Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3831 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3831 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15213/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE IN CONCORDATO PREVENTIVO , elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 2624/2017 depositata il 21.11.2017.
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16.1.2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 28.11.2005 la RAGIONE_SOCIALE, ammessa a concordato preventivo (di seguito, semplicemente: RAGIONE_SOCIALE) ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Firenze l’RAGIONE_SOCIALE chiedendo il pagamento della somma di £ 296.014.000 (pari a € 152.878,47) più i.v.a., per prestazioni eseguite in suo favore in adempimento del contratto di appalto stipulato l’11.7.1994 per fornitura e posa di giunti di dilatazione per il consolidamento e ristrutturazione dei viadotti Formone e Caccarello della SS INDIRIZZO Cassia, ultimati il 25.7.1994.
L’attrice sosteneva che RAGIONE_SOCIALE aveva pagato erroneamente tali lavori alla RAGIONE_SOCIALE, ossia alla società che aveva affittato il ramo di azienda in virtù di contratto del 23.9.1994, poiché il credito de quo , relativo a lavori eseguiti e terminati prima dell’affitto di ramo aziendale, era di pertinenza della RAGIONE_SOCIALE, come previsto dall’art.8 del contratto di affitto.
Si è costituita in giudizio l’RAGIONE_SOCIALE, chiedendo il rigetto della domanda.
Il Tribunale di Firenze con sentenza dell’1.2.2013 ha respinto la domanda attorea, con aggravio di spese.
Secondo il Tribunale: a) il credito vantato da COGNOME era posteriore all’affitto del ramo d’azienda; b) l’art. 6 del contratto del 23.10.1994, intercorso tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, prevedeva espressamente per i contratti indicati nell’allegato A), tra cui il contratto d’appalto de quo , il «subentro» di RAGIONE_SOCIALE e con il chiaro richiamo al tenore dell’art. 2558 cod.civ. era stata prevista una vera e propria successione nel contratto de quo di RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, come confermato anche
dall’esplicito richiamo dell’art. 35 della legge n. 109 del 1994; c) il subentro doveva intendersi come totale e non solo parziale e trovava corretta e puntuale regolamentazione nell’art. 6 , e non già nell’art. 8 del contratto, che regolava invece i rapporti tra affittuario e affittante per debiti e crediti sorti anteriormente alla data di stipula del contratto di affitto; d) il credito derivante dal contratto d’appalto de quo poteva considerarsi sorto successivamente al subentro di RAGIONE_SOCIALE, posto che esso si fondava sui lavori certificati dallo stato di avanzamento lavori (SAL) del 29.12.1994 e prima di tale data il credito dell’appaltatore non era né liquido, né esigibile; e) con l’art. 8 RAGIONE_SOCIALE avevano voluto disciplinare i rapporti esclusivamente intercorrenti e interni tra loro, di tal ché, a seguito del subentro, come decretato e autorizzato, il pagamento effettuato dall’RAGIONE_SOCIALE nei confronti della subentrata era legittimamente eseguito e doveroso, dovendo semmai la COGNOME, in virtù dell’art. 8 del contratto d’affitto, rivolgere le sue pretese nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.
Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello la COGNOME, a cui ha resistito l’appellata RAGIONE_SOCIALE.
La Corte di appello di Firenze con sentenza del 21.11.2017 ha respinto il gravame, con aggravio di spese.
La Corte di appello ha affermato: a) che il credito non sorgeva dalla materialità dell’opera, ma dalla condotta (riserve tempestive o meno) che avrebbe posto in essere l’appaltatore rispetto alla quantificazione operata in sede di SAL; b) che per far sorgere un credito vincolante verso il committente erano necessarie la predisposizione del SAL, ovvero una condotta commissiva della P.A. committente (e per essa del direttore dei lavori) e una successiva condotta (alternativamente omissiva o commissiva) dell’appaltatrice circa l’esito del SAL; c) che il diritto al corrispettivo
dell’appalto era sorto all’esito dell’attività svolta dall’RAGIONE_SOCIALE di concerto con la subentrata RAGIONE_SOCIALE.
Avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 17.5.2018, ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, svolgendo sei motivi.
Con atto notificato il 26.6.2018 ha proposto controricorso l’RAGIONE_SOCIALE, chiedendo il rigetto dell’avversaria impugnazione.
La COGNOME ha presentato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I primi due motivi di ricorso sono dedicati agli aspetti processuali del tema della anteriorità-posteriorità del credito.
Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.4, cod. proc. civ., la ricorrente COGNOME denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art.112 cod. proc. civ. e omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità da essa proposta in relazione alla tardiva difesa proposta da RAGIONE_SOCIALE, solo in comparsa conclusionale di primo grado, circa la posteriorità della certificazione del SAL rispetto al contratto di affitto di azienda.
Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod. proc. civ., in subordine e allo stesso proposito della tardività dell’avversaria eccezione, la ricorrente COGNOME denuncia violazione degli artt. 112, 115, 167, 183, 184 cod. proc. civ., dei principi processuali in tema di preclusioni, dei doveri di lealtà nel comportamento processuale e del principio di non contestazione.
Quanto al primo motivo, effettivamente la Corte di appello non ha risposto alla censura e all’eccezione processuale con essa svolta. Tuttavia, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte, dovendo ravvisarsi una statuizione
implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Sez. 2, n. 20718 del 13.8.2018; Sez. 5, n. 29191 del 6.12.2017; Sez. 1, n. 24155 del 13.10.2017); analogamente non si configura il vizio di omessa pronuncia, pur in difetto di un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine a un motivo di impugnazione, quando la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto (Sez. 6 – 1, n. 15255 del 4.6.2019).
Inoltre il vizio di omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., rilevante ai fini di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, dello stesso codice, si configura esclusivamente con riferimento a domande attinenti al merito e non anche a eccezioni pregiudiziali di rito (Sez. 3 , n. 25154 del 11.10.2018; Sez. 3, n. 1701 del 23.1.2009; Sez. U, n. 15982 del 18.12.2001; Sez. 2, n. 15613 del 4.6.2021).
La Corte di appello ha quindi ritenuto implicitamente che l’eccezione di tardività fosse infondata e ha preso comunque in considerazione il tema in questione.
E bene ha fatto, a prescindere dal momento (solo in comparsa conclusionale) in cui NOME ha sostenuto per la prima volta la tesi, senza introdurre nuove circostanze fattuali, ma proponendo una semplice argomentazione in diritto circa le conseguenze giuridiche scaturenti dall’approvazione dello stato di avanzamento lavori.
Le stesse considerazioni valgono a confutare anche il secondo motivo, visto che quella proposta da RAGIONE_SOCIALE non era eccezione in senso proprio, ma mera difesa in ordine a un fatto costitutivo della domanda avversaria.
I richiami normativi proposti con il motivo non sono quindi pertinenti.
Non lo è neppure l’invocazione del principio di non contestazione perché, come chiarito dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite, la non contestazione è un comportamento processualmente significativo solo se riferito a un fatto da accertare nel processo e non alla determinazione della sua dimensione giuridica (cfr. Sez. Un., n.761 del 23.1.2002; Sez. Un. n. 11377 del 3.6.2015).
I successivi due motivi di ricorso sono dedicati agli aspetti sostanziali del tema della anteriorità-posteriorità del credito.
Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod. proc. civ., la ricorrente COGNOME denuncia violazione dell’ art.1665 cod. civ., dell’art.12 del r.d. 2440/1923, degli artt. 350 e 358 della legge 20.3.1865 n.2248 all.F, degli artt.48,57,58 del r.d. 350/1895, degli artt.33 e 58 del d.p.r. 1063/1962, dell’art.11 del r.d. 422/1923, dei principi generali in materia di appalto e di appalto di opere pubbliche, e in particolare dei principi di postnumerazione, di modalità e maturazione dei pagamenti degli acconti e della loro provvisorietà, dei principi in materia di effetti del collaudo e alla maturazione del credito dell’appaltatore e alla individuazione del suo momento genetico.
La ricorrente lamenta altresì violazione degli artt.1362 -1371 cod.civ. con riferimento ai principi di interpretazione del contratto e di individuazione della volontà delle parti.
Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod.proc.civ., la ricorrente COGNOME denuncia, come con il motivo precedente, violazione dell’ art.1665 cod. civ., dell’art.12 del r.d. 2440/1923, degli artt. 350 e 358 della legge 20.3.1865 n.2248 all.F, degli artt.48,57,58 del r.d. 350/1895, degli artt.33 e 58 del d.p.r. 1063/1962, dell’art.11 del r.d. 422/1923, dei principi generali in materia di appalto e di appalto di opere pubbliche, e in particolare dei principi di post-numerazione, di modalità e
maturazione dei pagamenti degli acconti e della loro provvisorietà, dei principi in materia di effetti del collaudo e alla maturazione del credito dell’appaltatore e alla individuazione del suo momento genetico.
