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Credito del proponente: quando basta per il fallimento

Una società dichiarata fallita ricorre in Cassazione contestando la validità del credito del proponente. La Corte Suprema dichiara il ricorso inammissibile, ribadendo che, per avviare una procedura fallimentare, non è necessario un credito definitivamente accertato. È sufficiente una valutazione sommaria della sua esistenza, e i titoli di credito come assegni e cambiali invertono l’onere della prova a carico del debitore.

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Il Credito del Proponente: Basta una Prova Sommaria per il Fallimento?

La dichiarazione di fallimento di un’impresa è uno degli eventi più traumatici nel ciclo di vita aziendale. Ma quali sono i presupposti affinché un creditore possa avviare questa procedura? È necessario un credito accertato in via definitiva? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione torna sul tema del credito del proponente, chiarendo i requisiti necessari e i limiti del sindacato giurisdizionale.

I Fatti del Caso

Una società creditrice otteneva dal Tribunale la dichiarazione di fallimento di una sua debitrice. Il credito, di circa 32.000 euro, era fondato su un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, a sua volta basato su fatture non pagate e garantito da assegni e cambiali rimasti insoluti.

La società fallita presentava reclamo alla Corte d’Appello, sostenendo l’insussistenza del credito. Tuttavia, la Corte territoriale respingeva l’impugnazione. Non convinta, la società proponeva ricorso per cassazione, lamentando che i giudici di merito non avessero valutato adeguatamente le prove e avessero errato nell’interpretare la funzione di garanzia dei titoli di credito emessi.

La Decisione della Corte di Cassazione e il ruolo del credito del proponente

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ponendo fine alla controversia. La decisione si fonda su principi consolidati in materia di diritto fallimentare e processuale, riaffermando con forza la distinzione tra giudizio di merito e giudizio di legittimità.

Secondo gli Ermellini, il ricorso, pur mascherato da censure di violazione di legge, mirava in realtà a ottenere un riesame dei fatti e una nuova valutazione delle prove, un’attività preclusa alla Corte di Cassazione. Il suo compito, infatti, non è quello di stabilire chi ha ragione nel merito, ma di verificare che i giudici precedenti abbiano applicato correttamente le norme di legge e motivato la loro decisione in modo logico e coerente.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha articolato la sua decisione su tre pilastri fondamentali:

1. La natura del credito per l’istanza di fallimento: Viene ribadito un principio cruciale. Per chiedere il fallimento di un imprenditore, non è necessario che il credito del proponente sia certo, liquido ed esigibile, né che sia supportato da un titolo esecutivo definitivo. È sufficiente che il credito esista, anche se controverso, e che, in una prospettiva futura, sia idoneo a giustificare un’azione esecutiva. La valutazione che il tribunale fallimentare compie sull’esistenza del credito è una delibazione incidentale e sommaria, finalizzata solo a verificare la legittimazione del creditore a presentare l’istanza.

2. L’efficacia probatoria dei titoli di credito: La Corte d’Appello aveva correttamente evidenziato che i titoli di credito (assegni e cambiali), anche se definiti “in garanzia”, costituiscono promesse unilaterali di pagamento. Ai sensi dell’art. 1988 c.c., questi titoli hanno un effetto sostanziale: invertono l’onere della prova. Non è il creditore a dover dimostrare l’esistenza del rapporto sottostante, ma il debitore che ha emesso i titoli a dover provare che il debito non esiste o è stato estinto. Nel caso di specie, la società fallita non era riuscita a fornire tale prova.

3. I limiti del giudizio di Cassazione: La Corte ha ricordato che non può sostituire la propria valutazione dei fatti a quella dei giudici di merito. Consentire un sindacato sulle quaestiones facti (questioni di fatto) trasformerebbe il giudizio di legittimità in un terzo grado di merito, snaturando la sua funzione di garante della corretta applicazione del diritto.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame offre importanti spunti pratici. In primo luogo, conferma che la porta per l’istanza di fallimento è aperta anche ai creditori il cui diritto non è ancora stato accertato con sentenza passata in giudicato. Questo rafforza la tutela del ceto creditorio di fronte all’insolvenza del debitore. In secondo luogo, sottolinea la potenza probatoria di assegni e cambiali: chi li emette si assume la responsabilità di dover provare attivamente l’inesistenza del debito, un onere spesso difficile da adempiere. Infine, costituisce un monito per chi intende adire la Cassazione: il ricorso deve fondarsi su vizi di legittimità chiari e specifici, non su un generico dissenso rispetto alla valutazione dei fatti operata nei gradi precedenti.

Per chiedere il fallimento di un’impresa, il credito del proponente deve essere certo, liquido ed esigibile?
No, la Corte chiarisce che la legittimazione a chiedere il fallimento spetta a qualsiasi soggetto che vanti un credito, non necessariamente certo, liquido, esigibile, e anche non ancora scaduto, condizionale o non munito di titolo esecutivo, purché sia idoneo, in prospettiva, a giustificare un’azione esecutiva.

Che valore hanno gli assegni e le cambiali dati “in garanzia” in una procedura fallimentare?
Costituiscono promesse unilaterali di pagamento. Questo comporta due effetti: da un lato, comprovano l’esistenza del rapporto fondamentale fino a prova contraria; dall’altro, pongono a carico del debitore (promittente) l’onere di provare l’insussistenza della pretesa creditoria.

La Corte di Cassazione può riesaminare i fatti di una causa di fallimento?
No, la Corte di Cassazione non è un giudice del fatto in senso sostanziale. Il suo ruolo è limitato a esercitare un controllo sulla correttezza giuridica e sulla coerenza logico-formale delle argomentazioni del giudice di merito, senza poter effettuare una diversa valutazione delle circostanze di fatto e degli elementi di prova.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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