Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14842 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14842 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: AMATORE NOME
Data pubblicazione: 28/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 10055-2022 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE con sede legale in Marigliano INDIRIZZO alla INDIRIZZO (P_IVA.IVA P_IVA), in persona del suo legale rapp.te p.t. COGNOME NOME, rappresentata e difesa – giusta procura speciale rilasciata in data 06.04.2022 in calce al ricorso dall’AVV_NOTAIO, presso il cui studio legale elettivamente domicilia in Cava de’ Tirreni al INDIRIZZO, ovvero domicilio elettronico al seguente indirizzo PEC iscritto nel REGINDE EMAIL.
-ricorrente –
contro
Fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, in persona dei Curatori Fallimentari AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO,
– intimata –
avverso il decreto reso in data 16.02.2022 dal Tribunale di Napoli Nord e pubblicato in data 17.02.2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/4/2024 dal AVV_NOTAIO;
FATTI DI CAUSA
1.Con ricorso ex art. 98 l. fall. la RAGIONE_SOCIALE presentava opposizione allo stato passivo del Fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, nella parte in cui il Giudice delegato non aveva ammesso al passivo il credito di € 185.829,54 al chirografo.
Nella resistenza del fallimento, il Tribunale ha rigettato la proposta opposizione, confermando pertanto il provvedimento reso dal g.d.
2.1 Il Tribunale ha rilevato che: (a) lo statuto aveva inquadrato espressamente RAGIONE_SOCIALE nella categoria delle società consortili, senza scopo di lucro, ai sensi dell’art. 2615 ter c.c., con espressa esclusione del fine di lucro e della possibile distribuzione di utili tra i soci, (b) all’art. 29 dello statuto si faceva, poi, rinvio, per la disciplina di dettaglio dei rapporti interni tra la società e i soci, al regolamento adottato mediante delibera del consiglio di amministrazione approvata dall’assemblea dei soci con carattere obbligatorio per i soci aderenti al sistema RAGIONE_SOCIALE; (c) il regolamento contrattuale attribuiva, inoltre, al centro distributivo una serie di servizi comuni in favore dei propri aderenti tra i quali -per quanto qui di interesse -gli ‘acquisti comuni delle merci trattate dal CE.COGNOME; (d) l’adesione al sistema RAGIONE_SOCIALE comportava, poi, per i soci l’obbligo di approvvigionarsi esclusivamente presso il centro distributivo comune, in modo da minimizzare i prezzi di acquisto; (e) tale obbligo consentiva al consorzio di conseguire dei vantaggi economici in termini di risparmio di spesa, da ripartire a scadenze periodiche a beneficio delle consociate sotto forma di erogazioni variamente denominate (‘contributi, premi e ristorni’); (f) dall’altra parte, il CE. DI. si obbligava ad effettuare gli acquisti di merci esclusivamente per conto dei soci, realizzando un sistema chiuso tipico dei consorzi di acquisto; (g) le consorziate beneficiavano dei vantaggi economici conseguiti dal consorzio mediante ripartizioni periodiche proporzionali agli acquisti effettuati a titolo
di ‘contributi, sconti o altri ristorni’, come specificato all’art. 10.3 del Regolamento; (h) del pari, il CE. RAGIONE_SOCIALE. accreditava ai singoli Soci, come ristorno di fine anno, tali contributi in ragione del fatturato da essi realizzato negli acquisti dai singoli fornitori per referenze, direttamente o per il tramite del RAGIONE_SOCIALE.; (i) il carattere consortile della società e l’esclusione di ogni fine lucrativo imponevano, tuttavia, di assegnare natura di ristorni a tutte le erogazioni consortili, che, come tali, dovevano essere sottoposte a una disciplina giuridica omogenea, senza possibilità di discriminarne il trattamento giuridico in funzione di classificazioni che non trovavano riscontro nel testo statutario; (l) a differenza degli utili di bilancio, lo schema consortile imponeva che i ristorni venissero assegnati in proporzione delle prestazioni mutualistiche effettuate e non in proporzione al capitale; (m) tuttavia, nel Regolamento del CE. DI. all’art. 10.3 era stato previsto che ‘gli sconti’ si intendevano ‘ maturati dal socio solo se è in regola con i pagamenti ed in assenza di scaduto o di debitoria a qualsiasi titolo’; (n) dalla documentazione offerta emergeva come il consorzio si trovasse già in situazione di grave e irreversibile insolvenza, avendo registrato un patrimonio netto negativo e un risultato negativo del conto economico; (o) la società opponente non aveva dunque maturato il diritto a percepire ristorni con riferimento quantomeno alle annualità 2015 e 2016 e che, in ogni caso, pur volendo superare i rilievi sopra espressi, le prove prodotte dalla società opponente erano comunque inidonee a dimostrare il preteso diritto -e ciò anche con riferimento al credito asseritamente maturato nell’anno 2014 – essendo il credito vantato fondato su fatture emesse dalla stessa società, che non erano opponibili alla curatela e su scritture contabili (registri vendite e del libro giornale della ricorrente), anch’esse inopponibili alla curatela; (p) infine, anche le note di credito di COGNOME, pur prodotte dalla ricorrente, non potevano essere qualificate come ricognizione di debito.
Il decreto, pubblicato il 17.02.2022, è stato impugnato da RAGIONE_SOCIALE con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi. Il Fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, intimato, ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo la società ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2615 ter c.c. per avere il Tribunale ritenuto irrilevante il tipo di società di capitali scelto per il raggiungimento degli scopi consortili ritenendo i soci della consortile illimitatamente responsabili per ogni debito assunto dalla società consortile.
1.1 Ricorda il ricorrente che il Tribunale avrebbe deciso – senza porre a supporto alcuna motivazione idonea al riguardo – che al caso in esame andassero applicate le norme sul consorzio, in ragione di ciò ritenendo che ai soci della società consortile dovessero essere ‘ribaltati’ non solo tutti i costi di gestione, ma anche tutte le perdite della società consortile al fine di raggiungere il pareggio di bilancio. Secondo la ricorrente, sarebbe principio assunto in giurisprudenza quello secondo cui la scelta del tipo societario avrebbe generato una mitigazione necessaria dei risvolti consortili, soprattutto in tema di responsabilità dei soci in una RAGIONE_SOCIALE, dovendosi ritenere che, diversamente opinando, non si riuscirebbe più a comprendere la natura delle società consortili se le stesse dovessero essere poi parificate ai consorzi. L’applicazione di regole proprie della disciplina dei consorzi, in caso di società consortile, incontrerebbe -aggiunge la ricorrente – un limite invalicabile, individuato nell’impossibilità di ipotizzare l’applicabilità di regole che vadano ad incidere in qualsiasi modo sui tratti tipologici essenziali della società, tra questi rientrandovi a pieno titolo quello del regime di responsabilità limitata dei soci rispetto alle obbligazioni sociali.
1.2 Il motivo è inammissibile.
Le censure risultano fuori fuoco rispetto alla ratio decidendi del provvedimento impugnato, in quanto il Tribunale non ha voluto affermare una responsabilità illimitata della società socia del predetto Consorzio, ma si è invece limitato a verificare la sussistenza di tutti i presupposti per il maturarsi del ‘credito da ristorni’, riscontrando sulla base del contenuto del regolamento e dello statuto l’ostacolo a tale maturazione del credito, consistente nei debiti del socio verso il consorzio ovvero nei costi generali di gestione che sopravanzavano i premi maturati nel corso dell’anno.
Sul punto, va anche precisato che la partecipazione alle perdite non è sinonimo di responsabilità illimitata, e ciò perché la contribuzione è in parti uguali sui costi fissi e fino al 30% e poi era stata stipulata sugli acquisti tramite la società, cioè proprio assumendo a leva l’utilizzo d el rapporto consortile e non un’ipotetica quota di partecipazione, del quale il Tribunale impugnato nemmeno fa cenno (cfr. anche: Cass. n. 5258/2024).
Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 1363, 1366, 1369, 1370 e 1371 c.c., sul rilievo che il Tribunale non avrebbe correttamente interpretato l’art. 10 del Regolamento RAGIONE_SOCIALE ovvero per averlo interpretato nel dubbio in maniera sfavorevole al ricorrente e comunque senza una visione di insieme.
2.1 Anche il motivo in esame è inammissibile.
2.2 Occorre ricordare che, secondo la consolidata giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (sez. 3, sentenza n. 2465 del 10/02/2015; n. 2074 del 2002; vedi: n. 4178 del 2007, n. 22801 del 2009, n. 25866 del 2010). A ciò va aggiunto che – ai fini della censura di violazione dei predetti canoni ermeneutici – non è peraltro sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne è discostato, nonché, in ossequio al principio di specificità ed autosufficienza del ricorso, con la trascrizione del testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto o della parte in contestazione, ancorché la sentenza abbia fatto ad essa riferimento, riproducendone solo in parte il contenuto, qualora ciò non consenta una sicura ricostruzione del diverso significato che ad essa il ricorrente pretenda di attribuire (cfr. anche
Sez. 3, Sentenza n. 10891 del 26/05/2016). In ogni caso, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne è stata privilegiata un’altra (cfr. anche Sez. 1, Sentenza n. 4178 del 2007).
2.3 Ciò premesso, risulta evidente che le censure proposte dalla ricorrente sono volte ad accreditare, innanzi a questa Corte di legittimità, una nuova e diversa interpretazione del contenuto negoziale del regolamento e dello statuto, proponendo in tal modo una esegesi alternativa a quella svolta dal Tribunale dei predetti negozi, senza neanche indicare in modo specifico i canoni normativi ermeneutici che si intendono violati.
L’accertamento della reale volontà delle parti costituisce una valutazione di fatto, rientrante nella discrezionalità del giudice di merito e come tale insindacabile in sede di legittimità, ove non risultino violati i criteri dettati dagli artt. 1362 e s. c.c. -violazione nel caso di specie nemmeno prospettata -e non emergano vizi logico-giuridici (Cass. 7945/2020, 21576/2019), poiché il sindacato di legittimità non può avere ad oggetto la ricostruzione della volontà delle parti, ma solo individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico del quale il medesimo giudice di merito si sia avvalso per assolvere la funzione riservatagli, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (Cass. 8810/2020, 1547/2019).
Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del secondo motivo.
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato ‘ per violazione e/o falsa applicazione di legge: degli artt. 1363, 1366, 1369, 1710, 172 e 1713 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1°, c.p.c. n. 3 per non aver correttamente interpretato il rapporto contrattuale sorto tra la società consortile ed i soci in relazione alla gestione dei c.d. ‘altri ristorni’ indicati nell’art. 10.3 del Regolamento RAGIONE_SOCIALE ‘.
3.1 Sostiene la società ricorrente che erroneamente il Tribunale aveva ritenuto che, con la specificazione delle modalità di gestione dei c.d. altri ristorni contenuta nell’art. 10.3 del Regolamento Sisa, non si fosse effettivamente voluto regolare un rapporto di mandato senza rappresentanza. Secondo la ricorrente, invece, la semplice lettura del predetto articolato
convincerebbe che, nel caso degli ‘altri ristorni’, si sarebbe in presenza di un contratto di mandato senza rappresentanza, in quanto la norma contrattuale disponeva che ‘ Il CE.DI. (la società fallita) provvederà ad incassare (gli sconti, gli abbuoni e/o i premi di fine periodo), per conto dei Soci’, poiché gli stessi devono intendersi gli stessi riferiti ai soci ‘. Ne discende che la società fallita aveva, per effetto del mandato senza rappresentanza, l’obbligo di rimessione degli effetti dell’affare al man dante che, nel caso di specie, è individuato negli sconti, abbuoni e/o premi di fine periodo.
Anche il terzo motivo di doglianza, riguardando profili interpretativi e qualificatori dei negozi sopra ricordati, incappa nella declaratoria di inammissibilità, per le medesime ragioni già sopra ricordate e che qui si richiamano, senza dimenticare che anche la qualificazione del rapporto intercorso tra le parti rientra nella cognizione dei giudici del merito.
La ricorrente propone, infine, un quarto mezzo con cui si denuncia la ‘ omessa motivazione su un fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 comma 1 c.p.c. n. 5 ‘
4.1 Sostiene la società ricorrente che il Tribunale, ritenendo erroneamente non esistente il rapporto di mandato senza rappresentanza, avrebbe fatto derivare da ciò, altrettanto erroneamente, la non rilevanza delle note di credito pervenute dalla società RAGIONE_SOCIALE al suo indirizzo fax. Osserva, infatti, la ricorrente che l’erronea motivazione in ordine all’interpretazione del rapporto, così come sopra specificato, avrebbe determinato che le prodotte note di credito emesse dalla società fallita – in chiara esecuzione del mandato senza rappresentanza e sicuramente annotate nelle scritture contabili del debitore fallito (di cui i curatori fallimentari avevano implicitamente dichiarato di voler fare uso) -non fossero state oggetto di sufficiente apprezzamento mot ivazionale, in quanto non ritenute conseguenza dell’esecuzione del mandato senza rappresentanza attribuito alla società fallita. Tali elementi, invece, tenuto conto della natura del rapporto di mandato senza rappresentanza, sarebbero stati sufficienti per provare parzialmente l’an ed il quantum debeatur, oggetto dell’insinuazione al passivo, e cioè che la società fallita doveva al RAGIONE_SOCIALE, in virtù delle note di credito sopra indicate, la complessiva somma di € 638.568,00 quali ‘altri ristorni’ o
comunemente detti premi di fine anno relativi agli acquisti effettuati per l’anno 2015.
4.1 Anche in tal caso la ricorrente propone una doglianza che richiede un nuovo apprezzamento della prova documentale, secondo una diversa qualificazione giuridica del rapporto esistente tra le parti, profili sui quali il Tribunale ha adeguatamente argomentato e per i quali è inibito un nuovo sindacato del giudice di legittimità per i notori limiti della cognizione di quest’ultimo ( così, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019; cfr. anche Cass.,
Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017;Sez. 1, Ordinanza n. 640 del 14 /01/2019).
Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità, stante la mancata difesa della parte intimata.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 17 aprile 2024