La ricorrente lamenta altresì violazione degli artt.1362-1371 cod.civ. in tema di principi di interpretazione del contratto e di individuazione della volontà delle parti e deduce, infine, violazione degli artt.54,64,89 e 107 del r.f. 850/1895 e dell’art.42 del d.p.r. 1063/1962 in tema di apposizione di riserve nella contabilità nell’appalto di opere pubbliche e di loro natura ed effetti.
La Corte di appello ha ritenuto che nell’appalto di opere pubbliche, a differenza dell’appalto privato, il credito al corrispettivo ex art. 1657 cod. civ. per l’appaltatore non nasc a dalla materiale esecuzione dell’opera o dei servizi, ma, alla stregua del principio che richiede che la Pubblica Amministrazione sia in grado di conoscere tempestivamente le pretese avanzate a titolo di riserve dall’appaltatore, sorg a e divenga esigibile solo a fronte della predisposizione dello stato di avanzamento lavori da parte della PRAGIONE_SOCIALE. committente e della formulazione eventuale delle riserve da parte dell’appaltatore.
Il che sposta il momento di insorgenza del credito in quello della chiusura della fase amministrativa destinata a questi incombenti che ne determinano liquidità ed esigibilità.
La ricorrente ricorda -del tutto condivisibilmente – che la regola della post-numerazione del corrispettivo di appalto è temperata per prassi costante dalla concessione di acconti in corso d’opera, regolata normativamente in materia di appalti pubblici.
Fermo restando che il pagamento degli acconti costituisce anticipazione sul prezzo e non adempimento dell’obbligazione della stazione appaltante , che presuppone che l’opera pubblica sia stata completata, verificata ed accettata con il collaudo, che rende il credito certo liquido ed esigibile.
L’art.350 della legge 20.3.1865 n. 2249 All.F, disponeva che il prezzo di appalto è pagato nelle rate stabilite dalle condizioni del contratto e sotto le norme fissate dalla legge di contabilità generale dello Stato.
L’art.57 del relativo Regolamento, di cui al r.d. 25.5.1895 n.350 disponeva che quando per l’ammontare dei lavori si deve fare luogo al pagamento di una rata di acconto ai termini delle condizioni di appalto, l’ingegnere capo rilascia, nel più breve tempo possibile, sotto la propria responsabilità, apposito certificato, inviato al Ministero, per l’emissione del mandato.
L’art.58 dello stesso regolamento disponeva altresì che a giustificazione di ogni certificato per il pagamento di rate in acconto, l’ingegnere capo doveva unire uno stato di avanzamento dei lavori, redatto dal direttore, con il riassunto di tutti i lavori e tutte le somministrazioni eseguite dal principio dell’appalto sino ad allora, ed al quale sarà unita copia degli elenchi dei nuovi prezzi, normalmente ricavato dal registro di contabilità.
Le norme sulla contabilità pubblica contenute nel r.d. 18.11.1923 n.2440, all’art.12, comma quarto, prevedono infine che nei contratti per forniture, trasporti e lavori non si può stipulare l’obbligo di far pagamenti in conto, se non in ragione dell’opera prestata o della materia fornita.
Non vi è dubbio, quindi, che nell’appalto d’opera pubblica, il credito al pagamento di acconti sul corrispettivo divenga certo, liquido ed esigibile solo al momento del completamento della procedura amministrativa con la approvazione degli stati di avanzamento lavori e l’emissione dei certificati di pagamento.
Cosa del resto che è stata ancora di recente ribadita da questa Corte, allorché si è affermato che in tema di appalto di opere pubbliche, tutte le rate comportanti pagamenti in acconto, ivi compresa l’ultima, presuppongono che l’opera sia ancora in corso, e devono essere versate per il solo fatto che l’ammontare dei lavori
abbia raggiunto l’importo contrattualmente previsto e che la direzione dei lavori abbia certificato il relativo stato di avanzamento. (Sez. 1, n. 8255 del 22.3.2023; Sez. 1, n. 14460 del 29.7.2004).
Già in risalente passato la giurisprudenza aveva chiarito che i certificati che negli appalti di opere pubbliche o sovvenzionate dallo stato, vengono rilasciati dall’ingegnere capo del genio civile o dal direttore dei lavori per consentire all’appaltatore il finanziamento bancario, hanno riferimento alla reale attuazione dei lavori, in ordine alla quale l’ufficiale certificante, che ne ha piena cognizione, assume piena responsabilità; essi precedono e rimangono distinti da quelli degli stati d’avanzamento che costituiscono il presupposto per l’emissione dei certificati di pagamento e dei conseguenti mandati. (Sez. 3, n. 1760 del 7.7.1962).
La ricorrente sostiene che la Corte fiorentina avrebbe confuso il momento di liquidità ed esigibilità del credito con quello della sua insorgenza, che sarebbe diverso ed anteriore e nascerebbe per il solo fatto dell’esecuzione parziale dell’opera , fermo restando, come sopra precisato, che si tratta di pagamenti in acconto, pur sempre soggetti alla verifica finale della corretta esecuzione dell’opera.
La tesi non è persuasiva, anche se la Corte di appello, andando oltre quanto affermato dal Tribunale, ha conferito indebito rilievo per la determinazione temporale dell’insorgenza del credito anche al decorso del termine per la proposizione delle riserve da parte dell’appaltatore, allorch é ha erroneamente affermato che era « necessario per far sorgere un credito vincolante verso il committente » non solo la predisposizione del SAL, ma anche « una condotta (alternativamente omissiva o commissiva) dell’appaltatrice circa l’esito del SAL ».
Quest’ ultimo assunto non può essere condiviso, sia perché la proposizione di maggiori pretese economiche da parte dell’appaltatore è del tutto eventuale, sia perché la proposizione
delle riserve non incide sul minor importo riconosciuto dalla stazione appaltante con lo stato di avanzamento contestato, perché inferiore al preteso dovuto.
L ‘eventuale apposizione delle riserve da parte dell’appaltatore, come osserva correttamente la ricorrente, riguarda una contestazione dell’appaltatore che investe ulteriori pretese avanzate a titolo risarcitorio o per ulteriori lavorazioni effettuate o per ulteriori costi sopportati, che per loro stessa natura potranno semmai aumentare il credito e non certo diminuirlo.
È quindi errato far dipendere l’esistenza e l’esigibilità del credito per i pagamenti in acconto dalla proposizione di riserve da parte dell’appaltatore o anche solo del decorso del termine per proporle tempestivamente.
Lasciata in disparte questa affermazione erronea della sentenza impugnata, che tuttavia vitiatur sed non vitiat, resta l’altra statuizione , che invece questa Corte ritiene del tutto corretta, che subordina l’insorgenza e non solo l’esigibilità – del credito dell’appaltatore al pagamento degli acconti in materia di appalto d’opere pubbliche all’emissione dello stato di avanzamento lavori corrispondente, a cui va attribuita una rilevanza genetica per l’intrinseca idoneità all’accertamento di consistenza e valore delle opere eseguite.
Infatti, in tema di appalti di opere pubbliche, l’emissione degli stati di avanzamento lavori (i cosiddetti SAL) ha la finalità di attestare quantità, qualità ed ammontare dei lavori eseguiti ad una certa data, anche se lascia impregiudicata ogni questione relativa all’esecuzione dei lavori, alla presenza di difetti o altri inadempimenti e alla loro tempestività, da verificarsi alla stregua delle clausole contrattuali (Sez.1, n. 3614 del 10.2.2017).
Inoltre, secondo la giurisprudenza di questa Corte, gli stati di avanzamento, al pari dei libretti della misurazione e della contabilità relativa ai lavori dati in appalto dalla RAGIONE_SOCIALE, sono atti
pubblici e non certificazioni amministrative, perché formati da un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni per costituire la prova dei fatti giuridicamente rilevanti dai quali derivano obblighi a carico della P.A. (Sez. 3, n. 18316 del 27.8.2014).
Del resto è proprio lo stato di avanzamento redatto dal pubblico ufficiale a ciò deputato che conferisce data certa alle consistenze e alle misurazioni in quella sede accertate.
Non a caso, anche la giurisprudenza penale di legittimità ritiene che in tema di appalti pubblici integra il delitto di falso ideologico previsto dall’art. 479 cod. pen. l’attestazione, totalmente o parzialmente non veritiera, redatta dal direttore dei lavori circa il loro stato di avanzamento per conto della committenza pubblica, perché tale documento indica il computo metrico dei lavori eseguiti, a un dato momento, dall’appaltatore ed è pertanto idoneo a costituire prova dei fatti, sulla base della quale gli organi competenti emettono poi i relativi mandati di pagamento (Sez. 5, n. 7638 del 17.1.2007 ud. – dep. 23.2.2007 – Rv. 235787 -01; Sez. 5, n. 32888 del 5.7.2001 c.c.. – dep. 3.9.2001 – Rv. 219810 -01; Sez. 5, n. 14731 del 23.11.1999 ud. – dep. 29.12.1999 – Rv. 215197 -01).
