Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19318 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19318 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14950/2021 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-controricorrente e ricorrente incidentale-
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-controricorrente-
TRASMONDI NOME, TRASMONDI NOME, TRASMONDI NOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 2356/2021 depositata il 30/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 994/2008 emesso dal Tribunale di Velletri in favore della madre NOME COGNOME NOME, in forza di scrittura privata con la quale l’opponente si era impegnato a versare alla madre la somma di € 112.172,09. A sostegno dell’opposizione disconosceva le firme apposte in calce alla scrittura privata posta a fondamento della pretesa.
A seguito della morte di COGNOME NOME, l’opponente riassumeva il giudizio nei confronti degli eredi COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME. Costituitesi, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME chiedevano di essere estromesse dal giudizio, deducendo di avere rinunziato all’eredità della madre. Si costituiva anche COGNOME NOME deducendo di avere accettato l’eredità della de cuius con beneficio di inventario.
In corso di causa l’opponente depositava un documento con il quale la de cuius aveva ceduto il credito, oggetto di ingiunzione, al fratello COGNOME NOME, eccependo di conseguenza il difetto di legittimazione di COGNOME NOME
Istruita la causa tramite consulenza tecnica, il Tribunale di Velletri, per quanto ancora interessa, riconosciuta la tardività della nuova produzione dell’opponente, così decideva con sentenza n. 1930/2015: rigettava l’opposizione; disponeva l’estromissione dal giudizio delle germane COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME condannava l’opponente al pagamento delle spese in favore di COGNOME NOME.
Avverso tale sentenza proponeva appello COGNOME NOME, cui resisteva COGNOME NOME e, integrato il contradditorio nei confronti degli altri eredi, si costituivano COGNOME NOME e COGNOME NOME e aderivano alle richieste formulate dal germano COGNOME NOME, il quale aveva dedotto, fra l’altro, che la condanna doveva essere contenuta nei limiti della quota ereditaria. Restavano contumaci COGNOME NOME e COGNOME NOME.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 2365/2021, per quel che rileva in questa sede di legittimità, osservava in primo luogo, quanto all’eccezione di difetto di legittimazione di COGNOME NOME, che il medesimo appellante l’aveva chiamata nel giudizio riassunto quale erede della madre, costituendo quindi la deduzione dell’intervenuta cessione oggetto di eccezione in senso stretto, non rilevabile d’ufficio, tenuto conto del fatto che essa era intervenuta ben prima della riassunzione della causa. Nel merito, osservava che, una volta deceduta la creditrice, la sola fra gli eredi ad avere insistito per la condanna era stata COGNOME NOME la quale, però, non avrebbe potuto agire se non lei limiti della propria quota di eredità, non essendovi prova che gli altri chiamati avessero rinunziato all’eredità. Aggiungeva che COGNOME NOME aveva agito in proprio e non nell’interesse della massa ereditaria. In accoglimento dell’opposizione, pertanto, la Corte d’appello revocava il decreto ingiuntivo e condannava COGNOME NOME al pagamento della minore somma di € 18.659,35 .
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso COGNOME NOME sulla base di quattro motivi, cui resistono COGNOME NOME e COGNOME NOME, il quale propone a sua volta ricorso incidentale sulla base di due motivi.
Trasmondi NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME restano intimati.
Nell’imminenza dell’adunanza camerale, le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I motivi di ricorso possono così riassumersi:
violazione e la falsa applicazione dell’art. 522 c.c., per avere la Corte d’appello disconosciuto i principi di giurisprudenza in tema di crediti ereditari, in forza dei quali il singolo coerede è legittimato ad agire per l’intero, principi tanto più applicabili nel caso in esame, in considerazione della qualità di erede beneficiata della ricorrente, tenuta, pertanto, ad amministrare la massa nell’interesse dei creditori ereditari;
violazione e falsa applicazione dell’art. 522 c.c.: in presenza di più chiamati, i quali non avevano ancora né accettato, né rinunziato, non era possibile stabilire alcuna quota divisionale sulla base del quale ripartire il credito;
violazione e falsa applicazione degli artt. 470, 484, 486, 490 e 491 c.c., perché la Corte d’appello aveva erroneamente ritenuto che NOME avesse agito in proprio e non per conto della massa ereditaria. Era invece evidente che l’attuale ricorrente, avendo assunto la qualità di erede beneficiata, aveva agito nell’interesse dell’eredità, senza che occorresse una manifestazione esplicita di tale intento;
violazione e falsa applicazione degli artt. 470, 484, 486, 490 e 491 c.c.: in attesa della liquidazione, imposta dall’accettazione beneficiata, non era possibile procedere alla ripartizione del credito pro quota fra gli aventi diritto.
Questi sono invece i motivi del ricorso incidentale:
violazione e falsa applicazione dell’art.303, comma 2, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. ; violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., per avere la Corte erroneamente disatteso l’eccezione di carenza di legittimazione attiva di Trasmondi NOME
In particolare, il ricorrente incidentale sostiene che la riassunzione del giudizio nei confronti degli eredi della de cuius , è un atto dovuto ai sensi dell’art. 303, comma 2, c.p.c., che non implicava alcun riconoscimento della pregressa legittimazione; la Corte d’appello avrebbe poi dovuto tenere nel debito conto che nessuna delle parti aveva mai contestato l’avvenuta cessione del credito.
il secondo motivo di ricorso denunzia insufficiente e contradditoria motivazione circa un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. , relativamente al mancato rilievo d’ufficio del difetto di legittimazione.
In primo luogo occorre richiamare il principio secondo il quale «Nel giudizio di cassazione, il ricorso incidentale non condizionato, con cui vengano proposte questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito la cui decisione, secondo l’ordine logico e giuridico, debba precedere quella del merito del ricorso principale, va esaminato con priorità rispetto a quest’ultimo, indipendentemente dalla rilevabilità d’ufficio delle questioni proposte – profilo, questo, che riveste importanza preminente in caso di ricorso incidentale condizionato allo scopo di superare la volontà della parte di subordinare l’esame della propria impugnazione all’accoglimento del ricorso principale poiché l’interesse all’impugnazione sorge per il solo fatto che il
ricorrente incidentale è soccombente sulla questione pregiudiziale o preliminare decisa in senso a lui sfavorevole, così da rendere incerta la vittoria conseguita sul merito dalla stessa proposizione del ricorso principale e non già dalla sua eventuale fondatezza» (Cass. n. 23271/2014; n. 23113/2008).
Tale principio, in considerazione della natura della questione proposta, giustifica l’esame prioritario del ricorso incidentale nei suoi due motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto strettamente collegati, e che sono infondati, anche se la motivazione deve essere corretta. Infatti, diversamente da quanto si sostiene nella sentenza impugnata, le contestazioni, da parte del convenuto, della titolarità del rapporto controverso dedotto dall’attore hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti (Cass., S.U., n. 2951/2016).
Pertanto, è in errore la Corte d’appello nel momento in cui riconosce alla contestazione della titolarità del rapporto, fondata sull’avvenuta cessione del credito , natura di eccezione non rilevabile d’ufficio; nondimeno l’errore rimane irrilevante, essendo fatto pacifico che il documento fu prodotto dopo la scadenza del termine per le deduzioni istruttorie. La carenza di titolarità del diritto controversa rientra sì nel novero delle mere difese, ma è fatto sempre salvo il maturarsi di preclusioni processuali. A ciò si deve aggiungere, in termini decisivi, che la COGNOME, secondo la ricostruzione che emerge dalla decisione impugnata, avrebbe
ceduto il credito al figlio NOME in corso di causa, con la scrittura del 12 dicembre 2008 «recuperata solo in occasione di un recente trasloco». Risulta allora applicabile il principio secondo cui «la cessione di credito determina la successione a titolo particolare del cessionario nel diritto controverso, cui consegue, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., la valida prosecuzione del giudizio tra le parti originarie e la conservazione della legittimazione da parte del cedente, in qualità di sostituto processuale del cessionario, anche in caso d’intervento di quest’ultimo fino alla formale estromissione del primo dal giudizio, attuabile solo con provvedimento giudiziale e previo consenso di tutte le parti» (Cass. n. 22424/2009; n. 15622/2017). Il cedente, pertanto, (e per esse gli eredi) manteneva(no) la legittimazione attiva a proseguire il processo.
3. Il primo motivo del ricorso principale è infondato. La ricorrente richiama il principio, realmente affermatosi nella giurisprudenza della Corte di cassazione, secondo cui «I crediti del de cuius , a differenza dei debiti, non si ripartiscono tra i coeredi in modo automatico in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria, essendo la regola della ripartizione automatica dell’art. 752 c.c. prevista solo per i debiti, mentre la diversa disciplina per i crediti risulta dal precedente art. 727c.c., il quale, stabilendo che le porzioni debbano essere formate comprendendo anche i crediti, presuppone che gli stessi facciano parte della comunione, nonché dal successivo art. 757 c.c., il quale, prevedendo che il coerede al quale siano stati assegnati tutti o l’unico credito succede nel credito al momento dell’apertura della successione, rivela che i crediti ricadono nella comunione, ed è, inoltre, confermata dall’art. 760 c.c., che escludendo la garanzia per insolvenza del debitore di un credito assegnato a un coerede,
necessariamente presuppone che i crediti siano inclusi nella comunione; né, in contrario, può argomentarsi dagli artt. 1295 e 1314 dello stesso Codice, concernendo il primo la diversa ipotesi del credito solidale tra il de cuius ed altri soggetti e il secondo la divisibilità del credito in generale. Conseguentemente, ciascuno dei partecipanti alla comunione ereditaria può agire singolarmente per far valere l’intero credito comune, o la sola parte proporzionale alla quota ereditaria, senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri coeredi, ferma la possibilità che il convenuto debitore chieda l’intervento di questi ultimi in presenza dell’interesse all’accertamento nei confronti di tutti della sussistenza o meno del credito» (Cass., S.U., n. 24657/2007; n. 15894/2014; n. 24449/2015; n. 24865; 2015; n. 10585/2024).
Questa regola è evidentemente riferita ai crediti del de cuius nei confronti di terzi. Solo questi, infatti, fanno parte della massa oggetto di divisione. Non è invece riferibile ai crediti del defunto nei confronti di uno degli eredi, ai quali si applica la diversa regola stabilita dall’art. 724 c.c. Secondo tale norma ciascun erede deve imputare alla sua quota le somme di cui era debitore verso il defunto e quelle di cui è debitore verso i coeredi in dipendenza dei rapporti di comunione. Al che, come chiarisce il successivo art. 725 c.c., seguono proporzionali prelevamenti dalla massa da parte dei coeredi.
Con i prelevamenti si realizza, in sede divisoria, la ripartizione pro quota del credito del de cuius verso uno degli eredi fra tutti gli eredi concorrenti, compreso naturalmente il debitore, deducendosi la quota del debito per la quale la successione ereditaria ha determinato la confusione fra la posizione attiva e passiva.
In questo modo si realizza la definitiva liquidazione del rapporto obbligatorio eredede cuius. Per esempio , se in una comunione con parità di quota su una massa che vale 1000, uno dei due partecipanti doveva 200 al defunto, il creditore preleva beni dalla massa in proporzione della propria quota: nel caso ipotizzato nell’esempio, essendo le quote uguali, preleva 200, riducendosi la massa a 800, che è ripartita secondo le quote originarie in ragione di un mezzo ciascuno: il compartecipe creditore, dopo aver prelevato 200, consegue nella divisione altri 400 e così in totale 600, che corrispondono al suo diritto quale sarebbe stato senza il credito, aumentato di quanto gli spetta quale erede del de cuius creditore. Il compartecipe debitore consegue solo 400: ossia la sua quota sul relictum decurtata della quota del credito del de cuius spettant e al coerede, essendosi l’altra estinta per confusione (cfr. Cass. n. 27086/2021).
Si capisce dall’esempio che oggetto di imputazione è l’intero debito del coerede verso il defunto. Ciò, però, non contraddice la confusione pro quota determinata dalla riunione nella stessa persona delle posizioni debitoria e creditoria, ma è solo un espediente tecnico giustificato dal fatto che l’imputazione è funzionale al prelevamento e questo è operato sulla massa ancora indivisa.
I prelevamenti dipendenti dalla imputazione dei debiti, come quelli dipendenti da collazione, costituiscono una delle fasi del procedimento divisorio, ma sono fatti prima della divisione vera e propria, che si svolge con riferimento ai beni che residuano, tolti cioè i beni prelevati dai coeredi a cui è riconosciuto il diritto di effettuarli (Cass. n. 1481/1979; n. 398/1985; n. 3617/1987).
Si discute se i coeredi possano perseguire pro quota il coerede debitore prima e indipendentemente dalle operazioni divisorie di prelevamento (cfr. in argomento Cass. 28955/2023; contra , Cass. n. 5092/2006, che apparentemente considera l’imputazione me zzo inderogabile di liquidazione del debito del coerede verso il de cuius ). La questione, in questa sede, è irrilevante, perché la condanna pro quota non è stata impugnata dal coerede debitore. Invero, ai fini della decisione sul motivo basta il riconoscimento che la menzione , nell’art. 727 c.c., dei crediti tra i beni componenti la quota divisionale, non comprende i crediti del de cuius verso uno degli eredi. Quando si fanno le parti secondo i criteri stabiliti da tale norma, il rapporto defunto-erede è stato già liquidato: il credito del de cuius verso uno dei coeredi non costituisce oggetto di attribuzione divisoria.
4. Il secondo motivo è inammissibile. La Corte d’appello afferma che a seguito del «decesso dell’originaria creditrice, nella sua posizione sono subentrati gli eredi -ivi compreso lo stesso COGNOME NOME, non essendovi prova che essi abbiano rinunziato all’eredità in assenza di alcuna documentazione in proposito – e non solo COGNOME NOME che, peraltro, si è costituita in proprio, quale erede beneficiata, e non per conto della massa ereditaria». L’affermazione non è tecnicamente precisa; la mancata rinunzia di alcuni dei chiamati non implica l’ accettazione, ma la persistenza della qualità di chiamato: «in tema di successioni mortis causa , ai fini dell’acquisto della qualità di erede non è di per sé sufficiente, neanche nella successione legittima, la delazione dell’eredità che segue l’apertura della successione, essendo necessaria l’accettazione del chiamato mediante una dichiarazione di volontà oppure un
comportamento obiettivo di acquiescenza» (Cass. n. 5247/2018); tuttavia la conseguenza dell’errore commesso dalla Corte d’ appello non è quella auspicata dalla ricorrente, secondo la quale «non essendo stata accettata l’eredità o rinunziata da tutti i chiamati, non era possibile valutare alcuna quota divisionale».
Deve senza riserve riconoscersi che «la comunione ereditaria sorge fra coeredi e non tra semplici chiamati all ‘ eredità, così da presupporre l’accettazione espressa o tacita dell’eredità stessa da parte di ciascuno di coloro ai quali essa è devoluta. Conseguenze che, in difetto di tale atto, non verificandosi il subingresso del chiamato nella parte frazionaria dell’ universum ius costituente l’asse ereditario, il chiamato medesimo non è legittimato all’esperimento di alcuna azione divisoria attinente alla quota solo potenzialmente spettantegli» (Cass. n. 5443/1994; cfr. altresì 39340/2021).
Non è pertanto configurabile la divisione, nemmeno sub specie di liquidazione del debito del coerede verso il d e cuius, se non sono stati preventivamente individuati i soggetti concorrenti e le quote in base alle quali attuare il concorso. Del resto, l’ordinamento consente agli interessati il ricorso all’ actio interrogatoria di cui all’art. 481 c.c. che ha proprio lo scopo di abbreviare il termine di prescrizione entro il quale il chiamato deve accettare l’eredità. Pertanto, ammesso e non concesso, come sostiene la ricorrente, che alcuni dei chiamati non avessero accettato, il fatto avrebbe giustificato una conclusione diversa da quella sostenuta dalla ricorrente. La Corte d’appello, in attesa della definizione del procedimento successorio, non avrebbe potuto pronunziare neanche la condanna pro quota , che invece è stata pronunziata, dandosi per scontata l’accettazione da parte di tutti i chiamati.
5. Il terzo e il quarto motivo, con il quale è denunziata la violazione delle medesime norme, sono infondati. Con essi si deduce che l’attuale ricorrente, tramite la spendita della qualità di erede beneficiata, aveva per forza di cose agito nell’interesse dell’eredità. In forza di ciò, la Corte d’appello avrebbe dovuto riconoscere il diritto dell’attuale ricorrente di perseguire il coerede-debitore del de cuius per l’intero. La tesi costituisce petizione di principio, in rapporto alla natura e agli effetti del beneficio di inventario. L’equivoco, probabilmente, è generato da quel passaggio motivazionale nel quale la Corte d’appello afferma che ‘NOME COGNOME si è espressamente costituita in proprio e non per conto della massa ereditaria’. La frase, infatti, letta a contrario , potrebbe significare che l’esito della lite sarebbe stato diverso se l’attuale ricorrente avesse agito nell’interesse dell’eredità e non quale erede beneficiata. Da qui lo sforzo della ricorrente teso a dimostrare che le due cose coincidono, perché NOME COGNOME, avendo assunto, «la funzione e qualità di erede beneficiato non poteva che agire nell’interesse dell’eredità». Lo sforzo è tuttavia vano, perché il rilievo della Corte d’appello rappresenta un passaggio motivazionale, privo di contenuto, non comprendendosi in forza di quale norma la qualità di erede beneficiato avrebbe dovuto portare con sé, nella situazione data, la legittimazione della COGNOME a richiedere al coerede debitore del de cuius l’intero.
5. In linea generale, i creditori del defunto possono far valere le loro ragioni nei confronti di ciascuno degli eredi secondo il rispettivo regime di responsabilità, che varia naturalmente a seconda che l’eredità sia stata accettata puramente o semplicemente o con il beneficio di inventario (art. 470 c.c.). Nel primo caso, per effetto della confusione dei patrimoni, l’erede
risponde con l’intero suo patrimonio compresi i beni personali; nel secondo caso, il patrimonio del defunto è tenuto distinto da quello dell’erede, con il risultato che l’erede conserva verso l’eredità tutti i diritti e tutti gli obblighi che aveva verso il defunto, tranne quelli estinti per effetto della morte, non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni a lui pervenuti, i creditori ereditari e i legatari hanno preferenza sul patrimonio ereditario di fronte ai creditori dell’erede (art. 470 e 490 c.c.) (Cass, n. 27626/2024; n. 29252/2020).
5.1 Con riferimento al credito del defunto nei confronti di uno degli eredi , occorre fare una distinzione, a seconda che l’eredità sia stata accettata con il beneficio di inventario anche dall’erede debitore o solo da uno o più dei coeredi creditori. Si ricorda che, secondo le Sezioni unite (cfr. Cass. S.U. n. 10531/2013) l’ effetto espansivo del beneficio di inventario, previsto dall’art. 510 c.c., non si traduce nell’attribuire a tutti i chiamati la qualità di eredi beneficiati, sussistendo pur sempre la facoltà degli altri di manifestare una accettazione pura e semplice. A fortiori l’estensione non è più concepibile in favore del chiamato che abbia già accettato puramente o semplicemente (cfr. Cass. n. 1679/1963).
Se il coerede-debitore del de cuius ha accettato con beneficio di inventario, egli , ai sensi dell’art. 490, comma 2 n. 1, c.c., deve effettuare la prestazione a vantaggio della massa ereditaria, perché l’intero valore fa parte di questa. Ma se l’erede debitore ha accettato puramente e semplicemente, poiché si è verificata la confusione dei patrimoni, l’obbligo sussiste relativamente al quantum di quel credito che spetta agli altri, deducendosi la quota per cui il coerede è diventato contemporaneamente debitore e
creditore (cfr. Cass. n. 22988/2014; n. 10944/2007; n. 1181/1989). Sarebbe infatti assurdo che l’erede togliesse dall’unico patrimonio di propria pertinenza quanto doveva al defunto, per riversarlo nello stesso patrimonio che, comprendendo quello che già apparteneva al defunto, è contemporaneamente lo stesso su cui deve cadere la prestazione. Naturalmente, nei confronti dei coeredi che hanno accettato con beneficio di inventario, il quantum riscosso del debitore entra a far parte del patrimonio rispetto al quale opera la preferenza dei creditori ereditari e dei legatari, i quali non subiscono alcun pregiudizio dalla ripartizione.
Nel caso in esame, l’accettazione beneficiata accampata dalla ricorrente è quella propria, non quella di COGNOME Antonio, al quale la Corte d’appello ha univocamente riconosciuto la qualità di erede senza alcuna specificazione. È stata recepita l’obiezione , proposta in appello dal medesmo COGNOME Antonio, che si doveva condannare «il debitore al pagamento della somma dovuta in favore degli eredi, in ragione delle rispettive quote ereditarie, vantando lo stesso opponente, quale erede di NOME COGNOME COGNOME, il diritto a ricevere la sua quota» (pag. 5 della sentenza). Nello stesso tempo non risulta essere stato mai sostenuto nel giudizio, neanche in questa sede, che il Trasmondi avesse manifestato la volontà di fruire dell’effetto previsto dall’art. 510 c.c. , a seguito dell’accettazione beneficiata fatta dalla coerede.
6. In conclusione, sono rigettati sia il ricorso principale, sia il ricorso incidentale.
Si compensano le spese fra ricorrente principale e incidentale, mentre le seguono la soccombenza fra ricorrente principale e controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e il ricorso incidentale; compensa per intero le spese tra ricorrente principale ed incidentale; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente NOME COGNOME liquidate in € 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da part della ricorrente principale e del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, ove dovuto, per il rispettivo ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda