Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1506 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 1506 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16087/2019 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME con diritto di ricevere le notificazioni presso la PEC dell’avvocato COGNOME NOMECOGNOME che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l ‘Avvocatura centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME unitamente agli avvocati NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO TORINO n. 570/2018 pubblicata il 19/11/2018. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Torino, con la sentenza n.768/2017 pubblicata il 19/11/2018, ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME nella controversia con l’RAGIONE_SOCIALE
La controversia ha per oggetto l’accertamento negativo della pretesa di assoggettare all’imponibile contributivo ex art.3 bis d.l. 384/1992 (convertito con modificazioni dalla legge 348/1992) il reddito derivante dalla partecipazione come socio accomandante alla società RAGIONE_SOCIALE impegnata nell’attività di mera gestione immobiliare.
Il Tribunale di Vercelli rigettava le domande proposte dalla COGNOME, confermando la sussistenza del debito contributivo.
La corte territoriale ha richiamato il precedente di Cass. Sez. Lav. 12/12/2017 n.29779 ed ha ritenuto che anche il reddito derivante dalla partecipazione quale socia accomandataria di società in accomandita semplice fosse compreso nella «totalità dei redditi d’impresa denunciati ai fini IRPEF», e dunque soggetto alla pretesa contributiva.
Per la cassazione della sentenza ricorre la Vignola, con ricorso affidato ad un unico motivo, illustrato da memoria. IRAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo la ricorrente lamenta violazione o falsa applicazione dell’art.3 bis d.l. 384/1992. Deduce che la corte territoriale ha erroneamente assimilato, ai fini contributivi, la
totalità dei redditi d’impresa con la totalità dei redditi denunciati. Sostiene che alla luce della interpretazione del parametro di legittimità, compiuta dalla Corte Costituzionale con la sentenza 07/11/2001 n.354, laddove il socio accomandante non svolga attività d’impresa, ma si limiti alla mera partecipazione, il reddito da essa ritratto non possa essere qualificato come reddito d’impresa, e dunque non sia soggetto alla pretesa contributiva dell’istituto previdenziale.
Il ricorso è infondato.
Sulla questione sollevata dalla parte ricorrente si intende dare continuità all’orientamento di Cass. Sez. Lav. 04/09/2023 n.25732, che ha esaminato a fondo il caso del lavoratore autonomo, iscritto alla gestione previdenziale in quanto svolgente un’attività lavorativa per la quale sussistono i requisiti per il sorgere della tutela previdenziale obbligatoria, che tra i redditi percepiti nell’anno di riferimento possegga anche quello da partecipazione a società di persone nella quale egli non svolge attività lavorativa, quale socio accomandante di una società in accomandita semplice che si limita allo svolgimento di attività di gestione immobiliare.
La Corte, dopo un approfondito esame della questione, ha ritenuto che « per i soci di società di persone opera il principio della trasparenza fiscale, in forza del quale i redditi delle società in nome collettivo e in accomandita semplice, da qualsiasi fonte provengano e quale che sia l’oggetto sociale, sono considerati redditi d’impresa e sono determinati unitariamente secondo le norme relative a tali redditi (art. 6 comma 3 del testo post riforma del 2004 del D.P.R. n. 917 del 2016). 22. Ed è proprio il diverso regime dettato per le società di persone da cui deriva il principio, già affermato da questa Corte nella sentenza n. 29779 del 2017, e al quale va data continuità, secondo il quale ai fini della determinazione dei contributi dovuti dagli artigiani ed esercenti attività commerciali, vanno computati anche i redditi percepiti in qualità di socio
accomandante, seppure diversi dal reddito che trova causa nel rapporto di lavoro oggetto della posizione previdenziale. 23. La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 354 del 7 novembre 2001, ha ben distinto tra la posizione dei soci (non lavoratori) delle società di capitali e quelli delle società di persone, ove ha ritenuto non fondata, in riferimento all’art. 3 cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3-bis d.l. 19 settembre 1992 n. 384, conv., con modif., in legge 14 novembre 1992 n. 438, il quale, sottoponendo a contribuzione INPS i redditi denunciati ai fini IRPEF dal socio accomandante di società in accomandita semplice, introdurrebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra socio accomandante di società in accomandita semplice e socio di società di capitali. 24. Ha infatti rimarcato, il Giudice delle leggi, che nell’ambito delle società in accomandita semplice (e in quelle in nome collettivo) assume preminente rilievo, diversamente dalle società di capitali, l’elemento personale, in virtù di un collegamento inteso non come semplice apporto di ciascuno al capitale sociale, bensì quale legame tra più persone, in vista dello svolgimento di un’attività produttiva riferibile, nei risultati, a tutti coloro che hanno posto in essere il vincolo sociale, ivi compreso il socio accomandante; né la scelta del legislatore può ritenersi affetta da irragionevolezza, in quanto all’onere contributivo si correla un vantaggio in termini di prestazioni previdenziali ai sensi dell’art. 5 legge n. 233 cit., in base al quale la misura dei trattamenti è rapportata al reddito annuo d’impresa. 25. La Consulta, nel richiamato arresto, ha rilevato che dall’art. 38, comma 2, Cost., non si desume un’intima e indefettibile correlazione tra contribuzione e reddito di lavoro e che anzi, le più recenti riforme in materia evidenziano sia il passaggio ad una più ampia accezione di base contributiva imponibile, tale da ricomprendere non solo il corrispettivo dell’attività di lavoro, ma anche altre attribuzioni economiche che nell’attività stessa rinvengono soltanto mera
occasione, sia la convergenza, pur nella rispettiva autonomia di regimi, tra disciplina fiscale e disciplina previdenziale quanto alla definizione della base imponibile. 26. In definitiva, tenuto conto dei limiti delineati dal legislatore, nella totalità dei redditi d’impresa alla quale rapportare l’ammontare del contributo dovuto alla gestione commercianti per i soggetti di cui all’art. 1 della legge n. 233 del 1990 vanno inclusi i redditi percepiti dal collaboratore in virtù della sua partecipazione a società di persone (nella specie, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE)».
La corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio di diritto sopra richiamato, e pertanto non appare sussistere la paventata violazione di legge.
Il ricorso deve pertanto essere rigettato. La decisione sulla base di un principio di diritto formatosi dopo la notifica del ricorso giustifica la compensazione delle spese dell’intero processo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Compensa le spese dell’intero processo . Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 16/01/2025.