Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9759 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9759 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8585/2022 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato c/o lo studio dell’avv. NOME COGNOME domiciliato digitalmente come in atti
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall’avv. NOME COGNOME domicili ata digitalmente come in atti
-controricorrente – avverso la sentenza del Tribunale di Bari n. 222/2022, pubblicata in
data 18 gennaio 2022 e notificata il 19 gennaio 2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19 febbraio 2025 dal Consigliere dott.ssa NOMECOGNOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Giudice di pace di Bari, con la sentenza n. 2618/2019, in accoglimento dell’opposizione proposta da NOME COGNOME avverso il decreto ingiuntivo ottenuto da NOME COGNOME, coniuge dell’ingiunta, per il pagamento del 50 per cento delle rate di un finanziamento concluso con la Compass s.p.a. durante il rapporto di coniugio, riteneva che il contratto di finanziamento fosse stato stipulato esclusivamente dal l’opposto, mentre l’opponente fosse mera coobbligata, ovvero garante, cosicché il COGNOME non potesse agire in via di rivalsa o di regresso nei suoi confronti.
La sentenza, impugnata dal soccombente, è stata confermata dal Tribunale di Bari, che ha osservato che il tenore letterale del contratto e l’interpretazione sistematica dello stesso conduce vano in modo univoco a ritenere la natura sussidiaria dell’obbligazione assunta dall’appellata. Ha, in particolare, posto in rilievo che: a) il contratto risultava intestato al COGNOME, unico richiedente il finanziamento, tanto che la valutazione di adeguatezza del contratto era stata svolta con riferimento al solo appellante; b) nella pagina riportante i dati delle parti e le caratteristiche del prodotto, era indicata espressamente, tra le ‘garanzie richieste’, la ‘coobbligazione’; c) il contratto prevedeva l’autorizzazione permanente di addebito in conto corrente delle richieste di incasso e riportava il conto corrente intestato a NOME COGNOME; d) l’art. 2 delle condizioni generali di contratto qualificava espressamente la coobbligazione richiesta quale ‘garanzia’ del finanziamento; sulla scorta di tali elementi, è, quindi, pervenuto a ritenere che la Lasorella
avesse prestato una garanzia volta a rafforzare la tutela del soggetto finanziatore, senza che sussistesse la contitolarità dell’obbligazione dal lato passivo e la possibilità per il debitore principale di agire in regresso nei confronti del garante.
NOME COGNOME ricorre per la cassazione della suddetta sentenza, con due motivi.
NOME COGNOME resiste con controricorso.
Il ricorso è stato avviato per la trattazione in adunanza camerale. Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1369 cod. civ., nonché dell’art. 1372 cod. civ. ed addebita al giudice di appello di avere erroneamente interpretato il contratto di finanziamento.
Lamenta che al Tribunale era bastato rilevare che la richiesta di finanziamento era stata avanzata dal solo ricorrente e che questi era l’intestatario del contratto per escludere, alla stregua di tali circostanze peraltro non correttamente lette, che potesse pretendere dal ‘terzo’ coobbligato somm e in via di regresso.
Sostiene, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, il quale aveva inteso che la ‘coobbligazione’ fosse stata stipulata nell’esclusivo interesse della Banca, senza peraltro indicare alcun elemento deponente in tal senso, che il finanziamento -destinato al rientro di una precedente esposizione, per la quale erano coobbligati entrambi i coniugi, oltre che all’ultimazione dei lavori di ristrutturazione del fabbricato in comproprietà dei coniugi, era stato contratto per estinguere (con effetto novativo) il preesistente debito, senza che risultasse un accordo remissorio che avesse liberato la controricorrente, né una remissione unilaterale ex parte creditoris, accettata dalla Lasorella ai sensi dell’art. 1334 cod. civ. ; neppure dal
contratto emergeva una autonomia funzionale della ‘coobbligazione’, non avendo la Lasorella stipulato una ‘fideiussione’, per cui, nei rapporti interni, operando la regola dell’art. 1292 cod. civ., ben poteva avanzare la richiesta di ripetizione di somme nei confronti della condebitrice, nella misura del 50 per cento delle rate versate alla Banca.
1.1. Il motivo è inammissibile.
1.2. Il ricorrente sostanzialmente censura l’interpretazione delle clausole del contratto di finanziamento, in forza del quale pretende la restituzione del 50 per cento delle rate corrisposte a Compass s.p.a, deducendo che la soluzione ermeneutica offerta dal Tribunale quale giudice d’appello non sarebbe corrispondente a quella che sarebbe stata la effettiva intenzione delle parti, ma tale doglianza si risolve in una mera asserzione, priva di alcun riscontro, posto che non sono neppure indicate le clausole o le espressioni sulla base delle quali si sarebbe dovuti pervenire a una ricostruzione della volontà pattizia nel senso prospettato dal ricorrente.
1.3. Va data continuità al consolidato orientamento di questa Corte, a mente del quale l’interpretazione del contratto, consistendo in un’operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in un’indagine di fatto riservata al giudice di merito, il cui accertamento è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche, che deve essere specificamente indicata in modo da dimostrare – in relazione al contenuto del testo contrattuale – l’erroneo risultato interpretativo cui per effetto della predetta violazione è giunta la decisione, che altrimenti sarebbe stata con certezza diversa: la deduzione deve essere, altresì, accompagnata dalla trascrizione integrale del testo contrattuale in modo da consentire alla Corte di Cassazione, che non ha diretto accesso agli atti, di verificare la
sussistenza della denunciata violazione (Cass., sez. 3, 31/03/2006, n. 7597; Cass., sez. 3, 01/04/2011, n. 7557; Cass., sez. 3, 14/02/2012, n. 2109, Cass., sez. 3, 29/07/2016, n. 15763).