Le esposte considerazioni appaiono sufficienti al rigetto del ricorso, perché superano le questioni inerenti al contenuto concreto del contratto di affitto di ramo aziendale intercorso fra la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, in punto successione dell’affittuario nei contratti in corso e nei crediti da esigere disciplinato dagli articoli 6 e 8 del predetto contratto; in particolare appaiono superate le argomentazioni della ricorrente imperniate sull’art.8 del contratto di affitto di azienda e la distinzione fra il momento di insorgenza e quello di esigibilità del credito dell’appaltatore agli acconti in corso d’opera .
Secondo il Tribunale, l’art.6 del contratto del 23.6.1994 prevedeva espressamente per una serie di contratti, fra cui quello de quo, il
subentro di RAGIONE_SOCIALE e la sua successione ai sensi dell’art.2558 cod. civ. Tale disposizione aveva rilievo esterno come confermava il richiamo all’art.35 della legge n.109 del 1994 in tema di poteri della stazione appaltante in caso di subentro di nuovo soggetto nella titolarità del contratto in caso di cessione d’azienda.
L’art.8 del contratto invece aveva valenza interna e disciplinava i rapporti fra affittante e affittuario quanto a debiti e crediti sorti anteriormente alla stipulazione del contratto di affitto.
Secondo il Tribunale, l’art.8 riguardava solo i rapporti interni e non era opponibile all’RAGIONE_SOCIALE che ben aveva pagato alla subentrata nel contratto, mentre la RAGIONE_SOCIALE doveva semmai far valere le sue pretese nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.
La Corte di appello nello scrutinare il primo motivo e anche gli altri due, ha ritenuto che il suo compito fosse esclusivamente quello di stabilire se il credito vantato dall’appellante fosse sorto prima o dopo l’affitto d’azienda; ha affermato che il credito era sorto dopo l’affitto, visto che l’emissione del SAL era stata effettuata il 29.12.1994, mentre già il 7.10.1994 RAGIONE_SOCIALE era stata informata dell’affitto del ramo aziendale con contratto del precedente 25.7.1994.
Poiché tale affermazione, depurata ut supra delle ulteriori considerazioni sulla rilevanza del termine per la proposizione delle riserve, deve ritenersi corretta, restano quindi superate e assorbite tutte le censure svolte dalla attuale ricorrente circa il rapporto fra gli artt.6 e 8 del contratto come ricostruito dal Tribunale.
Il punto decisivo è che il credito di cui si tratta è sorto successivamente alla data dell’accordo fra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE.
Non convince l’assunto della ricorrente secondo cui i lavori oggetto del SAL in questione dovevano essere considerati eseguiti alla data del contratto di affitto di azienda del 23.9.1994 perché già eseguiti alla stregua dello stato di consistenza allegato al contratto sub C),
perché ciò potrebbe rilevare semmai nei rapporti interni fra le parti del contratto di affitto di azienda ma non determina l’insorgenza del credito verso la stazione appaltante dell’opera pubblica sino a che opere eseguite non sia stata sussistenza e consistenza delle accertata nelle rigorose forme pubblicistiche previste dalla legge.
Le considerazioni svolte da parte ricorrente nei § 2F e 2G alle pagine 37 e 40 del ricorso riguardano un assunto svolto in appello e su cui la Corte fiorentina non si è pronunciata.
Il quinto e il sesto motivo di ricorso sono dedicati al contratto di affitto e alla sua interpretazione.
Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.4, cod. proc. civ., la ricorrente COGNOME denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art.112 cod. proc. civ.
Con il sesto motivo di ricorso, proposto ex art.360, comma 1, n.3, cod. proc. civ., la ricorrente COGNOME denuncia violazione dell’ degli artt. 2556, 2558,2559, 2562 cod. civ. e dei principi in materia di circolazione dell’azienda e dei relativi effetti, con riferimento in particolare al regime dei debiti e dei crediti. Denuncia altresì violazione degli artt.1362 -1371 cod. civ. in tema di principi di interpretazione del contratto e di individuazione della volontà delle parti.
È vero che la Corte non si è pronunciata, ma lo ha fatto, sia pur implicitamente, in conseguenza del l’ assorbimento correttamente ravvisato.
Il sesto motivo resta superato e assorbito perché tende a proporre una distinzione fra insorgenza ed esigibilità del credito ai fini del discrimen in punto subentro dell’affittuario che non rileva perché -alla stregua delle considerazioni sopra illustrate – il credito deve ritenersi insorto in data successiva al subentro di RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorso deve quindi essere rigettato e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, occorre dar atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidate nella somma di € 6.000,00 per compensi, € 200,00 per esposti, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima