Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 30152 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 30152 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/11/2025
Oggetto
Locazione uso diverso – Pagamento canoni – Accertamento controcredito
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3400/2025 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO , domiciliata digitalmente ex lege ;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, domiciliata digitalmente ex lege ;
-controricorrente e ricorrente incidentale – avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste, n. 6/2025, depositata il 21 gennaio 2025;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21 ottobre 2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
RAGIONE_SOCIALE ottenne dal Tribunale di Gorizia decreto ingiuntivo nei confronti di RAGIONE_SOCIALE per il pagamento della somma di euro 183.000,00, a titolo di canoni di locazione di immobile alberghiero in forza di contratto di sublocazione stipulato, in data 5 agosto 2011, quale sublocatrice, da RAGIONE_SOCIALE, della cui posizione l’ingiungente si era resa cessionaria;
RAGIONE_SOCIALE vi si oppose deducendo di vantare un controcredito di euro 336.000 (oltre IVA) che, previo accertamento, chiese fosse portato in compensazione con effetto estintivo del credito ingiunto: si trattava, in thesi , di un credito ─ maturato per canoni impagati di affitto di azienda dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE ─ che RAGIONE_SOCIALE aveva acquistato dal RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE il 1° febbraio 2018 per il prezzo di euro 100.000,00;
l’opposta replicò eccependo che: mancava la prova dell’acquisto del presunto e contestato credito; era comunque da considerarsi nullo il ‘bando d’asta’ con il quale il curatore del RAGIONE_SOCIALE aveva posto in vendita l’asserito credito, e ciò per una serie di vizi in sostanza nascenti dalla contestata esistenza e dal mancato previo accertamento del credito; non era mai intercorso un ‘ contratto diretto tra la RAGIONE_SOCIALE, o il RAGIONE_SOCIALE che dir si voglia, con RAGIONE_SOCIALE ‘; dal presunto credito avrebbe dovuto comunque detrarsi l’importo di euro 144.000,00 corrisposto da RAGIONE_SOCIALE quale terza pignorata all’esito di espropriazione presso terzi eseguita su istanza della RAGIONE_SOCIALE, creditrice di RAGIONE_SOCIALE; il credito medesimo si era estinto per prescrizione; andava ulteriormente detratto il controcredito vantato da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE pari ad euro 86.500,00 oltre interessi, in forza di « accordi presi con gli ex amministratori di RAGIONE_SOCIALE »;
con sentenza n. 127 del 2024 il Tribunale rigettò l’opposizione e
condannò la società opponente alle spese, rilevando l’insussistenza dei presupposti sia di una compensazione volontaria, in mancanza di prova dell’accordo tra le parti volto all’elisione delle reciproche pretese, sia della compensazione legale o di quella giudiziale, e ciò per la ragione assorbente della mancanza di prova scritta, ex art. 2556 c.c., del dedotto contratto di affitto di ramo d’azienda originariamente intercorrente tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE in bonis ;
pronunciando sui gravami interposti in via principale dalla RAGIONE_SOCIALE e in via incidentale dalla RAGIONE_SOCIALE, la Corte d’appello di Trieste, con sentenza n. 6/2025, resa pubblica il 21 gennaio 2025, respinto il secondo motivo dell’appello incidentale con il quale RAGIONE_SOCIALE aveva reiterato l’eccezione, già respinta dal primo giudice, di nullità della procura ad litem conferita dall’opponente al proprio difensore, ha rigettato l’appello principale e , per l’effetto, ha confermato la decisione di primo grado, dichiarando assorbiti gli ulteriori motivi d ell’ appello incidentale e compensando integralmente tra le parti le spese del grado;
in motivazione, per quanto ancora interessa, la Corte friulana ha rilevato che, in base a documento ammissibilmente prodotto in appello ex art. 437, secondo comma, c.p.c., doveva in effetti ritenersi provata l’esistenza di contratto di affitto di azienda tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, ma nondimeno ciò non bastava « a fondare l’accoglimento dell’appello »;
ciò in quanto:
la società appellata aveva « ribadito, ex art. 346 c.p.c., la contestazione, già svolta in primo grado, dell’esistenza e, comunque, dell’ammontare del controcredito dedotto da RAGIONE_SOCIALE, segnatamente eccependo, oltre all’inesistenza di un contratto di affitto d’azienda, la mancata prova dell’acquisto, da parte dell’appellante, del controcredito stesso, nonché la nullità, per plurime ragioni, della procedura di cessione di esso operata
nell’ambito del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e l’inesistenza di un rapporto contrattuale che la obbligasse nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, e rilevando l’erroneità dell’importo esposto da RAGIONE_SOCIALE, la quale aveva omesso di detrarre i numerosi pagamenti effettuati in favore di RAGIONE_SOCIALE da RAGIONE_SOCIALE e i crediti di quest’ultima nei confronti della prima, idonei a ridurre significativamente l’ammontare del preteso credito »;
b) tale contestazione, secondo i principi affermati da Cass. Sez. U. 15/11/2016, n. 23225 (« se è controversa, nel medesimo giudizio instaurato dal creditore principale o in altro già pendente, l’esistenza del controcredito opposto in compensazione, il giudice non può pronunciare la compensazione, neppure quella giudiziale, perché quest’ultima, ex art. 1243, comma 2, c.c., presuppone l’accertamento del controcredito da parte del giudice dinanzi al quale è fatta valere, mentre non può fondarsi su un credito la cui esistenza dipenda dall’esito di un separato giudizio in corso e prima che il relativo accertamento sia divenuto definitivo. In tale ipotesi, resta pertanto esclusa la possibilità di disporre la sospensione della decisione sul credito oggetto della domanda principale, ed è parimenti preclusa l’invocabilità della sospensione contemplata in via generale dall’art. 295 c.p.c. o dall’art. 337, comma 2, c.p.c, in considerazione della prevalenza della disciplina speciale dell’art. 1243 c.c. »), ne determinava l’incertezza e quindi l’impossibilità di dedurlo in compensazione, legale o giudiziale;
nella specie le contestazioni opposte al controcredito in questione non potevano ritenersi prima facie pretestuose;
d) era inoltre decisiva la circostanza della documentata pendenza innanzi al Tribunale di Gorizia di giudizio (iscritto al n. NUMERO_DOCUMENTO R.G.) tra le medesime parti (con la partecipazione anche della pretesa condebitrice solidale RAGIONE_SOCIALE) avente a specifico e diretto oggetto proprio l’accertamento dell’esistenza del controcredito qui dedotto in
compensazione da RAGIONE_SOCIALE: tale circostanza escludeva, sulla base della pacifica giurisprudenza sopra rammentata, l’opponibilità, nel giudizio promosso dal creditore principale, del credito dedotto in compensazione, il cui accertamento era riservato alla sopra indicata causa pendente tra le parti innanzi al Tribunale di Gorizia, nella quale esso era stato azionato;
avverso tale sentenza RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione sulla base di un solo motivo, cui resiste RAGIONE_SOCIALE depositando controricorso, nel quale ha svolto anche un ricorso incidentale;
la controricorrente ha depositato in data 28 aprile 2025 « istanza di trattazione urgente » motivata dal fatto che, nelle more del giudizio di cassazione, la Corte d’appello, con ordinanza in data 3 aprile 2025, in accoglimento di richiesta della controparte ex art. 373 c.p.c., aveva sospeso l’esecuzione della sentenza qui impugnata e rappresentando quindi il pericolo della dispersione del patrimonio della debitrice; con la stessa istanza RAGIONE_SOCIALE ha chiesto « l’acquisizione del fascicolo della Corte d’Appello relativo all’istanza di sospensiva e rubricato al n. 69NUMERO_DOCUMENTO R.G. della detta Corte giuliana anche in relazione alle spese da liquidarsi per esso come disposto dalla stessa ordinanza »;
la trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.;
non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
le parti hanno depositato memorie;
considerato che:
con l’unico motivo di ricorso RAGIONE_SOCIALE denuncia, con riferimento all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ., « violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato ai sensi dell’art. 112 c.p.c. per l’omesso esame di specifiche richieste fatte valere dalla parte e rilevanti ai fini della definizione del giudizio »;
lamenta che la Corte d’appello, limitandosi a constatare il carattere incerto e illiquido del credito opposto in compensazione, per
giungere alla conclusione della insussistenza dei presupposti di tale causa estintiva del credito azionato da controparte, abbia omesso di pronunciarsi sulla preliminare domanda diretta per l’appunto all’accertamento della sussistenza, certezza, liquidità ed esigibilità del credito da essa vantato nei confronti di RAGIONE_SOCIALE ─ domanda proposta in primo grado e reiterata in appello ─ non potendo tale omissione ritenersi giustificata dalla pendenza di altro giudizio al medesimo fine proposto, ma tuttavia successivo e con parti anche diverse;
la censura di error in procedendo è inammissibile, per l’inidoneità delle enunciazioni con cui è prospettata ad evidenziarla in astratto;
secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, la parte che, in sede di ricorso per cassazione, deduce che il giudice di appello sarebbe incorso nella violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per non essersi pronunciato su un motivo di appello o, comunque, su una conclusione formulata nell’atto di appello, è tenuta, ai fini dell’astratta idoneità del motivo ad individuare tale violazione, a precisare – a pena di inammissibilità – che il motivo o la conclusione sono stati mantenuti nel giudizio di appello fino al momento della precisazione delle conclusioni (Cass. n. 5087 del 03/03/2010, Rv. 611679; v. anche tra le numerose successive conff. Cass. n. 41205 del 22/12/2021, Rv. 663494);
è stato infatti evidenziato che « quando si propone un motivo di appello o, in relazione all’effetto devolutivo del giudizio di appello, si sollecita il giudice d’appello a pronunciarsi su una determinata conclusione, il dovere di decidere di quel giudice nel rito ordinario non è automaticamente individuato dal solo contenuto dell’atto di appello, ma si correla al mantenimento nel corso dello svolgimento del relativo giudizio e fino all’udienza di precisazioni delle conclusioni del motivo o della conclusione, onde il ricorrente che intenda denunciare che il giudice d’appello ha omesso la decisione al riguardo non può limitarsi
ad enunciare di avere nell’atto di appello proposto il motivo o la conclusione, ma deve completare l’allegazione precisando di averli tenuti fermi fino all’udienza di precisazione delle conclusioni » (Cass. n. 5087 del 2010, cit., in motivazione);
tale onere nella specie non è stato assolto, essendosi la ricorrente limitata a riferire (v. ricorso, pag. 10, sub lett. c) che « nel presente giudizio, sin dal primo grado e anche nel giudizio d’appello, la RAGIONE_SOCIALE ha ritualmente ed espressamente chiesto (prima al Tribunale di Gorizia e poi alla Corte d’Appello di Trieste) di accertare l’esistenza del proprio credito di Euro 336.000,00 + IVA a titolo di canoni di ‘locazione di affitto dell’azienda alberghiera comprendente l’immobile RAGIONE_SOCIALE‘ ai fini della compensazione di parte del credito con il controcredito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE », senza null’altro aggiunge re per individuare il fatto processuale che avrebbe determinato la denunciata violazione;
tanto più il mancato assolvimento di tale onere si rivela ostativo all’ammissibilità del dedotto vizio in questa sede, ove si consideri che la sentenza impugnata procede ad una espressa elencazione dei motivi d’appello che erano stati proposti da RAGIONE_SOCIALE (v. sentenza, pagg. 16 -17, parr. 5.1 -5.7) e tra essi non se ne rinviene nessuno che faccia riferimento alla domanda di accertamento in questione;
né può l’assolvimento di un tale onere desumersi indirettamente dal fatto che la Corte d’appello dia nondimeno atto (sia a pag. 2, nel riportare le conclusioni dell’atto d’appello, sia a pag. 17, ultimo cpv. nel riferire, subito dopo l’esposizione dei motivi dell’appello principale, le richieste conclusive di merito dell’appellante) dell’esistenza, tra le conclusioni dell’atto d’appello, ed anzi al primo posto tra di esse, di una domanda diretta all’accertamento del credito predetto ;
al riguardo deve anzitutto rilevarsi che il fatto che nelle conclusioni dell’atto d’appello, per come riferito anche in sentenza, fosse presente una tale domanda non dimostra ancora che la stessa
fosse stata mantenuta all’udienza di discussione, ben potendosi ritenere che il silenzio su di essa poi serbato nella successiva trattazione discenda dal convincimento che essa sia stata abbandonata stante il suo mancato mantenimento in quella sede;
in ogni caso, anche ad opinare diversamente sul punto, la conclusione non potrebbe mutare, atteso che, nel descritto contesto processuale, la formulazione tra le conclusioni di quella domanda attesta al contrario che si trattava in realtà di una domanda cui non poteva darsi ingresso nel giudizio di appello e che pertanto del tutto correttamente non è stata presa in esame dalla Corte territoriale;
ed infatti ─ dato il menzionato svolgimento processuale nel quale, secondo quanto pacificamente riferito anche dalla ricorrente, già il giudice di primo grado era rimasto silente (e dunque aveva omesso di pronunciarsi) sulla domanda di accertamento in questione ─ la riproposizione di tale domanda in appello avrebbe dovuto ex necesse essere mediata dalla prospettazione, nei termini e con le modalità all’uopo richieste, di un vizio di omessa pronuncia da parte del primo giudice;
in mancanza di un tale motivo di gravame l’esame in appello di una tale domanda risultava precluso per l’appunto dal giudicato formatosi sulla omissione di pronuncia, il quale ha avuto l’effetto di espungere la stessa dal tema devolvibile al giudice d’appello;
il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile;
rimane assorbito l’esame del ricorso incidentale, dato il suo carattere condizionato, come evidenziato dalla stessa parte in memoria; si trattava, peraltro, della riproposizione di questioni rimaste assorbite nel giudizio di appello, il che avrebbe reso comunque inammissibile il ricorso, anche se condizionato, in quanto in tale ipotesi difetta il presupposto del diritto di impugnazione, e cioè la soccombenza, sia pure solo teorica, e potendo le suddette questioni essere riproposte in sede di rinvio (v. ex multis Cass. n. 134 del
2017; n. 2010; n. 2010; n. 4424 del 2001; n. 3908 del 2000; n. 11861 del 1998; n. 342 del 1997; n. 1308 del 1989);
alla soccombenza segue la condanna della ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese processuali, liquidate come da dispositivo;
non può prendersi in esame la richiesta di liquidazione delle spese sostenute dalla società resistente innanzi alla Corte d’appello per resistere all’istanza di sospensione, ex art. 373 cod. proc. civ., dell’efficacia esecutiva della sentenza in questa sede impugnata;
in disparte il rilievo che tale istanza non risulta iterata nella successiva memoria depositata in data 8 ottobre 2025, è dirimente la constatazione che la parte ha omesso di depositare i verbali relativi a tale procedimento e i propri atti difensivi depositati in quella sede, ciò ledendo il necessario contraddittorio sul punto e comunque impedendo un compiuto vaglio degli elementi da prendere in considerazione ai fini della chiesta liquidazione (si veda già -seguita da numerose conformi – Cass. n. 3341 del 2009, secondo cui: <>);
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente , ai sensi dell’art. 13, comma 1 –
quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso principale; assorbito quello incidentale; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 7.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento agli esborsi liquidati in euro 200 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P .R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 ottobre 2025.
Il Presidente
(NOME COGNOME)