Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4403 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4403 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 19/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5956/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
CURATELA RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE
-intimato- avverso DECRETO di TRIBUNALE NOCERA INFERIORE in R.G. n. 1221/2014 depositato il 10/01/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
1.Il Tribunale di Nocera Inferiore, in parziale accoglimento dell’opposizione ex art. 98 legge fall. proposta da NOME COGNOME
avverso il decreto con cui il RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE, in liquidazione, lo aveva ammesso al passivo per la minor somma di euro 5897,43, a titolo di TFR non corrisposto – a fronte di una domanda di insinuazione al passivo, in privilegio, di un credito dell’importo di € 104.531,92, oltre accessori, con cui erano state richieste anche differenze retributive, lavoro straordinario, tredicesima e quattordicesima mensilità -ha ammesso, in via privilegiata, il COGNOME allo stato passivo per l’ulteriore credito di € 4.556,67, a titolo di differenze su trasferte.
Il giudice di primo grado ha osservato che dall’espletata CTU era emerso che la società resistente aveva correttamente corrisposto le tredicesime e quattordicesime mensilità, così come aveva versato le somme dovute a titolo di TFR e gli emolumenti per lo svolgimento del lavoro straordinario, risultando ancora dovuta la somma di € 4.555,47 a titolo di differenze su trasferte.
Avverso tale decreto ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, affidandolo a cinque motivi.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo il ricorrente deduce la «nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 93 e 95, terzo comma, legge fall., in relazione all’art. 36 della Costituzione, nonché degli articoli 112,115 e 116 c.p.c. e 2697 c.c.
Il Tribunale avrebbe omesso di rilevare che il giudice delegato aveva ecceduto nei poteri conferitigli, sollevando d’ufficio eccezioni in ordine alla durata e allo svolgimento del rapporto, mentre queste ultime esulavano dalle eccezioni in senso lato, restando nella disponibilità delle parti. In realtà, nel progetto di stato passivo il curatore aveva proposto l’ammissione per euro 104.531,92. In sede di opposizione, tale richiesta era stata ribadita, con la produzione del parere del curatore «incorporato nel verbale di
esame dello stato passivo». Per tale ragione, il giudice delegato non avrebbe potuto onerare il ricorrente della dimostrazione della quantità e della intensità del lavoro svolto, «diversamente violandosi il principio dispositivo». I fatti di causa in realtà sarebbero stati «pacifici», sicché il giudice delegato non avrebbe potuto richiedere la dimostrazione della quantificazione dei crediti in altra sede.
2. Il motivo è inammissibile.
Va osservato che questa Corte (Cass. 8 agosto 2017, n. 19734; Cass. n. 12973/2018; Cass. 6 agosto 2015, n. 16554) ha più volte stabilito che il principio di non contestazione, che pure ha rilievo rispetto alla disciplina previgente quale tecnica di semplificazione della prova dei fatti dedotti, non comporta affatto l’automatica ammissione del credito allo stato passivo solo perché non sia stato contestato dal curatore (o dai creditori eventualmente presenti in sede di verifica), competendo al giudice delegato (e al tribunale fallimentare) il potere di sollevare, in via ufficiosa, ogni sorta di eccezioni in tema di verificazione dei fatti e delle prove: l’accertamento sull’esistenza del titolo vantato nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, e dedotto in giudizio, deve essere dunque compiuto dal giudice ex officio in ogni stato e grado del processo, nell’ambito proprio di ognuna delle sue fasi, in base alla risultanze rite et recte acquisite nei limiti in cui tale rilievo non sia impedito o precluso in dipendenza di apposite regole.
Inoltre, proprio perché l’accertamento sull’esistenza del titolo dedotto in giudizio deve essere compiuto dal giudice “ex officio” in ogni stato e grado del processo (vedi Cass. 24972/2013; conf. Cass. 29254/2019) non incorre neppure nella violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. il tribunale che, esercitando il proprio potere d’ufficio di accertare la fondatezza della domanda proposta, rigetti l’opposizione allo stato passivo proposta dal creditore.
In sostanza, il potere di esaminare il fondamento della domanda spetta al giudice, che deve valutare l’assolvimento dell’onere della prova che incombe sul creditore e non è vincolato dall’adesione del curatore.
Nel caso di specie, il RAGIONE_SOCIALE delegato, nell’esaminare i documenti prodotti in giudizio dal lavoratore e la loro valenza probatoria, valutazione che è riservata al giudice di merito, ha ritenuto solo parzialmente provata la pretesa del ricorrente, senza per questo incorrere in alcuna violazione di legge. Non pertinente è quindi il richiamo al principio di non contestazione.
Con il secondo motivo il ricorrente si duole della nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116 c.p.c., in relazione all’art. 2697 c.c., nonché dell’art. 36 della Costituzione.
Espone il ricorrente che, alla luce delle allegazioni della curatela, la quale ha riconosciuto la quantità e la qualità dell’attività lavorativa dallo stesso svolta, il Tribunale non avrebbe potuto mettere in discussione tale profilo, dovendo porsi solo la questione della prova del pagamento.
Il motivo è inammissibile in quanto non ha colto la ratio decidendi .
Il tribunale di Nocera Inferiore ha dato espressamente atto che, all’esito della prova testimoniale, era risultato provato che il COGNOME aveva svolto attività lavorativa -consistita nel compimento di viaggi della durata di più giorni in varie regioni d’Italia – con le mansioni di autista alle dipendenze della società poi fallita. Tuttavia, è stata riconosciuta al ricorrente solo la somma di € 4.556, 47, per essere emerso dall’espletata CTU che la società resistente aveva correttamente corrisposto le tredicesime e quattordicesime mensilità, così come aveva versato le somme dovute a titolo di TFR e gli emolumenti per lo svolgimento del lavoro straordinario.
Dunque, non è vero che il Tribunale ha messo in discussione la quantità e la qualità del lavoro prestato dal ricorrente. Il motivo per cui il Tribunale ha accolto solo parzialmente l’opposizione risiede nel rilievo che, dall’espletata CTU , era risultato l’intervenuto pagamento da parte della società poi fallita di tutte le altre voci retributive.
Quanto alla dedotta violazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., la doglianza riguardante tali profili non è stata neppure illustrata, con conseguente inammissibilità di tali censure. Sul punto, questa Corte ha evidenziato che i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con -fra l’altro- l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito (vedi Cass., 2/4/2014, n. 7692).
Con il terzo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza per assoluta mancanza di motivazione, nonché violazione dell’art. 132, primo comma, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 111 Cost..
Si duole il ricorrente che la motivazione della decisione sarebbe completamente avulsa dalle risultanze processuali ed «inidonea a dare conto dell’esito della loro valutazione».
Inoltre, ad avviso del ricorrente, vi sarebbe una irrisolvibile discrepanza tra la parte motiva della sentenza e le conclusioni del CTU, il quale aveva riconosciuto al lavoratore un credito di € 65.276,87 senza rilevare gli asseriti pagamenti considerati dal
giudice di primo grado. Peraltro, il giudice di primo grado non aveva neppure specificato in quali passaggi della relazione del CTU potesse evincersi che il credito del lavoratore fosse stato, almeno in parte, soddisfatto, essendosi riportato alle conclusioni della CTU senza aver neppure indicato le ragioni fattuali che aveva ritenuto di condividere.
Infine, lamenta il ricorrente che dalle deposizioni testimoniali -che ha provveduto a trascrivere nel ricorso – era emerso che il suo impegno lavorativo riguardava l’intera settimana, senza la limitazione della sua prestazione lavorativa dal lunedì al mercoledì, come apoditticamente accertato dal Tribunale.
6. Il motivo presenta profili di infondatezza ed inammissibilità.
Va, in primo luogo, osservato che la motivazione del decreto del Tribunale non solo è presente graficamente, ma contiene, sia pure in sintesi, la enucleazione del ragionamento logico-giuridico che ha condotto il giudice al rigetto dell’opposizione.
Nella motivazione, infatti, il Tribunale fa riferimento non soltanto all’espletamento della prova testimoniale nel giudizio di opposizione allo stato passivo, riportandone il contenuto, ma anche alla relazione della CTU, da cui emergeva l’intervenuto pagamento da parte della fallita di alcune voci retributive. Dunque, il giudice di merito ha assolto al proprio obbligo di motivazione secondo i parametri elaborati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 8053/2014.
Quanto alle asserite discrepanze tra le conclusioni del CTU e l’accertamento del giudice di merito, non vi è dubbio che, con tale censura, il ricorrente non abbia fatto altro che formulare una censura di merito, in quanto finalizzata a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dal giudice di primo grado, la quale non è censurabile in sede di legittimità, se non per vizio di motivazione (nei termini di cui all’art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c.), insussistente nel caso di specie, come sopra evidenziato.
Inammissibile è, parimenti, la doglianza di carenza argomentativa del decreto impugnato in ordine alle conclusioni della CTU. Sul punto, questa Corte ha affermato che il giudice del merito non è tenuto a fornire un’argomentata e dettagliata motivazione là dove aderisca alle elaborazioni del consulente ed esse non siano state contestate in modo specifico dalle parti, mentre, ove siano state sollevate censure dettagliate e non generiche, ha l’obbligo di fornire una precisa risposta argomentativa correlata alle specifiche critiche sollevate, corredando con una più puntuale motivazione la propria scelta di aderire alle conclusioni del consulente d’ufficio (vedi Cass. n. 12703/2015; conf. 23594/2017).
Nel caso di specie, il ricorrente non ha neppure dedotto di aver contestato innanzi al giudice di merito le conclusioni del CTU, per cui quest’ultimo ha assolto al proprio obbligo motivazionale riportandosi alle risultanze dell’elaborato peritale.
Infine, si appalesa inammissibile, in quanto di merito, la censura con cui il ricorrente si duole che la Corte avrebbe erroneamente accertato il suo impegno lavorativo solo di tre giorni a settimana e non del l’intera settimana.
Con il quarto motivo è stata dedotta la «nullità della sentenza per violazione degli artt. 93, 95, 96 l.f., nonché dell’art. 2909 c.c.
Espone il ricorrente che il giudice delegato, nel decreto di esecutività dello stato passivo, aveva ammesso il credito del dipendente nei limiti del TFR per euro 5897,43, oltre accessori. Con l’opposizione il creditore aveva chiesto l’ammissione al passivo di un importo maggiore rispetto a quello riconosciuto dal giudice delegato, mentre la curatela del RAGIONE_SOCIALE si era limitata a chiedere l’inammissibilità o il rigetto del ricorso.
Si duole il ricorrente che il Tribunale, nonostante l’assenza di una impugnazione incidentale da parte della curatela, avesse
modificato lo stato passivo «espungendo il credito ammesso per il TFR stante il divieto di reformatio in peius».
8. Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi . Da un esame del decreto impugnato non emerge affatto che il Tribunale di Nocera Inferiore abbia espunto il credito da TFR già ammesso dal G.D.
Nel dispositivo si legge che, a modifica del decreto che ha reso esecutivo lo stato passivo, è stato ammesso, in via privilegiata, il credito di € 4.556,67, senza alcun cenno ad un’eventuale esclusione del credito già ammesso dal G.D. Significativo inoltre, sul punto, è il passaggio del decreto in cui il giudice ha evidenziato che il CTU aveva accertato che risultava dovuta ‘l’ulteriore’ somma di € 4.556,47, espressione coerente con il riferimento, implicito ma chiaro, al riconoscimento di un credito già ammesso dal G.D.
Con il quinto motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 429 c.p.c., in relazione all’art. 36, comma 1° Cost.
Il Tribunale avrebbe errato nel non accordare all’esponente gli interessi e la rivalutazione monetaria che dovevano essere liquidati dal giudice anche d’ufficio, trattandosi di crediti derivanti dall’inadempimento di obblighi retributivi.
10. Il motivo è fondato.
Alla luce della sentenza n. 204 del 1989 della Corte Costituzionale sui crediti di lavoro del dipendente di imprenditore dichiarato fallito, è dovuta anche d’ufficio la rivalutazione monetaria altresì in riferimento al periodo successivo all’apertura del RAGIONE_SOCIALE, ma soltanto fino al momento in cui lo stato passivo diviene definitivo, mentre gli interessi legali sui crediti privilegiati di lavoro nella procedura di RAGIONE_SOCIALE, ai sensi degli artt. 54, terzo comma, e 55, primo comma, della legge fall., sono dovuti, senza il limite predetto, dalla maturazione del titolo al saldo (Cass., sez. L, 18 settembre 2015, n. 18405; Cass., sez. L, 24 luglio 2014, n. 16929; Cass., 1 giugno 2005, n. 11692).
Ne consegue che il decreto impugnato va cassato limitatamente al mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria e, decidendo nel merito, a norma dell’art. 384 c .p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, deve disporsi direttamente da questa Corte che sul credito già ammesso dal giudice di primo grado per € 4.556,67 vadano riconosciuti gli interessi legali fino al primo riparto che contempli lo stesso credito, nonché la rivalutazione monetaria fino alla chiusura dello stato passivo (Corte Cost. n. 204/89, Cass. n. 16927/2014).
In ragione del fatto che il ricorrente è risultato soccombente in tutti i motivi, tranne l’ultimo (di scarsa rilevanza), sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, rigetta i primi tre, dichiara inammissibile il quarto; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, ammette il ricorrente, sul credito già ammesso al passivo dal giudice delegato per € 4.556,67 , anche per i relativi interessi legali fino al primo riparto che contempli lo stesso credito, nonché per la rivalutazione monetaria sul credito già ammesso fino alla chiusura dello stato passivo.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 17.1.2024