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Crediti società fallita: quando il socio rinuncia

La Corte di Cassazione chiarisce che gli ex soci di una società fallita e poi cancellata non possono agire per recuperare i crediti sociali se non hanno preventivamente informato il curatore fallimentare della loro esistenza. Tale omissione, secondo la Corte, equivale a una rinuncia tacita al credito, impedendo una successiva azione legale. La sentenza analizza il principio successorio post-fallimento e la cruciale importanza della comunicazione al curatore per la tutela dei crediti della società fallita.

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Crediti società fallita: il silenzio del socio vale come rinuncia

La gestione dei crediti di una società fallita rappresenta un terreno complesso, specialmente quando la procedura si chiude e la società viene cancellata dal registro delle imprese. Cosa accade ai crediti che non sono stati riscossi durante il fallimento? Gli ex soci possono agire per recuperarli? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale: se i soci o gli amministratori non informano il curatore fallimentare dell’esistenza di un credito, tale omissione viene interpretata come una rinuncia. Di conseguenza, gli ex soci perdono il diritto di agire in futuro per il recupero di tali somme.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla vicenda di una società sportiva calcistica, dichiarata fallita nel 2012. Gli ex amministratori e soci avevano citato in giudizio la Federazione sportiva nazionale e la Lega di categoria, chiedendo un cospicuo risarcimento danni. Sostenevano che il fallimento fosse stato causato dal mancato versamento di contributi mutualistici e per la valorizzazione dei giocatori, illegittimamente bloccati dall’allora presidente della Lega.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano respinto le loro richieste. La ragione principale del rigetto era la mancanza di legittimazione ad agire: gli attori, infatti, non avevano mai informato il curatore fallimentare dell’esistenza di questa pretesa creditoria durante la procedura concorsuale. I giudici di merito hanno interpretato questo silenzio come un comportamento omissivo che integrava una rinuncia al credito da parte della società e dei suoi organi.

La Decisione della Corte di Cassazione sui crediti società fallita

Gli ex soci hanno proposto ricorso in Cassazione, lamentando principalmente la violazione delle norme sulla motivazione della sentenza e sull’onere della prova. La Suprema Corte, tuttavia, ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni dei gradi precedenti e solidificando un importante principio di diritto in materia di crediti società fallita.

La presunta carenza di motivazione

I ricorrenti sostenevano che i giudici avessero erroneamente dedotto una volontà di rinuncia da un mero comportamento omissivo. La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo che la motivazione della Corte d’Appello era logica e coerente. Durante il fallimento, la società perde la capacità di agire in giudizio, che viene assunta in via esclusiva dal curatore nell’interesse della massa dei creditori. Di conseguenza, l’unico modo per far valere un credito è informare il curatore. Non farlo non è una semplice inerzia, ma una scelta che preclude la possibilità di “riscoprire” tale credito dopo la chiusura del fallimento.

L’onere della prova e la rinuncia ai crediti società fallita

La Corte ha chiarito che, nel contesto specifico del fallimento seguito da cancellazione per insufficienza di attivo, il principio è diverso da quello che governa l’estinzione ordinaria di una società. L’onere di provare la rinuncia non si inverte, ma la rinuncia stessa si presume proprio dalla mancata comunicazione al curatore. Questo comportamento, secondo la Corte, è indicativo della volontà di non voler vedere quel credito realizzato nell’ambito della procedura concorsuale, sottraendolo di fatto alla massa dei creditori.

Le Motivazioni

Il cuore del ragionamento della Cassazione risiede nel principio dello “spossessamento” del fallito. Con la dichiarazione di fallimento, l’imprenditore perde l’amministrazione e la disponibilità dei suoi beni, e con esse la capacità processuale per le controversie patrimoniali. Questa capacità viene trasferita al curatore, che agisce come unico organo legittimato a tutelare il patrimonio nell’interesse di tutti i creditori. Un socio o un amministratore può agire in via sussidiaria solo se dimostra il totale disinteresse del curatore, ma tale disinteresse non può esistere se il curatore non è nemmeno a conoscenza del credito.

Pertanto, la mancata informazione al curatore non è un dettaglio formale, ma un’omissione sostanziale che interrompe la catena logica e giuridica necessaria per la sopravvivenza del credito. Attribuire a tale omissione il significato di rinuncia è, secondo la Corte, una conclusione del tutto ragionevole e coerente con la ratio del sistema concorsuale, che mira a evitare condotte elusive volte a nascondere beni o crediti alla massa per poi tentare un recupero personale a procedura conclusa. Si tratta di una tutela fondamentale per la par condicio creditorum.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione stabilisce un principio netto e di grande rilevanza pratica: gli ex soci o amministratori di una società fallita che intendano preservare la possibilità di recuperare i crediti della società fallita dopo la sua cancellazione hanno un obbligo preciso: informare tempestivamente e formalmente il curatore fallimentare della loro esistenza. In assenza di tale comunicazione, il credito si considera tacitamente rinunciato. Questa decisione rafforza la centralità del ruolo del curatore e la trasparenza all’interno delle procedure concorsuali, ponendo un freno a possibili strategie opportunistiche a danno della massa dei creditori.

Cosa succede ai crediti di una società se i soci non informano il curatore fallimentare della loro esistenza durante la procedura?
Secondo la Corte di Cassazione, i crediti si considerano tacitamente rinunciati. La mancata comunicazione al curatore, unico soggetto legittimato a agire per la società fallita, impedisce agli ex soci di poterli riscuotere dopo la chiusura del fallimento e la cancellazione della società.

Un ex socio può agire in giudizio per recuperare i crediti di una società fallita e poi cancellata?
Sì, ma solo a condizione che il credito sia stato portato a conoscenza del curatore durante la procedura fallimentare. Se il curatore non è stato informato, l’ex socio perde la legittimazione ad agire perché il credito è considerato rinunciato dalla società stessa prima della sua estinzione.

Perché la mancata comunicazione al curatore viene interpretata come una rinuncia al credito?
Perché durante il fallimento la società è “spossessata” della sua capacità di agire, che passa interamente al curatore. Non informare il curatore equivale a una scelta di non far valere quel credito nell’unica sede appropriata (la procedura fallimentare) e nell’interesse di tutti i creditori. Questo comportamento è interpretato come una volontà di rinunciare al credito, per evitare che venga utilizzato per soddisfare la massa dei creditori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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