Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 13967 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 13967 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: RAGIONE_SOCIALE
Data pubblicazione: 20/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23287/2020 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE di INDIRIZZO, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) per procura speciale allegata al ricorso
-ricorrente-
contro
COMUNE di TORINO, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO che lo rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO NOME COGNOME per procura speciale allegata al controricorso
-controricorrente-
nonché contro
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 59/2020 depositata il 17/01/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso in opposizione, il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘ di INDIRIZZO impugnava l’ordinanza ingiunzione n. GH20140000048 dell’importo di € 12.676,61 emessa ex R.D. n.639/2010 dal Comune di RAGIONE_SOCIALE, con la quale l’Ente chiedeva il pagamento del canone di occupazione spazi e aree pubbliche (COSAP) dovuto per l’annualità 2014, in relazione all’apposizione di griglie e bocche di lupo, utilizzate dal RAGIONE_SOCIALE sul suolo, assoggettato ad uso pubblico, adiacente all’edificio, la cui superficie comprendeva le aree a giardino, lato interno e lato piazza pubblica.
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE accertava, con sentenza n. 4864/2017, che dall’esame del titolo costitutivo della servitù di uso pubblico (convenzione di Piano Esecutivo Convenzionale -PEC -sottoscritta il 26 -6 -1998), l’area privata asservita all’uso pubblico era priva di griglie di areazione (limitatamente a quelle identificate ai numeri 15,16 e 17), con la conseguenza che il diritto di uso pubblico del Comune RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE risultava sorto libero da ogni vincolo. In particolare il Tribunale rilevava che, dall’allegato prodotto dal Comune, costituito da una tavola che individuava il verde ad uso pubblico, non risultavano presenti griglie o intercapedini, mentre non erano stati prodotti il progetto planivolumetrico, né altre tavole, sicché non era provato che preesistevano le suddette griglie o intercapedini e che, di conseguenza, la servitù ad uso pubblico
fosse sorta con il limite della preesistente utilizzazione particolare sul suolo da parte del RAGIONE_SOCIALE.
Con sentenza n. 59/2020, pubblicata il 17/01/2020, la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE rigettava l’unico motivo di impugnazione proposto dal RAGIONE_SOCIALE avverso la citata sentenza del Tribunale. La Corte di merito rilevava che: a) era irrilevante l’invocata valorizzazione dell’epoca di realizzazione dei manufatti rispetto a quella del dato giuridico afferente il titolo, in base all’orientamento della giurisprudenza di legittimità richiamato (Cass. 1435/2018); b) era infondata la denunciata violazione dell’art.1029, comma secondo, cod. civ., poiché la fattispecie legale di cui alla citata norma riguarda la costituzione di servitù a favore o a carico di un edificio da costruire o di un fondo da acquistare, mentre nel caso di specie la servitù riguardava un fondo e non un edificio e la servitù era stata costituita, mediante la convenzione PEC, sul fondo già di proprietà del RAGIONE_SOCIALE.
Avverso tale sentenza il RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi e resistito con controricorso dal Comune RAGIONE_SOCIALE.
Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ.. Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorrente denuncia: i) con il primo motivo la ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 24 della Costituzione e dell’art. 2907, comma 1, del codice civile, nonché del combinato disposto degli artt. 1117 e 1117 -bis cod, civ., dell’art. 2 R.D. 14.4.1910, n. 639, e degli artt. 81 e 100 del codice di procedura civile (art. 360, primo comma, numero 3, c.p.c.) ‘; deduce che le aree in questione appartengono ad un distinto ed autonomo soggetto giuridico, ossia il Supercondominio con C.F. 97797950017, come, ad avviso del ricorrente, risulta dalla missiva del 30 luglio 2014 prodotta, con la
quale il Comune chiedeva il pagamento del Cosap al ‘RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO -147 -149 -151′; eccepisce, pertanto, il ricorrente la propria carenza di legittimazione passiva e il difetto di interesse ad agire ex art.100 cod. proc. civ. del Comune, nonché rimarca che detti difetti non erano stati ‘colti’ né dal Tribunale, né dal Giudice d’appello; ii) con il secondo motivo la ‘ violazione dell’art. 1029, comma 2, del codice civile e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 63 del D.Lgs. 15.12.1997, n. 446 (e ss.mm.ii), e 1 del Regolamento COSAP della Citta di RAGIONE_SOCIALE (art. 360, primo comma, numero 3, c.p.c.)’ , per non avere la Corte di merito considerato che (a) nella specie la servitù ad uso pubblico si configurava a formazione progressiva e l’art. 1029 cod. civ. è applicabile nel caso in esame, in quanto oggetto della servitù era un’area attrezzata con manufatti vari e quindi sussumibile nella categoria degli edifici; (b) alla data di stipula della Convenzione PEC del 1998, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’appello, il fondo non apparteneva al RAGIONE_SOCIALE poiché, a quell’epoca, quest’ultimo non esisteva, non era neppure iniziata la costruzione del compendio immobiliare e neppure esisteva un fondo suscettibile di uso pubblico, ma uno stabilimento industriale dismesso; (c) dall’esame della Convenzione PEC del 1998 (doc. 2 ), era dato evincere che la trasformazione della relativa zona urbana era destinata ad essere, ed era stata attuata, ben dopo la data (26 giugno 1998) della sua stipula, e la sistemazione a pubblico servizio dei 3.304 metri quadri privati da asservire ad uso pubblico non era stata anteriore all’esecuzione delle opere edificatorie private (griglie incluse); deduce, quindi, che la Convenzione PEC del 1998 costituiva un titolo di costituzione ad efficacia differita della servitù in contestazione, come era dato evincere dalla Convenzione integrativa del 2007, e in tal modo i giudici di merito avrebbero dovuto qualificarla.
Il primo motivo è inammissibile.
La deduzione circa il ‘difetto di legittimazione’ in capo al ricorrente è questione nuova, pacificamente sollevata solo in sede di legittimità, come si desume dalle stesse asserzioni del RAGIONE_SOCIALE, che aveva svolto nei precedenti gradi di giudizio solo difese nel merito delle questioni controverse.
Orbene, la suddetta eccezione più propriamente è da qualificarsi come di difetto di titolarità passiva del diritto controverso (Cass. S.U. 2951/2016), perché attiene al merito, ossia riguarda un fatto solo in questa sede allegato (le griglie appartenevano al Supercondominio), non desumibile dalla prospettazione della domanda e della correlata difesa, ma, secondo quanto lo stesso ricorrente deduce, da una missiva del 2014 del RAGIONE_SOCIALE, il cui contenuto neppure è riportato compiutamente in ricorso. Di conseguenza, per un verso, come già rimarcato, non è ammissibile l’ampliamento del thema decidendum a una questione nuova che implica accertamenti di fatto e, in ogni caso e per altro verso, il RAGIONE_SOCIALE ha svolto nei giudizi di merito difese incompatibili con la negazione della propria titolarità della posizione soggettiva passiva (cfr. Cass. S.U. 2951/2016 citata).
Il secondo motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.
La Corte di merito ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui è obbligato al pagamento del cosap il condominio che abbia sostituito con griglie una parte del piano di calpestio di un’area già gravata da servitù pubblica di passaggio, al fine di migliorare il godimento dei locali sottostanti al suolo, e ciò in quanto esso gode di un’utilizzazione particolare dell’area medesima (Cass. 18037/2009; Cass. 32410/2023).
La preesistenza della servitù pubblica rispetto alla apposizione di griglie è stata accertata in fatto dalla Corte d’appello, e la censura è inammissibile nella parte in cui, tramite l’apparente denuncia di vizi di violazione di legge, in realtà sollecita una rivisitazione del merito,
introducendo anche fatti nuovi, non menzionati nella sentenza impugnata. Nello specifico, i giudici di merito hanno accertato che l’utilizzazione particolare del piano di calpestio con griglie non preesisteva alla costituzione della servitù ad uso pubblico mediante la convenzione PEC del 26 -6 -1998.
Inoltre il RAGIONE_SOCIALE sostiene che debba applicarsi l’art.1029 cod. civ. in base ad una ricostruzione interpretativa diversa del titolo costitutivo della servitù, che si configurerebbe a formazione progressiva, ma non indica i criteri ermeneutici asseritamente violati dalla Corte di merito. A tal fine richiama anche una convenzione integrativa del 2-10-2007 (pag. 19 ricorso), che non è menzionata nella sentenza impugnata ed il cui contenuto non è compiutamente precisato in ricorso, difettando la doglianza, sotto tale profilo, di specificità e di autosufficienza.
4. In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, ove dovuto (Cass. S.U. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, che liquida in € 2.700,00, di cui €200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima sezione