Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22689 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22689 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23883/2022 R.G. proposto da
SOCIETÀ RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in SALERNO INDIRIZZO SALERNO INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME, domicilio digitale presso l’indirizzo PEC EMAIL, che la rappresenta e difende
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore e domiciliata ope legis in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e difende
Oggetto: Comunità europea -Contributi comunitari – Agricoltura – Reg. (CE) 1234/2007 -Programmi operativi
R.G.N. 23883/2022
Ud. 23/04/2025 CC
REGIONE CAMPANIA
-intimata – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI SALERNO n. 251/2022 depositata il 04/03/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 23/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 251/2022, pubblicata in data 4 marzo 2022, la Corte d’appello di Salerno, nella regolare costituzione dell’appellata RAGIONE_SOCIALE e nella contumacia dell’altra appellata REGIONE CAMPANIA, ha accolto l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Salerno n. 4441/2014 del 25 aprile 2014.
RAGIONE_SOCIALE aveva agito -in riassunzione, a seguito di decisione declinatoria di giurisdizione del giudice amministrativo -chiedendo di accertare la illegittimità della deliberazione n. 6/12 del 9 agosto 2012 con la quale RAGIONE_SOCIALE aveva ritenuto non dovuta alla RAGIONE_SOCIALE la somma di € 175.408,44 ed aveva disposto il relativo incameramento -maggiorato degli interessi per l’indebita percezione del contributo comunitario relativo al settore dei programmi operativi per l’anno 2009.
Aveva riferito la società odierna ricorrente – Organizzazione di Produttori riconosciuta con D.P.G.R. n. 5601 del 20.04.1999, ai sensi del Reg. (CE) n. 2200/96 -di avere presentato nel 2008 un nuovo Programma Operativo relativo al quinquennio 2009/2013 ottenendo,
nonché contro
-controricorrente –
all’esito della prescritta istruttoria, l’ approvazione per l’annualità 2009 con D.D.R. della REGIONE CAMPANIA n. 44 del 27 febbraio 2009 e successivamente conseguendo – con D.D.R. n. 304 del 24 novembre 2009 – una modifica al Progetto Operativo.
Aveva ulteriormente riferito la società che – sorti dubbi interpretativi in ordine alle modalità di applicazione della nuova disciplina comunitaria di cui al Reg. (CE) n. 1234/2007 ed in particolare in ordine alle c.d. ‘condizioni di equilibrio’ – aveva proceduto alla riallocazione di parte delle risorse assegnate al fine di rispettare le condizioni di equilibrio, conseguendo ulteriore autorizzazione della REGIONE CAMPANIA con D.D.R. n. 222 del 31 agosto 2010, e che solo successivamente, a seguito di controlli, AGEA aveva contestato il carattere indebito della percezione del contributo, adottando il provvedimento impugnato.
Accolta in prime cure la domanda della RAGIONE_SOCIALE, la Corte d’appello di Salerno ha invece accolto il gravame di RAGIONE_SOCIALE ritenendo che, a seguito di provvedimenti autorizzativi della REGIONE CAMPANIA, fosse intervenuta una modifica sostanziale del Programma Operativo con conseguente percezione da parte della RAGIONE_SOCIALE di contributi comunitari non dovuti.
In particolare, la Corte territoriale ha escluso che le autorizzazioni concesse da REGIONE CAMPANIA valessero a precludere il controllo successivo di RAGIONE_SOCIALE, quale Ente deputato all’erogazione dei contributi e titolare del conseguente potere di controllo.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Salerno ricorre RAGIONE_SOCIALE
Resiste con controricorso AGEA.
È rimasta intimata REGIONE CAMPANIA.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a due motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce la ‘violazione art. 360 comma 1, n. 3 e 5 c.p.c. in relazione alle disposizioni di cui al Reg. (CE) 1234/2007 e 1580/2007 e della Circolare del Ministero delle politiche agricole alimentari in attuazione della strategia nazionale n. 3684/2008 – errato esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti’ .
La stessa ricorrente lo sintetizza nei seguenti termini:
‘I.1 – La Corte di Appello di Salerno ha -erroneamente – ritenuto che la società RAGIONE_SOCIALE avrebbe apportato delle modifiche sostanziali al programma operativo senza preventiva autorizzazione dell’organo a ciò deputato.
E ciò:
a – seguendo acriticamente quanto riportato nel verbale ispettivo di RAGIONE_SOCIALE del 28.11.2011;
b – senza considerare che:
b.1 l’unica modifica al progetto è stata regolarmente approvata con D.D.R. n. 304 del 24.11.2009;
b.2 -una successiva mera riallocazione delle risorse precedentemente approvate, al solo fine di conformarsi alle sopravvenute prescrizioni imposte dal Reg. (CE) 1234/2007 ed applicate per la prima volta progetti relativi all’annualità 2009, non solo è sta ta preventivamente comunicata con nota del 22.07.2010, ma è stata anche, del pari, espressamente approvata con D.D.R. n. 222 del 31.08.2010.
I.2 -Dunque, nessuna violazione.
Ciò nonostante, nessuna valutazione da parte della Corte di appello su circostanze decisive’ .
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dei Reg. (CE) nn. 1234/2007 e 1580/ 2007 e della Circolare del Ministero delle politiche agricole alimentari in attuazione della strategia nazionale n. 3684/2008.
La stessa ricorrente lo sintetizza nei seguenti termini:
‘II.1 – Con il secondo motivo di ricorso si contesta, invece, la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per aver il giudice di secondo grado errato nella individuazione ed applicazione di norme di diritto.
In particolare, la Corte di Appello di Salerno, sul presupposto che ‘il controllo sull’esecuzione dei programmi operativi resta in ogni caso delegato all’organismo pagatore che nel caso in esame è appunto l’Agea’, ha erroneamente ritenuto che l’Agea possa in ogni caso intervenire sui provvedimenti di ammissione ai contributi comunitari e, quindi, anche per motivi che non attengono alla attuazione del programma operativo. Senonché, detta statuizione si pone in contrasto con le disposizioni normative vigenti in materia.
Il riferimento, per quanto di interesse, va al Regolamento (CE) n. 1234/2007 -Settore ortofrutta Strategia Nazionale 2009-2013 -ed, in particolare, alla Circolare ministeriale n. 3684 del 02/10/2008 allegato n. 2 nell’ambito della quale è espressamente previsto che l’Agea è l’organo deputato ai controlli sulla esecuzione dei programmi operativi (art.10).
In altri e più chiari termini: – la Regione approva i programmi; l’Agea verifica la rispondenza e/o la conformità tra quanto approvato dall’organo a ciò preposto e quanto realizzato; e ciò, quindi, senza poter entrare nel merito degli atti di approvazione adottati dalla Regione, a ciò deputata.
Con la ovvia conseguenza che va escluso qualsivoglia potere dell’Agea di revocare i contributi concessi per motivi che non attengono alla corretta attuazione dei programmi sostenuti dagli aiuti comunitari, ma per presunti profili di erroneità degli atti regionali che li hanno approvati’ .
Il ricorso è, nel complesso dei motivi, inammissibile.
2.1. In relazione al primo motivo, nella parte in cui lo stesso richiama l’ipotesi di cui all’art. 360, n. 3), c.p.c., si deve rammentare che questa Corte sta costantemente affermando il principio per cui il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).
Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa,
che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Nella specie, invece, si deve rilevare che il motivo in esame si colloca ben al di fuori dei corretti limiti di formulazione di un ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, diffondendosi in una serie di censure che sono in realtà riferite alla valutazione dei profili in fatto e tramite le quali , ben lungi dall’individuare alcuna affermazione della Corte d’appello che possa integrare un non corretto governo delle previsioni applicabili, viene semplicemente -ed inammissibilmente -ad essere sollecitata una nuova valutazione dei fatti di causa e quindi una nuova decisione sul merito della vicenda.
Vi è, del resto, da osservare che il motivo, nel ribadire il carattere legittimo del l’ operato della ricorrente in quanto oggetto di autorizzazione da parte dei due D.D.R. nn. 304/2009 e 222/2010 omette -almeno in questa sede e salvo quanto si osserverà in relazione al secondo motivo -di aggredire la ratio effettiva della decisione impugnata, la quale ha escluso che tali provvedimenti potessero valere a legittimare l’operato della ricorrente , in quanto gli stessi venivano a modificare in modo sostanziale il programma operativo (pag. 8 della motivazione): a venire in rilievo, quindi, nell’impianto motivazionale della decisione non era il profilo della presenza o meno delle autorizzazioni, quanto il profilo della inidoneità di tali atti a consentire comunque le modifiche del programma operativo.
Le considerazioni appena svolte valgono ad evidenziare l’inammissibilità delle deduzioni riferite all’ipotesi di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c.: premesso che tale ipotesi è da intendersi riferita all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; Cass. Sez. 6 – 3, Sentenza n. 25216 del 27/11/
2014; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 9253 del 11/04/2017) e non può essere estesa all”errato esame’ – come indicato nella rubrica del motivo – a risultare dirimente è la costatazione che, come appena evidenziato, la Corte d’appello ha direttamente esaminato i profili dedotti dalla ricorrente e non ne ha omesso radicalmente l’esame, da ciò emergendo che il motivo, anche sotto tale profilo, si sostanzia in una inammissibile sollecitazione a rinnovare il vaglio del merito della decisione.
Si deve, allora, ribadire il principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, dietro l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U – Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017), atteso che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
2.2. Inammissibile è anche il secondo motivo.
Lo stesso, in teoria, verrebbe a censurare la ratio fondamentale della decisione in esame, ma viene ad imperniarsi su una ricostruzione del tutto inadeguata del quadro normativo, fondandosi sul richiamo a meri atti amministrativi, quali sono le Circolari nn. 3684 e 3932 del Ministero delle Politiche Agricole, le quali, evidentemente, non possono costituire fonte normativa e possono solo fornire un’indicazione operativa che comunque non è vincolante per l’interprete delle leggi .
Rammentato, allora, che, nel dedurre l’ipotesi di cui all’art. 360, n. 3), c.p.c., il ricorrente a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/ 2020), si deve constatare che il motivo in esame viene sostanzialmente a tradursi in una generica censura che non si fonda né su un’analitica critica dell’operato interpretativo del giudice di merito né nella deduzione dell’effettiva violazione di una contrapposta fonte normativa.
Occorre, invece, ribadire -a definitiva confutazione del motivo -che RAGIONE_SOCIALE è l’Ente deputato all’erogazione ed ai controlli, alla luce della disciplina sia del Reg (CE) n. 1580/2007 sia del D. Lgs. 228/2001 e che conseguentemente è da ritenere che uno dei contenuti del suo controllo possa consistere anche nella revisione dell’autorizzazione regionale e quindi nell’accertamento del carattere indebito dei contributi percepiti.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” ,
spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso, condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di c assazione, che liquida in € 5.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1- quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima