Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27810 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27810 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15394/2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce al ricorso
– ricorrente
–
contro
FALLIMENTO di RAGIONE_SOCIALE E RAGIONE_SOCIALE
– intimato
–
avverso il decreto del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE n. 693/2019 depositato in data 11/4/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 11/4/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Il giudice delegato al Fallimento di RAGIONE_SOCIALE, (di seguito, per brevità, RAGIONE_SOCIALE) dichiarava inammissibile perché proposta ben oltre il termine di cui all’art. 101 , primo comma, l. fall., la domanda della RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE) di ammissione al passivo della procedura del credito di € 1.461.732,29 , vantato a titolo di recupero
di somme erogate alla società poi fallita, negli anni dal 1998 al 2002, in eccesso rispetto alle sue capacità operative massime.
L’opposizione ex art. 98 l. fall. proposta dalla RAGIONE_SOCIALE contro il decreto del G.D. veniva rigettata dal Tribunale di RAGIONE_SOCIALE.
Il giudice del merito osservava che la tesi dell’opponente, secondo cui il ritardo non le era imputabile perché il credito, divenuto certo dopo il fallimento (dichiarato nel 2012), ovvero quando il TAR, nel 2014, aveva definitivamente rigettato i ricorsi proposti da RAGIONE_SOCIALE e da altre società contro le varie delibere di recupero da essa emesse, era divenuto anche esigibile solo nel 2018, dopo il passaggio in giudicato della sentenza del 25.9.2017 che aveva accolto la domanda del Fallimento di revocatoria dell’atto con cui, nel 2011, RAGIONE_SOCIALE aveva ceduto l’azienda a RAGIONE_SOCIALE era palesemente infondata, posto che: 1) con la revoca dell’atto di cessione non si era determinato alcun effetto di ‘retrocessione dell’azienda’ al Fallimento; 2) se davvero, come affermato dall’opponente, il credito fosse sorto in data successiva alla cessione, nonché in data successiva al fallimento della cedente, la domanda sarebbe stata inammissibile perché relativa a un debito della cessionaria, non concorsuale, né tantomeno qualificabile come sorto nel corso della procedura; 3) considerando il credito come sorto prima della cessione, risultava invece corretta la decisione del G.D. dovendosi imputare alla ASL il ritardo nella presentazione della domanda, depositata nel 2018 a fronte di uno stato passivo dichiarato esecutivo nel 2013: la ASL era infatti a conoscenza del fallimento della cedente e il suo credito era divenuto certo sin dal 2014, allorché il TAR aveva definitivamente rigettato i ricorsi di RAGIONE_SOCIALE e di altre società volti a d ottenere l’annullamento della delibera di recupero.
L’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per la cassazione di tale decreto, depositato in data 11 aprile 2019, prospettando due motivi di doglianza.
L’intimato Fallimento di RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese.
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
Considerato che:
4. Il primo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso fra le parti, perché il tribunale non ha considerato che il credito era ‘sorto nel corso della procedura’, in quanto era stato definitivamente determinato ed era divenuto astrattamente esigibile nel 2014, al termine della vicenda giudiziaria svoltasi in sede amministrativa, ed era poi divenuto concretamente esigibile solo in seguito alla sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE che aveva disposto la restituzione dell’azienda alla procedura fallimentare attrice.
Il tribunale, inoltre, avrebbe violato l’art. 112 cod. proc. civ., assumendo una decisione viziata da extrapetizione, perché caratterizzata da un sostanziale mutamento del petitum o della causa petendi rispetto alla domanda di ammissione di un credito vantato nei confronti della società cedente, poi fallita, e divenuto esigibile -e quindi sorto -nel corso della procedura.
Il motivo risulta in parte inammissibile, in parte infondato.
5.1 L’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., nel suo attuale testo, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nozione da intendersi come riferita a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico -naturalistico e non ricomprendente questioni o argomentazioni, dovendosi di conseguenza ritenere inammissibili le censure irritualmente formulate che estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr. Cass. 14802/2017, Cass. 21152/2014).
In particolare, non costituiscono “fatti” il cui omesso esame possa cagionare il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass., Sez. U.,
16303/2018, in motivazione, Cass. 14802/2017, Cass. 21152/2015) tese a dare significato giuridico ai fatti storico-naturalistici allegati dalle parti.
Ora, i l tribunale, all’interno del provvedimento impugnato, ha apprezzato tutti i fatti storico -naturalistici di cui la ricorrente lamenta l’omesso esame, dando loro però una valenza giuridica diversa da quella che l’RAGIONE_SOCIALE intendeva attribuir e agli stessi con le proprie deduzioni difensive.
La doglianza in esame finisce così col confondere ‘i fatti decisivi’ con le questioni di diritto (in ordine alla natura concorsuale del credito e al momento in cui è divenuto esigibile) che hanno formato oggetto della pronuncia impugnata.
5.2 Il vizio di extrapetizione ricorre soltanto quando il giudice abbia pronunciato oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo ad una di esse un bene della vita non richiesto (o diverso da quello domandato); spetta, invece, al giudice di merito il potere/dovere di definire l’esatta natura del rapporto dedotto in giudizio, onde precisarne il contenuto e gli effetti in relazione alle norme applicabili, con il solo limite di non esorbitare dalle richieste della parti e di non introdurre nuovi elementi di fatto nell’ambito delle questioni sottoposte al suo esame (Cass. 12471/2001).
La prospettazione dell’opponente del momento in cui il credito era divenuto esigibile e poteva -secondo la sua tesi ricostruttiva considerarsi sorto non vincolava il tribunale, il quale, al contrario, era libero non solo di porre a base della pronuncia adottata considerazioni di diritto diverse da quelle prospettate, ma pure di rilevare la mancanza degli elementi che caratterizzano l’efficacia costitutiva della pretesa, in quanto ciò attiene all’obbligo inerente all’esatta applicazione della legge (Cass. 20932/2019).
6. Il secondo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., la violazione sia dell’art. 101 l. fall., in quanto la norma non si applicherebbe ai crediti sorti nell’ arco della procedura concorsuale, sia dell’art. 2560, comma 1, cod. civ., cui il tribunale ha fatto riferimento malgrado il credito fosse divenuto liquido ed astrattamente esigibile soltanto nel 2014, quando la cessione d’azienda da parte della fallita (ri salente al 2011) era già avvenuta.
Il tribunale, inoltre, non avrebbe considerato, in violazione dell’art. 2909 cod. civ., che l’RAGIONE_SOCIALE non poteva individuare nel Fallimento il proprio debitore fino al passaggio in giudicato della sentenza di accoglimento dell’azione revocatoria , con la quale la cessionaria era stata condannata alla restitu zione dell’ azienda, ed ha inoltre erroneamente reputato che la retrocessione non comportasse la responsabilità della procedura per i debiti nel frattempo maturati dal cessionario, facendo un’indebita applicazione di quanto previsto dall’art. 104 -bis l. fall. per il solo affitto di azienda.
Il motivo, nella sua complessità, non è fondato.
7.1 Secondo la giurisprudenza di questa Corte per valutare la natura concorsuale o meno di un credito occorre tenere conto dell’elemento genetico dell’obbligazione sul piano sostanziale, alla stregua dell’art. 1173 cod. civ., di tal che deve considerarsi sorto prima della dichiarazione di fallimento il credito derivante da contratto, fatto illecito o altro fatto idoneo a produrre obbligazione, verificatosi anteriormente alla dichiarazione stessa, essendo, invece, ininfluente che i relativi effetti (come, ad esempio, il danno) si siano manifestati in un momento successivo all’intervenuto fallimento (Cass. 19533/2004).
Non era, dunque, la definitiva esigibilità del credito a consentire di ritenere che lo stesso fosse sorto nel corso della procedura, come pretende l’odierna ricorrente, dovendosi avere riguardo al fatto idoneo a produrre l’ obbligazione restitutoria (costituito
dall’erogazione in eccesso rispetto alle capacità operative massime dalla società poi fallita), che nella fattispecie in esame risaliva ad epoca di molto antecedente alla dichiarazione di fallimento.
Nel caso di specie, quindi, non era possibile sostenere che il credito fosse sorto nel corso della procedura fallimentare per escludere che lo stesso fosse soggetto al termine di decadenza previsto dall’art. 101, comma 4, l fall..
Peraltro, il credito, quand’anche sorto dopo la dichiarazione di fallimento, doveva comunque essere insinuato al passivo attraverso un’iniziativa processuale soggetta al termine di decadenza previsto dall’art. 101, ultimo comma, l. fall. (Cass. 11000/2022).
7.2 Non è possibile sostenere che alla fattispecie in esame non fosse applicabile il principio della solidarietà passiva fra cedente e cessionaria previsto dall’art. 2560 cod. civ. in ragione del fatto che alla data della cessione d’azienda il credito dell a ASL non era esigibile.
Il disposto dell’art. 2560 cod. civ. prevede che l’alienante non è liberato dai debiti, inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriore al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito.
Ora, se la ratio di una simile mancata liberazione sta nell’esigenza di assicurare tutela al terzo creditore in presenza di un fatto (la cessione d’azienda) a cui egli è estraneo, la norma non può essere intesa -come sostiene l’odierno ricorrente – nel senso che la stessa operi soltanto rispetto a crediti che siano non solo esistenti, ma pure liquidi ed esigibili, con la conseguenza che i crediti non ancora esigibili rimangono di pertinenza del solo cessionario, in quanto una simile interpretazione limita, senza alcuna effettiva ragione, la tutela dei creditori che il disposto dell’art. 2560 cod. civ. intende invece assicurare.
Non ha errato, perciò, il tribunale nel ritenere che la compagine poi fallita non si fosse liberata del proprio debito cedendo l ‘ azienda e rimanesse coobbligata con la cessionaria per il credito già esistente
in epoca anteriore alla cessione e nel giudicare, di conseguenza, che la creditrice potesse presentare istanza di ammissione al passivo fin dal momento in cui era stata risolta ogni questione in ordine alla validità e all’efficacia delle delibere aziendali .
D’altra parte, se il debito da ripetizione, per motivi legati alla sua esigibilità, non fosse stato fra quelli indicati nei libri della compagine cedente, ne avrebbe risposto solo quest’ultima, ai sensi dell’art. 2560, comma 2, cod. civ..
7.3 Ne discende l’impossibilità di ritenere sia che la pendenza del giudizio di revocatoria impedisse l’insinuazione, perché solo con la sentenza era stata disposta la restituzione dell’azienda al fallimento, sia che il tribunale abbia erroneamente applicato alla fattispecie in esame l’art. 104 -bis , ultimo comma, l. fall., secondo cui la retrocessione al fallimento dell’azienda non ne comporta la responsabilità per i debiti maturati sino a quel momento.
Il debito, infatti, era sempre stato (anche o solo) della fallita, che certo non se ne era liberata cedendo l’azienda , e non poteva considerarsi ‘tornato’ al fallimento a seguito dell’accoglimento dell’azione revocatoria.
Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto. La mancata costituzione in questa sede della procedura intimata
esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 11 aprile 2024.