Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18012 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18012 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 02/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 10308/2024 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (anche, RAGIONE_SOCIALE), con sede legale in Cagliari, INDIRIZZO, c.f. P_IVA e p.iva P_IVA, in persona del liquidatore e legale rappresentante pro tempore Ing. NOME COGNOME rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale in calce al ricorso , dall’Avv. NOME COGNOME (c.f. CODICE_FISCALE; pec EMAIL; fax NUMERO_TELEFONO) ed elettivamente domiciliata presso l’indirizzo p.e.c. EMAIL.
-ricorrente –
contro
– FALLIMENTO NUOVA INIZIATIVE COIMPRESA IN LIQUIDAZIONE (C.F. P_IVA) in persona dei Curatori dott.ri NOME COGNOME e NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avv.ti NOME COGNOME ed NOME COGNOME in virtù di procura speciale in atti.
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di Appello di Cagliari n. 4/2024, emessa in data 11 marzo 2024 e pubblicata in data 19 marzo 2024; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/5/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE stipulava con la Regione Sardegna ed il Comune di Cagliari un accordo programma, contemplante investimenti da parte della predetta società per lo sviluppo del territorio, per lire 200 miliari circa. L’accordo v eniva tuttavia interrotto dalla Regione con il Piano Paesaggistico del 5.9.06. Ne nasceva un contenzioso per restituzioni e per il risarcimento del danno sofferto da RAGIONE_SOCIALE
Veniva dunque instaurato un primo arbitrato che si concludeva con condanna della Regione a risarcire € 83milioni, ma il lodo arbitrale v eniva dichiarato nullo dalla Corte di cassazione con sentenza n. 2738/2021 per difetto di arbitrabilità della lite. La Corte riteneva con la predetta sentenza che RAGIONE_SOCIALE non potesse vantare un diritto soggettivo, ma un mero interesse legittimo, atteso il vincolo paesaggistico sull’area.
Nella pendenza dell’impugnazione del primo lodo RAGIONE_SOCIALE instaurava tuttavia un secondo giudizio arbitrale, che si concludeva con un secondo lodo, che condannava la Regione a danni per € 122milioni per l’ abbandono dell’ accordo programma , lodo tuttavia anch’esso impugnato.
La Regione chiedeva pertanto la restituzione € 83milioni ed il P.M. presso il Tribunale di Cagliari chiedeva fallimento di RAGIONE_SOCIALE attesa la mancata restituzione di quanto incassato in esecuzione del primo lodo.
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Cagliari ha rigettato il reclamo proposto , ai sensi dell’art. 18 l. fall., da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione avverso la sentenza n. 21/2023 del Tribunale di Cagliari, sentenza dichiarativa del suo fallimento.
Con la predetta sentenza il Tribunale di Cagliari aveva infatti dichiarato il fallimento della RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, ritenendo raggiunta la prova dei requisiti soggettivi e oggettivi prescritti dalla legge, e più in particolare lo stato di insolvenza c.d. statica, tenuto conto dello sbilancio negativo tra l’ammontare dei debiti e l’ammontare dell’attivo . Il
Tribunale aveva infatti concluso nel senso che – pur non potendosi escludere in astratto l’esistenza di un credito di NIC s.r.l. nei confronti della Regione a titolo risarcitorio e considerando eventuali fatti impeditivi (quale ad esempio, la prescrizione) l’entità del risarcimento non sarebbe stata quantificabile nell’equivalente pecuniario dell’adempimento all’accordo di programma , bensì in misura pari al ristoro del c.d. interesse negativo per aver inutilmente confidato sull’esecuzione dell’accordo, e dunque era ipotizzabile al più nella somma di euro 27 milioni, secondo i dati esposti nella consulenza tecnica espletata nel secondo arbitrato. Riportando pertanto tale posta nel bilancio 2020 – rilevava sempre il Tribunale – il patrimonio netto della società avrebbe comunque riportato un segno negativo.
Avverso la menzionata dichiarazione di fallimento proponeva pertanto reclamo la RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, deducendo: a) l’erronea valutazione dell’oggetto del secondo lodo laddove il tribunale non aveva considerato che la domanda formulata nel secondo procedimento arbitrale era fondata su presupposti diversi rispetto a quelli definiti con il primo lodo (poi dichiarato nullo dalla Corte di Cassazione), che aveva ad oggetto invece la pretesa all’adempimento dell’accordo; b) l’erron ea quantificazione dell’eventuale credito risarcitorio derivante dalla lesione dell’affidamento contrattuale o vvero da contatto sociale, il cui termine prescrizionale non poteva dirsi ancora maturato, credito da liquidare avendo riguardo al valore di tutti gli investimenti effettuati e confidando a buon diritto sull’esecuzione dell’accordo di programma; c) l’omessa considerazione del credito da indebito per prestazioni eseguite in favore del Comune di Cagliari in funzione della realizzazione del programma e rimaste prive di giustificazione causale all’esito all’adozione da parte della Regione di un regime vincolistico tale da precluderne l’attuazione.
La Corte di Appello ha tuttavia confermato la decisione di primo grado, ritenendo che, trattandosi di domande (quella proposta nel «primo» e quella proposta nel «secondo» arbitrato) sostanzialmente coincidenti, in quanto la prima relativa al risarcimento del danno per il ritardo nell’adempimento dell’Accordo di Programma e la seconda relativa al risarcimento del danno per il definitivo inadempimento dell’Accordo di Programma stesso, i principi
affermati dalla Corte di Cassazione, con riguardo al «primo» lodo, avessero uguale validità e significato con riguardo al «secondo» lodo, e che pertanto anche la posizione fatta valere in quel procedimento avesse ad oggetto interessi legittimi, con conseguente difetto di arbitrabilità della lite. La Corte di Appello ha ritenuto comunque che anche i crediti di natura risarcitoria fondati sulla lesione dell’affidamento (e cioè crediti risarcitori fondati su un titolo diverso da quello dedotto negli arbitrati) ed i crediti fondati sul diritto alla restituzione delle prestazioni rese sine causa (e, cioè, il diritto alla restituzione delle prestazioni rese in esecuzione dell’Accordo di Programma e diventate sine causa in ragione del definitivo abbandono di esso) dovessero essere ritenuti altamente incerti, sia in quanto verosimilmente prescritti, sia in quanto di entità comunque insufficiente a riportare in attivo il patrimonio di NIC RAGIONE_SOCIALE e dunque incapaci di fondare un giudizio prognostico positivo sull’esito della liquidazione.
9. La sentenza, pubblicata il 19 marzo 2024, è stata impugnata da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui il FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 5 l. fall., nonché dei principi consolidati nella giurisprudenza in punto di presupposti per la dichiarazione di fallimento della società in liquidazione nonché dei principi affermati da Cass. 5 febbraio 2021, n. 2738, e di cui agli artt. 2, comma 203, legge 662/1996, 11 e 21 quinquies legge 241/1990 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.). Si lamenta, cioè, l’er rore compiuto dalla Corte di A ppello nell’avere considerato sussistente il suo stato di insolvenza «statica», in ragione della certa (o molto probabile) futura dichiarazione di nullità del c.d. «secondo» lodo da parte della Corte di Appello di Roma (avanti alla quale pende attualmente il giudizio) ovvero da parte della Corte di Cassazione (verosimilmente destinata a decidere in via definitiva la lite), e ciò in forza della ritenuta applicabilità – a quel «secondo» lodo – del principio di diritto
affermato da Cass., 5 febbraio 2021, n. 2738, a proposito del c.d. «primo» lodo. Secondo la società ricorrente, al contrario, quel principio, sebbene relativo alla medesima vicenda, sarebbe stato reso a proposito di un’azione in cui si supponeva l’esistenza di un diritto soggettivo alla materiale esecuzione di un accordo di programma e non di un diritto soggettivo all’equivalente pecuniario della mancata esecuzione di esso.
1.1 Le doglianze così proposte sono tuttavia inammissibili.
1.1.1 In primo luogo, risulta giuridicamente corretta l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo la quale, nel caso di società in liquidazione, l’accertamento dell’insolvenza ha ad oggetto una valutazione, da parte del giudice, degli elementi attivi del patrimonio sociale e, in particolare, della loro concretezza ed attualità, al fine di verificare l’idoneità dello stesso patrimonio al soddisfacimento integrale dei creditori sociali ( ex multis , Cass. 16.07.2021 n. 20432). Più in particolare, occorre ritenere che, ove tale elemento attivo sia fornito da un credito in contenzioso, la verifica che è chiamata a svolgere il giudice di merito non può prescindere dall’accertamento dell’osservanza, da parte della società, dei criteri generali di prudenza dettati in tema di bilancio dall’art. 2426 n. 8 cod. civ.
1.1.2 Ciò posto, risulta evidente che le doglianze proposte dalla società ricorrente, peraltro articolate in modo non autosufficiente, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ., tendono a sollecitare questa Corte di legittimità ad un nuovo scrutinio, di matrice fattuale, in ordine alla ‘prudenza’ con la quale era stato apposto in bilancio il credito in contenzioso, scrutinio che involgendo apprezzamenti, anche di natura fattuale, in ordine alla quantificazione e alla natura del credito stesso non rientrano, con tutta evidenza, nell’ambito di sindacato di questa Corte (cfr. anche: Cass. 16.07.2021 n. 20432; Cass. 06.02.2018 n. 2810).
Sul punto va infatti precisato che la Corte di merito, con ampia ed esaustiva motivazione, di cui la ricorrente richiede in questa sede una revisione contenutistica, ha ritenuto sussistere lo stato di insolvenza, esprimendo una valutazione circa la verosimile infondatezza di un credito risarcitorio, attualmente in contenzioso, iscritto in bilancio con un inadeguato fondo rischi.
Tale apprezzamento è stato invero fondato sul giudizio di sostanziale identità, sotto il profilo del petitum e della causa petendi , tra il suindicato credito ed un credito precedentemente azionato sempre in sede arbitrale, riconosciuto insussistente sia in sede di merito che in sede di legittimità.
A ciò va anche aggiunto che, secondo le deduzioni (sul punto ammissibili) contenute nella memoria del controricorrente, è altresì emerso che anche il secondo lodo arbitrale è stato dichiarato nullo dalla Corte di Appello di Roma.
Con il secondo mezzo si deduce ‘o messa considerazione di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., nel giudizio relativo alle ragioni, «serie e concrete», che deponevano nel senso dell’intervenuta prescrizione dei crediti di natura risarcitoria verso la Regione che, nell ‘ipotesi di sopravvenuta nullità del c.d. «secondo» lodo, andrebbero, anche ad avviso dei giudici di appello, comunque riconosciuti alla NIC ‘ .
2.1 Anche il secondo motivo è inammissibile.
2.2 Secondo la ricorrente, il giudizio in questione sarebbe stato reso senza tenere presente anche in relazione all’art. 2935 c.c. ed ai principi consolidati della giurisprudenza di legittimità, in relazione al dies a quo della prescrizione – che la Regione stessa, ancora nella seconda metà del 2015, aveva considerato possibile l’attuazione dell’Accordo di Programma, ritenendo la vicenda ancora in evoluzione e incerta in tutti i suoi aspetti, come in effetti sarebbe tuttora, anche in ragione del «secondo» lodo, allo stato ancora efficace tra le parti, sicché il dies a quo della prescrizione non avrebbe potuto essere stabilito a prescindere dalla considerazione di questi dati. Si lamenta, dunque, l’errore compiuto dalla Corte di Appello nel ritenere – oltre che irrilevante al fine di escludere l’insolvenza (secondo quanto censurato con il terzo motivo) – anche prescritto il credito risarcitorio che gli stessi giudici di secondo grado avevano riconosciuto plausibilmente appartenere alla società ricorrente, sul presupposto della futura dichiarazione di nullità del c.d. «secondo» lodo.
2.3 Sarebbe stato tuttavia omesso di considerare – in relazione alla regola di diritto interno di cui all’art. 2935 c.c. e di diritto europeo (in forza della quale la decorrenza della prescrizione inizia solo quando sussista concreta consapevolezza della titolarità del diritto) – che le dichiarazioni rese al
riguardo dalla Regione presenti in atti, debitamente richiamate in modo analitico nel corso del procedimento, e l’oggettiva incertezza della situazione creata dalla sopravvenuta dichiarazione di nullità del c.d. «primo» lodo e dall’attuale vigenza del c.d. «secondo» lodo avrebbero tuttavia precluso la decorrenza di quel termine.
2.4 In realtà, la Corte territoriale ha ribadito in motivazione come la questione data dall ‘ individuazione del termine di decorrenza della prescrizione estintiva fosse dubbia ovvero ‘complessa e suscettibile di diverse valutazioni’.
Ma sul punto non si può non rilevare come la parte ricorrente non abbia curato né l’indicazione del ‘ fatto storico ‘ , come tale rilevante ai sensi del sopra richiamato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come quello inficiante la ‘tenuta’ della motivazione impugnata né abbia svolto argomentazioni in ordine alla sua decisività, ai fini della pronuncia sulla controversia né, ancora, abbia allegato come di tale preteso fatto fosse stata omessa ogni valutazione. Ne consegue che la doglianza così prospettata dalla ricorrente risulta, nella sua formulazione, assolutamente estranea al paradigma applicativo delineato dall’art. 360 , primo comma, n. 5, cod. proc. civ. e risulta unicamente volta ad opinare una valutazione – neanche espressa in termini di decisività – e risolvendosi, in buona sostanza, in una censura irrituale e diretta a sollecitare un nuovo apprezzamento di merito (v. Cass. Sez. Un., n. 8053/2014).
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato per omessa considerazione di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, n. 5, comma 1, cod. proc. civ., per avere ritenuto irrilevante in relazione all’ipotesi di sopravvenuta nullità del c.d. «secondo» lodo – il credito risarcitorio vantato da RAGIONE_SOCIALE, in quanto, comunque, insufficiente a riportare il patrimonio netto in campo positivo.
3.1 Secondo la società ricorrente, il ‘ fatto decisivo ‘ – dedotto, ma non considerato – sarebbe stato il ‘ credito tributario ‘ , pari ad oltre euro 31 milioni, versati a titolo di imposte sul «secondo» lodo e ripetibili una volta che fosse sopravvenuta la nullità di tale lodo.
Il quarto mezzo deduce infine vizio di ‘ Omessa considerazione di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., per avere ritenuto irrilevante in relazione all’ipotesi di sopravvenuta nullità del c.d. «secondo»
lodo il credito restitutorio (ritenuto verosimilmente dovuto nell’ipotesi in cui non fosse eventualmente possibile ottenere alcun risarcimento) in quanto comunque insufficiente a riportare il patrimonio di NIC in campo positivo, senza tenere conto del credito tributario, pari ad oltre Euro 31 milioni, versati a titolo di imposte sul lodo e necessariamente ripetibili una volta che sopravvenisse la nullità di tale lodo ‘ .
4.1 Il terzo e quarto motivo – che possono essere trattati congiuntamente sono anch’essi inammissibili.
La parte ricorrente vorrebbe, cioè, introdurre in questo giudizio di legittimità, nel thema decidendum , un nuovo ‘ argomento ‘ , mai oggetto di discussione tra le parti in sede di reclamo e che comunque implicherebbe accertamento di fatti e soluzione di questioni giuridiche, dati dalla mancata valutazione di un credito di carattere restitutorio ipoteticamente vantato nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria.
Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della contro ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 10.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 28 maggio 2025