Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3050 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3050 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/02/2025
R.G.N. 9679/19
C.C. 21/01/2025
Appalto di servizi -Pagamento corrispettivo -Insinuazione al passivo
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 9679/2019) proposto da: RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA, in persona del suo legale rappresentante pro -tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende, unitamente all’Avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
Fallimento RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA, in persona dei suoi curatori pro -tempore , rappresentato e difeso, in forza di provvedimento del Giudice delegato del 4 aprile 2019, giusta procura in calce al controricorso, dall’Avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME;
-controricorrente –
avverso il decreto del Tribunale di Rimini n. 1508/2019, pubblicato in data 11 febbraio 2019, comunicato in data 11 febbraio 2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 gennaio 2025 dal Consigliere relatore NOME COGNOME
viste le conclusioni scritte depositate dal Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso, ai sensi dell’art. 380 -bis .1., secondo periodo, c.p.c.;
letta la memoria illustrativa depositata nell’interesse della ricorrente, ai sensi dell’art. 380 -bis .1., terzo periodo, c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1. -All’esito di istanza ex art. 93 legge fall. (secondo il dettato vigente ratione temporis ), depositata il 24 gennaio 2018, con decreto del 13 luglio 2018, il Giudice delegato presso il Tribunale di Rimini rigettava la domanda di insinuazione al passivo del Fallimento RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi Fallimento RAGIONE_SOCIALE) proposta dalla RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi RAGIONE_SOCIALE) per l’importo di euro 1.550.000,00, a titolo di compenso per l’appalto di s ervizi eseguito, oltre IVA, limitandone l’ammissione a soli euro 32.394,95, a titolo di rimborso delle anticipazioni sostenute nella fase di concordato preventivo e per le prestazioni eseguite non comprese nel contratto d’appalto di servizi, e ritenendo che gli acconti ricevuti in corso di procedura riflettessero l’attività
prestata e l’utilità apportata al concordato, senza che vi fosse prova dell’esatta esecuzione delle ulteriori controprestazioni contrattuali asseritamente svolte.
Segnatamente, al fine di realizzare al meglio il piano concordatario omologato con decreto del 24 ottobre 2014 per la gestione, lo sviluppo e la liquidazione del patrimonio aziendale, gli organi della procedura avevano autorizzato il Gruppo CMV a stipulare in data 15 gennaio 2015 con la RAGIONE_SOCIALE, per la durata dal 1° gennaio 2015 fino al 30 aprile 2018, un contratto di appalto di servizi, avente ad oggetto A) il settore amministrativo, B) la gestione e manutenzione degli immobili ultimati, C) la valorizzazione delle aree e la vendita degli immobili, per il corrispettivo di euro 2.578.784,29, oltre IVA, forfettario e onnicomprensivo, contratto di appalto poi modificato il 10 ottobre 2016, nel senso che, con riferimento all’ideazione di un piano marketing per la vendita degli immobili e la realizzazione dello stesso, la pubblicità sarebbe stata commissionata direttamente dal Gruppo CMV e, quanto al compenso spettante all’appaltatore, questo sarebbe stato ridotto in una parte fissa pari ad euro 1.730.000,00 e in una parte variabile pari ad euro 200.000,00, a titolo di bonus .
Seguiva la risoluzione del concordato con la sentenza n. 82/2017, depositata il 15 settembre 2017, per insufficienza delle somme ricavabili dalla liquidazione dei beni ceduti, e la contestuale dichiarazione di fallimento.
2. -Con ricorso depositato il 12 settembre 2018, la CRCS proponeva, ai sensi dell’art. 98 legge fall. (vigente ratione temporis ), opposizione avverso il decreto di esecutorietà dello
stato passivo, lamentando: 1) che il concordato aveva effettivamente accantonato le somme dovute a RAGIONE_SOCIALE, senza poi versarle; 2) che RAGIONE_SOCIALE aveva dato correttamente seguito a tutte le attività indicate nelle tre macroaree di cui all’art. 2 dell’appalto, senza che potesse autonomamente disporre dei beni e delle risorse del concordato in difetto di un mandato con rappresentanza; 3) che aveva diligentemente sollecitato l’adempimento degli oneri fiscali alle scadenze previste e in generale tutte le incombenze burocratiche; 4) che aveva provveduto alla diligente manutenzione di tutti gli immobili di proprietà del RAGIONE_SOCIALE; 5) che, quanto alla valorizzazione delle aree, aveva diretto i rapporti con le amministrazioni competenti sia a livello tecnico, sia a livello politico, al fine di liquidare il patrimonio aziendale, gestendo l’ iter burocratico necessario per la predisposizione della vendita finale; 6) che, affinché potesse addivenirsi alla vendita, si rendeva necessario un input concreto e decisivo da parte degli organi della procedura, anche al fine di preservare il lavoro svolto, che costituiva di per sé attività vantaggiosa in termini di valorizzazione e di raggiungimento degli obiettivi finali illustrati; 7) che l’obbligazione che le faceva carico era di mezzi e non di risultato, come era comprovato dalla circostanza che il compenso era stato pattuito a scadenze predeterminate e non già al raggiungimento dei determinati obiettivi.
Si costituiva nel giudizio di opposizione il Fallimento RAGIONE_SOCIALE il quale instava per il rigetto dell’opposizione, evidenziando l’inadempienza di RAGIONE_SOCIALE quanto alla terza macroarea affidata, che era preponderante e basilare per la stessa proposta di concordato,
ossia la valorizzazione delle aree, costituendo il patrimonio immobiliare da sviluppare il 72% dell’intero patrimonio, come aveva accertato la sentenza dichiarativa di fallimento n. 82/2017, secondo cui CRCS aveva già incassato, a titolo di acconti, la somma di euro 560.590,00, pur in assenza di una visibile attività di valorizzazione dei beni, posto che, nell’arco temporale di esecuzione del concordato, a fronte di un fabbisogno concordatario di euro 140.600.000,00, l’incremento dell’attivo si era rivelato irrisorio, passando da euro 841.946,57 ad euro 1.134.893,00.
Decidendo sull’opposizione interposta, il Tribunale di Rimini in composizione collegiale, con il decreto di cui in epigrafe, rigettava l’opposizione avverso il decreto di esecutorietà dello stato passivo.
A sostegno dell’adottata pronuncia il Tribunale rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che la finalità sottesa all’affidamento in appalto delle attività indicate era quella volta alla valorizzazione del patrimonio immobiliare, sì da rendere la prospettiva concordataria più fruttuosa dell’alternativa liquidatoria nell’ambito della procedura fallimentare, con l’effetto che assumeva un valore predominante la valorizzazione delle aree di sviluppo; b ) che l’adempimento di tale obbligazione non potev a tralasciare il fine del raggiungimento di un qualche risultato utile in capo a RAGIONE_SOCIALE, atteso che tutte le obbligazioni, fossero esse di mezzi o di risultato, avrebbero dovuto pur sempre apportare nella sfera personale del creditore una qualche utilitas oggettivamente apprezzabile; c ) che doveva essere dunque valutato se la prestazione oggetto del contratto, seppure remunerata a scadenze prefissate, fosse stata adempiuta o meno;
d ) che in atti non vi era la prova del raggiungimento della predetta utilità, poiché la documentazione attinente alle aree da sviluppare, sebbene testimoniasse un facere di CRCS nella presa d’atto della situazione in cui versavano dette aree e una gestione delle singole pratiche al fine di curare i rapporti con la P.A., non dimostrava che i predetti iter burocratici fossero giunti a conclusione, come richiesto dall’oggetto del contratto, o avessero, in ogni caso, fatto avanzare la procedura al punto tale da portare ad un aumento dell’attivo; e ) che la circostanza secondo cui il patrimonio di RAGIONE_SOCIALE era rimasto pressoché inalterato nel corso della durata del contratto di appalto non era contestata dalla difesa di parte opponente, sicché alcuna attività di vendita significativa era stata posta in essere, nonostante il valore centrale dell’attività di valorizzazione delle aree a sviluppo; f ) che il rilievo secondo cui molti dei progetti in essere necessitassero dell’intervento della P.A. competente per la loro definizione non escludeva il fatto che plurime aree da sviluppare avessero in realtà, nel corso dell’esecuzione del concordato, perso la loro potenzialità edificatoria e, nelle ipotesi più favorevoli, lo stato dell’ iter burocratico era rimasto invariato; g ) che, per l’effetto, il compenso ricevuto per l’attività effettivamente svolta e non contestata, pari ad euro 560.590,00, era congruo rispetto all’obbligazione complessivamente assunta; h ) che, inoltre, l’insinuazione al passivo fallimentare era stata concordata ipotizzando una durata ben più lunga di quella effettiva, essendo poi intervenuto il fallimento in data 15 settembre 2017, sicché l’importo già corrisposto a CRCS era proporzionato anche in relazione al tempo di esecuzione del contratto.
3. -Avverso il decreto di rigetto dell’opposizione ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, la RAGIONE_SOCIALE
Ha resistito, con controricorso, l’intimato Fallimento RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE
4. -Il Pubblico Ministero ha rassegnato conclusioni scritte.
La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 1655 c.c., nella determinazione del corrispettivo dovuto alla società appaltatrice, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per avere il Tribunale tralasciato di valutare tutti i costi e le spese necessarie per il compimento dell’incarico di cui alla scheda (allegato n. 3), indicativa di tali costi dal 1° maggio 2013 fino al 30 aprile 2018, con consuntivo al 31 dicembre 2014, per complessivi euro 1.526.418,00, oltre IVA.
Obietta l’istante che, rispetto ai costi sostenuti, come risultanti dalla predetta scheda contabile, la somma riconosciuta di euro 459.500,00, oltre IVA, non avrebbe rappresentato nemmeno un terzo dell’ammontare complessivo di tali costi.
1.1. -Il motivo è inammissibile.
La censura si fonda, infatti, sull’asserito omesso esame di un documento (la citata scheda contabile), che riporta una stima del tutto soggettiva dei costi in tesi gravanti sull’appaltatrice e che , dunque, non costituisce elemento probatorio idoneo a scalfire
l’esito del giudizio di opposizione avverso il decreto di esecutorietà dello stato passivo.
E tanto, peraltro, senza che risulti che la circostanza della esorbitanza dei costi rispetto al compenso riconosciuto, con specifico riguardo alle voci riportate in tale scheda, sia stata prospettata nel giudizio di opposizione.
Inoltre, non emerge, in ogni caso, alcun legame tra i costi asseritamente sostenuti e i risultati raggiunti (con particolare riguardo alla valorizzazione delle aree di sviluppo).
2. -Con il secondo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., la violazione o falsa applicazione dell’art. 1176 c.c., per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti quanto alla diligenza nell’adempimento, per avere il Tribunale ritenuto che la CRCS fosse stata gravemente inadempiente all’obbligo di valorizzazione delle aree da sviluppare, con il miglioramento di tali aree in termini di incremento di valore del patrimonio immobiliare, mentre dalle relazioni delle commissarie lucidatrici del 16 gennaio 2017 e del 19 ottobre 2017 sarebbe emersa una ben più consistente attività liquidatoria.
Assume la ricorrente che non si sarebbe tenuto conto delle attività svolte sull’area ex Sigla, sui lotti Montaldosso in Morciano di Romagna, sull’area ex Carloni e sull’area golf di Verucchio, la cui concreta capacità edificatoria avrebbe richiesto la sottoscrizione di accordi di pianificazione finalizzati all’attuazione di progetti in linea con gli obiettivi socio-economici del piano territoriale di coordinamento, con la nomina di un tecnico ingegnere o architetto e con l’impugnazione della modifica del
piano regolatore o dei piani di lottizzazione già approvati attraverso un’attività legale di impugnativa dei provvedimenti, attività escluse dal contratto di appalto.
Per l’effetto, osserva l’istante che sarebbe stato iniquo addebitare a RAGIONE_SOCIALE la mancata vendita degli immobili, che peraltro avrebbe richiesto il ricorso alle vendite competitive, come risultante dalle e-mail intercorse con il notaio delegato alle vendite.
2.1. -Il motivo è inammissibile.
La doglianza postula una rivalutazione degli accertamenti in fatto, che non può essere svolta in questa sede (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 5987 del 04/03/2021; Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Sez. 6-5, Ordinanza n. 9097 del 07/04/2017; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
E le circostanze dedotte non confutano comunque l’assunto secondo cui alcuna attività di vendita significativa era stata attuata , nonostante il valore centrale dell’attività di valorizzazione delle aree a sviluppo e la correlata obbligazione assunta.
3. -Con il terzo motivo la ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., la nullità del decreto impugnato per omessa pronuncia sulla domanda di liquidazione del corrispettivo per le prestazioni eseguite, con violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1657 c.c. nella determinazione del corrispettivo dovuto alla società appaltatrice, per avere il Tribunale sacrificato la liquidazione del compenso anche con riferimento alle operazioni pacificamente realizzate in ordine alle prime due macroaree (settore amministrativo nonché gestione e
manutenzione degli immobili già ultimati), in relazione alle quali né i commissari giudiziali, né il gruppo imprenditoriale in concordato preventivo, né i creditori sociali avevano mosso obiezioni.
In questa prospettiva, l’evocata liquidazione in termini satisfattivi sarebbe stata del tutto avulsa da una concreta argomentazione, posto che l’amministrazione di 12 società e la manutenzione di oltre 300 unità immobiliari aveva richiesto un impiego di uomini e di mezzi dieci volte superiore all’attività atta alla valorizzazione delle aree.
E tanto senza alcuna utilizzazione delle tariffe professionali e degli usi ai fini di procedere alla relativa quantificazione.
3.1. -Il motivo è infondato.
Invero, in ordine alle attività svolte, è stata reputata congrua la somma versata a titolo di acconti per euro 459.500,00, oltre IVA, sulla scorta della prevalenza dell’attività relativa alla terza macroarea (valorizzazione delle aree di sviluppo), rispetto alla quale è stato rilevato l’inadempimento dell’appaltatrice.
Giudizio di prevalenza nella misura del 72% che non può essere sindacato in questa sede, attenendo ad un profilo meritale.
A fronte di questa ricostruzione, la quantificazione del dovuto è avvenuta nel rispetto delle previsioni negoziali sulla liquidazione che, all’esito della modifica de 10 ottobre 2016, prevedevano un compenso fisso pari ad euro 1.730.000,00 (ove il contratto avesse avuto durata sino al 30 aprile 2018, mentre in realtà tale esecuzione si è interrotta con la dichiarazione di fallimento del 15
settembre 2017) e in una parte variabile pari ad euro 200.000,00, a titolo di bonus .
La natura di contratto di durata dell’appalto d ei servizi in questione, programmati nel tempo (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 29675 del 19/11/2024; Sez. 1, Ordinanza n. 22065 del 12/07/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 4225 del 09/02/2022; Sez. 2, Sentenza n. 15705 del 21/06/2013), giustificava, dunque, una quantificazione del corrispettivo proporzionata all’attività svolta e alla durata effettiva del contratto, come argomentato dal decreto impugnato.
A fronte dell’espressa previsione di un corrispettivo nel contratto, la cui determinazione è stata parametrata all’attività svolta, non vi erano i presupposti per fare ricorso alle tariffe esistenti o agli usi ex art. 1657 c.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5208 del 28/07/1983).
4. -Con il quarto motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, riconducibile alla previsione nel contratto d’appalto di un premio di produzione, per avere il Tribunale affermato che il diritto di CRCS alla riscossione della porzione fissa di corrispettivo fosse ancorato al conseguimento dei risultati, ossia all’attribuzione di un qualche vantaggio in favore del gruppo imprenditoriale in concordato preventivo.
Sennonché, rispetto ad una porzione fissa di euro 1.730.000,00, la circostanza che fosse stato riconosciuto un bonus di euro 200.000,00, qualora il realizzo dell’attivo patrimoniale del concordato, sommato alle rinunce delle banche
ai rispettivi crediti ipotecari, fosse stato pari ad almeno il 70% del valore degli immobili esposto nel piano di concordato, avrebbe escluso siffatta ricostruzione.
