Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25383 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25383 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23086/2022 R.G., proposto da
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona della liquidatrice NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al ricorso,
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al controricorso,
-controricorrente – per la cassazione della sentenza n. 421/2022 della CORTE d’APPELLO di Bologna pubblicata il 22.2.2022;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 19.5.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
Contratto di trasporto -Corrispettivi minimi ex art. 83bis dl 112/2008 -Periodo transitorio – Applicazione
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
RAGIONE_SOCIALE proponeva opposizione al decreto ingiuntivo con cui il Tribunale di Rimini le aveva ordinato il pagamento di euro 740.970,96, oltre iva, in favore di RAGIONE_SOCIALE per servizi di trasporto eseguiti dall’aprile 2009 al febbraio 2012.
La ricorrente aveva dedotto che il prezzo pattuito per tali contratti era inferiore ai criteri tabellari indicati d all’art. 83 -bis D.L. 112/2008, i quali disciplinavano un regime di prezzi minimi, stabilito dal Ministero dei Trasporti, da applicare ai contratti di trasporto in via interinale fino alla data del 2.11.2011, quando erano entrate in vigore le tabelle predisposte dall’Osservatorio sui trasporti, organo deputato in base al D.L 112/2008 a individuare tali prezzi.
Con sentenza n. 239/2019, pubblicata il 18.2.2016, il Tribunale di Rimini accoglieva l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo, previa disapplicazione dell’art. 83 -bis D.L. 112/2008 per contrasto con l’art. 101 TFUE, secondo quanto statuito da Corte di Giustizia dell’U nione Europea, 4 settembre 2014, C-184/13, C-187/13, C-194/13, C-195/13 e C-208/13, poiché, data l’illegittimità dei prezzi stabiliti dall’ Osservatorio sui trasporti (ente formato da varie imprese private), doveva ritenersi comunque illegittimo anche il potere del Ministero che, pur essendo articolazione soggettiva dell’amministrazione dello Stato, agiva solo in sostituzione dell’Osservatorio, in mancanza di alcuna fonte primaria conferente un potere autonomo allo stesso Ministero.
La Corte d’Appello di Bologna con sentenza n. 421/2022, pubblicata il 22.2.2022, in parziale accoglimento dell’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE condannava l’appellata al pagamento in favore della prima di euro 173.483,50, oltre iva e gli interessi ex D.Lgs. 231/2002, compensava per intero le spese del primo grado e quelle del giudizio di impugnazione nella misura di 1 /3, ponendo il residuo a carico dell’appellata.
Osservava la Corte d’appello che per la determinazione del corrispettivo dei servizi si sarebbe dovuta applicare la normativa statale,
che prevedeva un regime di pubblicazione interinale delle tabelle da parte del Ministero dei Trasporti, quale soggetto idoneo a difendere gli interessi pubblici, i quali, come previsto a livello eurounitario, permettono di derogare alle disposizioni sulla libera concorrenza.
Notava ancora la Corte d’appello che la domanda, sulla base della C.T.U. svolta in primo grado, poteva essere accolta solo per l’importo di euro 173.483,50, corrispondente alle differenze di corrispettivo per i compensi compresi tra gennaio e settembre 2011, poiché solo nelle fatture relative, e non in quelle precedenti, erano specificati la lunghezza del percorso, la classe dei veicoli e il costo del carburante necessari al calcolo della differenza dei corrispettivi secondo i criteri stabiliti dalle tabelle ministeriali.
Diversamente, per le fatture successive non si sarebbe potuta applicare la stessa normativa, né si sarebbe potuta invocare l’integrazione sostitutiva mediante l’applicazione di norme imperative, in quanto, indipendentemente dalla data del contratto, le tabelle pubblicate dall’Osservatorio dei trasporti risultavano non applicabili, in quanto rese sulla base di una legge da disapplicare.
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, sulla base di tre motivi. Risponde con controricorso RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.
La resistente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 83 -bis , comma 10, D.L. 112/2008.
La ricorrente censura la sentenza impugnata per essere stata esclusa l’applicazione dell’art. 83 -bis , comma 10, D.L. 112/2008 in relazione alle
fatture successive al 2.11.2011 sul rilievo che da quella data sarebbe entrato in funzione l’Osservatorio dei trasporti . Il primo comma del l’art. 83 -bis attribuiva natura cogente agli indici forniti dal Ministero dei Trasporti sino a quando non fossero state disponibili le determinazioni effettuate dall’Osservatorio dei trasporti. Sennonché, tale organo entrato in funzione il 2.11.2011 in concreto non aveva mai operato, perché in contrasto con il principio della libera concorrenza, sì che non si era verificato il presupposto in grado di escludere l’efficacia degli indici forniti dal Ministero dei Trasporti , i quali hanno continuato ad operare sino a quando la normativa sui costi minimi nel trasporto per conto terzi non è stata abrogata dall’art. 1, comma 248, lett. a), l. 214/1990.
Con il secondo motivo viene denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. la violazione degli artt. 1339 e 1419 cod. civ.
La ricorrente lamenta la mancata sostituzione automatica delle determinazioni convenzionali con le norme imperative impositive dei corrispettivi minimi per l’autotrasporto. Il contratto di trasporto intercorso fra le parti risaliva al 2009, epoca anteriore all’introduzione dell’Osservatorio e alla successiva caducazione ad opera della Corte di Giustizia dell’Unione Europea , e le relative pattuizioni si sarebbero dovute integrare ex lege mediante la persistente legittimità delle determinazioni assunte dal Ministero dei Trasporti.
I due motivi, per la loro stretta connessione, possono essere scrutinati congiuntamente.
3.1. Sulla scorta di un precedente di questa Suprema Corte (v. Cass., sez. III, 24 ottobre 2023, n. 29466, cui adde Cass., sez. III, 3 dicembre 2024, n. 30914) mette conto svolgere un breve excursus sulla disciplina nazionale di determinazione del corrispettivo spettante al vettore nel contratto di trasporto di merci su strada per conto terzi.
A seguito dell’entrata in vigore della legge n. 298/1974, il suddetto corrispettivo veniva determinato secondo il sistema delle ‘tariffe a forcella’, che erano fissate tra un limite massimo ed un limite minimo, calcolato su
un prezzo base, secondo criteri determinati dal Ministero per i Trasporti e l’ Aviazione Civile (in esito a una procedura, che prevedeva anche il coinvolgimento delle Regioni e delle associazioni di settore). Successivamente, il D.lgs. n. 286/2005 abrogava la disciplina delle ‘ tariffe a forcella ‘ , prevedendo che i corrispettivi per i servizi di trasporto di merci su strada fossero rimessi alla libera contrattazione delle parti; e il d.l. n. 112/2008, poi convertito nella legge n. 133/2008, introduceva una nuova regolazione delle tariffe di trasporto, sostituendo al sistema delle ‘ tariffe a forcella ‘ il diverso sistema dei c.d. ‘ corrispettivi minimi ‘ (successivamente abrogato per effetto della legge n. 190/2014).
Orbene, l’art. 83 -bis del suddetto d.l. n. 112/2008 prevedeva che, qualora il contratto di trasporto di merci su strada non fosse stato stipulato in forma scritta, il corrispettivo minimo dovuto al vettore doveva essere pari alla somma dei seguenti due parametri: a) il costo chilometrico medio del carburante (calcolato sulla base di quanto determinato dall’Osservatorio sulle attività di trasporto, di cui all’art. 9 del D.lgs. 21.11.2005 n. 286, tenuto conto delle rilevazioni effettuate mensilmente dal Ministero dello sviluppo economico) moltiplicato per il numero dei chilometri percorsi; b) la quota dei costi di esercizio (diversi dal costo del carburante), calcolata tenendo conto sempre di quanto determinato dall’Osservatorio (al quale spett ava, due volte all’anno, stabilire la quota di percentuale d’incidenza del costo del carburante sul totale dei costi di esercizio).
L’art. 83 -bis , inoltre, al comma 8, disponeva che, qualora la parte del corrispettivo dovuta al vettore risultasse indicata in un importo inferiore a quello dei costi minimi di esercizio, il vettore avrebbe potuto chiedere il pagamento della differenza; mentre al comma 10 rimandava a una disciplina transitoria, fino a che non fossero intervenute le determinazioni adottate dall’Osservatorio. Il d.l. n. 5/2009, convertito il L. n. 33/2009, espressamente incaricava il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti di adottare decreti esecutivi con i quali identificare provvisoriamente i costi minimi applicabili (con riferimento alle diverse tipologie di veicoli e alla
percorrenza chilometrica), fino a quando l’Osservatorio non avesse elaborato le tabelle ‘definitive’.
Senonché, tra il mese di agosto 2009 ed il mese di ottobre 2011, non interveniva alcun decreto ministeriale che regolamentasse i criteri da utilizzare per l’applicazione dei costi minimi di cui al citato art. 83 -bis . Tuttavia, interveniva il d.l. n. 5/2009, convertito in l. n. 33/2009, che all’art. 7 sexies prevedeva che, sino a quando non fossero state disponibili le determinazioni di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 83 -bis , il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti avrebbe elaborato con riferimento alle diverse tipologie di veicoli ed alla percorrenza chilometrica gli indici sul costo del carburante. Pertanto, anche nel suddetto periodo transitorio, era prevista una modalità provvisoria di calcolo.
L’Osservatorio emanava tabelle con l’indicazione dei costi minimi solo nel periodo decorrente dal mese di novembre 2011 sino al mese di agosto 2012. Dal mese di settembre 2012 fino all’entrata in vigore della legge n. 190/2014 i costi minimi venivano determinati dal Ministero del Trasporto con appositi decreti. In data 1° gennaio 2015 entrava in vigore la legge n. 190/2014, che abrogava tutte le disposizioni riferite all’applicazione dei costi minimi in tema di trasporti (tra le quali anche l’art. 83 -bis del d.l. 112/2008).
3.2. In materia la Corte di Giustizia Ue interveniva, dapprima, con sentenza 4 settembre 2014, n. 184 (nelle cause riunite da C -184/13, C -187/13, C -194/13, C -195/13 e C -208/13), con la quale statuiva che: ‘L’articolo 101 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella controversa nei procedimenti principali, in forza della quale il prezzo dei servizi di autotrasporto delle merci per conto di terzi non può essere inferiore a costi minimi d’esercizio determinati da un organismo composto principalmente da rappresentanti degli operatori economici interessati ‘.
In motivazione, la Corte europea precisava che la normativa nazionale, istitutiva dell’Osservatorio: a) non precisava i principi direttivi a cui tale organo doveva attenersi; b) non conteneva nessuna norma atta a impedire ai rappresentanti delle organizzazioni di categoria di agire nell’esclusivo interesse della categoria di appartenenza; c) si limitava ad una generica enunciazione della tutela della sicurezza stradale, lasciando in capo ai membri dell’Osservatorio un ampio margine di discrezionalità e di autonomia nel determinare i costi minimi d’esercizio nell’interesse delle organizzazioni di categoria che li avevano designati. La Corte di Giustizia concludeva sostenendo che la normativa nazionale non conteneva né regole procedurali, né prescrizioni sostanziali idonee a garantire che l’Osservatorio si comportasse, in sede di elaborazione dei costi minimi di esercizio, come un’articolazione del pubblico potere che agisce per motivi di interesse pubblico.
In seguito alla pronuncia del 2014 della Corte di Giustizia, si creava un’incertezza interpretativa sull’applicazione dell’art. 83 -bis d.l. n. 112/2008. Invero, secondo un primo orientamento, l’intera disposizione era in contrasto con i principi comunitari e doveva quindi essere integralmente disapplicata, mentre, secondo altro orientamento, successivo alla pronuncia della Corte di Giustizia del 21 giugno -5 settembre 2016 (in causa C121/16), e dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 47 del 2018 (alle quali di seguito si farà riferimento), l’art. 83 -bis d.l. 112/2008 doveva essere disapplicato limitatamente agli anni in cui la sua esecuzione (ovvero la determinazione dei costi minimi) era stata delegata all’Osservatorio.
Sta di fatto che, a seguito della pronuncia della Corte Ue del 2014, il Tar del Lazio, con sentenza n. 2896/2015, disapplicava l’art. 83 -bis del d.l. n. 112/2008, dichiarando l’illegittimità di tutte le tabelle contenenti i costi minimi adottate dall’Osservatorio dal mese di novembre 2011 fino al mese di luglio 2012 compreso.
La Corte di giustizia con ordinanza 21 giugno 2016 interveniva nuovamente sulla questione relativa all’applicazione dei costi minimi, in
particolare affermando che: ‘L’articolo 101 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, TUE, deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, in forza della quale il prezzo dei servizi di autotrasporto delle merci per conto di terzi non può essere inferiore a costi minimi d’esercizio determinati da un’amministrazione nazionale’.
In seguito alla pronuncia del 2016 della Corte di Giustizia, il Tar Lazio pronunciava altre due sentenze, precisamente la n. 2655 e la n. 2656 del 2017, con le quali annullava tutti i decreti ministeriali contenenti costi minimi approvati dal Ministero dei Trasporti dal mese di agosto 2012 al mese di dicembre 2014, ritenendo che tali decreti fossero illegittimi poiché determinavano i costi minimi con gli stessi criteri utilizzati dall’Osservatorio nel periodo precedente e, quindi, violavano il diritto comunitario, come espressamente sancito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 4 settembre 2014 e ribadito nell’ordinanza del 21 giugno 2016 (che veniva appunto ritenuta confermativa della prima).
In definitiva, a seguito delle citate sentenze del Tar Lazio, venivano annullate sia le tabelle predisposte dall’Osservatorio nel periodo intercorrente tra il mese di novembre 2011 e il mese di agosto 2012, sia i decreti ministeriali contenenti i costi minimi in vigore dal mese di settembre 2012 fino al mese d i dicembre 2014, con la conseguenza che l’unico periodo in cui l’art. 83 -bis d.l. 112/2018 avrebbe potuto trovare una legittima applicazione era rappresentato dal cosiddetto ‘periodo transitorio’, in cui i costi minimi avrebbero dovuto essere determinati dal Ministero dei Trasporti.
In questo contesto si colloca la sentenza n. 47/2018 con la quale la Corte Costituzionale rigettava la questione di legittimità sollevata con riguardo al citato art. 83bis del d.l. 112/2008, sostenendo che: ‘non è configurabile una lesione della libertà di iniziativa economica, allorché l’apposizione di limiti di ordine generale al suo esercizio corrisponda all’utilità sociale, come sancito dall’art. 41, secondo comma, Cost. , purché,
per un verso, l’individuazione di quest’ultima non appaia arbitraria e, per altro verso, gli interventi del legislatore non la perseguano mediante misure palesemente incongrue. I costi minimi determinati dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti costituiscono, nel disegno del legislatore, un limite al di sotto del quale potrebbero venire compromessi i livelli di sicurezza nella circolazione stradale, in virtù di uno sfruttamento eccessivo delle risorse umane e materiali da parte delle imprese di trasporto. Sebbene sia evidente che la sicurezza stradale trovi più diretta tutela nelle disposizioni in materia di circolazione e nelle relative sanzioni, non appare irragionevole né arbitrario che il legislatore persegua tale obbiettivo anche con strumenti ‘indiretti’, attraverso un sistema tariffario che eviti un’attività d’impresa che potrebbe portare all’adozione di comportamenti poco compatibili con la sicurezza stradale. La disciplina introdotta dall’art. 83 -bis del DL 112/2008, inoltre, prevedendo solo corrispettivi minimi basati su costi incomprimibili ed essenziali, lascia alle parti una maggiore autonomia negoziale rispetto alle tariffe a forcella, con limitazioni all’iniziativa economica privata che appaiano ragionevoli e proporzionate e compatibili con i principi costituzionali’.
3.3. Da quanto sopra evidenziato deriva che la disciplina relativa ai costi minimi può distinguersi in tre fasi: dal giugno 2009 all’ottobre 2011, in cui la determinazione di tali costi veniva effettuata dal Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti (c.d. fase transitoria, con l’ulteriore specificazione che solo a decorrere dal luglio 2011 i costi minimi hanno trovato applicazione anche relativamente ai contratti scritti); dal novembre 2011 al settembre 2012, in cui veniva effettuata dall’Osservatorio; dal settembre 2012 al dicembre 2014, in cui veniva effettuata nuovamente dal Ministero, essendo frattanto intervenuta la soppressione dell’Osservatorio.
Ciò comporta, ai fini che qui rilevano, che l’unico periodo in cui il citato art. 83bis, in ragione dei principi dettati dalla Corte di giustizia con le sentenze sopra indicate, può trovare una legittima applicazione è rappresentato dal ‘periodo transitorio’, in cui i costi minimi dovevano
essere determinati dal Ministero dei Trasporti (cfr. le già citate Cass., n. 29466/2023; Cass. 30914/2024, che già pongono questo principio, cui si intende dare continuità).
3.4. Tanto premesso, rileva il Collegio che i due motivi di ricorso qui in esame non sono idonei a scalfire la motivazione resa dalla impugnata sentenza, che, invero, non è affatto incorsa in una errata interpretazione della normativa indicata e della giurisprudenza della Corte di Giustizia, alle quali si è del tutto uniformata.
Come si ricava da pagina 2 della sentenza, l ‘appellante aveva dedotto che, alla luce delle pronunce del 2014 e del 2016 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, le quali non avevano ritenuto contraria ai principi eurounitari la normativa nazionale , ma solo censurato che l’Osservatorio potesse essere deputato a stabilire i prezzi minimi, il giudice di primo grado avrebbe dovuto applicare il regime dei prezzi minimi almeno sino al 2.11.2011, ossia fino a quando essi sono stati decisi dal Ministero.
La Corte d’appello , sulla base delle tabelle ministeriali per il periodo gennaio-settembre 2011, accogliendo tale rilievo, ha ritenuto che l’importo calcolato dal c.t.u., pari a euro 173.483,50 (‘peraltro non contestata’ la relazione), fosse stato determinato sulla base di un parametro non contrario ai rilievi a livello eurounitario, pervenendo a decidere in conformità alla richiesta dell’appellante e accogliendo parzialmente la sua domanda.
Al riguardo la Corte d’appello ha evidenziato , tuttavia, come solo per le fatture relative al periodo gennaio-settembre 2011 il C.T.U. avesse potuto rilevare la lunghezza del percorso, la classe dei veicoli e il costo del carburante necessari per il calcolo della differenza dei corrispettivi, secondo i criteri contenuti nelle tabelle ministeriali approntate nel periodo transitorio (da giugno 2009 all’ottobre 2011 , c.d. «fase transitoria»).
3.5. Quanto al periodo successivo la Corte d’appello ha scritto: ‘ n relazione alla domanda relativa alle fatture successive, infatti, la normativa non può in alcun modo applicarsi, né è possibile invocare le clausole relative alla sostituzione di norme imperative, in quanto, indipendentemente dalla
data di esistenza del contratto, non sarebbe in ogni caso possibile utilizzare le tabelle pubblicate dall’Osservatorio dei trasporti, in quanto pubblicate in forza di una legge per cui è necessario procedere alla disapplicazione’.
La Corte d’appello non è incorsa nella prospettata violazione degli artt. 1339 e 1419 cod. civ., là dove ha affermato che le tabelle pubblicate dall’Osservatorio dei trasporti erano state adottate ‘in forza di una legge per cui è necessario procedere alla disapplicazione’.
Detta statuizione è pienamente conforme a quanto ritenuto, a seguito della pronuncia della Corte Ue del 2014, dal Tar del Lazio, con sentenza n. 2896/2015, che ha disapplicato l’art. 83 -bis del d.l. n. 112/2008, dichiarando l’illegittimità di tutte le tabelle contenenti i costi minimi adottate dall’Osservatorio dal mese di novembre 2011 fino al mese di luglio 2012 compreso. A ciò va aggiunto, come già detto, che lo stesso organo della Giustizia amministrativa ha pronunciato altre due sentenze (la n. 2655 e la n. 2656 del 2017), con le quali sono stati annullati tutti i decreti ministeriali contenenti costi minimi approvati dal Ministero dei Trasporti dal mese di agosto 2012 al mese di dicembre 2014, ritenendo che tali decreti fossero illegittimi, poiché determinavano i costi minimi con gli stessi criteri utilizzati dall’Osservatorio nel periodo precedente e, quindi, violavano il diritto comunitario, come espressamente sancito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 4 settembre 2014 e ribadito nell’ordinanza del 21 giugno 2016 (ritenuta confermativa della prima).
Da ciò è derivato che l’unico periodo in cui l’art. 83 -bis d.l. 112/2018 avrebbe potuto trovare una legittima applicazione era rappresentato dal cosiddetto ‘periodo transitorio’ (dal giugno 2009 all’ottobre 2011), in cui i costi minimi erano stati determinati dal Ministero dei Trasporti. Con il che risulta confermato quanto sostenuto dalla Corte d’appello con riferimento al periodo successivo, tenuto conto che la vicenda riguardava un arco di tempo fino a febbraio 2012, durante il quale risultavano ancora emesse le tabelle approntate dall’Osservatorio, per essere successivi i decreti ministeriali a
far data dall’agosto 2012, e conseguentemente in alcun modo si sarebbe potuto determinare l’effetto integrativo invocato dalla ricorrente.
In conclusione, in piena continuità con i suindicati precedenti di legittimità, deve ritenersi legittima l’applicazione, da parte del giudice d’appello, del citato art. 83 -bis con riguardo al periodo compreso tra il mese di gennaio e settembre 2011, nel quale i costi minimi venivano elaborati dal Ministero dei Trasporti, ma non anche con riferimento al mese di novembre 2011 (quanto al mese di ottobre, invece, vale la precisazione sopra riportata), in cui le tabelle indicanti i costi minimi erano emanate dall’Osservatorio.
Con il terzo motivo è denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. per il travisamento da parte della Corte d’appello del contenuto della C.T.U. e per il rigetto dell’istanze istruttorie.
La ricorrente si duole di quanto affermato dalla Corte d’appello (pagina 5, sesto capoverso) a proposito delle fatture relative al 2011, perché solo in esse ‘sono desumibili i criteri della lunghezza del percorso, della classe dei veicoli e del costo del carburante necessari al calcolo della differenza dei corrispettivi secondo i criteri stabiliti dalle tabelle ministeriali, pertanto, solo per queste è possibile quantificare la retributività comprovata ‘ .
Osserva la ricorrente che la C.T.U. era stata disposta in primo grado solamente per stimare le differenze retributive maturate per le prestazioni rese nel 2011, escludendo, pertanto, l’esame delle fatture relative ai trasporti svolti negli anni precedenti. Tuttavia, fra le fatture emesse nell’anno 2011 e quelle spiccate negli anni precedenti non vi era alcuna difformità come desumibile dall’esame delle medesime (doc. 1 del fascicoletto ex art. 369, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ.).
In secondo luogo , la decisione della Corte d’appello è viziata per l’applicazione di una norma non ancora in vigore all’epoca dei fatti, la cui interpretazione era comunque errata. L ‘ art. 83bis , nella sua versione originale, non imponeva al vettore, neppure a fini fiscali, di menzionare nella
fattura la lunghezza della tratta percorsa, il costo del carburante o altre informazioni. L’espressione ‘a tal fine nella fattura viene indicata, altresì, la lunghezza della tratta percorsa’ è stata introdotta dal D.L. 6.7.2012, n° 95, entrato in vigore in pari data, pertanto, nel periodo anteriore, nessun obbligo in tal senso incombeva sul vettore.
Quanto al costo del carburante, il comma sesto, né prima, né dopo la riforma, ha mai imposto al vettore l’indicazione del costo del carburante, che, peraltro, essendo predeterminato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, si presume conosciuto alla generalità dei consociati.
In ogni caso, fermo restando che per la violazione del comma sesto non era comminata alcuna sanzione per l’irregolare compilazione della fattura, un’interpretazione dell’art. 83 -bis che si spingesse sino a considerare non esigibili le differenze retributive fondate su fatture prive di tutti i requisiti contemplati dal comma sesto sarebbe difficilmente sostenibile sul piano sistematico e teleologico, finendo per attribuire alle parti un facile strumento per eludere le norme imperative e, quindi, per stipulare tacite intese fraudolente ex art. 1344 c.c., funzionali non solo alla tutela del contraente debole, ma anche dirette a garantire esigenze di ordine pubblico come la sicurezza della circolazione stradale
4.1. Il motivo è inammissibile.
Con esso la ricorrente , pur invocando la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e, quindi, un error in procedendo , svolge due distinte censure: a) un preteso travisamento del contenuto della relazione del C.T.U.; b) un error in iudicando basato sull’applicazione e sull’erronea interpretazione di una norma di legge non in vigore all’epoca dei fatti.
Entrambe le censure esulano dai limiti del consentito sindacato di legittimità.
4.2. Infatti, la prima censura non risponde al paradigma di legge.
Nell’ambito di un ricorso per cassazione per dedurre la violazione dell’articolo 115 cod. proc. civ., è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè
abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma (v. già Cass. 10 giugno 2016, n. 11892, il cui principio di diritto è stato ribadito anche dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 20867 del 2020 e già da Cass., sez. un., 5 agosto 2016, n. 16598, in motivazione espressa, sebbene non massimata sul punto; Cass., VI-3, 23 ottobre 2018, n. 26769; sez. lav., 19 agosto 2020, n. 17313). Ciò significa che per realizzare la violazione deve aver giudicato, o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso articolo 115 cod. proc. civ.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’articolo 116 cod. proc. civ., rubricato per l’appunto “valutazione delle prove” (v. Cass. 11892/2016, cit.).
La ricorrente in ogni caso si limita a prospettare in modo assertorio che il quesito assegnato al C.T.U. fosse limitato ‘al solo scopo di stimare le differenze retributive svolte nell’anno 2011’, così impedendo all’ausiliario l ‘esame delle fatture relative agli anni precedenti, senza precisare se e quando abbia contestato la formulazione del quesito e se tale doglianza sia stata espressa in sede di appello. La censura è fondata su fatti processuali, dei quali si omette specifica indicazione, sia contenutistica sia quanto alla localizzazione nel fascicolo di causa degli atti dai quali essi dovrebbero risultare, in violazione dell’art. 366 n. 6 cod. proc. civ. (v., Cass., sez. un., 27 dicembre 2019, n. 34469 e ribadito più di recente da Cass., sez. III, 1° luglio 2021, n. 18695).
La ricorrente, ‘per mero scrupolo’ , ha puntualizzato che non vi sarebbe alcuna differenza tra le fatture del 2011 e quelle degli anni
precedenti, come sarebbe possibile constatare dall’analisi delle medesime fatture allegate (doc. 1 nel fascicoletto ex art. 369, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ.), sì che la Corte dovrebbe verificare direttamente la pretesa, non meglio esplicitata, identità di contenuto con una valutazione tipicamente rimessa al giudice del merito.
Analogamente, in modo del tutto generico la ricorrente in conclusione del motivo riferisce della mancata ammissione delle istanze istruttorie, i cui esiti sarebbero stati decisivi ai fini del giudizio. Da ciò deriva che le censure sono prive del requisito della specificità ex art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ.
4.3. La censura sub 2 è del tutto eccentrica rispetto alla dedotta violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., ponendo questioni estranee al principio della disponibilità della prova, ma che attengono al riesame della questione di fatto riservata al giudice del merito.
Quand’anche si volesse apprezzare il motivo alla stregua di un error in iudicando , oltre alla novità delle questioni poste, per le quali sarebbe stato doveroso precisare, ai sensi dell’art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ., se e dove di esse ne fosse stato investito il giudice dell’appello, esso tende a suscitare una ricostruzione dei fatti e una valutazione delle prove alternative a quelle compiute dalla Corte di merito.
La ricorrente, pertanto, omette di considerare che l’accertamento delle circostanze di fatto rilevanti ai fini della decisione e l’apprezzamento delle risultanze istruttorie funzionali a tale accertamento sono attività riservate al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 4 luglio 2017, n. 16467; Cass. 23 maggio 2014, n. 11511; Cass. 13 giugno 2014, n. 13485; Cass. 15 luglio 2009, n. 16499).
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità possono essere compensate per le stesse ragioni già evidenziate nei primi due gradi di giudizio.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della Corte Suprema di Cassazione in data 19 maggio 2025.
Il Presidente Dott. NOME COGNOME