudizio promosso, in via principale, da RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), e, in via incidentale, da RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), ha rigettato entrambi i gravami ed ha confermato la pronuncia resa dal tribunale.
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ricorrono con separati ricorsi avverso detta sentenza, formulando, rispettivamente, due e tre motivi. Il ricorso della RAGIONE_SOCIALE va considerato incidentale.
NOME COGNOME cessionario pro soluto del credito della Mario RAGIONE_SOCIALE resiste con separati controricorsi ad entrambi.
La RAGIONE_SOCIALE non svolge attività difensiva in questa sede.
La trattazione dei ricorsi è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo RAGIONE_SOCIALE denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901
cod.civ. in connessione con l’art. 2740 cod.civ. e art. 2909 cod.civ., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 5 cod.proc.civ.
Attinte da censura sono le statuizioni con cui la corte d’appello, dopo aver ritenuto ancora sub iudice , essendo ancora pendente il giudizio di rinvio, il credito della RAGIONE_SOCIALE.p.A.RAGIONE_SOCIALE ha escluso che il credito tutelato con l’azione revocatoria fosse stato dichiarato <> ed ha negato la sussistenza dei presupposti per <>, attesa la permanenza dell’interesse del creditore alla conservazione della garanzia patrimoniale della RAGIONE_SOCIALE
Secondo la ricorrente, invece, si sarebbe formato il giudicato, in forza della pronuncia di questa Corte n. 2095/2018, in ordine ai rapporti obbligatori tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, alla consistenza del debito della RAGIONE_SOCIALE (che sarebbe pari ad euro 99.125,25) nonché al connesso intervenuto pagamento di euro 410.00,00 nel dicembre 2004, da parte della RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE
A sostegno di tali conclusioni la ricorrente adduce che:
con il decreto n. 542/97 alla RAGIONE_SOCIALE, alla RAGIONE_SOCIALE e alla RAGIONE_SOCIALE era stato ingiunto il pagamento in favore della Mario RAGIONE_SOCIALE di Lire 678.526.631 per il mancato pagamento di forniture da parte dell’RAGIONE_SOCIALE, alla quale l’A.T.I. (costituita dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE per eseguire un contratto di appalto stipulato con il comune di Ariano Irpino, avente ad oggetto la realizzazione delle infrastrutture di un piano di insediamenti produttivi in INDIRIZZO INDIRIZZO) aveva affidato la realizzazione delle opere;
a saldo della somma dovuta la RAGIONE_SOCIALE nel dicembre 2004 aveva corrisposto euro 410.000,00;
la Corte d’appello di Napoli, dapprima, con sentenza non definitiva n. 2347/05 e, successivamente, con sentenza definitiva n. 2966/12, aveva revocato il decreto ingiuntivo n. 542/97, accertando un debito della RAGIONE_SOCIALE per soli sei ordini di acquisto allegati al ricorso per decreto ingiuntivo e per un importo complessivo di euro 99.125,25, escludendo la responsabilità solidale della RAGIONE_SOCIALE per gli ordinativi effettuati dalla RAGIONE_SOCIALE ad essa esclusivamente imputabili;
-questa Corte, con la sentenza n. 2095/2018: i) aveva confermato la pronunzia della corte d’appello n. 2966/12, disattendendo il primo ed il secondo motivo di ricorso con cui NOME COGNOME (cessionario del credito della RAGIONE_SOCIALE ed intervenuto nel giudizio ex art. 111 cod.proc.civ.) aveva denunziato la violazione dell’art. 1363 cod.civ. e la ricorrenza di vizi di motivazione con riferimento alla sentenza parziale della Corte d’appello di Napoli n. 2347/2005 e all’art. 1 delle condizioni generali di contratto nonché la violazione degli artt. 1362, 1366 e 1371 cod.civ. per errori sia della sentenza parziale sia della sentenza definitiva, là dove avevano ritenuto la responsabilità debitoria della RAGIONE_SOCIALE limitata ai soli ordini scritti e per un importo di euro 99.125,25; ii) aveva stabilito che il giudice del rinvio non avrebbe potuto <>.
La sua tesi è dunque che il terzo e il quarto motivo di ricorso per cassazione ed il rinvio pendente innanzi ad altra sezione della corte d’appello Napoli non attenessero in alcun modo all’accertamento della responsabilità e del debito della RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, risultando, al
contrario, che era la RAGIONE_SOCIALE a vantare un credito restitutorio, essendo stato accertato dalla Corte d’appello di Napolicon sentenza passata in giudicato in parte qua per effetto di Cass. 2095/2018- che il credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE era pari ad euro 99.125,25 (tant’è che il decreto ingiuntivo su cui era fondata l’azione revocatoria era stato revocato) e che la RAGIONE_SOCIALE aveva estinto il credito di cui al decreto ingiuntivo revocato, pagando la maggior somma di euro 410.000,00.
2) Con il secondo motivo la ricorrente prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 cod.civ. in connessione con l’art. 2740 cod.civ., in riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 5 cod.proc.civ., per avere il giudice a quo ritenuto sussistenti: a) il consilium fraudis, considerando <>; b) l’ eventus damni in ragione del <>. A detta conclusione la corte territoriale sarebbe giunta, omettendo di considerare che la RAGIONE_SOCIALE aveva versato alla creditrice la somma di euro 410.000,00, che il valore dell’immobile l’oggetto di revocatoria era pari ad euro 995.000,00, al netto di Iva.
Con il primo motivo la ricorrente incidentale RAGIONE_SOCIALE si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ., 112 e 324 cod. proc. civ.
La tesi prospettata è che il giudice a quo avrebbe dovuto rigettare la domanda revocatoria essendo stata accertata con efficacia di
giudicato l’inesistenza del credito per il quale la RAGIONE_SOCIALE aveva agito.
Una conclusione diversa non potrebbe, a suo avviso, trovare giustificazione nell’accoglimento del terzo e del quarto motivo di ricorso da parte di Cass. n. 2095/2018, perché, essendo il giudizio di rinvio la prosecuzione del pregresso procedimento, esso è preordinato all’emanazione di una nuova sentenza di merito che, applicando i principi di diritto enunciati dal giudice di legittimità, sostituisca quella cassata.
4) Con il secondo motivo la ricorrente prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 cod.civ., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod. proc. civ., in relazione all’art. 2901 cod. civ.
Attinta da censura è la statuizione con cui la corte d’appello ha ritenuto che la formula <> di cui all’art. 2901 cod.civ. ricomprenda qualunque fattispecie di credito eventuale e, quindi, anche quella oggetto di accertamento giudiziale (c.d. credito litigioso).
Pur muovendo dall’assunto che le Sezioni unite di questa Corte, con la sentenza 18/05/2004, n. 9440, hanno ritenuto che anche il credito litigioso può essere oggetto di tutela ai sensi dell’art. 2901 cod.civ., la ricorrente si fa promotrice di un’esigenza di <> in considerazione <>.
Gli argomenti con cui tale istanza è supportata muovono, innanzitutto, da alcuni richiami giurisprudenziali relativi al ruolo dell’interpretazione giudiziale e allo spazio guadagnato dal diritto vivente, tra i principali:
Cass., Sez. Un., 12/02/2019, n. 4135 che, considerando che l’interpretazione giudiziale consente alla disposizione legislativa di divenire norma e di assumere il significato attribuitole dall’interprete tra i diversi e plausibili significati traibili dal testo secondo le variabili dello spazio e del tempo nel quale il momento esegetico si realizza, investe l’avvocato dell’obbligo di proporre soluzioni favorevoli agli interessi del cliente anche nelle situazioni che richiedono la soluzione di problemi interpretativi complessi, di attivarsi concretamente nel giudizio con gli strumenti offerti dal diritto processuale, indicando strade interpretative nuove, portando argomenti che facciano dubitare delle soluzioni giurisprudenziali correnti;
Corte Cost. 25/02/2011, n. 4687 e Corte Cost. 4/04/1990 n. 155, secondo cui la funzione del giudice è quella di applicare al caso concreto la legge intesa secondo le comuni regole dell’ermeneutica e, in tal modo, di svelarne il significato corretto pur sempre insito nella stessa in un dato momento storico quale espressione di un determinato contesto sociale e culturale;
Corte Cost. 21/03/2014, n. 51 che sottolinea che la norma non rimane cristallizzata, ma partecipa nelle complesse dinamiche che, nel tempo, investono le fonti di diritto; dinamiche che l’interprete deve prendere in esame al fine di preservare attualità ed effettività alla tutela sotto il profilo del corretto bilanciamento degli interessi presi in considerazione essendo la ‘vivenza’ della norma una vicenda per definizione aperta specialmente quando si tratta di adeguarne il significato ai precetti costituzionali;
Cass., Sez. Un., 11/07/2011, n. 15144, secondo cui la norma, di volta in volta, adegua il suo contenuto, in guisa da conformare il predisposto meccanismo di protezione alle nuove connotazioni, valenze e dimensioni che l’interesse tutelato nel tempo assume nella coscienza sociale, anche nel bilanciamento con contigui valori di rango superiore, costituzionale o sovranazionale.
Un secondo ordine di considerazioni muove dalle ragioni che hanno portato il legislatore ad estendere la tutela di cui all’art. 2901 cod.civ. ai titolari di un credito sottoposto a condizione o a termine – risolvere una problematica insorta intorno all’art. 1235 del previgente codice civile appunto in relazione a tale categoria di creditori -con conseguente insussistenza, in applicazione del principio ubi eadem ratio ibi eadem dispositio , dei presupposti che ne giustifichino l’estensione a situazioni diverse, in cui la ragione di credito non è certa. Nel credito litigioso non può infatti legittimamente ravvisarsi un’aspettativa di diritto in ordine al vantato credito, neppure “in fieri”, ma, tutt’al più, un’aspettativa di fatto, risolventesi nella mera speranza d’un risultato positivo della controversia, perciò limitare la libertà di disposizione in assenza di un non giustificato ed apprezzabile interesse significherebbe porsi in contrasto con gli artt. 41 e 42 Cost.
Né la ricorrente trova convincente l’affermazione secondo cui tra il giudizio ex art. 2901 cod. civ. e quello diretto ad accertare il diritto di credito non è ravvisabile l’eventualità di un conflitto pratico di giudicati in quanto, per dare attuazione alla sentenza definitiva che dichiara l’inefficacia dell’atto di disposizione nei confronti del creditore, è necessario procedere, nelle forme previste dagli artt. 602 e 603 cod. proc. civ., notificando al debitore e al terzo acquirente il titolo esecutivo costituito, nel caso di credito litigioso, dalla sentenza di condanna onde, ove la domanda del creditore sia rigettata, la sentenza che accoglie la domanda revocatoria a tutela del credito litigioso si rivelerà di nessuna utilità, ma non si porrà in contrasto con essa, in quanto emessa a tutela di un credito riconosciuto inesistente, perché: i) viola il principio del giusto processo; ii) impone, di fatto, al soggetto che ha subito l’azione revocatoria di sopportare ingiustificati oneri economici, non potendo nell’ipotesi in cui il credito sia stato riconosciuto inesistente richiedere la restituzione, in un successivo giudizio,
delle spese processuali erogate o il rimborso di quelle sostenute né formulare nel giudizio di revocatoria istanza ex art. 96 cod. proc. civ., avendo il titolare del credito litigioso legittimamente e lecitamente esercitata l’azione; iii) contrasta con l’abuso del processo (Cass., Sez. Un., 23/12/2008, nn. 30055, 30056 e 30057), non potendosi dubitare che il riconoscimento al titolare di una semplice spes iuris della tutela di cui all’art. 2901 cod.civ. costituisce un uso non normale del diritto in quanto determina una compressione, anche solo psicologica, che può indurre il presunto debitore, in considerazione della durata dei giudizi civili, a transigere per non incorrere in responsabilità nei confronti dei terzi acquirenti; iv) è in contraddizione con i presupposti per la compensazione che richiede che i crediti siano certi, liquidi od esigibili -Cass. 29/01/2015, n. 1695 -perciò un credito contestato in un separato giudizio non è suscettibile di compensazione legale né di compensazione giudiziale; v) smentisce Cass. 13/09/2019 n. 22859 e n. 22886 che, pur ribadendo che la definizione del giudizio sull’accertamento del credito non costituisce l’indispensabile antecedente logico giuridico della pronuncia sulla domanda di revocatoria, hanno affermato che l’esistenza del credito è un mero presupposto oggettivo dell’azione revocatoria che è accertabile incidenter tantum anche senza specifica domanda.
Parte ricorrente, in aggiunta, sostiene l’illegittimità costituzionale della interpretazione giudiziale che ritiene che anche il credito litigioso sia tutelabile ex art. 2901 cod.civ., perché violerebbe il principio di uguaglianza e il principio di ragionevolezza, essendo in contrasto, in primo luogo, con le attuali tendenze legislative (mediazione obbligatoria, negoziazione assistita, filtro in appello, giudizio di ammissibilità in Cassazione, benefici fiscali in favore dell’arbitrato privato, pagamento raddoppiato del contributo unificato in caso di soccombenza o di dichiarazione di inammissibilità o di improcedibilità della impugnazione) che, in
attuazione del principio del giusto processo, mirano a contenere la conflittualità giudiziaria e chiede che questa Corte sottoponga alla Corte Costituzionale la questione della legittimità della lettura estensiva dell’art. 2901 cod. civ. al fine di accertare se essa sia ragionevole e coerente con l’attuale sistema normativo.
5) Con il terzo motivo parte ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 2901 cod.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 5 cod.proc.civ.
La società ricorrente assume che la corte d’appello abbia erroneamente ritenuto presenti l’ eventus damni , la scientia fraudis e il consilium fraudis , perché nella ipotesi di società di capitali: i) i rapporti di parentela o di affinità fra gli amministratori della società venditrice e di quella acquirente, a differenza della ipotesi di rapporti fra persone fisiche, non sono un elemento indiziario grave, preciso e concordante; ii) la vendita di beni immobili è deliberata dall’assemblea dei soci ed è sottoposta al controllo del collegio sindacale, perciò la circostanza che le due società, parti dell’atto revocando, avessero il medesimo amministratore, è assolutamente irrilevante e non può, in alcun modo, assumere il carattere della presunzione.
Inoltre, essendo il credito della Mario Cirino RAGIONE_SOCIALE sorto dopo l’iscrizione di ipoteca sull’immobile alienato come risultava dal fatto che nell’atto di vendita si era dato atto che l’immobile era gravato da ipoteca iscritta nel 2001 a favore della Banca Antoniana Popolare Veneta, a garanzia del pagamento di un mutuo fondiario (finanziamento n. NUMERO_DOCUMENTO) di originarie lire 2.000.000.000 ridotto ad euro 993.981,93- per essere revocato avrebbe richiesto la prova di un accordo tra le due società diretto a recare pregiudizio alle ragioni del presunto creditore, né vi sarebbe l’ eventus damni perché la RAGIONE_SOCIALE vantava crediti per un valore di 4,589 milioni per lavori eseguiti e di euro 1,444 milioni per lavori da fatturare oltre a disponibilità liquide pari ad euro 0,687 milioni, per
un totale di attivo circolante pari ad euro 6,721 milioni; il suo patrimonio non era dunque rappresentato certamente dall’immobile oggetto della revocatoria, tant’è che era stata in grado di pagare la somma di euro 410.000,00 tramite bonifico in conto corrente; non solo: con l’atto revocando aveva venduto un bene al corrispettivo di euro 995.000,00, su cui gravava una ipoteca a garanzia di un finanziamento di L. 2.000.000.000 ridottosi ad euro 993.981,93.
La questione del se la tutela ex art. 2901 cod.civ. sia estensibile ai crediti litigiosi assume, nello scrutinio tanto del ricorso principale quanto di quello incidentale, carattere logicogiuridico preliminare; il che impone che si esamini prima il secondo motivo del ricorso incidentale.
La ricorrente, come si è detto, sollecita, in via principale, il superamento della giurisprudenza di questa Corte in tema di utilizzabilità dell’azione ex art. 2901 cod.civ. anche da parte di chi sia titolare di un credito litigioso e, in via gradata, la rimessione della questione alla Corte Costituzionale.
Le ragioni addotte dall’odierna ricorrente per rivedere la giurisprudenza di legittimità sviluppatasi sulla scorta del principio enunciato da Cass., Sez. Un., 18/05/2004, n. 9440 non persuadono: sono proprio le stesse che hanno portato le sezioni unite a propendere per la tesi secondo cui il credito litigioso non può essere considerato meritevole di minor tutela rispetto al credito certo: si veda il § 7 ove, presa in esame la ratio legis alla base della modifica introdotta con il codice del 1942, le Sezioni Unite affermano che <> e precisano che, benché solo il credito nascente da contratto possa essere soggetto a condizione o a termine, <>.
In altri termini, l’interesse a mantenere l’integrità della garanzia patrimoniale di fronte ad un atto di disposizione come quello impugnato, come va riconosciuto ad un creditore il cui credito è soggetto a condizione sospensiva, che in quanto tale potrebbe anche non verificarsi ( incertus an et quando ) così va riconosciuto a chi sia titolare di un credito litigioso, anch’esso incerto sia nell’ an che nel quantum .
Né è fondata la questione di legittimata costituzionale.
E’ sufficiente rilevare che il credito sottoposto a condizione sospensiva è eventuale (essendo incertus an et quando ) tanto quanto il credito litigioso, cioè il credito sub iudice , perciò, contrariamente a quanto ritiene parte ricorrente, le ragioni che hanno portato il legislatore a modificare l’articolo del codice civile del 1865 sono le stesse che giustificano l’estensione della tutela delle ragioni creditorie ai crediti litigiosi.
Si può dunque passare allo scrutinio dei restanti motivi.
Il primo motivo del ricorso principale e il primo motivo del ricorso incidentale, ponendo all’attenzione di questa Corte la medesima questione, possono essere esaminati congiuntamente e sono inammissibili.
Premesso che l’accertamento dell’esistenza del giudicato esterno formatosi a seguito di una sentenza di questa Corte, tenuta per dovere di ufficio alla conoscenza dei propri precedenti, non richiede, per il principio di autosufficienza del ricorso ed a pena d’inammissibilità dello stesso, la riproduzione integrale del testo integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, si rileva che questa Corte, con la pronuncia n. 2059/2018, aveva accolto il terzo e il quarto motivo di ricorso: con il terzo motivo era stata lamentata la violazione dell’art. 112 cod.proc.civ. e la ricorrenza di vizi di motivazione, perché la corte d’appello non si era pronunziata sugli ordinativi verbali della COGNOME, e comunque su quelli non compresi nelle prime sei proposte d’ordine, e con il quarto motivo si denunziava la violazione degli artt. 345, 359, 184 e 87 disp. att. cod.proc.civ. e la sussistenza di vizi di motivazione, perché la RAGIONE_SOCIALE aveva depositato all’udienza di precisazione delle conclusioni tutta una serie di documenti giammai prodotti in primo grado, ma ammessi.
Il terzo motivo era stato accolto perché era stato ritenuto fondato il vizio di omessa pronuncia, in quanto, contrariamente a quanto
ritenuto dalla impugnata sentenza, la RAGIONE_SOCIALE aveva formulato una richiesta di pagamento pari a L. 678.526,31, insistendo per il pagamento di tutte le fatture prodotte in giudizio e relative anche ad ordini telefonici ed orali, diversi da quelli identificati dai nn. 702, 703, 7520, 7511, 7525. Il quarto motivo era stato ritenuto meritevole di accoglimento, in ragione della riconosciuta tardività della produzione documentale in appello.
Risulta dunque evidente che per effetto dell’accoglimento del terzo e del quarto motivo di ricorso, il giudice del rinvio era tenuto ad accertare l’effettiva consistenza del credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
La corte d’appello, dunque, non è affatto incorsa nella violazione del giudicato esterno, come le è stato imputato.
Il secondo motivo del ricorso principale è inammissibile.
Il vizio di cui all’art. 360, 1° comma, n. 5 cod.proc.civ. per essere utilmente dedotto avrebbe richiesto la dimostrazione che le ragioni di fatto della sentenza del tribunale erano state diverse da quelle che hanno costituito la base di riferimento oggettivo della pronuncia d’appello; ciò allo scopo di superare la preclusione di cui all’art. 348 ter ult. comma cod.proc.civ. (oggi abrogato, seppure sostanzialmente trasfuso nell’art. 360, 4° comma, cod.proc.civ., ma applicabile ratione temporis ) che opera con riferimento alle ipotesi in cui la sentenza di appello sia conforme in fatto a quella di primo grado (Cass. 28/02/2023, n. 5947).
La violazione dell’art. 2901 cod.civ. è dedotta sul presupposto che la corte appello abbia ritenuto sussistenti l’ eventus damni e la scientia damni spintavi da una fallace ricostruzione dei fatti di causa, a sua volta originata dall’omesso esame di fatti decisivi. L’inammissibilità della censura di cui all’art. 360, 1° comma, n. 5 cod.proc.civ. assorbe la denunziata violazione dell’art. 2901 cod.civ.
Il terzo motivo del ricorso incidentale è infondato.
Per accertare il requisito della scientia damni con riferimento ad una società occorre avere riguardo all’atteggiamento psichico della o delle persone fisiche che la rappresentano, giusta il principio stabilito dall’art. 1391 cod.civ., applicabile all’attività delle persone giuridiche.
Se, pertanto, l’amministratore di una società o, comunque, l’organo che la rappresenta sia consapevole del fatto che l’acquisto di un bene immobile da parte della società può pregiudicare le ragioni del creditore, tale consapevolezza si comunica alla società, esponendo l’atto di acquisto a revoca da parte del creditore (Cass. 04/07/2006, n.15265; Cass. 09/04/2009, n. 8735; Cass. 29/03/2012, n. 5106; Cass. 24/12/2024, n. 34275).
Ne consegue che correttamente la corte di merito ha accertato l’esistenza del requisito soggettivo di cui all’art. 2901 cod.civ., visto che la COGNOME RAGIONE_SOCIALE, il giorno dopo la notifica della sentenza favorevole all’attrice NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE aveva venduto l’immobile alla RAGIONE_SOCIALE, il cui Amministratore unico era NOME COGNOME e la cui compagine sociale era ancora interamente composta dalla famiglia COGNOME.
In merito all’assenza dell’ eventus damni , la censura è basata sulla denunziata violazione dell’art. 360, 1° comma, n. 5, cod.proc.civ. che è inammissibile per il mancato superamento della preclusione di cui all’art. 348 ter ult. comma cod.proc.civ.
Va aggiunto che il credito della RAGIONE_SOCIALE risaliva al 1997 e che per esso la creditrice aveva ottenuto dal Tribunale di Napoli il decreto ingiuntivo n. 542/1997 del 15 aprile 1997; perciò viene meno il presupposto -il sorgere del credito dopo la iscrizione ipotecaria -su cui è costruita la confutazione della impugnata sentenza nella parte in cui il giudice a quo ha ritenuto sussistenti la scientia damni e il consilium fraudis .
All’inammissibilità dei motivi consegue l’inammissibilità del ricorso principale; il ricorso incidentale va rigettato.
Attesa la reciproca soccombenza, va disposta la compensazione tra le ricorrenti, principale e incidentale, delle spese del giudizio di cassazione.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo in favore del controricorrente NOME COGNOME e poste solidalmente a carico delle ricorrenti -principale e incidentale, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale. Compensa tra le ricorrenti, principale e incidentale, le spese del giudizio di cassazione. Condanna le ricorrenti, principale e incidentale, al solidale pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 8.200,00, di cui euro 8.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori come per legge, in favore del controricorrente NOME COGNOME.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, all’ufficio del merito competente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per i rispettivi ricorsi, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto
Così deciso nella Camera di Consiglio del 7 marzo 2025 dalla