Asserisce l’istante che la previsione di un premio di produzione sarebbe risultata assolutamente superflua laddove il diritto al corrispettivo fosse stato naturalmente condizionato al raggiungimento di un obiettivo, piuttosto che alla predisposizione dei mezzi necessari per la prestazione richiesta (uomini, competenze, spazio temporale della prestazione).
Per converso, ad avviso della ricorrente, solo il supplemento sarebbe stato condizionato al raggiungimento dei risultati.
4.1. -Il motivo è infondato.
Ebbene, l’appaltatore che chieda il pagamento del proprio compenso ha l’onere di dimostrare la congruità della somma, con riferimento alla natura, all’entità e alla consistenza delle opere o dei servizi svolti (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 33575 del 11/11/2021).
Ne discende che, nel caso di parziale inadempimento dell’appaltatore, ove sia necessario determinare il suo compenso per i lavori o servizi già eseguiti, il dato di riferimento è sempre il prezzo concordato a corpo, con la conseguenza che da questo va detratto il costo dei lavori o servizi non eseguiti e non, invece, calcolato il costo di quelli realizzati (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 8038 del 21/03/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 21517 del 20/08/2019).
E ciò anche quando vi sia un supplemento variabile parametrato al raggiungimento di determinati obiettivi (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 29675 del 19/11/2024).
Ebbene, nella fattispecie, la riduzione del corrispettivo stabilito in contratto è stata giustificata dalla rilevata mancata esecuzione di uno dei servizi oggetto dell’appalto, ossia la valorizzazione delle aree di sviluppo e la vendita dei cespiti (soprattutto quelli da edificare).
Sicché tale aspetto costituiva, a monte, l’oggetto dell’appalto, più che il risultato da raggiungere.
A fortiori , la realizzazione di una buona opera o il compimento di un buon servizio connotano la prestazione sinallagmatica dell’appaltatore; con il rischio di perdere (o di vederselo ridotto) il diritto al corrispettivo laddove la propria attività non abbia un esito soddisfacente (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10927 del 18/05/2011; Sez. 2, Sentenza n. 3659 del 13/02/2009; Sez. 3, Sentenza n. 7515 del 12/04/2005).
Al riguardo, l’obbligazione che ricade sull’appaltatore deve essere intesa come obbligazione controllabile o governabile, in quanto il raggiungimento del fine -ossia la realizzazione dell’opera o il compimento del servizio essenzialmente dipende dalla sua condotta. Appunto a questo obiettivo deve pervenirsi con l’organizzazione propria ascrivibile allo stesso, che ha anche l’onere di apprestare (e procurarsi) i mezzi indispensabili affinché ciò possa avvenire. Tale risultato non è invece dipendente, quantomeno in via fisiologica, da fattori esterni connaturati, a monte, all’obbligazione contratta, non frapponendosi in sé nella struttura organizzativa fattori riconducibili al contegno di soggetti terzi ovvero fattori rapportabili a componenti casuali.
La disciplina dell’appalto evidenzia, infatti, l’importanza (ma non l’esclusività) del raggiungimento del risultato, cui aspira il
committente, poiché dal tenore letterale della definizione di cui all’art. 1655 c.c. si ricava che l’affidamento dell’incarico, dall’appaltante all’appaltatore, è finalizzato al compimento dell’opera o del servizio. In questa stessa dimensione anche la gestione a proprio rischio concorre a confermare l’assunzione, da parte dell’appaltatore, di un’obbligazione ‘di risultato’.
Le norme dedicate all’appalto tendono appunto a garantire questo scopo in termini del tutto peculiari rispetto ad altri tipi negoziali. Tanto perché il rischio del lavoro grava sull’appaltatore, responsabile in forza di un quasi automatismo ove l’opera o il servizio non sia realizzata nella sua totalità o sia altrimenti imperfetta.
In conseguenza, la diligenza dell’appaltatore nell’esecuzione del contratto è irrilevante, se l’opera non sia stata portata a compimento o il servizio ultimato.
5. -In conseguenza delle argomentazioni esposte, il ricorso deve essere respinto.
Le spese e compensi di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla refusione, in favore del controricorrente, delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 10.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda