Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3761 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3761 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15742/2020 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME -ricorrente- contro
NOME COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO GENOVA n. 1466/2019 depositata il 29/10/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/01/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
– Il ricorso riguarda la sentenza con cui la Corte d’Appello di Genova ha confermato la decisione del locale Tribunale che aveva accolto la domanda principale proposta da NOME COGNOME nei confronti della Deutsche Bank s.p.a. dichiarando la nullità del contratto di acquisto di obbligazioni della Repubblica Argentina per un valore di 15.000,00 euro con ordine di acquisto emesso il 22.5.2000, condannando la banca a restituire all’attrice la somma capitale investita, oltre interessi da calcolarsi in misura pari al tasso medio dei BTP a 10 anni per il periodo di riferimento dalla data di pagamento al saldo nonché accolto la domanda riconvenzionale della convenuta condannando l’attrice a restituire i titoli e il valore corrispondente alle cedole riscosse dopo la data del 20.4.2007 corrispondente alla data messa in mora della banca da parte dell’attrice, oltre interessi legali dalla domanda al saldo.
– La Corte territoriale nel respingere i motivi d’Appello ha osservato, in sintesi quanto segue:
quanto al difetto di prova della legittimazione attiva dell’attrice per essere stati i titoli depositati su un conto cointestato con il marito defunto, che il Tribunale aveva dettagliatamente evidenziato le ragioni che legittimavano la sig. COGNOME ad agire in giudizio, anche tenuto conto della produzione del testamento del marito con cui lo stesso l’aveva nominata erede universale; in ogni caso poiché il dossier titoli era stato aperto con firma disgiunta, se tra correntisti vale la presunzione di contitolarità, ai sensi del 1998 c.c., nei confronti della banca trova applicazione l’art. 1854 c.c. indipendentemente dalla provenienza del denaro, per cui ciascuno degli intestatari quale creditore solidale poteva agire in giudizio per l’intero;
che il Tribunale correttamente aveva dichiarato la nullità dell’ordine dei bond in quanto il contratto era stato stipulato il giorno prima della sottoscrizione del contratto-quadro avvenuta il
23.5.2000, in violazione dell’art. 30 del Regolamento Consob, irrilevante essendo il momento in cui l’ordine medesimo aveva avuto esecuzione (come confermava una lettura sistematica delle norme sul tema che prevedono che, prima dell’ordine, gli intermediari sono tenuti a fornire tutte le informazioni necessarie a rendere consapevole l’investitore del dei rischi dell’investimento) sicché la cronologia dei passaggi negoziali non poteva essere invertita; ad abundantiam ha aggiunto che Deutsche Bank non aveva neppure provato il dedotto fatto che la sottoscrizione del contratto-quadro avesse preceduto, quantomeno, l’esecuzione dell’ordine, risultando piuttosto il contrario;
che nessuna sanatoria della nullità poteva essere ravvisata nella fattispecie per effetto dell’incasso delle cedole fino alla lettera di diffida del 2007;
che andava condiviso il rigetto dell’eccezione di prescrizione perché la ripetizione dell’indebito si prescrive in dieci 10 anni con decorrenza dalla data del pagamento, e, nel caso di specie, la raccomandata inviata il 20 Aprile 2007 aveva tutte le caratteristiche di un atto interruttivo rispetto alla prescrizione della ripetizione di un pagamento indebito effettuato il 22 maggio 2000; inoltre il fatto che nella lettera di diffida non fosse identificato il numero d’ordine e il complessivo importo dei titoli acquistati risultava del tutto irrilevante anche tenuto conto che la sig. COGNOME intratteneva con la Deutsche Bank quell’unico rapporto;
che, infine, corretta era la statuizione relativa alla decorrenza degli interessi sulle somme dovute a favore dell’investitrice dal momento del pagamento dei titoli, così come la loro commisurazione – a titolo risarcitorio – al tasso medio di rendimento dei degli ultimi dieci anni invece che al tasso legale, perché la sig. COGNOME si era rivolta alla banca allo scopo di investire e ricavare dai propri risparmi elevati rendimenti; ed altrettanto corretta era la individuazione della data da cui far decorrere
l’obbligo di restituire i frutti dei titoli (ovvero le cedole) poiché solo dalla data in cui l’investitrice aveva formalmente messo in mora la banca poteva ritenersi non più in buona fede nella percezione dei dividendi.
– Avverso la sentenza Deutsche Bank s.p.a ha presentato ricorso affidandolo a quattro motivi. Ha resistito la sig. NOME COGNOME Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
– Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. degli artt. 1298, 1854 e 2697 c.c. con riferimento alla legittimazione attiva della sig. COGNOME per la quota di titoli asseritamente del marito defunto sig. COGNOME che la ricorrente deduce non sarebbe stata accertata in giudizio perché la signora COGNOME si è limitata a produrre il testamento, che, benché pubblicato, non costituiva una prova risolutiva, posto che il medesimo potrebbe essere stato impugnato, eventualità che andava esclusa attraverso un atto notorio che non era stato prodotto; né poteva essere confusa la possibilità di operare sul conto corrente, che deriva dalla mera cointestazione, con la titolarità e la proprietà delle somme depositate sul conto corrente, ovvero sul deposito titoli, e con la conseguente legittimazione a reclamarla in sede giudiziale, di cui la sig. COGNOME non avrebbe dato piena prova.
1.1. – Il motivo è evidentemente inammissibile.
Fermo il fatto che non si tratta di legittimazione ad agire in giudizio, che, quale condizione dell’azione si fonda sulla prospettazione della parte, bensì della prova della titolarità del diritto che la parte « afferma », le censure che la ricorrente muove alla sentenza versano tutte « in fatto » e si risolvono nella pretesa di una riesame – inammissibile in questa sede di legittimità – del convincimento che il giudice di merito (conforme in entrambi i gradi del giudizio) si è formato in esito all’esame del materiale
probatorio; tanto meno per violazione dell’art. 2697 c.c. essendo -come noto – consolidato il principio secondo cui la violazione del precetto della norma predetta è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata, e non, invece, laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (v. Cass. 20.4.2020, n. 7919; Cass. 19.8.2020, n. 17313; Cass. 24.1.2020, n. 1634; Cass. 23.10.2018, n. 26769; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395; Cass. 7.11.2017, n. 26366; Cass. 17 giugno 2013, n. 15107).
– Con il secondo motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. in relazione agli artt.1854, e 1703, 1418 c.c, con riguardo all’art. 2697 c.c. riferito all’onere della prova dell’art. 23 TUF in materia di investimenti finanziari, il ricorrente censura la decisione sotto diversi profili.
2.1. – Sotto un primo profilo censura la declaratoria di nullità del contratto di acquisto dei titoli per mancanza del contrattoquadro essendo stato accertato che quest’ultimo non avesse preceduto l’ordine di acquisto, e ciò perché la Corte d’appello non avrebbe considerato che il momento rilevante per considerare perfezionato il « mandato d’acquisto » è quello in cui l’ordine era stato eseguito dalla banca, avendo la Banca accettato l’incarico per facta concludentia con l’esecuzione del medesimo , il che non risultava in alcun modo fosse avvenuto il medesimo giorno in cui era stato impartito (giorno anteriore alla stipulazione del contrattoquadro).
2.2. – Sotto altro profilo, connesso al precedente, la ricorrente censura l’argomentazione subordinata del giudice distrettuale per cui la banca non avrebbe comunque provato quanto affermato (ovvero che la sottoscrizione del contratto-quadro avrebbe
preceduto l’esecuzione dell’ordine), la quale sarebbe erronea sotto il profilo della distribuzione dell’onere probatorio in quanto sarebbe spettato all’investitore provare l’anteriorità dell’esecuzione dell’ordine rispetto alla sottoscrizione del contratto-quadro agli effetti della nullità di protezione invocata.
Si tratta di censure inammissibili.
(a) La ricorrente introduce un tema decisorio nuovo che attiene propriamente all’accertamento del momento in cui si sarebbe « perfezionato » il mandato conferito dalla cliente con l’ordine, che non risulta essere mai stato oggetto del giudizio, ove si discute del momento in cui l’ordine è stato eseguito solo quale fatto (in sé) effettivamente rilevante agli effetti di considerare adempiuto l’obbligo di previa stipulazione del contratto -quadro; del resto la ratio decidendi della sentenza gravata in punto nullità del contratto di acquisto dei bond sta nell’accertamento che questo era stato stipulato il giorno prima della sottoscrizione del contratto-quadro avvenuta il 23.5.2000, in violazione dell’art. 30 del Regolamento Consob, irrilevante essendo il momento in cui l’ordine medesimo aveva avuto esecuzione. Pur ritenendo tale motivazione dirimente , la Corte distrettuale ad abundantiam ha aggiunto che « era rimasta totalmente sfornita di prova » l’affermazione di Deutsche Bank « che la sottoscrizione del contratto-quadro avesse preceduto, il giorno 23, l’esecuzione dell’ordine » perché « a differenza dell’ordine, che reca data ed orario di sottoscrizione il contratto è privo di orario e conseguentemente anche in assenza di prova sul punto non sarebbe comunque dato sapere se sia avvenuta prima la stipulazione del contratto-quadro o l’acquisto delle obbligazioni argentine ».
Nell’argomentare il ragionamento decisorio la Corte d’Appello, quindi, sottolinea che il contratto-quadro, per la cui validità è prevista ad substantiam la forma scritta, deve necessariamente precedere in ordine di tempo l’ordine da parte dell’investitore,
indipendentemente dal momento in cui il medesimo abbia effettiva esecuzione da parte dell’intermediario, in quanto in sintesi: (i) è solo con il contratto-quadro che la banca ai sensi del secondo comma dell’art. 30 del Regolamento Consob n. 11522/98 deve specificare i servizi forniti, le loro caratteristiche ed indicare le altre condizioni contrattuali convenute con l’investitore; (ii) come previsto dallo stesso regolamento, ancor prima della stipula del contratto e a maggior ragione dell’ordine, gli intermediari sono tenuti ai sensi dell’art. 28 reg. a fornire ed assumere dall’investitore una serie di informazioni, le quali, pertanto, devono essere precedenti anche all’ordine di acquisto, riguardando l’esperienza dell’investitore in materia di investimenti in strumenti finanziari la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, la sua posizione propensione al rischio; e devono consegnare agli investitori il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari oltre che fornire informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento disinvestimento.
Sicché è evidente che, dolendosi del fatto che la Corte abbia trascurato di considerare che l’ordine si era «perfezionato» solo con l’esecuzione, introduce un tema nuovo estraneo alla ratio decidendi, che è incentrata sul fatto – incontroverso – che l’ordine fosse stato impartito e sottoscritto il giorno prima.
Perciò deve darsi continuità al consolidato principio per cui, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio (v. Cass., 9 luglio 2013, n. 17041; Cass., 13 giugno 2018, n. 15430; Cass., 13 agosto 2018, n. 20712); derivandone che,
qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitare una statuizione d’inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza e, dunque, specificità del motivo: a) di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass., 18/10/2013, n. 23675); b) riprodurre in via diretta il contenuto che sorregge la censura oppure in via indiretta, con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (Cass., 09/04/2013, n. 8569, Cass., 15/07/2015, n. 14784, Cass., 27/07/2017, n. 18679). Il che qui la ricorrente non ha fatto.
(b) Quanto alla censura relativa alla motivazione resa dalla Corte di merito in ordine all’accertamento del fatto che la sottoscrizione del contratto-quadro avrebbe proceduto l’esecuzione dell’ordine -erronea a dire del ricorrente sotto il profilo della distribuzione dell’onere probatorio basterà qui osservare che la Corte d’Appello stessa introduce detta argomentazione ad abudantiam (« Pur avendo tale motivazione carattere assolutamente dirimente, ad abundantiam si sottolinea che, per quanto Deutsche Bank s.p.a. assuma che la sottoscrizione del contratto-quadro avrebbe preceduto, il giorno 23, l’esecuzione dell’ordine della correntista, tale affermazione comunque rimasta totalmente sfornita di prova »), ed invero la stessa non sorregge la ratio decidendi , che come detto al punto che precede – è altra; ed è noto che è inammissibile il motivo di ricorso che censuri un’argomentazione siffatta, che non ha spiegato alcuna influenza sul dispositivo della decisione, poiché essendo improduttiva di effetti giuridici non può essere oggetto di ricorso per cassazione per difetto di interesse ( e
multis , cfr. Cass., sez. I, 10-04-2018, n. 8755; Cass., sez. lav., 2211-2010, n. 23635).
Ciò – giova aggiungere – a prescindere dal fatto che l’affermazione del ricorrente a proposito della distribuzione nella specie dell’onere probatorio è comunque errata, poiché era la banca ad avere eccepito – a fronte della prospettazione attorea del fatto che l’ordine era stato precedente al contratto -quadro – che detto ordine aveva avuto esecuzione dopo la sottoscrizione di detto contratto, ed era quindi onerata della prova del fatto da lei eccepito.
2.3. – Inammissibile, ancora, è il profilo di censura che attiene alla dedotta violazione della norma sulla nullità del contratto d’acquisto per contrasto con norme imperative poiché la Corte di merito avrebbe pronunciato la nullità del contratto d’acquisto benché l’art. 23 TUF non preveda la nullità nell’ipotesi in cui la data del contratto-quadro sia « coeva » all’esecuzione dell’ordine, pretendendo anche così la ricorrente di introdurre nel giudizio di legittimità la discussione di un fatto nuovo (la coevità dei due contratti), che non risulta sottoposto mai in detti termini in giudizio, risultando la ricorrente aver sostenuto e discusso -come dettol’anteriorità della sottoscrizione del contratto -quadro rispetto all’«esecuzione» dell’ordine, quale momento effettivamente rilevante agli effetti del rispetto della previsione normativa. Perciò deve richiamarsi quanto già affermato al punto 2.1.
2.4. Ancora, sotto ulteriore profilo, la ricorrente censura la decisione con il motivo in esame perché la Corte d’Appello non avrebbe considerato che la sequenza della sottoscrizione del contratto-quadro e dell’ordine d’acquisto devono essere inquadrati in un concetto di « funzionalità » e che il rigore nella pretesa della consecutio temporale tra i due atti sarebbe stato sottoposto a critica da parte della giurisprudenza di legittimità (cita Cass. n. 3261/2018 nonché Sez. Un. n. 5267/2020, la quale effettivamente
ha ribadito che il requisito della forma scritta a pena di nullità va intesa in senso « funzionale » riguardando la finalità di protezione dell’investitore, ma per dire una cosa diversa, ovvero che detto requisito è integrato « anche quando le parti richiamino per iscritto elementi contenuti in un diverso atto cui espressamente e specificamente si riportano e che dovranno costituire il criterio informatore di valutazione degli atti sottoposti all’esame del giudice del gravame »).
Alla luce di detta « funzionalità » secondo la ricorrente, nel caso di specie, doveva considerarsi che l’ordine era, comunque, successivo al confronto dell’investitrice con l’«operatore titoli», e che la Corte di merito avrebbe errato nel valutare gli elementi probatori raccolti (sia documentali che testimoniali) che -a suo dire -dimostrerebbero l’assoluta contestualità tra la sottoscrizione dell’ordine di acquisto dei titoli e la sottoscrizione del contrattoquadro; ordine, peraltro, del tutto confacente al profilo soggettivo di propensione al rischio della investitrice che – elemento asseritamente trascurato nella decisione gravata -intese acquistare l’obbligazione Argentina (oltre ad altri titoli) previa adeguata informazione sui rischi connessi per come si prospettavano all’epoca anche in ragione del rating .
Si tratta di censura – illustrata in modo confuso in ricorso e meglio illustrata nella memoria – che tocca aspetti diversi e non tutti concludenti con la ragione di doglianza.
2.4.1. – Onde concentrare l’esame del motivo sulla questione centrale, che attiene alla rilevanza « funzionale » e non « strutturale » del requisito formale previsto per il contratto-quadro in parola agli effetti di considerare nella specie soddisfatta la ratio della « nullità di protezione » prevista dalla legge, è utile sgombrare il campo dai profili inammissibili dell’argomentazione del ricorrente: a) l’erronea valutazione degli elementi probatori raccolti circa la « contestualità » della sottoscrizione di ordine d’acquisto e contratto -quadro, è
censura versata in fatto, non ammissibile in questa sede, oltre che relativa ad un «fatto» (la contestualità) nuovo, che non risulta oggetto del giudizio; b) inconferente in questo caso è l’argomento relativo alla conformità dell’investimento al profilo di propensione al rischio dell’investitrice, che, pur essendo tema introdotto dall’attrice in primo grado a sostegno della domanda subordinata di risoluzione del contratto per inadempimento della banca agli obblighi informativi attivi e passivi che la stessa era tenuta a garantire prima di procedere all’acquisto dei bond Argentina, non è oggetto della sentenza gravata, che, avendo accolto la domanda principale di nullità, non ha esaminato gli ulteriori fatti dedotti dall’attrice a fondamento delle ulteriori domande subordinate.
2.4.2. – Venendo dunque alla questione realmente rilevante, si osserva che la giurisprudenza di questa Corte appare, in effetti, essersi evoluta a proposito della rigidità del criterio con cui interpretare la sussistenza del requisito richiesto dalla norma di cui all’art. 23 TUF (nella versione applicabile ratione temporis ) e dagli artt. 28 e 30 del Regolamento Consob 11522/98, ovvero che gli intermediari autorizzati forniscano i propri servizi sulla base di una apposito contratto scritto, c.d. contratto-quadro (23 TUF e art. 30,) dopo aver fornito tutte le informazioni ritenute necessarie (art. 28), e della « funzionalità » della sequenza contratto-quadro/ordine individuata dal legislatore a tutela dell’investitore.
2.4.3. – Sulla base dell’arresto delle Sezioni Unite, pronunciatesi sul requisito della forma del contratto, per cui: « In tema di intermediazione finanziaria, il requisito della forma scritta del contratto-quadro, posto a pena di nullità (azionabile dal solo cliente) dal d.lgs. n. 58/1998 art. 23, va inteso non in senso strutturale ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell’investitore assunta dalla norma, sicché il requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente che vi sia la
sottoscrizione di quest’ultimo e non anche quella dell’intermediario il cui consenso ben può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti » (Cass. Sez. Un. n. 898/2018, confermato poi da Sez.Un. n. 5267/2020), è stata valorizzata in alcune pronunce – citate dalla banca ricorrente in memoria – non tanto la sequenza cronologica, in sé, degli ordini rispetto al contratto-quadro, ma il fatto che il contesto in concreto della fattispecie sottoposta al giudice dimostri che la banca ha effettivamente reso il servizio alle condizioni che la legge gli impone e che riguardano la previa offerta e raccolta di ogni informazione (attiva e passiva) necessaria per lo specifico servizio di investimento reso.
Nell’ordinanza n. 3261/2018, questa Corte, premesso che « gli obblighi di informazione cd. attiva circa la natura, i rischi e le implicazioni della singola operazione e quelli correlati alle situazioni di conflitto di interessi – finalizzati al rispetto della clausola generale che impone all’intermediario il dovere di comportarsi con diligenza, correttezza e professionalità nella cura dell’interesse del cliente – assumono rilevanza per effetto dei singoli ordini di investimento, che non sono mere istruzioni date dal cliente all’intermediario ma costituiscono negozi autonomi rispetto al contratto-quadro stipulato dall’investitore (Cass. nn. 20617 del 2017, 3950 del 2016 )» e che è « rispondente alle prescrizioni della normativa primaria e regolamentare l’idea che nella fase attuativa del contratto-quadro si configurino negozi di contenuto complesso, in cui l’intermediario debba prima rappresentare all’investitore le caratteristiche e le implicazioni della singola operazione e poi, se del caso, porla in essere », ha poi osservato: « Si potrebbe obiettare che, essendo il contratto-quadro stato stipulato (nel settembre 2002) successivamente all’ordine di investimento, quest’ultimo, non solo non potrebbe ritenersi esecutivo del primo ma sarebbe invalido per ragioni cronologiche, a causa della inversione della
successione ex-lege degli atti costituenti l’intermediazione finanziaria. Tuttavia, sarebbe facile replicare che il nesso tra il contratto-quadro e gli ordini di investimento è di tipo funzionale, non meramente cronologico, sicché nulla impedisce che il primo possa essere formalizzato (per iscritto) successivamente all’esecuzione degli ordini di acquisto, i quali ben possono dirsi pur sempre esecutivi del primo, quando – come nella specie – non sia contestato che l’investimento sia in linea con il programma negoziale contenuto nel contratto-quadro, costituendone attuazione o sviluppo ».
Valorizza il rapporto « funzionale » tra la sottoscrizione dell’ordine di acquisto e quella del contrattoquadro anche l’ordinanza n. 18763/2023, che, dopo aver richiamato la pronuncia precedente, ha cassato la sentenza impugnata dall’intermediario che, « pur dando atto dell’avvenuta produzione in giudizio del contrattoquadro sottoscritto dalle parti nel medesimo giorno della formulazione degli ordini d’investimento, ha rilevato che lo stesso, pur costituendone il necessario presupposto logico-giuridico prescritto a pena di nullità, risultava stampato in un orario successivo a quello riportato sugli ordini, ed ha ritenuto, quindi, verosimile che questi ultimi fossero stati impartiti ed eseguiti anteriormente alla redazione del predetto documento, concludendo pertanto per la nullità degli stessi, in quanto non preceduti dalla stipulazione di un valido contratto-quadro »; e ha cassato siffatta decisione perché tale conclusione non poteva essere condivisa « avuto riguardo al rapporto di stretta consecuzione temporale esistente tra la formulazione degli ordini di acquisto e la sottoscrizione del contratto-quadro, desumibile dalle indicazioni contenute nella sentenza impugnata, il quale consente di ritenere che l’instaurazione del rapporto d’intermediazione ed il conferimento e l’esecuzione degli incarichi di negoziazione abbiano avuto luogo in un unico contesto e senza soluzione di continuità, sì
da risultare irrilevante l’inversione dell’ordine cronologico nella formazione dei rispettivi documenti, ascrivibili ad una vicenda negoziale unitaria e collegati da un nesso funzionale inscindibile, tale da indurre a ritenere soddisfatto il requisito della forma scritta, nonostante l’anteriorità della fase esecutiva rispetto a quella della formalizzazione della volontà delle parti ».
2.4.4. -Entrambe le pronunce, dunque, convergono nell’affermare che la situazione di inversione dell’ordine cronologico tra stipulazione del contratto quadro e formulazione degli ordini di investimento non possa essere equiparata a quella degli ordini di investimento impartiti in assenza del contratto quadro, ogni qual volta la complessiva operazione sia stata eseguita in un contesto sostanzialmente unitario, come tale conforme al dettato normativo, il quale vuole che gli ordini di investimento, pur avendo consistenza di autonome pattuizioni contrattuali, vadano a collocarsi nel solco della stipulazione del contratto-quadro.
2.5. – Venendo al caso di specie, si osserva però che il tema non è stato discusso in detti termini nel giudizio promosso dalla sig. COGNOME poiché la banca, che ha valorizzato questa prospettiva in sede di legittimità, non risulta averla prospettata nella fase di merito, ove, alla luce della sentenza appellata, aveva invece negato che l’acquisto dei titoli avesse avuto luogo in data anteriore, di un giorno, alla sottoscrizione del contratto quadro e dunque sostenuto che questa non potesse considerarsi successiva all’acquisto (« Deutsche Bank spa deduce che la pronuncia impugnata pecca di eccessivo formalismo nel momento in cui il tribunale dichiarando la nullità dell’ordine di acquisto perché è stipulato il giorno prima rispetto al contratto-quadro non ha tenuto conto che ai sensi dell’articolo 30 del regolamento Consob la stipulazione di un contratto scritto deve essere preventiva ai servizi dell’intermediario finanziario e quindi all’operazione di acquisto dei titoli che nel caso di specie è appunto avvenuta nel medesimo giorno cioè il 23
maggio 2000 », v. sent. pagg. 5-6; v. anche a pag. 4, ove la Corte riassume i motivi di appello e così si sintetizza il motivo in argomento: « per avere il tribunale erroneamente dichiarato la nullità dell’ordine di sottoscrizione e dell’acquisto dei titoli in quanto l’articolo 30 del regolamento Consob prevede che l’intermediario non possa fornire i propri servizi se non in base a un contratto e nel caso di specie la banca ha dimostrato di aver acquistato le obbligazioni lo stesso giorno della firma del contratto-quadro »).
Né l’inammissibilità della censura per novità della questione può essere superata in ragione della sua natura di questione di puro diritto, risolvendosi anzi essa nella prospettazione di una ricostruzione fattuale – incentrata sulla unicità funzionale della complessiva operazione – nuova, e dunque interdetta in sede di legittimità. Neppure, d’altronde, la ricorrente ha censurato la sentenza per difetto di interpretazione del motivo di appello, bensì per violazione di legge, argomentata però – si ripete – in riferimento ad una ricostruzione fattuale diversa da quella dedotta nel primo e nel secondo grado di giudizio, ove si era svolto l’assunto secondo cui « l’ordine d’acquisto » si sarebbe « perfezionato » solo con l’esecuzione del medesimo, e non, come in questa sede, sulla « assoluta contestualità tra sottoscrizione dell’ordine d’acquisto dei tioli da parte della sig. COGNOME e sottoscrizione del contratto-quadro che vennero sostanzialmente sottoscritti insieme ».
Il motivo, perciò, è inammissibile per novità della questione sottoposta al giudice di legittimità (si veda quanto già detto proposito della inammissibilità per tale ragione al punto 2.2 a)
– Con il terzo motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 2941 e 2943 c.c., la ricorrente si duole del fatto che la Corte di merito abbia respinto l’eccezione di prescrizione sulla base di un’erronea individuazione nella fattispecie di un’ipotesi di
prescrizione decennale, anziché quinquennale come sarebbe stato corretto trattandosi di un caso di responsabilità precontrattuale, nonché sulla base di un’errata valutazione della efficacia interruttiva dell’atto costituito dalla comunicazione inviata dalla cliente alla banca il 20.4.2007, che, non recando l’indicazione numerica del deposito titoli di riferimento né precisazione del codice ISIN, della data di emissione e della quantità dei titoli, sarebbe stata carente in punto certezza del diritto azionato e puntuale estrinsecazione della pretesa creditoria.
3.1. – Il motivo è inammissibile sotto entrambi i profili indicati.
La fattispecie dedotta in giudizio riguarda la nullità del contratto di acquisto dei titoli obbligazionari per la mancanza della previa sottoscrizione del contratto-quadro e le conseguenti pronunce restitutorie fondate – sul versante dell’acquirente -investitore – sul diritto alla ripetizione dell’indebito pagamento eseguito in quanto privo di causa, diritto che pacificamente si prescrive in dieci anni dall’avvenuto pagamento; questa è la ratio decidendi della pronuncia con cui la ricorrente non si confronta, deducendo in modo inconferente che nella fattispecie dovrebbe applicarsi la prescrizione quinquennale trattandosi di ipotesi di responsabilità precontrattuale.
Inoltre la censura mossa alla decisione in punto efficacia dell’atto interruttivo rappresentato dalla comunicazione inviata dalla sig. COGNOME il 20.4.2007 attiene ad una valutazione di merito compiuta dal giudice (in modo conforme in primo e secondo grado) circa l’idoneità dell’atto in questione, per il suo contenuto completo, a mettere in mora il debitore, avendo la Corte d’appello accertato che il medesimo « aveva tutte le caratteristiche di un atto interruttivo rispetto alla prescrizione della ripetizione di un pagamento indebito effettuato il 22 maggio 2000 » e che « il fatto che nella lettera di diffida non fosse identificato il numero d’ordine e il complessivo importo dei titoli acquistati risultava del tutto irrilevante anche
tenuto conto che la sig. COGNOME intratteneva con la Deutsche Bank quell’unico rapporto »; accertamento frutto di un convincimento motivato, non censurabile in sede di legittimità se non, appunto, sotto il profilo del vizio di motivazione – nei limiti in cui l’anomalia motivazionale assurga alla soglia di un vizio costituzionalmente rilevante nella ristretta cornice delineata da Sez. Un. n. 8053/2014), ovvero censurando il percorso interpretativo dell’atto alla luce della violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e ss. c.c. Il che qui non è avvenuto.
– Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 1224 e 2033 c.c. con riferimento alla restituzione delle cedole percepite e alla quantificazione del danno, in quanto:
sarebbe errata la decisione della Corte nella parte in cui ha confermato il diritto dell’investitrice a trattenere le cedole percepite stante la sua ipotizzata buona fede; il concetto di buona fede dell’ accipien s nella presente fattispecie sarebbe « forzato », perché non vi era alcun motivo per il quale la sig. COGNOME non dovesse restituire le cedole percepite nel 2001, dato che la stessa aveva avuto sin dall’inizio la disponibilità del contratto-quadro e aveva avuto contezza della successione temporale delle sottoscrizioni dell’ordine di acquisto e del contratto-quadro stesso e, perciò, non sarebbe stata in buona fede; né vi erano ragioni perché la banca dovesse essere tenuta a riconoscere gli interessi sulla somma indebitamente percepita a titolo di pagamento dei titoli dalla data del pagamento invece che dalla data di proposizione della domanda; nella memoria aggiunge che tale decisione avrebbe generato una « locupletazione della signora COGNOME in forza degli interessi percepiti e delle cedole non restituite »;
b) sarebbe infondato il calcolo degli interessi parametrati al tasso medio di rendimento dei BTP degli ultimi 10 anni, poiché l’articolo
1224 c.c. riconosce solo al creditore che dimostri di aver subito un danno maggiore l’ulteriore risarcimento, evitando ogni automatismo fondato sugli indici di svalutazione; perciò trattandosi di restituzione di capitale a titolo di ripetizione di indebito, doveva trovare applicazione il semplice tasso legale o, al massimo, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di stato con scadenza non superiore a 12 mesi, a titolo di rivalutazione.
4.1. – Il motivo riguarda le « statuizioni accessorie alla restituzione, riguardanti, da un lato, il diritto della banca a vedersi restituite tutte le cedole riscosse dalle investitrice e, dall’altro, la determinazione della somma da quest’ultima richiesta a titolo di risarcimento del danno » e si fonda – sotto il primo profilo – sulla erronea valorizzazione della buona fede della sig. COGNOME accipiens ) agli effetti del rigetto della domanda restitutoria della banca relativa a tutte le cedole riscosse.
4.1.1. – La Corte di merito ha confermato la correttezza della statuizione di primo grado osservando che, in relazione al diritto della banca a vedersi restituire tutte le cedole riscosse dalle investitrice, il Tribunale aveva correttamente deciso, in quanto, in relazione ai « frutti », aveva disposto la decorrenza dei medesimi a favore dell’investitrice dal pagamento del capitale investito in virtù della malafede della banca, mentre aveva posticipato quella dei « frutti » – intesi come le cedole pagate dalla banca e riscosse dalla sig. COGNOME a favore della banca, dalla data in cui l’investitrice aveva formalmente messo in mora quest’ultima, dando prova di conoscere la nullità del negozio e di avere quindi consapevolezza del vizio sottostante alla loro ricezione; così facendo il Tribunale aveva compiuto « una corretta applicazione del principio di cui all’art. 1148 c.c., che disciplina la tutela del possessore in buona fede in senso oggettivo in quanto ha rilevato l’insussistenza di quest’ultima nel momento in cui l’investitrice è venuta a conoscenza del vizi o», dunque aveva correttamente escluso il
diritto della banca alla restituzione della cedola incassata nel 2001 poiché la messa in mora in questione era del 2007.
4.1.2. – Il motivo sotto questo profilo è fondato perché la Corte d’appello – come già il Tribunale – ha compiuto un’applicazione concettualmente errata dell’art. 2033 c.c. ove ha dato decisivo rilievo allo stato soggettivo dell’investitore quale accipiens a proposito del diritto dell’intermediario alla restituzione delle cedole.
In proposito va richiamato un recente arresto cui è pervenuta questa Corte in materia con la sentenza n. 423/2025: essendo chiamata a pronunciarsi sulla questione « Se, in caso di caducazione contrattuale, trovi limitazione l’applicazione dell’istituto della ripetizione dell’indebito, di cui agli artt. 2033 ss. c.c., quanto alla rilevanza dello stato di buona o mala fede rispetto a parti contraenti che, in forza del contratto, avevano entrambe pieno diritto alla prestazione ricevuta, onde debba escludersi la rilevanza dello stato psicologico dell’ accipiens , ai fini della determinazione dell’obbligo restitutorio, che invece – secondo la ratio del rimedio negoziale (nella specie, risoluzione) -dovrebbe decorrere ragionevolmente dall’avvenuta esecuzione della prestazione », questa Corte ha affermato alcuni principi sulla natura delle obbligazioni restitutorie che sorgono per effetto della risoluzione del contratto di investimento finanziario, soluzioni che, mutatis mutandis , vanno compatibilmente applicate anche ove si discuta, come nell’odierno caso, non di obbligazione restitutorie all’esito di pronuncia di risoluzione di detto contratto, ma di ripetizione di prestazioni indebite in quanto prive ab origine di causa per effetto della nullità del medesimo.
4.1.3. – Si osserva nella sentenza predetta che il venir meno della causa del pagamento dà luogo al sorgere di un’obbligazione restitutoria , regolata dalla disciplina sulla ripetizione dell’indebito dettata dall’art. 2033 c.c..
Con specifico riguardo alla regolamentazione del diritto ai frutti e interessi, che, secondo l’art. 2033 c.c., chi ha eseguito il pagamento non dovuto ha diritto di ottenere dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure dal giorno della domanda, se questi era in buona fede, la pronuncia ha chiarito che occorre distinguere i frutti e interessi dovuti quali « prestazioni » in forza del contratto, frutti e interessi che, come tali, sono oggetto dell’obbligo restitutorio (si pensi al mutuo oneroso, o, per restare al caso di specie, delle obbligazioni che danno diritto alla riscossione di « cedole »), dai frutti ed interessi dovuti per legge quali accessori dell’obbligazione restitutoria prevista dall’art. 2033 c.c., norma che valorizza – in continuità logica con l’art. 1148 c.c. – la buona fede dell’ accipiens quanto alla sorte dei frutti naturali e civili che la res « prestata » indebitamente (e, quindi, da restituire) ha prodotto.
4.1.4. – Perciò il requisito della buona o mala fede dell’ accipiens rileva per l’obbligazione legale di pagamento di frutti e interessi che maturano in relazione alla specifica res da restituire, mentre non incide sulle obbligazioni contrattuali – siano queste pure « frutti » o « interessi » – i quali, in quanto percepiti in forza del contratto sono soggette all’obbligazione restitutoria ove venga meno la causa della prestazione con effetto ex tunc , come avviene in ipotesi di nullità del contratto.
4.1.5. – Quanto alla individuazione dello stato soggettivo di buona o mala fede dell’ accipiens, è stato affermato nella predetta sentenza che « la buona fede di cui all’art. 2033 c.c. è da intendersi come buona fede soggettiva e si identifica nell’ignoranza, in capo all’ accipiens , dell’obbligo restitutorio » al momento della ricezione del « pagamento », la quale buona fede si presume per principio generale ex art. 1147 comma 3 c.c., salvo prova contraria. Pertanto, nei casi di caducazione del contratto , lo stato soggettivo dell’ accipiens è connotato peculiarmente dal fatto che esisteva un
contratto, che impegnava le parti, le quali entrambe hanno reciprocamente il ruolo di solvens ed accipiens ; sicché quello stato soggettivo può considerarsi venir meno dopo la domanda del solvens , essendo questo l’atto tipico che fa venir meno – secondo il dettato normativo -l’ignoranza dell’obbligo restitutorio (domanda da intendersi riferita al primo atto di messa in mora per Sez. Un. n. 15895/2019); né – rileva la Corte – nel caso di risoluzione ex art. 1458 c.c. può ritenersi che il diritto dell’ accipiens di trattenere o meno i frutti e gli interessi maturati sulla somma prima della domanda di ripetizione in ragione di uno status di buona o mala fede possa dipendere dall’imputabilità dell’inadempimento: « cioè da una condotta colpevole, che potrebbe, al limite, assumere rilievo ove si trattasse di apprezzare la buona fede in senso non già soggettivo, ma oggettiv o» poiché, diversamente si finirebbe « per riportare sul terreno delle restituzioni problemi che attengono alla responsabilità per inadempimento, valorizzando ingiustificatamente la connotazione circa l’inadempimento di un’obbligazione – quella insorta dal contratto – in seno a un giudizio che interessa un’obbligazione diversa, quella restitutoria».
4.1.6. – Tuttavia ha anche precisato che: « La disciplina della ripetizione dell’indebito non può implicare ingiustificati arricchimenti di una parte ai danni dell’altra », perciò l’osservanza della regola per cui sono dovuti in ripetizione frutti (o interessi) che costituiscano « prestazioni contrattuali » divenute prive di causa, non può generare uno squilibrio in ragione della concorrente applicazione della disciplina legale dell’indebito quanto ai frutti maturati sulla prestazione che va restituita, percepiti in buona fede (una parte contrattuale potrebbe essere tenuta a restituire l’intero ammontare del rendimento ritratto dal bene ricevuto, senza essere simmetricamente remunerata con riguardo alla somma pagata per procurarselo, e questo perché gli interessi dovuti su tale somma si
identificano negli interessi che maturano sull’importo indebitamente versato, e spettano ex art. 2033 c.c. dopo la « domanda » dell’art. 2033 c.c., salvo che l’ accipiens non sia in mala fede). Pertanto la previsione dell’art. 2033 c.c., che è modellata sull’indebito nascente da prestazioni isolate, non sull’indebito insorgente da prestazioni che si inscrivono in un rapporto contrattuale, non può far conseguire ad una parte contrattuale un ingiustificato arricchimento, lucrando, ai danni dell’altra, un utile che non avrebbe conseguito ove il contratto avesse avuto regolare esecuzione.
4.1.7. – Conclude la Corte di legittimità a proposito del caso dell’intermediazione finanziaria – in cui si colloca anche la vicenda qui in esame – che l’intermediario in buona fede ha titolo a pretendere la restituzione delle cedole riscosse dall’investitore – in quanto parte della prestazione prevista contrattualmente – a far data dalla loro maturazione, ma sarebbe tenuto a pagare gli interessi sulla somma a lui versata per dar corso all’operazione finanziaria solo dal momento della costituzione in mora (la « domanda » di cui all’art. 2033 c.c.), con la conseguenza che, nel tempo che va dal momento in cui il rapporto comincia ad avere attuazione (col pagamento del prezzo e la consegna del titolo) a quello della costituzione in mora, l’intermediario si approprierebbe sia degli interessi sulla somma a lui versata, sia dei rendimenti del titolo negoziato: risultato che non può però ammettersi, perché attraverso siffatta riallocazione dei valori economici regolati dal contratto oramai caducato, si ammetterebbe, appunto, su un piano « sistematico » l’arricchimento senza causa di una della parti in danno dell’altra.
Ne deriva – in conclusione – che, in linea di principio, la restituzione delle cedole, che sono frutti dovuti per contratto, non è sottoposta al requisito della buona o malafede. E gli interessi sulla somma versata dall’investitore per l’acquisto dei titoli devono
essere corrisposti, in linea di principio, a far data dal pagamento della somma oggetto di ripetizione.
4.1.8. – Facendo applicazione di questi principi, cui il Collegio intende dare continuità, deve nel caso di specie concludersi che è fondato il motivo di cassazione relativo alla decorrenza dell’obbligo restitutorio delle cedole da parte dell’investitore soltanto dal momento della domanda, giacché la statuizione si riferisce a prestazioni contrattuali che non sono « frutti » di cui all’art. 2033 c.c.
La soluzione adottata dalla Corte territoriale determina così (sia pure in senso opposto al caso esaminato dalla Corte nella sentenza citata, ove l’intermediario era stato condannato a versare gli interessi solo dalla domanda e l’investitore a restituire le cedole dal momento della loro percezione) un’ingiustificata locupletazione in favore dell’investitore, tanto più che, per altro verso, la decisione impugnata stabilisce, sempre in punto restituzioni, l’obbligo dell’intermediario di restituire la somma versata a titolo di corrispettivo dei titoli intermediati con interessi dal momento del pagamento: sicché, in sintesi, secondo il giudice di merito, l’investitore dovrebbe restituire le cedole riscosse solo dal momento della domanda, ma riceverebbe dal momento del pagamento gli interessi sulla somma versata per l’acquisto dei titoli che quelle cedole hanno generato, così cumulando il rendimento costituito dalle cedole, nonostante l’insussistenza ex tunc della « causa » delle attribuzioni patrimoniali reciprocamente prestate, con gli interessi sulla somma da restituire.
4.2. – Sotto il secondo profilo il motivo attiene al calcolo degli interessi in quanto parametrati al tasso medio di rendimento dei Btp degli ultimi 10 anni, ed osserva che l’art. 1224 c.c. riconosce al creditore che dimostri di aver subito un danno maggiore l’ulteriore risarcimento dalla data della messa in mora, il che implica, secondo la giurisprudenza consolidata sulla materia, che il creditore dimostri
il pregiudizio che in concreto ha subito, fuori da ogni automatismo fondato sugli indici di svalutazione; pertanto reputa che sia stato errato il riconoscimento del tasso di interesse predetto perché in caso di restituzione del capitale come ripetizione di indebito deve trovare applicazione il semplice tasso legale.
Con tale ragionamento, tuttavia la ricorrente censura la decisione perché avrebbe errato nella individuazione del saggio di interesse applicabile (tasso medio dei BTP anziché quello legale), senza confrontarsi con il fatto che il tasso è stato individuato dalla Corte a titolo di risarcimento del maggior danno che la Corte ha ritenuto accertato sulla base del fatto che la sig. COGNOME si era rivolta all’istituto di credito allo scopo di investire il proprio denaro e che la banca stessa aveva in atti sottolineato la tipologia degli investimenti proposti alla cliente e l’ammontare dei relativi guadagni onde dimostrare che la sig. COGNOME intendeva « ricavare elevati rendimenti dei suoi risparmi » (e ciò per giustificare l’adeguatezza degli investimenti al profilo soggettivo dell’investitore), sicché non poteva « prima considerare l’COGNOME come un soggetto che intendeva ricavare dai propri risparmi elevati rendimenti e poi negare tale circostanza e ritenerla non provata ».
Pertanto anche in questo caso la ricorrente non si confronta con la ratio della decisione in tema di tasso di interessi dovuti dalla banca intermediaria, che quanto al tasso individuato si fonda su un accertamento del « maggior danno » preteso dalla sig. COGNOME diverso da quello relativo al maggior danno connesso ad un credito di valuta, dunque alla mancata disponibilità della somma dal tempo in cui detta somma era stata corrisposta, ratio che la ricorrente non aggredisce in modo conferente.
– In conclusione il ricorso va accolto con riguardo al quarto motivo nei limiti di cui in motivazione, essendo inammissibile con riguardo agli altri. La sentenza impugnata pertanto va cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Genova in diversa composizione che
provvederà anche a regolare le spese della presente fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia le parti innanzi alla Corte di appello di Genova, in diversa composizione, che provvederà anche a regolare le spese della presente fase di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1° Sezione