1.4. Al fine di far valere una violazione sotto i due richiamati profili, il ricorrente per cassazione deve, quindi, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merio si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti, non essendo consentito il riesame del merito in sede di legittimità (Cass., sez. L, 9/10/2012, n. 17168; Cass., sez. 3, 11/03/2014, n. 5595; Cass., sez. 6 – 3, 27/05/2015, n. 3980; Cass., sez. 3, 19/07/2016, n. 14715).
Di conseguenza, per sottrarsi al sindacato di legittimità, non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma anche solo una delle possibili e plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass., sez. 1, 27/02/2007, n. 4178; Cass., sez. 2, 03/09/2010, n. 19044; Cass., sez. 1, 22/09/2020, n. 19828; Cass., sez. 6 -3, 11/02/2021, n. 3590; Cass., sez. 1, 12/12/2023, n. 34687; Cass., sez. 2, 04/04/2024, n. 8940; Cass., sez. L, 03/07/2024, n. 18214).
1.5. Il ricorrente omette di riprodurre in ricorso il testo del contratto del finanziamento e delle singole clausole, quanto meno nelle parti di interesse in questa sede, e comunque di fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora di precisarne la collocazione nel
fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità, cosicché il motivo incorre nella declaratoria d’inammissibilità per violazione dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ. (Cass., sez. U, n. 34469 del 27/12/2019).
S otto diverso profilo, si limita a prospettare l’incongruità della soluzione ermeneutica fatta propria dalla qui gravata sentenza, muovendo una critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduce esclusivamente nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già esaminati (Cass., sez. 3, 27/03/2007, n. 7500; Cass., sez. 3, 20/11/2009, n. 24539; Cass., sez. 1, 27/06/2018, n. 16987), ciò che rende la doglianza inammissibile.
Difatti, il ricorrente reitera anche in questa sede le contestazioni già svolte in grado di appello, rimarcando che la controricorrente sarebbe parte del contratto e che l’obbligazione dalla stessa assunta non sarebbe stata stipulata nell’esclusivo interesse della Banca, in tal modo opponendo alla interpretazione, del tutto plausibile, data dal Tribunale una interpretazione a sé più favorevole, ma già vagliata e disattesa.
Invero, il giudice d’appello ha indicato , in motivazione, in modo puntuale gli elementi sulla base dei quali ha reputato che il contratto debba ritenersi stipulato dal solo odierno ricorrente e che la garanzia sia stata prestata dalla controricorrente esclusivamente a tutela del soggetto finanziatore, così escludendo, alla luce del tenore letterale del contratto ed alla stregua di una interpretazione sistematica dello stesso, la possibilità per il Cillo di agire in regresso nei confronti del garante per un debito proprio ; l’interpretazione del giudice di merito non è incongrua e non è conseguenza di un procedimento ermeneutico condotto in violazione delle regole invocate dalla
ricorrente.
A tanto deve aggiungersi che l’art 1937 cod. civ., laddove prescrive che la volontà di prestare la fideiussione deve essere espressa, deve essere interpretato nel senso che non è necessaria la forma scritta o l’adozione di formule sacramentali, purché la volontà sia manifestata in modo inequivocabile (cfr. Cass., n. 150/1976; Cass., n. 11413/1992; Cass., n. 3628/2016).
Nel caso concreto, il Tribunale, all’esito della interpretazione del testo negoziale, ha negato l’intenzione della parte di costituirsi garante del debitore principale, sottolineando, al contrario, che la Lasorella, sottoscrivendo il contratto di finanziamento, non solo non aveva espresso la volontà di richiedere il finanziamento per se stessa, ma aveva chiaramente rappresentato di voler prestare una garanzia a tutela del solo soggetto finanziatore; l’apprezzamento svolto è in questa sede insindacabile, perché sorretto da adeguata motivazione e non contrastante con i canoni legali assunti come violati.
Con il secondo motivo, deducendo la violazione degli artt. 101 e 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente, riportando uno stralcio della comparsa di risposta in appello depositata dalla Lasorella e parte della pagina 3 della motivazione della sentenza qui impugnata, sostiene che il Tribunale, in violazione del principio del contraddittorio, avrebbe acriticamente aderito alle difese della sola controricorrente.
La censura no n sfugge alla declaratoria d’inammissibilità , da un lato, perché volta a genericamente contestare una asserita violazione del contraddittorio, senza tuttavia spiegare in concreto in quale modo si sarebbe sostanziata la dedotta violazione, e, dall’ altro, perché del tutto inesplicata è rimasta la dedotta violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., dovendosi ribadire che, in tema di giudizio di appello, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, come il
principio del tantum devolutum quantum appellatum , non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, ovvero in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed all’applicazione di una norma giuridica diverse da quelle invocate dall’istante, ma pur sempre rimanendo nell’ambito del petitum e della causa petendi (Cass., sez. 3, 12/03/2024, n. 6533).
Il ricorso è, dunque, inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, pari ad euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione