Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27047 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27047 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 16729-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che, unitamente all’avvocato NOME COGNOME la rappresenta e difende giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
GUARIENTI DI COGNOME, GUARIENTI DI COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende, unitamente agli
avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME;
-controricorrenti e ricorrenti incidentali -nonché contro
GUARIENTI DI COGNOME NOMERAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
-intimati – avverso la sentenza n. 774/2024 della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA, depositata il 22/04/2024;
lette le memorie delle parti;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con citazione del 5/12/2007, RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Agostino e RAGIONE_SOCIALE di Brenzone COGNOME convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Verona la sorella NOME, deducendo che in data 4/9/2006 era deceduto il padre NOME COGNOME di Brenzone, che con testamento olografo del 3/2/2000 aveva disposto di ogni sua proprietà immobiliare in favore della convenuta, adducendo, in alcune lettere allegate al testamento, che tale sua scelta era dettata dalla esigenza di rispristinare una situazione di eguaglianza tra i figli, posto che gli attori avevano già ricevuto in vita delle donazioni, provvedendo sempre nel testamento a revocare la dispensa da collazione che invece connotava le donazioni.
Dopo avere riepilogato il contenuto del testamento, caratterizzato anche dalla presenza di legati e dalla regolamentazione dei debiti
successori, da ripartire tra i tre figli in quote eguali, gli attori ricordavano che il de cuius aveva compiuto in favore degli stessi una prima donazione del 4/5/1989 avente ad oggetto gli immobili di località INDIRIZZO, costituiti dalla locanda e connessi fabbricati, una seconda donazione del 30/3/1994 avente ad oggetto la villa con relativi accessori in SINDIRIZZO, ma che aveva predisposto una scrittura privata in data 30/3/1994, definita contratto dissimulato, e che vedeva parte oltre che gli attori anche la RAGIONE_SOCIALE, atto accompagnato anche da una diversa scrittura, definita accordo simulatorio, e da una coeva scrittura, definita controdichiarazione, dalle quali si evinceva che la donazione era solo parzialmente tale, in quanto in realtà i donatari avevano corrisposto al genitore cospicue somme di denaro.
Ancora, si ricordava che con un contratto preliminare di vendita il padre si era obbligato a trasferire alla RAGIONE_SOCIALE la proprietà di alcuni immobili, e per un corrispettivo in parte già versato.
Secondo la tesi degli attori, il trasferimento immobiliare non era del tutto riconducibile ad una donazione, ma aveva natura mista, presentando anche profili di carattere oneroso. Inoltre, il padre aveva concluso con i figli un contratto di locazione, modificato in data 30/3/1994, dal quale poi era scaturita la sublocazione di pari data, in ragione del quale la RAGIONE_SOCIALE aveva ceduto al padre il credito derivante dal rapporto di sublocazione.
Per l’effetto, tenuto conto della reale natura dei rapporti intercorsi con il padre, le disposizioni testamentarie in favore della sorella erano lesive della loro quota di riserva e dovevano quindi essere ridotte, previo accertamento della simulazione relativa dei contratti di donazione.
Si costituiva la convenuta che, previa richiesta di chiamata in causa della RAGIONE_SOCIALE, instava per il rigetto della domanda ed in via riconvenzionale chiedeva accertarsi l’invalidità e/o la nullità dei contratti di locazione richiamati dagli attori, accertandosi che gli stessi ponevano in essere delle ulteriori donazioni indirette in favore dei fratelli, anche per effetto del conferimento nella società RAGIONE_SOCIALE, facente capo agli attori, dell’azienda appartenuta al padre.
Quindi concludeva affinché fossero ridotte e sottoposte a collazione le donazioni effettuate in favore dei fratelli, posto che la dispensa inizialmente contenuta negli atti di donazione era stata successivamente revocata nel testamento.
Si costituiva la RAGIONE_SOCIALE che aderiva alla richiesta degli attori di disporre in suo favore ex art. 2932 c.c. il trasferimento dell’immobile appartenente al de cuius, in virtù del contratto preliminare del 7 aprile 1996.
Interveniva altresì la RAGIONE_SOCIALE, quale detentrice del complesso immobiliare in INDIRIZZO, giusta contratto di sublocazione, e chiedeva accertarsi la nullità o l’inefficacia del contratto di locazione, con l’emissione di una sentenza ex art. 2932 c.c. di trasferimento della proprietà in proprio favore.
Nelle more del giudizio di primo grado la convenuta con atto del 12/2/2009 ha alienato la propria quota ereditaria alla RAGIONE_SOCIALE
Il Tribunale di Verona, con la sentenza n. 202 del 2/2/2013, ha rigettato la domanda di simulazione degli atti di donazione in favore degli attori nonché quella di accertamento dell’invalidità della revoca della dispensa da collazione contenuta nel
testamento; ha rigettato la domanda riconvenzionale di nullità o simulazione del contratto di locazione del 10/9/90 intercorso tra il de cuius e la RAGIONE_SOCIALE nonché della successiva integrazione del 30/3/1994; ha rigettato la domanda della convenuta di accertamento che il conferimento nella società RAGIONE_SOCIALE dell’azienda alberghiera paterna fosse una donazione indiretta; ha rigettato la domanda di rendimento del conto avanzata dalla convenuta nei confronti della RAGIONE_SOCIALE; ha rigettato la domanda della RAGIONE_SOCIALE per il trasferimento ex art. 2932 c.c. relativamente agli immobili oggetto del contratto recante la data del 7/4/1996, in quanto prescritta; ha dichiarato il difetto di interesse della RAGIONE_SOCIALE a vedere accertata la simulazione parziale dei contratti di donazione tra il de cuius e gli attori, nonché all’accertamento della nullità degli stessi contratti; ha rigettato la domanda sempre della RAGIONE_SOCIALE di accertamento della nullità o della simulazione assoluta del contratto di locazione del 10/9/1990 e successiva integrazione, con la conseguente invalidità del contratto di sublocazione e di emissione di sentenza di trasferimento della proprietà in proprio favore ex art. 2932 c.c.; ha dichiarato aperta la successione testamentaria sui beni del de cuius, essendo erede la convenuta, chiarendo altresì la composizione della massa, con la specifica individuazione del donatum e del relictum e dei debiti ereditari, rimettendo la causa in istruttoria per il prosieguo.
Avverso tale sentenza non definitiva proponevano appello immediato principale gli attori, cui resistevano le altre parti proponendo a loro volta separati appelli incidentali.
La Corte d’Appello di Venezia, con la sentenza n. 1419 del 21/6/2016, in parziale accoglimento dell’appello principale e dell’appello incidentale della RAGIONE_SOCIALE, disattendeva l’eccezione di prescrizione della domanda di simulazione degli attori, rigettandola però nel merito; rigettava l’eccezione di prescrizione della domanda di simulazione proposta dal RAGIONE_SOCIALE quanto al contratto di locazione del 1990, come integrato nel 1994, rigettandola però nel merito.
Quanto al primo motivo dell’appello principale degli attori, con il quale si contestava la tesi del Tribunale secondo cui era da ritenersi prescritta la domanda di simulazione parziale delle donazioni ricevute dal genitore, la Corte d’Appello rilevava che di norma l’azione di simulazione è imprescrittibile, essendo invece sottoposti a prescrizione i diritti che presuppongono l’esistenza del contratto dissimulato.
Nella specie, l’azione di simulazione era volta a fare emergere la circostanza che le donazioni erano solo parziali, trattandosi infatti di negotia mixta cum donatione .
Poiché l’azione di simulazione era stata nella specie proposta da soggetti che rivestono la qualità di legittimari, il termine di prescrizione non può che decorrere dalla data di apertura della successione, e non già da quella di compimento dell’atto.
Infatti, la simulazione era finalizzata a dimostrare che i beni di cui erano stati beneficiati gli attori erano di valore inferiore alla quota di riserva che necessitava quindi di essere reintegrata in danno della convenuta.
Tuttavia, ancorché non prescritta, la domanda era da reputarsi infondata.
Infatti, gli attori erano stati parte dei negozi impugnati e volevano far valere la simulazione nei confronti di un terzo quale doveva reputarsi essere la convenuta.
Trovava quindi applicazione l’art. 1415 co. 1 c.c. che prevede che la simulazione non possa essere opposta al terzo di buona fede che abbia acquistato diritti dal titolare apparente. A seguito dell’apertura della successione la convenuta ha acquisito il diritto a portare in collazione le donazioni ricevute dai fratelli, diritto che verrebbe meno ove si accertasse la simulazione.
Quanto al secondo motivo di appello principale, con il quale si contestava la correttezza della soluzione circa la possibilità di revoca con testamento della dispensa da collazione disposta con una precedente donazione, la Corte distrettuale, dopo aver dato atto dell’orientamento del giudice di legittimità favorevole alla tesi degli appellanti, ha però ritenuto che lo stesso fosse da rimeditare e che fosse da condividere la soluzione del Tribunale, alla luce della qualificazione della dispensa de qua come atto unilaterale e mortis causa, che non rappresenta elemento facente parte della donazione, ma clausola solo occasionalmente suscettibile di inserimento in una donazione, e che non perde la possibilità di essere revocata dal donante anche con un successivo testamento.
In relazione al terzo motivo dell’appello principale che si doleva del mancato riconoscimento in favore degli attori dei miglioramenti ed interventi di manutenzione straordinaria eseguiti sui beni donati, la sentenza ne riteneva l’ infondatezza, e ciò sia perché non vi era prova che i costi degli interventi fossero stati sostenuti dagli appellanti, e non invece dalla società
conduttrice (senza indicare se ed in quali termini a tale ultima società fosse stato riconosciuto il rimborso di tali spese), sia perché si trattava di spese che concernevano voci che non avevano nulla a che fare con interventi di manutenzione straordinaria, riguardando opere per l’ordinaria gestione della struttura alberghiera.
Era disatteso il quarto motivo di appello principale, e ciò sul presupposto che gli attori non avevano ragione di dolersi del rigetto della domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre proposta da un soggetto terzo (la RAGIONE_SOCIALE, come del pari era respinto il quinto motivo che investiva la qualificazione come eredi testamentari anche degli attori.
Infatti, gli stessi attori avevano dedotto la loro qualità di legittimari pretermessi (avendo invece rivendicato la qualità di eredi testamentari solo nel corso del diverso giudizio di retratto avente ad oggetto l’alienazione della quota ereditaria compiuta dalla convenuta).
Il Tribunale aveva però correttamente ritenuto che gli attori non potessero vantare la qualità di eredi testamentari, in quanto la lettura complessiva delle volontà testamentarie deponeva per la nomina della sola figlia quale erede universale, senza che potesse incidere su tale soluzione la diversa sorte dei debiti, ripartiti tra tutti e tre i figli, essendo questa una previsione compatibile anche con la qualità di legatari, invece sicuramente assegnata agli attori.
La Corte d’appello reputava tale conclusione insindacabile, aggiungendo che a nulla rilevava il fatto che il testamento non avesse fatto menzione di tutti i beni appartenenti al de cuius,
dovendosi invece ritenere che la qualifica di erede universale di NOME le permettesse di apprendere in qualità di erede anche i beni non riportati nell’atto di ultima volontà.
Passando ad esaminare l’appello incidentale di RAGIONE_SOCIALE di Brenzone NOME, la sentenza, pur dando atto del fatto che la convenuta, avendo agito quale legittimaria, potesse offrire la prova della simulazione anche per presunzioni, riteneva che però non fossero stati offerti elementi tali per affermare che la locazione del 10/9/1990 conclusa dal de cuius con la RAGIONE_SOCIALE fosse simulata.
Infatti, le successive dichiarazioni rese dal de cuius nel testamento non potevano valere come controdichiarazioni, in quanto non avevano carattere sfavorevole al dichiarante.
Le lettere allegate dal de cuius al testamento miravano essenzialmente a regolare la propria successione e non avevano il carattere fondamentale per attribuire loro il valore di controdichiarazione.
Inoltre, il contratto del 30/3/1994, con relativa controdichiarazione, non deponeva per la simulazione della locazione, posto che confermava la sua effettiva conclusione, con l’indicazione anche dell’aumento del canone.
Invece, quanto al preliminare di compravendita stipulato con il RAGIONE_SOCIALE in data 5 marzo 1993, la dichiarazione del de cuius, in merito all’assenza di precedenti locazioni, lungi dall’essere sfavorevole al dichiarante, mirava invece a far apparire nei confronti della promissaria acquirente l’alienazione di un bene privo di oneri.
In relazione invece al profilo del pagamento del canone ed alla sua misura, si trattava di elementi che non provavano la simulazione assoluta, ma al più una donazione indiretta, e in ogni caso il Tribunale aveva accertato che il canone si era triplicato in pochi anni, mentre il suo mancato pagamento avrebbe potuto al più rilevare come causa di inadempimento.
In relazione all’appello incidentale della RAGIONE_SOCIALE la Corte d’appello ha ritenuto condivisibile la soluzione del Tribunale quanto alla prescrizione del diritto ad agire ex art. 2932 c.c.
Infatti, il preliminare prevedeva come data per la stipula del definitivo quella del 30/7/1996, sicché al momento della proposizione della domanda della terza chiamata, il decennio era abbondantemente maturato.
Né poteva indurre a diversa conclusione il fatto che si facesse riferimento alla possibilità di concludere il contratto allorché la Sovrintendenza avesse rilasciato idonea certificazione per il trasferimento di immobili vincolati, in quanto tale previsione mirava solo ad anticipare la possibilità della conclusione rispetto al termine comunque ultimativo previsto in contratto, dovendosi escludere che quindi si trattasse di una condizione sospensiva.
Inoltre, anche l’ultimo pagamento degli acconti risaliva ad oltre dieci anni prima dell’introduzione della domanda, senza che potesse annettersi efficacia interruttiva alla dichiarazione contenuta nel testamento ad opera del promittente venditore.
In merito all’appello incidentale della RAGIONE_SOCIALE, la sentenza di appello, pur ritenendo erronea l’affermazione circa la prescrizione dell’azione, attesa l’imprescrittibilità dell’azione di simulazione, riteneva che la domanda fosse però infondata alla
luce degli stessi argomenti spesi per disattendere l’omologo motivo di appello della convenuta.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE Brenzone RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE Brenzone RAGIONE_SOCIALE sulla base di tre motivi.
La RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE hanno resistito con controricorso, proponendo entrambe ricorso incidentale affidato a tre motivi di cui uno condizionato all’accoglimento del primo motivo di ricorso principale.
Questa Corte con la sentenza n. 41132 del 21 dicembre 2021 che ha accolto il primo motivo del ricorso principale dei germani Guariente di Brenzone nei limiti di cui in motivazione, ed ha dichiarato inammissibili gli altri motivi del ricorso principale e rigettato i ricorsi incidentali; per l’effetto ha cassato la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione.
Il motivo accolto denunciava la violazione e falsa applicazione dell’art. 1415 c.c. nell’avere la Corte d’Appello ritenuto inopponibile alla convenuta la simulazione delle donazioni effettuate dal de cuius agli attori, e ciò per avere il giudice di appello erroneamente affermato che nella fattispecie dovesse trovare applicazione il disposto dell’art. 1415 c.c., e che alla convenuta dovesse essere assegnata la qualità di terza acquirente di buona fede, come tale insuscettibile di essere pregiudicata dall’accertamento della natura (parzialmente) simulata delle donazioni ricevute dai ricorrenti.
Questa Corte ha ritenuto il motivo fondato, rilevando che la successione del de cuius era regolata dal testamento olografo
pubblicato il 29/8/2007, il cui contenuto era stato interpretato, in maniera non più controversa, nel senso che l’unica erede testamentaria era la convenuta, potendo gli attori vantare unicamente la qualità di legatari.
Era perciò coperto dal giudicato il fatto che non ricorre una situazione di comunione ereditaria tra i germani Guariente di Brenzone, il che precludeva la stessa possibilità di invocare l’istituto della collazione, che nemmeno poteva essere rimesso in gioco per effetto dei diversi esiti che potrebbero avere le domande di riduzione reciprocamente proposte.
I fratelli COGNOME di Brenzone avevano agito in riduzione quali legittimari, pretermessi nel testamento, al fine di ottenere la riduzione delle attribuzioni testamentarie, sul presupposto che le donazioni ricevute non erano in grado di assicurare il soddisfacimento della quota riservata.
D’altro canto, la convenuta aveva inteso far valere sia la propria qualità di erede universale (al fine di invocare la collazione delle donazioni ricevute dai fratelli) che quella di legittimaria (onde attaccare le donazioni stesse nei limiti in cui risultava lesa la propria quota di riserva, non appieno soddisfatta dalle attribuzioni testamentarie), così che la qualità di terzo doveva esserle riconosciuta solo in relazione alla tutela specifica della posizione di legittimaria.
Poiché la domanda degli attori mirava a fa accertare la simulazione (relativa ed oggettiva) di donazioni che avevano trasferito la titolarità del diritto in capo ai ricorrenti, sul presupposto che il beneficio ricevuto sarebbe inferiore rispetto a quello apparente, la convenuta rispetto a tale domanda non
poteva essere qualificata come terzo che abbia acquistato diritti dal titolare apparente, poiché resisteva all’avversa domanda di simulazione, non già quale legittimaria, ma quale erede universale, e quindi come successore di una delle parti del negozio asseritamente simulato.
Per l’effetto la sentenza ivi impugnata è stata cassata dovendo il giudice del rinvio esaminare la domanda di simulazione, verificando altresì se agli attori, in relazione alla domanda de qua, competano le agevolazioni probatorie correlate alla qualità di terzi ex art. 1417 c.c.
In conseguenza di tali considerazioni sono stati altresì rigettati i motivi di ricorso incidentale condizionati proposti dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE, e finalizzati a far affermare la prescrizione dell’azione di simulazione promossa dagli attori.
Quanto al secondo motivo del ricorso principale, che deduceva la violazione e falsa applicazione degli artt. 737, 1321 e 1372 c.c., per avere la Corte d’Appello affermato la validità della revoca della dispensa da collazione contenuta nel testamento e relativa ai beni oggetto delle donazioni effettuate in favore degli stessi ricorrenti, questa Corte lo dichiarava inammissibile per difetto di interesse al relativo accertamento, essendo tata esclusa la possibilità di invocare la collazione delle donazioni ricevute dai figli maschi.
In merito al terzo motivo del ricorso principale che lamentava la violazione e falsa applicazione degli artt. 748 e 1592 c.c. per non avere il giudice di appello riconosciuto la deduzione, dal valore dei beni ereditari, dei miglioramenti e degli interventi di manutenzione straordinaria effettuati sugli immobili oggetto delle
donazioni in favore dei ricorrenti, la sentenza di questa Corte lo dichiarava inammissibile, in quanto non coglieva la duplice ratio che sorregge il rigetto dell’omologo motivo di appello, concentrandosi solo su di una delle ragioni giustificative addotte dal giudice di merito, senza attingere anche la seconda, e consistente nel fatto che la richiesta riguardava delle voci che nulla avevano a che fare con interventi di manutenzione straordinaria, trattandosi perlopiù di spese per l’ordinaria gestione dell’albergo -locanda.
Tale accertamento non era stato oggetto di specifica censura e ciò rendeva quindi inammissibile il motivo, in quanto privo di specificità in relazione al contenuto della sentenza impugnata.
Passando alla disamina del primo motivo del ricorso incidentale non condizionato della RAGIONE_SOCIALE, di identico contenuto rispetto al primo motivo del ricorso incidentale della RAGIONE_SOCIALE che lamentava il rigetto della domanda di simulazione del contratto di locazione del 1990 e della sua successiva modifica del 1994, intercorso tra il de cuius e la RAGIONE_SOCIALE, questa Corte li riteneva inammissibili in quanto miravano nella sostanza a sollecitare un novello apprezzamento di merito, risultato precluso in sede di legittimità.
Del pari erano dichiarati inammissibili il secondo motivo dei ricorsi incidentali, che lamentavano il rigetto della domanda di simulazione del detto contratto di locazione, per l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, trovando applicazione nella fattispecie il disposto di cui all’ultimo comma dell’art. 348 ter c.p.c., che preclude la denuncia del vizio di cui al n 5 dell’art. 360 c.p.c., in caso di doppia conforme.
Riassunto il giudizio da NOME COGNOME di Brenzone, con la richiesta di accoglimento della domanda originaria, e con la conseguente riduzione delle disposizioni testamentarie di cui al testamento olografo pubblicato in Verona il 29 agosto 2007 e reintegrazione della quota di legittima, si costituiva in giudizio RAGIONE_SOCIALE di Brenzone, che domandava l’accertamento della sussistenza di un contratto di rendita vitalizia/mantenimento/vitalizio assistenziale tra i due fratelli maschi e il padre, con conseguente esclusione di quanto da loro ricevuto dal donatum .
Si costituiva in giudizio RAGIONE_SOCIALE eccependo l’inammissibilità delle domande attoree.
A tali difese si associava RAGIONE_SOCIALE che formulava analoghe conclusioni.
La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza n. 774 del 22 aprile 2024, in parziale accoglimento della domanda di simulazione proposta da NOME COGNOME di Brenzone e da RAGIONE_SOCIALE di Brenzone, accertava che le donazioni a loro favore compiute dal de cuius il 4 maggio 1989 e il 30 marzo 1994 dissimulavano negozi di vendita misti a donazione e dichiarava le restanti domande inammissibili.
In via preliminare, ricordava che il giudizio era proseguito in primo grado dopo la pronuncia della sentenza non definitiva e che la decisione del Tribunale che aveva escluso la sussistenza della lesione della quota di legittima era stata a sua volta impugnata in appello.
La relativa decisione era stata altresì impugnata in Cassazione, pertanto, secondo la sentenza qui gravata, il compito del giudice
di rinvio era solo quello di sostituire la sentenza non definitiva già cassata, e quindi esclusivamente di accertare se vi fosse o meno la dedotta simulazione. Al contrario, se la Cassazione avrebbe in futuro cassato la sentenza definitiva della Corte d’Appello, allora sarebbe stato il giudice di rinvio in quella occasione designato a statuire sulla effettiva ricorrenza della lesione di legittima vantata dagli attori.
Passando alla valutazione delle simulazioni, la Corte territoriale, nell’escludere la qualità di terzi di NOME e NOME COGNOME di Brenzone in quanto donatari e quindi parti sostanziali degli atti di cui viene domandato l’accertamento della simulazione, riteneva che entrambe le donazioni ricevute fossero in realtà dei contratti di vendita misti a donazione.
Con riferimento alla prima donazione del 4 maggio 1989 il giudice di rinvio rinveniva la prova del negozio dissimulato esclusivamente nella scheda testamentaria del 4 febbraio 1998 alla quale attribuiva natura di controdichiarazione, atteso che il de cuius ricordava che aveva ricevuto dai figli la somma di £. 700.000.000.
Si trattava di atto che, sebbene non coevo all’atto simulato, proveniva dal testatore, e cioè dal soggetto contro il cui interesse era redatta, dovendosi perciò ritenere che la donazione in esame fosse in parte avvenuta a titolo oneroso, per l’importo riferito dal de cuius.
Il carattere parzialmente simulato della seconda donazione del 1994 era ricavato dalla controdichiarazione, dall’accordo simulatorio e dal contratto dissimulato che erano stati approntati dalle parti, emergendo che in corrispettivo della villa gli attori si
obbligavano a compiere un pagamento per conto del genitore ed a versargli un vitalizio. Il pagamento ammontava ad £. 1.106.945.000, e risulta che fu versata la somma mensile di £. 101.000.000 dal 1994 al 2004, risultando tuttavia versata una somma di importo notevolmente inferiore rispetto al reale valore dell’immobile alienato.
Le altre somme che il de cuius riferiva di avere ricevuto erano da imputare a diverse causali, e precisamente costituivano il corrispettivo della concessione di beni in godimento a terzi.
Per la cassazione di tale sentenza la società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso basato su quattro motivi.
NOME COGNOME di Brenzone e COGNOME di Brenzone resistono con controricorso contenente ricorso incidentale articolato in un motivo.
Le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.
Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per la pretesa nullità della notifica, in quanto la relata della notifica operata ai sensi della legge n. 53/1994 non conterrebbe il codice fiscale della ricorrente.
Questa Corte, nella sua più autorevole composizione ha affermato che l’irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna dello stesso ha comunque prodotto il risultato della sua conoscenza e determinato così il raggiungimento dello scopo legale, ed è stato quindi affermato che costituisse una mera irregolarità la mancata indicazione, nell’oggetto del messaggio di PEC, della dizione “notificazione ai sensi della legge n. 53 del 1994” e l’inserimento del codice fiscale del soggetto notificante,
essendo pacifico tra le parti l’avvenuto perfezionamento della notifica (Cass., Sez. Un., 28/09/2018, n. 23620).
Inoltre, in tema di ricorso per cassazione, l’eventuale nullità della notificazione è sanata dalla predisposizione (e notifica) del controricorso ad opera della parte resistente, la quale si sia difesa nel merito, in virtù del generale principio di sanatoria dei vizi degli atti processuali del raggiungimento dello scopo ex art. 156, comma 3, c.p.c. (cfr. Cass. n. 18402/2018).
4. Il primo motivo di ricorso principale denuncia la violazione o la falsa applicazione degli artt. 1416 e 2735 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per aver la Corte d’Appello erroneamente riconosciuto valore probatorio della simulazione alla dichiarazione contenuta nel testamento del 4 febbraio 1998, benché si tratti di atto mortis causa non consegnato alle altre parti che hanno redatto l’atto asseritamente simulato e non possa, quindi, ritenersi una valida ‘controdichiarazione’.
In particolare, a parere della ricorrente, la mancata consegna del testamento ai figli NOME e NOME RAGIONE_SOCIALE di Brenzone non permetterebbe di attribuirgli valore probatorio della natura anche solo parzialmente simulata della donazione in questione.
Il motivo è infondato.
La sentenza impugnata ha ravvisato nelle dichiarazioni contra se contenute nel testamento, relativamente alla prima donazione effettuata dal de cuius in favore dei figli, il carattere di controdichiarazione, circa l’ammontare delle somme che avrebbe ricevuto quale parziale corrispettivo della alienazione dei beni, sul presupposto, esplicitamente dichiarato che l’atto era da intendersi tale da dissimulare una vendita mista a donazione.
In primo luogo, occorre evidenziare che questa Corte aveva demandato al giudice di rinvio di procedere all’accertamento dell’eventuale simulazione (parziale) del le donazioni ricevute dai figli maschi (in vista dell’effettiva determinazione del donatum e del valore delle donazioni che andavano imputate ex se), dovendo altresì verificare se gli stessi potessero o meno avvalersi delle agevolazioni probatorie di cui all’art. 1417 c.c., in ragione dell’esercizio dell’azione di simulazione in via strumentale al riconoscimento della lesione della quota di riserva, oppure se, in ragione della loro partecipazione agli atti quali donatari, la prova della simulazione dovesse avvenire con i limiti invece posti dallo stesso art. 1417 c.c. ai contraenti.
La Corte d’appello nella decisione impugnata, alla pag. 20, ha risolto il dubbio a favore della seconda opzione, ed ha quindi escluso che la prova della natura parzialmente dissimulata potesse avvenire in via presuntiva, avendo tuttavia riscontrato l’esistenza di controdichiarazioni provenienti dal donante, e tali da consentire di affermare il carattere parzialmente oneroso di entrambi gli atti di liberalità.
L’affermazione della Corte distrettuale circa l”applicabilità anche agli atti in esame dei limiti alla prova della simulazione prescritti per le parti non è stata oggetto di censura da parte dei controricorrenti, così che la stessa deve ritenersi ormai vincolante tra le parti.
Quanto al riconoscimento della controdichiarazione nella dichiarazione contenuta nel testamento (definita in sentenza lettera-testamento) del 4 febbraio 1998, occorre rilevare che
effettivamente, alla luce del suo tenore, la qualificazione nei termini approvati dal giudice di rinvio si palesa corretta.
Anche di recente è stato, infatti, affermato che la controdichiarazione costituisce atto di accertamento o di riconoscimento scritto privo di carattere negoziale e non si inserisce, come elemento essenziale, nel procedimento simulatorio; essa, pertanto, non solo non deve essere coeva all’atto simulato, ma nemmeno è necessario che provenga da tutti i partecipi all’accordo simulatorio, potendo provenire anche dalla sola parte che riconosca la simulazione, purché si tratti di quella che trae vantaggio dall’atto simulato mentre assume, con la controdichiarazione, obblighi diversi e maggiori di quelli che le derivano dall’atto contro cui questa è redatta. (Cass. n. 239/2025; Cass. n. 6357/2019).
La difesa della ricorrente si richiama però ad alcuni precedenti di questa Corte nei quali ai requisiti sopra indicati si aggiunge la necessità che la controdichiarazione debba anche essere consegnata alle altre parti che hanno redatto l’atto simulato (si citano al riguardo Cass. n. 8057/2023, Cass. n. 12709/1992; Cass. n. 4410/1998).
Ad avviso del Collegio, se per la ricorrenza di una controdichiarazione si palesa necessaria la provenienza dalla parte contro il cui interesse è predisposta, deve però reputarsi che il riferimento alla consegna non rivesta carattere altrettanto coessenziale per la qualificazione della dichiarazione nei termini esposti.
Trattasi a ben vedere di un passaggio motivazionale che viene tralaticiamente ripetuto in tutti i vari precedenti richiamati dalla
difesa della ricorrente, e che talvolta non assume, in relazione alla specificità della vicenda sottoposto all’esame di questa Corte, alcuna rilevanza particolare.
Il riferimento alla consegna deve ragionevolmente essere inteso nel senso che, affinché emerga la prova della controdichiarazione unilateralmente predisposta dal contraente nei cui confronti produce effetti svantaggiosi, deve essere in possesso delle controparti, poiché solo in tal modo ne è possibile l’emersione anche in sede processuale, così che si è tratta dalla necessità che l’atto sia posto a disposizione del giudice (e normalmente a cura della parte che non ne è autrice), anche il corollario che di norma la controdichiarazione debba essere consegnata alle parti avvantaggiate dal suo contenuto.
Ma se la consegna è lo strumento ordinario attraverso il quale il documento rientra nella disponibilità degli interessati, nulla esclude che la controdichiarazione, ove effettivamente resa, possa del pari essere valutata dal giudice se la sua acquisizione sia avvenuta aliunde , non apparendo la materiale consegna costituire un necessario requisito di efficacia dell’atto.
Quanto al testamento, se nei confronti dei terzi potrebbe porsi un problema di idoneità dello stesso a fornire la prova della data certa della dichiarazione (cfr. Cass. n. 18131/2006, quanto alla controdichiarazione contenuta in un testamento ma opposta ad un fallimento), tuttavia la circostanza che lo stesso sia rivolto nei confronti dei chiamati e dei legatari (quali risultano essere sia la dante causa della ricorrente che i ricorrenti incidentali) consente di rinvenire nella successiva pubblicazione del l’atto di ultima volontà una modalità di esternazione del suo contenuto alle
contro
parti del negozio parzialmente simulato idonea a garantirne la conoscenza secondo modalità del tutto assimilabili a quelle che può assicurare la consegna. Conforta tale convincimento anche l’ulteriore circostanza che, come riferito in sentenza, il testamento contenente la controdichiarazione era stato predisposto in forma di lettera, risultando quindi anche formalmente indirizzata nei confronti dei suoi successibili, denotando quindi l’intento del dichiarante di mettere a conoscenza i destinatari del contenuto delle sue volontà, ivi inclusa quella avente carattere di controdichiarazione.
5. Il secondo motivo di ricorso principale denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1416, 2735 e 1350 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per aver la Corte territoriale erroneamente riconosciuto valore probatorio della simulazione alla dichiarazione contenuta nel testamento del 4 febbraio 1998, pur in presenza di un negozio asseritamente dissimulato avente requisiti di forma e sostanza prescritti dalla legge pacificamente non rispettati dalle parti nel momento della stipula della donazione asseritamente simulata. In particolare, non sarebbe stato prodotto in causa alcun documento coevo alla donazione del 4 maggio 1989 che attesti che, in quella data, le parti avevano inteso simulare il negozio effettivamente posto in essere.
A parere della ricorrente, anche volendo considerare il testamento come una controdichiarazione ciò non sanerebbe, a posteriori, l’assenza dei requisiti di forma e sostanza che il negozio asseritamente dissimulato avrebbe dovuto avere al momento della stipula di quello simulato.
Il motivo è infondato.
Nella vicenda, a differenza di quanto di norma avviene, e cioè che un atto oneroso dissimula una donazione, così che per assicurare il rispetto della prescrizione di cui all’art. 1414 co. 2 c.c., è necessario che l’atto simulato abbia i requisiti di forma prescritti per l’atto dissimulato (e cioè la redazione in forma di atto pubblico anche della vendita simulata), si assume che una donazione formale, e quindi predisposta secondo i requisiti formali imposti dall’art. 782 c.c., sarebbe parzialmente simulata, in quanto le parti avrebbero inteso dissimulare una vendita mista a donazione.
Il requisito formale prescritto per l’atto simulato assicura però anche il rispetto delle prescrizioni formali imposte per l’atto dissimulato così che deve escludersi che ricorra la dedotta violazione della forma ad substantiam (cfr., ex multis, Cass. n. 18049/2022, secondo cui nella simulazione il requisito della forma scritta ” ad substantiam ” deve essere rispettato dal contratto apparente, mentre l’accordo simulatorio tra interponente, interposto e terzo contraente – che può essere anteriore o contemporaneo al contratto simulato, ma non posteriore ad esso -va provato, tra le parti, con la controdichiarazione scritta, che, non essendo espressione della ” voluntas simulandi “, ma atto ricognitivo della volontà manifestata in precedenza, è idoneo mezzo di prova anche se sottoscritta solo dalla parte contro cui sia prodotta in giudizio e anche se successiva all’accordo simulatorio, essendo soggetta solo alle regole della forma scritta ” ad probationem “).
Ma se il soddisfacimento dei requisiti di forma prescritti per il negozio dissimulato può essere garantito dalla forma con la quale
è redatto il negozio simulato, non può avere adesione il principio al quale si richiama la difesa della ricorrente, secondo cui ove il negozio simulato abbia determinati requisiti di forma anche la controdichiarazione dovrebbe soddisfarli.
Si richiama a tal fine Cass. n. 24950/2020, e si riportano alcuni passaggi, dai quali la ricorrente trae la suddetta regola, ma sulla base di un personale interpretazione che però non è in alcun modo confortata dalla lettura della sentenza richiamata.
Premesso che nella fattispecie delibata da questa Corte nel citato precedente si poneva essenzialmente un problema di certezza della data della controdichiarazione ai fini della sua opponibilità alla curatela fallimentare, il ragionamento ivi sviluppato è sempre collegato alla affermazione secondo cui, ove il contratto dissimulato preveda la forma scritta ad substantiam , anche la controdichiarazione debba avere tale forma, ma non si spinge fino al punto di pretendere che la forma debba essere la medesima del negozio simulato.
Ciò equivarrebbe, nel ragionamento della ricorrente, a pretendere che, poiché si assume la simulazione parziale di una donazione, anche la controdichiarazione dovrebbe rivestire i requisiti di forma previsti per la donazione e cioè la forma dell’atto pubblico.
Ma tale conclusione vanificherebbe in radice la stessa funzione della simulazione che è appunto quella di occultare il reale intento dei contraenti, e ciò in quanto imporre che anche la controdichiarazione abbia la forma prescritta per la donazione renderebbe evidente all’esterno quello che è il reale intento delle parti, vanificando l’accordo stesso.
Va, pertanto, data continuità al principio affermato da questa Corte, secondo cui la prova, tra le parti, della simulazione di un negozio solenne soggiace ad un requisito di forma scritta ” ad probationem tantum “, ma non pure a quello solenne ed ulteriore eventualmente richiesto ” ad substantiam ” per l’atto della cui simulazione si tratta, poiché le controdichiarazioni, nel rappresentare il documento idoneo a fornire la suddetta prova, sono destinate a restare segrete e possiedono, quindi, un’obbiettività giuridica diversa dalle modificazioni dei patti, le quali implicano un nuovo accordo, modificativo del precedente, realmente voluto e concluso (Cass. n. 18204/2017, che ha statuito che la prova della parziale simulazione soggettiva di una donazione non richieda anch’essa l’atto pubblico, potendo essere fornita, al contrario, mediante una semplice controdichiarazione sottoscritta dalle medesime parti o da quella contro cui questa sia prodotta; conf. Cass. n. 18049/2022; Cass. n. 3605/1971). Il motivo va pertanto rigettato.
6. Il terzo motivo di ricorso principale denuncia, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione agli artt. 1416, 2735 e 2697 c.c. per aver la Corte d’Appello erroneamente riconosciuto valore di ‘prova piena’ alla dichiarazione contenuta nel testamento del 4 febbraio 1998, benché non supportata da altri elementi di prova.
Secondo la ricorrente, il giudice di secondo grado avrebbe dovuto negare la natura simulata della donazione in quanto non solo mancherebbe il requisito di forma richiesto per legge per il negozio asseritamente dissimulato al momento del perfezionamento di quello asseritamente simulato, ma anche
perché la dichiarazione in questione sarebbe talmente vaga -priva di data e non circostanziata -e contrastante con il materiale probatorio da far ritenere che il de cuius abbia voluto effettuare i pagamenti in favore dei figli solo successivamente alla donazione del 4 maggio 1989.
Il giudice del rinvio non avrebbe potuto riconoscere piena efficacia probatoria alla suddetta dichiarazione, ma avrebbe dovuto valutarla nel contesto di tutte le altre emergenze processuali, che invece non sono state valutate.
Il motivo è inammissibile.
Il motivo non contiene alcuna denuncia del paradigma dell’art. 2697 c.c. e di quello dell’art. 115 c.p.c., bensì lamenta soltanto un’erronea valutazione di risultanze probatorie.
La violazione dell’art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’ onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un
potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016; Cass., Sez. Un., n. 16598/2016).
In particolare, in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass., Sez. Un., n. 20867/2020, secondo cui i tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una
differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.
La formulazione del motivo, per la sua genericità, oltre che per il richiamo alla necessità che anche la controdichiarazione dovesse avere i requisiti formali della donazione (affermazione questa smentita con il rigetto del secondo motivo di ricorso), si palesa del tutto generico, ed inidoneo a palesare le violazioni di legge che pur denuncia, risolvendosi a ben vedere in una contrapposizione del convincimento personale della ricorrente a quello offerto dal giudice di merito, quanto all’apprezzamento della rilevanza probatoria della dichiarazione resa dal de cuius nella scheda testamentaria, sollecitando questa Corte ad un’inammissibile rivalutazione delle emergenze probatorie.
7. Il quarto motivo di ricorso principale denuncia, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. in combinato disposto con l’art. 1324 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione agli artt. 1417 e 2697 c.c. per aver la Corte territoriale erroneamente accertato il carattere parzialmente simulato della donazione del 30 marzo 1994 e l’intervenuto pagamento da parte di NOME e Guariente RAGIONE_SOCIALE di Brenzone di una somma inferiore rispetto a quella da
loro indicata, nonostante l’insussistenza di qualsiasi tipo di prova dell’ an e del quantum di quanto fosse stato effettivamente corrisposto di tale importo dagli odierni controricorrenti.
Il giudice del rinvio avrebbe altresì errato nel fondare l’interpretazione letterale dell’atto negoziale solo sul senso letterale delle parole, limitandosi ad una considerazione atomistica delle singole clausole, senza procedere ad una interpretazione sistematica delle stesse, coordinandole armonicamente tra loro.
Il motivo risulta parimenti inammissibile, proprio alla luce delle considerazioni svolte in occasione della disamina del motivo che precede.
La critica si risolve in una censura all’apprezzamento della portata probatoria delle quietanze versate in atti, assumendosi che le stesse non sarebbero unicamente riferibili all’adempimento delle prestazioni che i donatari si erano impegnati a compiere in favore del donante.
Trattasi però di una censura che attinge una valutazione riservata esclusivamente al giudice di merito, che ha invece ritenuto di poter ricollegare le stesse alla vicenda per cui è causa.
Né appare rilevante la circostanza che non emerga quanto ognuno dei donatari abbia personalmente corrisposto al genitore per effetto dei pagamenti attestati dalle quietanze, volta che, essendo stata effettuata la donazione del 1994 congiuntamente ed in pari quote a favore dei due fratelli, l’assenza di indicazioni circa la provenienza del denaro di cui si attesta la ricezione delle quietanze, impone di ritenere che lo stesso provenga in pari misura da parte dei donatari, così che, ai fini del successivo
calcolo del valore della donazione da imputare ex se ai sensi dell’ art. 564 c.c., si dovrà tenere conto per ognuno dei donatari del valore del bene donato, al netto del 50% delle somme corrisposte al donante (emergendo dalle quietanze che la Regina provvedeva all’adempimento per conto e nell’interesse dei controricorrenti).
Infine, del tutto generica si palesa la denuncia di violazione delle regole ermeneutiche, non avendo in alcun modo la ricorrente dedotto in che termini l’esegesi che la Corte d’Appello ha offerto degli accordi paralleli all’atto di donazione del 1994 si palesi come del tutto implausibile.
Il ricorso principale è perciò rigettato.
Il primo ed unico motivo di ricorso incidentale denuncia la violazione, e comunque la falsa applicazione, degli artt. 112, 336, co. 2, e 384 c.p.c. in relazione 360, co. 1, nn. 3 e 4, c.p.c. per aver il giudice del rinvio omesso di considerare gli effetti della riforma della sentenza non definitiva sulle statuizioni dipendenti della sentenza definitiva, nonché per aver omesso di pronunciarsi su tutte le domande spiegate dagli odierni controricorrenti e, in particolare, sulla domanda di riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della legittima.
In particolare, secondo il controricorrente, la Corte territoriale non avrebbe dovuto trascurare le implicazioni che l’accertamento della simulazione delle donazioni ha avuto sulla ricognizione dell’intero patrimonio ereditario e sulla conseguente sorte delle domande di riduzione.
Il motivo è fondato.
Come statuito da questa Corte nella decisione del ricorso trattato alla medesima udienza (RG n. 23558/2021), ed avente ad oggetto il ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia n. 1788 del 10 luglio 2020, che aveva deciso sulla domanda di riduzione sulla scorta delle statuizioni di cui alla sentenza definitiva del Tribunale di Verona, che a sua volta si era adeguata a quanto deciso con la sentenza non definitiva dello stesso Tribunale n. 202/2013, l’avvenuta cassazione della sentenza della Corte d’Appello n. 1419/2016 con la pronuncia di questa Corte n. 41132/2021, ha determinato la caducazione della sentenza della Corte d’appello pronunciata sulla sentenza definitiva del Tribunale.
In particolare, è stato rilevato che, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte, la caducazione opera in via automatica ed è rilevabile anche ex officio , così che non si palesa la necessità di dover cassare la sentenza travolta per effetto dell’annullamento della pronuncia che ne costituisce il necessario antecedente, trattandosi di un effetto automatico previsto dalla legge.
Ciò comporta che la sentenza in questa sede impugnata, una volta avvedutasi, proprio per effetto del compito che le era stato assegnato quale giudice di rinvio, che la sentenza di questa Corte n. 41132/2021 aveva travolto anche la sentenza n. 1788/2020, avrebbe dovuto, una volta accertata la natura parzialmente simulata delle donazioni effettuate a favore degli attori, verificare se, alla luce di tale giudizio, sussisteva la lesione della quota di riserva lamentata dagli attori. Poiché la sentenza n. 1788/2020 era ormai caducata (non essendo necessario a tal fine una
formale statuizione di cassazione), il giudice di rinvio avrebbe dovuto procedere immediatamente alla decisione anche sulla domanda di riduzione (essendo stata caducata anche quella a suo tempo assunta dalla precedente sentenza della Corte distrettuale).
In accoglimento del motivo in esame, la sentenza impugnata deve essere cassata in parte qua, con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, affinché, tenuto conto di quanto accertato in ordine al carattere parzialmente simulato delle donazioni effettuate dal de cuius in favore di RAGIONE_SOCIALE di Brenzone Agostino e COGNOME, verifichi se, avuto riguardo al contenuto delle disposizioni testamentarie, ricorra o meno la lamentata lesione delle quote di legittima dei donatari.
Al giudice di rinvio, come sopra designato, è altresì devoluta la liquidazione delle spese dei precedenti gradi di merito e dei due giudizi di legittimità.
Poiché il ricorso principale è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso incidentale, nei limiti di cui in motivazione e, rigettato il ricorso principale, cassa la sentenza
impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese dei giudizi di merito e dei due giudizi di legittimità.
A i sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 24 giugno 2025.
La Presidente
NOME COGNOME