SENTENZA CORTE DI APPELLO DI ROMA N. 4793 2025 – N. R.G. 00001560 2023 DEPOSITO MINUTA 07 08 2025 PUBBLICAZIONE 07 08 2025-1
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI ROMA
SEZIONE SECONDA CIVILE
SEZIONE SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA
così composta:
NOME COGNOME de RAGIONE_SOCIALE
Presidente
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere rel.
riunita in camera di consiglio ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
nella causa civile in grado d’appello iscritta al numero 1560 del ruolo gene- rale degli affari contenziosi dell’anno 2023, decisa ai sensi degli artt. 281- sexies e 350-bis c.p.c. all’udienza del giorno 14.7.2025
tra
(cod. fisc.: ), in per- sona del Sindaco pro tempore, avv. NOME COGNOME domiciliata presso l’avv. NOME COGNOME (cod. fisc.: ) (p.e.c.: P.
, che la rappresenta e difende per procura
alle liti in calce all’atto di citazione in appello;
-appellante-
e
(cod. fisc.: ), quale ex socio unico e successore a titolo universale della (cod. fisc. ), in persona della legale rappresentante pro tempore, dott.ssa , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME (cod. fisc.: ), che la rap- presenta e difende unitamente all’avv. NOME COGNOME (cod. fisc.: ) per procura alle liti in calce alla comparsa di costituzione P. P.
e risposta in appello; C.F.
-appellata-
OGGETTO: appalti pubblici sopra soglia di rilevanza comunitaria.
CONCLUSIONI DELLE PARTI
per : ‘Piaccia all’Ecc.ma Corte adita, respinta ogni contraria istanza, riformare l’impugnata sentenza e per l’effetto dichiarare: (…)
A. In via principale, nel merito, in accoglimento delle conclusioni riportate nel primo grado di giudizio, riformare in tale modo la sentenza appellata:
‘Accogliere l’opposizione e, quindi, annullare e/o revocare, e comunque, in ogni caso, dichiarare privo di ogni effetto giuridico il decreto ingiuntivo, n.24314/2019, depositato dal Tribunale Civile di Roma, Sez. specializzata in materia di impresa, Sez. XVI civ., Dott. in data 12.12.19, n. R.G. 68035/19, con contestuale condanna della società appellata a restituire l’importo a tal titolo pagato dall’Ente, pari alla complessiva somma di € 1.786.335,24 IVA compresa, oltre interessi moratori dalla data del pagamento (23.11.21);
In via riconvenzionale, accertare e dichiarare la nullità, ovvero, in subordine, la risoluzione del contratto di appalto del 19.12.13, rep. 2361 e, quindi, accertare e dichiarare che nessun corrispettivo è dovuto alla società opposta per l’affidamento disposto ai sensi di tale contratto e, per l’effetto Condannare la società opposta a restituire all’Ente tutte le somme da quest’ultimo corrisposti in virtù del predetto contratto, nella misura di € 2.600.000,00, oltre IVA, ovvero nella misura ritenuta di giustizia, oltre interessi moratori e rivalutazione monetaria dalle date dei singoli pagamenti al dì del soddisfo;
In via riconvenzionale, accertare e dichiarare, altresì, il diritto dell’Ente opponente al risarcimento del danno all’immagine, da accertarsi anche in via equitativa, nella misura di € 500.000,00, ovvero nella misura che sarà ritenuta di giustizia’.
Con vittoria di spese, competenze ed onorari per entrambi i gradi di giudizio’;
per ‘Voglia l’Ecc.mo Corte d’Appello adita, contrariis reiectis:
respingere l’appello e per l’effetto l’opposizione proposta dal siccome infondata in fatto e diritto e carente di prova, confermando la sentenza impugnata e, per l’effetto, il decreto ingiuntivo n. 24314/2019 del
Tribunale di Roma ovvero comunque condannando l’opponente al pagamento, in favore della società appellata ovvero dei suoi eredi e/o aventi causa, dei relativi importi o di quelli, anche diversi, ritenuti di giustizia alla luce della documentazione e delle prove offerte e di quelle ulteriori che saranno acquisite, oltre interessi moratori ex D. Lgs. 231/02;
b) in via del tutto gradata, in caso di accertata nullità del contratto di appalto del 19.12.13, rep. 2361, come da domanda di parte opponente, accertare e dichiarare la sussistenza del diritto dell’opposta – e/o dei suoi eredi ed aventi causa – a ricevere, a titolo di indennizzo ex art. 2041 c.c., per i servizi regolarmente erogati sa RAGIONE_SOCIALE nel periodo oggetto di lite, l’integrale rimborso dei costi sostenuti per l’esercizio dei servizi di TPL oggetto di contratto, per la somma provata documentalmente in lite ovvero per quella che sarà accertata in corso di causa, nei termini di cui alla domanda già svolta in primo grado e qui riproposta per quanto di ragione;
c) per l’effetto, sempre in via gradata e nel caso di accoglimento dell’avversa domanda riconvenzionale, condannare il opponente al pagamento, in favore dell’opposta e/o dei suoi eredi ed aventi causa, delle somme di cui alla conclusione sub lettera b) che precede, previa eventuale compensazione con quanto dovesse risultare in diritto del di percepire in retrocessione in denegata ipotesi di accoglimento della domanda sub lettera C) delle conclusioni di parte opponente, oltre interessi di legge;
d) in ogni caso rigettare tutte le domande svolte dalla opponente, ivi incluse quelle risarcitorie a qualsivoglia titolo, siccome viziate da carenza di giurisdizione, proposte nei confronti di un soggetto privo della titolarità passiva del rapporto controverso e in ogni caso radicalmente prive di fondamento e non provate, neppure in via indiziaria.
Con vittoria di oneri e spese di lite, anche generali’.
FATTO E DIRITTO
1. La ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 24314/2019 emesso dal Tribunale di Roma il 12.12.2019, con cui le è stato ingiunto di pagare alla l’importo complessivo di € 1.619.127,56, oltre I.V.A., ed interessi, nella misura di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 231/2002, dalle scadenze delle singole fatture al saldo, a titolo di corrispettivi dovuti a tale società per
l’espletamento del servizio di trasporto scolastico (TPS) sul territorio comunale nel periodo gennaio 2016 – giugno 2017, e ha chiesto l’accoglimento delle seguenti conclusioni: ‘A. In via principale, revocare e/o annullare, nonché dichiarare privo di ogni effetto giuridico il decreto ingiuntivo, n. 24314/2019, depositato dal Tribunale Civile di Roma, Sez. specializzata in materia di impresa, Sez. XVI civ., Dott. in data 12.12.19, n. R.G. 68035/19;
In via riconvenzionale, accertare e dichiarare la nullità, ovvero, in subordine, la risoluzione del contratto di appalto del 19.12.13, rep. 2361 e, quindi, accertare e dichiarare che nessun corrispettivo è dovuto alla società opposta per l’affidamento disposto ai sensi di tale contratto e, per l’effetto C. Condannare la società opposta a restituire all’Ente tutte le somme da quest’ultimo corrisposti in virtù del predetto contratto, nella misura di € 2.600.000,00, oltre IVA, ovvero nella misura ritenuta di giustizia, oltre interessi moratori e rivalutazione monetaria dalle date dei singoli pagamenti al dì del soddisfo;
In via riconvenzionale, accertare e dichiarare, altresì, il diritto dell’Ente opponente al risarcimento del danno all’immagine, da accertarsi anche in via equitativa, nella misura di € 500.000,00, ovvero nella misura che sarà ritenuta di giustizia’.
A fondamento dell’opposizione ex art. 645 c.p.c. la
ha dedotto che:
in data 7.5.2019 le era stato notificato dal g.i.p. del Tribunale di Tivoli decreto di sequestro preventivo, ai sensi dell’art. 321 c.p.c., dei crediti vantati dalla società opposta nei suoi confronti per il servizio di trasporto pubblico locale (TPL) e TPS, relativamente alle annualità di cui ai capi di incolpazione di seguito indicati, fino alla concorrenza dell’importo di € 2.309.250,25 in quanto:
(i) la era incolpata per i reati di cui agli artt. 1, 5, co. 1, lett. a), 10, 25, co. 2, 3 e 5, del d.lgs. n. 231/2001, ‘perch quale procuratore speciale dal 13.1.2012 nonché persona che esercitava di fatto la gestione e il controllo d poneva in essere i seguenti reati, commessi nell’interesse e a vantaggio della società’;
(ii) , e (…) di per il delitto di cui agli artt. 319, 319 bis e 321 c.p. perché, , in qualità di dipendente della agendo per conto d , procuratore speciale e amministratore di fatto della medesima società, consegnava all’assessore del Comune di Guidonia Montecelio, la somma di denaro pari ad € 60.000, quale corrispettivo per l’interessamento del nella proroga dell’affidamento diretto, in favore della suddetta società, del servizio pubblico relativo al trasporto locale e al servizio scuolabus, disposto con delibera di Giunta comunale n. 135 del 14/06/2013.
Con l’aggravante di cui all’art. 319 bis c.p. per la qualità di di pubblico ufficiale, Assessore del Comune , amministrazione interessata al contratto descritto. Commesso in Guidonia Montecelio in epoca antecedente e prossima al 14/06/2013′;
(iii) , e , per il delitto di cui agli artt. 81, co. 2, 319, 319 bis, 321 e 360 c.p., perché in esecuzione di un medesimo disegno criminoso con il reato di cui al capo che precede, tra il dicembre 2015 e il gennaio 2016 , procuratore speciale e amministratore di fatto della richiedeva un incontro con Vice Sindaco della città di , avente ad oggetto il rinnovo dell’affidamento dei locali servizi di trasporto pubblico locale e dello scuolabus; nel corso di tale colloqui, avvenuto negli uffici del comune d a gennaio 2016, il suddetto richiedeva la somma di denaro pari ad € 100.000, quale corrispettivo per l’ulteriore proroga dell’affidamento diretto, alla predetta società dei servizi citati’;
ha dedotto che:
il vincolo derivante dal sequestro penale l’ha privata della disponibilità delle somme sequestrate, e tale vincolo non può essere rimosso o dichiarato inefficace dal giudice civile;
inoltre, il decreto opposto è illegittimo o nullo perché in data 17.7.2017 la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Tivoli le ha notificato la richiesta di giudizio immediato, nonché il decreto di giudizio immediato del g.i.p. del Tribunale di Tivoli, nei confronti di vari imputati, tra i quali,
dipendenti comunicali, e
Sindaco del Comune di Guidonia Montecelio;
– in data 14.9.2017 il g.i.p. del Tribunale di Tivoli, vista la richiesta – tra gli altri – di e , con la quale, nell’ambito del procedimento penale n. 117/2016 R.G.N.R., avevano chiesto di essere giudicati con le forme di cui agli artt. 444 e segg. c.p.c., le ha notificato il decreto di fissazione udienza per la valutazione e la decisione su tale richiesta; e all’udienza del 25.10.2017 è stata emessa sentenza di patteggiamento, con cui è stato condannato ad una pena di tre anni, tre mesi e dieci giorni per corruzione, con interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, e inoltre è stato dichiarato incapace a contrarre con la Pubblica Amministrazione per tre anni, mentre ha patteggiato una pena di due anni, otto mesi e venti giorni, oltre alla pena accessoria dell’impossibilità di contrarre con la Pubblica Amministrazione per tre anni;
– inoltre, dall’esame della deliberazione della Giunta Comunale n. 135/2013 si evince come l’affidamento del servizio di trasporto scuolabus sia stato illegittimamente prorogato, eludendo tutte le garanzie di sistema a presidio dell’interesse pubblico (nella specie, quelle che prevedono l’aggiudicazione dell’appalto ad evidenza pubblica) prescritte dalla legge per l’individuazione del contraente più affidabile e meglio tecnicamente organizzato per l’espletamento dei lavori, comportando la nullità del contratto del 19.12.2013 per contrasto con le relative norme inderogabili e rendendo così sine titulo il rapporto intercorso tra stazione appaltante e impresa, derivandone l’obbligo della società opposta di restituire tutti i corrispettivi percepiti in virtù di tale contratto di appalto del 19.12.2013, pari ad € 2.600.000,00, oltre I.V.A., ovvero nella misura da accertarsi nel corso del giudizio.
Si è costituita nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo la
chiedendo il rigetto dell’opposizione e precisando le seguenti conclusioni: ‘Voglia l’Ecc.mo Tribunale adito, contrariis reiectis: a) respingere l’opposizione proposta da siccome infondata in fatto e in diritto e comunque carente di prova, confermando il decreto ingiuntivo opposto n. 24314/2019 ovvero comunque condannando l’opponente al pagamento, in favore della societ dei relativi importi o di quelli, anche diversi, ritenuti di giustizia alla luce della documentazione e
delle prove offerte e di quelle ulteriori che saranno acquisite, oltre interessi moratori ex D. Lgs. 231/02;
b) in via del tutto gradata, in caso di accertata nullità del contratto di appalto del 19.12.13, rep. 2361, come da domanda di parte opponente, accertare e dichiarare la sussistenza del diritto dell’opposta a ricevere, a titolo di indennizzo ex art. 2041 c.c., per i servizi dalla stessa regolarmente erogati nel periodo oggetto di lite, l’integrale rimborso dei costi sostenuti per l’esercizio dei servizi di TPL oggetto di contratto, per la somma che sarà accertata in corso di causa;
c) per l’effetto, sempre in via gradata e nel caso di accoglimento dell’avversa domanda riconvenzionale, condannare il opponente al pagamento, in favore dell’opposta, delle somme di cui alla conclusione sub lettera b) che precede, previa eventuale compensazione con quanto dovesse risultare in diritto de di percepire in retrocessione in denegata ipotesi di accoglimento della domanda sub lettera C) delle conclusioni di parte opponente, oltre interessi di legge;
d) in ogni caso rigettare tutte le domande svolte dalla opponente, ivi incluse quelle risarcitorie a qualsivoglia titolo, siccome carenti di giurisdizione, proposte nei confronti di un soggetto privo di legittimazione passiva e in ogni caso radicalmente prive di fondamento e non provate, neppure in via indiziaria.
Con vittoria di oneri e spese di lite, anche generali’.
L’opposta ha allegato che:
con contratto di appalto del 19.12.2013 la le ha affidato il servizio di scuolabus sul proprio territorio con decorrenza dal 1°.7.2013 e sino al 30.6.2016 per un corrispettivo complessivo di € 3.201.795,00, I.V.A. esclusa;
alla conclusione dell’originario periodo di vigenza contrattuale, scaduto il 30.6.2016, il Comune ha adottato la determina n. 105 del 1°.7.2016, con cui il medesimo servizio è stato prorogato nelle more dell’indizione della gara per l’individuazione del nuovo affidatario;
ai sensi dell’art. 7 del contratto, i pagamenti dei ratei di corrispettivo avrebbero dovuto essere effettuati dal su base mensile, previa presentazione di fattura debitamente vistata dal Responsabile del servizio;
di avere ottemperato puntualmente alle prescrizioni del contratto, curando per tutto il periodo previsto dalla convenzione il regolare esperimento del servizio, fatturando così regolarmente i ratei di corrispettivo maturati ed inoltrando le fatture al Comune per il tramite dello SDI;
il ha accettato la prestazione, confermandone la regolarità, senza nulla eccepire in relazione alla prestazione medesima;
con determina dirigenziale n. 154 del 17.5.2017 la
ha disposto la cessazione del servizio – per l’insufficienza del numero delle preiscrizioni – a fare data dal 30.6.2017;
l’opponente ha omesso di corrisponderle i ratei di corrispettivo a decorrere dal mese di gennaio 2016 (e, dunque, nella vigenza del contratto originario) e sino al 30.6.2017, data dello spirare della proroga contrattuale, e ciò malgrado la regolare presentazione e accettazione delle fatture emesse dall’appaltatrice e l’assenza di contestazioni, per un importo residuo pari a € 1.619.127,56, oltre I.V.A.
Con sentenza n. 13466/2022 del 16.9.2022 il Tribunale di Roma – Sezione Specializzata in Materia di RAGIONE_SOCIALE ha così statuito: ‘respinge l’opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 24314/19 (n. R.G. 68035/19) proposta dalla confermandolo integralmente.
Condanna l alla refusione in favore d delle spese di lite, che liquida in complessivi € 14.300,00, per compensi professionali, oltre spese generali come da tariffa forense, IVA e CPA come per legge, da distrarsi in favore dei procuratori costituiti dichiaratisi antistatari’.
Avverso la suddetta decisione ha proposto tempestivamente appello la , che ha svolto le censure riportate di seguito e ha concluso come in epigrafe.
Si è costituita nel presente grado di giudizio la già socio unico e successore a titolo universale della allegando e documentando che quest’ultima si è cancellata dal Registro delle Imprese, a
seguito di liquidazione, il 7.10.2022 (v. doc. n. 1 del fascicolo di parte appellata); e, quindi, contestando la fondatezza delle censure svolte dall’appellante e concludendo, come in epigrafe, per il rigetto dell’impugnazione, in subordine riproponendo, ai sensi dell’art. 346 c.p.c., la domanda di condanna dell’Amministrazione al pagamento in favore della dell’indebito arricchimento ex art. 2041 c.c. con compensazione giudiziale delle somme.
Con un primo motivo di appello si censura la sentenza di primo grado per non avere ritenuto che l’affidamento del servizio di trasporto scolastico alla
è stato frutto di un accordo corruttivo, con conseguente nullità del contratto di appalto ed insussistenza di qualsiasi diritto di pagamento in favore dell’appaltatrice opposta. In particolare, l’Amministrazione comunale deduce come – diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado – la prova di un accordo corruttivo si debba ritenere, in particolare, sulla scorta della sentenza di patteggiamento nei confronti di
del procedimento a carico della per l’accertamento di eventuali responsabilità penali ai sensi del d.lgs. n. 231/2001 e della sentenza di condanna a carico del Vice Sindaco , che ha prodotto per la prima volta nel costituirsi nel presente giudizio di appello (v. doc. n. 1 del fascicolo di parte appellante), insieme alla memoria contenente le conclusioni della Procura di Tivoli (v. doc. n. 5 del fascicolo di parte appellante).
Il motivo non è fondato.
2.1. Ai sensi dell’art. 135 del d.lgs. 12.4.2006, n. 163 (il ‘Codice Appalti’ applicabile ratione temporis), ‘qualora nei confronti dell’appaltatore sia intervenuta l’emanazione di un provvedimento definitivo che dispone l’applicazione di una o più misure di prevenzione di cui all’articolo 3, della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 ed agli articoli 2 e seguenti della legge 31 maggio 1965, n. 575 , ovvero sia intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato per i delitti previsti dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, dagli articoli 314, primo comma, 316, 316-bis, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 320 del codice penale, nonché per reati di usura, riciclaggio nonché per frodi nei riguardi della stazione appaltante, di subappaltatori, di
fornitori, di lavoratori o di altri soggetti comunque interessati ai lavori, nonché per violazione degli obblighi attinenti alla sicurezza sul lavoro, il responsabile del procedimento propone alla stazione appaltante, in relazione allo stato dei lavori e alle eventuali conseguenze nei riguardi delle finalità dell’intervento, di procedere alla risoluzione del contratto’.
La norma appena richiamata prevede che, anche nel caso di avvenuta condanna per episodi di corruzione nei confronti della stazione appaltante, il contratto di appalto non possa ritenersi nullo, ma che questo sia soltanto risolvibile da parte dell’Amministrazione pubblica, con una valutazione di merito inerente allo stato di esecuzione dello stesso. In ragione della previsione normativa suddetta, quindi, non è possibile ritenere che, nell’attuale assetto del nostro ordinamento, il contratto di appalto stipulato con la Pubblica Amministrazione a seguito di un accordo corruttivo sia nullo per violazione di norme inderogabili in materia di stipula degli stessi, come invece riteneva la giurisprudenza di legittimità formatasi nel sistema previgente (cfr. Cass. civ., Sez. III, 16.2.2010, n. 3672; Cass. civ., Sez. I, 5.5.2008, n. 11031), richiamata da parte appellante.
Questa è l’interpretazione fornita alla suddetta disposizione normativa anche dall’ , che, con propria Delibera n. 26 dell’8.4.2015, ha ritenuto che ‘il Codice dei contratti pubblici, nel disciplinare l’istituto della risoluzione contrattuale, rimette la scelta alla discrezionalità della Stazione appaltante ed esclude ogni automatismo, con l’unica eccezione dell’art. 135, comma 1-bis , a tenore del quale, invece, la risoluzione è doverosa. In tutti gli altri casi contemplati dagli artt. 135 e 136 del Codice dei contratti, la risoluzione è un’opzione che la Stazione appaltante ha l’onere di valutare, ma che dovrà essere attuata solo previa attenta comparazione degli interessi in gioco, primi fra tutti quelli pubblici ed economici’.
2.2. Nel caso in esame, la , pure venuta a conoha messo in discussione la prosecuzione dei rapporti contrattuali con le
scenza dei suddetti procedimenti penali pendenti presso il Tribunale di Tivoli (come la stessa ha allegato nel proporre opposizione ex art. 645 c.p.c.), non e segnatamente non ha ritenuto di risolvere il contratto di
appalto stipulato in data 19.12.2013, avendo valutato di interesse per la collettività la continuità del servizio di TPS appaltato con tale contratto.
Peraltro, nella determina dirigenziale n. 154/2017 la risoluzione del rapporto contrattuale per cui è causa è stata motivata con l’insufficiente numero di iscrizioni (v. doc. n. 3 del fascicolo di parte appellata – primo grado di giudizio), senza che sia possibile sostenere – come fa parte appellante – che, prima della sentenza di patteggiamento adottata nei confronti di
‘l’Ente non avrebbe potuto far riferimento a problematiche legale all’invalidità del contratto per fenomeni corruttivi’. Secondo l’orientamento pacifico della giurisprudenza amministrativa, infatti, la decisione discrezionale dell’Amministrazione pubblica di risolvere il contratto con l’appaltatore può essere legittimata addirittura dalla semplice adozione di un provvedimento di rinvio a giudizio, senza necessità di attendere una sentenza di condanna, ancorché non definitiva (cfr., tra molte, Cons. Stato, Sez. V, 20.3.2019, n. 1846; Cons. Stato, Sez. V, 27.2.2019, n. 1367; Cons. Stato, Sez. V, 3.9.2018 n. 5142; Cons. Stato, Sez. III, 23.11.2017, n. 5467).
Più in generale, la stessa ha prodotto, nell’introdell’adozione delle misure cautelari nei confronti di
quello di TPS è stato risolto a giugno 2017 solo per mancanza di utenza.
durre il giudizio di primo grado, articoli di stampa che riportavano la notizia già ad aprile 2017 (v. doc. n. 7 del fascicolo di parte appellante primo grado di giudizio), quindi quando erano in corso di esecuzione sia il contratto di TPL che quello di TPS, entrambi affidati alla senza che la stazione appaltante abbia inteso risolvere tali contratti, anche se già allora avrebbe potuto astrattamente farlo. Si deve ritenere, allora, che il appellante, anche a seguito dell’emersione dei possibili fenomeni di corruzione (quello dallo stesso richiamati nel proporre opposizione ex art. 645 c.p.c.), non ha inteso risolvere nessuno dei contratti sottoscritti con la non essendo contestato che il servizio di TPL sia proseguito fino al 2021 ed essendo documentato – come si è detto sopra – che
2.3. L’attuale sistema positivo è dunque teso a garantire la permanenza del vincolo contrattuale, pur nel caso di fenomeni corruttivi che possano avere interessato la fase propedeutica alla sua sottoscrizione e che, dunque, non necessariamente determinano un vizio del provvedimento di aggiudicazione.
La giurisprudenza amministrativa, nel ritenere che un procedimento penale per corruzione, che coinvolga ‘l’affidamento per cui qui è causa, senza necessariamente ridondare a vizio di legittimità degli atti della procedura selettiva, avrebbe potuto al più indurre la stazione appaltante a valutare l’opportunità di un intervento in via di autotutela sull’aggiudicazione ovvero di una risoluzione del contratto di appalto già stipulato’, ha richiamato la ‘disciplina di cui al già citato d.l. nr. 90 del 2014, la quale (…) costituisce la miglior conferma del carattere non automaticamente viziante di fatti come quelli emersi durante l’esecuzione dell’appalto di che trattasi (come dimostrato dal fatto che il legislatore ha dovuto escogitare uno strumento ad hoc per impedire all’affidatario di continuare a percepire quello che potrebbe essere il profitto di un reato), e al tempo stesso dell’opzione normativa in favore del mantenimento in essere del rapporto contrattuale scaturito dall’originario affidamento’ (così Cons. Stato, Sez. IV, 20.1.2015, n. 143).
Infatti, l’art. 32 del d.l. 24.6.2014, n. 90 (convertito, con modificazioni, dalla legge 11.8.2014, n. 114) prevede espressamente misure di amministrazione straordinaria per le imprese coinvolte in fattispecie di corruzione per garantire ‘la completa esecuzione del contratto di appalto o della concessione’, che vedono il coinvolgimento dell’ e della Prefettura competente, la quale ultima è chiamata a nominare un Commissario cui sarà demandata la gestione dell’impresa per garantire l’esecuzione del contratto in questione.
Come chiarito sempre dal Consiglio di Stato, ‘l’art. 32 del d.l. anticorruzione si propone l’ambizioso obiettivo di contemperare due opposte esigenze: garantire la completa esecuzione degli appalti e neutralizzare il rischio derivante dall’infiltrazione criminale nelle imprese, introducendo un originale e innovativo meccanismo di commissariamento. Più in particolare la gestione commissariale – espressamente qualificata come attività di pubblica utilità (poiché essa risponde, primariamente, all’interesse generale di assicurare la realizzazione dell’opera; così C.d.S., sez. III, 28 aprile 2016, n. 1630 ed ancor prima C.d.S., sez. III, 24 luglio 2015, n. 3653) – è volta, attraverso l’intervento del Prefetto, non soltanto a garantire l’interesse pubblico alla completa esecuzione dell’appalto ma anche a sterilizzare la gestione del contratto “oggetto del procedimento penale” dal pericolo di acquisizione delle utilità illecitamente captate in danno della pubblica amministrazione. E non si è
mancato di sottolineare che, sotto tale profilo, l’istituto si manifesta come uno strumento di autotutela contrattuale previsto direttamente dalla legge.
(…) La ratio della norma è quella di consentire il completamento dell’opera (ovvero, come nella fattispecie, la gestione del servizio appaltato) nell’esclusivo interesse dell’amministrazione concedente mediante la gestione del contratto in regime di “legalità controllata’ (così Cons. Stato, Sez. III, 10.1.2018, n. 93).
Peraltro, le misure previste dal suddetto art. 32 del d.l. n. 90/2014 sono state adottate anche nei confronti della come ha documentato la stessa parte opponente (v. doc. n. 5 del fascicolo di parte appellante – primo grado di giudizio), e proprio per questo motivo l’appaltatrice ha continuato a gestire fino ai primi mesi del 2021 il servizio di TPL nelle more dell’espletamento della gara per la selezione del nuovo gestore del servizio, avviata dal soltanto ad ottobre 2020 (v. doc. n. 17 del fascicolo di parte appellata – primo grado di giudizio).
2.4. Resta assorbita, dunque, la censura alla sentenza di primo grado per non avere ritenuto provato, nel presente giudizio, l’esistenza di un accordo corruttivo, a monte del contratto di appalto in relazione a cui è stato domandato il pagamento dei corrispettivi, sulla scorta della sentenza di patteggiamento emessa nei confronti dell’amministratore di fatto dell’appaltatrice,
e della pendenza del giudizio ex d.lgs. n. 231/2001 nei confronti della e di quello nei confronti del Vice Sindaco , quest’ultimo successivamente definito con la sua condanna in primo grado, come documentato nel proporre appello.
Alla luce di quanto si è detto sopra, anche qualora fosse provato – diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado, e come deduce parte appellante – che il contratto di appalto in data 19.12.2013 per il servizio di TPS sia stato stipulato a seguito di un accordo corruttivo tra procuratore speciale e (ritenuto) amministratore di fatto della
e l’ex Vice Sindaco del Comune di Guidonia Montecelio,
anche mediante dipendenti dell’Amministrazione comunale, o che sia frutto di un accordo corruttivo la proroga di tale contratto disposta in data 1°.7.2016, questo non consentirebbe di affermare la nullità del rapporto contrattuale di appalto in questione.
Con un secondo motivo di appello si deduce come il giudice di primo grado abbia errato a non ritenere comunque nullo il contratto di appalto stipulato in data 19.12.2013 tra la e la
per violazione della disciplina dettata in materia di appalti pubblici, e segnatamente di procedure di scelta del contrente, non essendo stata espletata una gara pubblica, come invece sarebbe stato obbligatorio.
Il motivo non è fondato.
3.1. Non è possibile affermare – come fa parte appellata – che l’obbligo della gara pubblica per la selezione del gestore del servizio di trasporto pubblico, nella specie locale, sia stato introdotto, a livello comunitario, soltanto con il Reg. CE n. 1370/2007, le cui disposizioni, come previsto dagli artt. 5 e 8 dello stesso, risultano applicabili ‘a decorrere dal 3 dicembre 2019’.
È vero che nel ‘considerando’ n. 6 si legge: ‘Il regolamento (CEE) n. 1191/69 del Consiglio, del 26 giugno 1969, relativo all’azione degli Stati membri in materia di obblighi inerenti alla nozione di servizio pubblico nel settore dei trasporti per ferrovia, su strada e per via navigabile, nulla dice in ordine alle modalità di aggiudicazione dei contratti di servizio pubblico nella Comunità, né, in particolare, in ordine alle circostanze in cui dovrebbero essere aggiudicati con gara d’appalto. È opportuno quindi aggiornare il quadro normativo comunitario’. Al contempo, però, al di fuori dei casi in cui l’affidamento in house, l’obbligo per l’Amministrazione di selezionare il gestore con gara pubblica discendeva, nel nostro ordinamento, dall’art. 18 del d.lgs. 19.11.1997, n. 422, secondo cui: ‘Allo scopo di incentivare il superamento degli assetti monopolistici e di introdurre regole di concorrenzialità nella gestione dei servizi di trasporto regionale e locale, per l’affidamento dei servizi le regioni e gli enti locali in particolare (…) il ricorso alle procedure concorsuali per la scelta del gestore del servizio (…) in conformità alla normativa comunitaria e nazionale sugli appalti pubblici di servizio’.
3.2. L’art. 61 della legge 29.3.2009, n. 99 – disciplina normativa non solo applicabile al contratto di appalto per cui è causa, ma anzi espressamente richiamata dalla negli atti di affidamento dallo stesso adottati (v. doc. n. 9 del fascicolo di parte appellata – primo grado di giudizio) – dispone, però, che, ‘Al fine di armonizzare il processo di liberalizzazione e di concorrenza nel settore del trasporto pubblico regionale e
locale con le norme comunitarie, le autorità competenti all’aggiudicazione di contratti di servizio, anche in deroga alla disciplina di settore, possono avvalersi delle previsioni di cui all’articolo 5, paragrafi 2, 4, 5 e 6, e all’articolo 8, paragrafo 2, del Regolamento (CE) n. 1370/2007 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007′.
L’art. 5 del Reg. CE n. 1370/2007 prevede, oltre alla gara, altri due sistemi di affidamento dei servizi: l’affidamento in house providing e il c.d. ‘affidamento diretto sottosoglia’. Per quanto attiene a tale ultima fattispecie, il co. 4 di tale disposizione sancisce: ‘A meno che sia vietato dalla legislazione nazionale, le autorità competenti hanno facoltà di aggiudicare direttamente i contratti di servizio pubblico il cui valore annuo medio stimato è inferiore a 1.000.000 EUR oppure che riguardano la fornitura di servizi di trasporto pubblico di passeggeri inferiore a 300.000 chilometri l’anno. Qualora un contratto di servizio pubblico sia aggiudicato direttamente a una piccola o media impresa che opera con non più di 23 veicoli, dette soglie possono essere aumentate o a un valore annuo medio stimato inferiore a 2.000.000 EUR oppure, qualora il contratto riguardi la fornitura di servizi di trasporto pubblico di passeggeri, inferiore a 600.000 chilometri l’anno’.
Come osserva parte appellata, l’art. 61 della legge n. 99/2009 rappresenta la presa d’atto del legislatore nazionale di una discrasia tra disciplina comunitaria e disciplina nazionale, determinando il superamento della disciplina dell’art. 18 del d.lgs. n. 422/1997, che prevedeva la gara come unica modalità di affidamento, e ha espressamente affermato la piena applicazione delle tre ipotesi di affidamento diretto di cui ai parr. 2, 4 e 5 dell’art. 5 del Reg. cit., tra cui anche l’affidamento diretto sottosoglia, determinando così l’allineamento del nostro ordinamento nel periodo transitorio fino al 3.12.2019 (art. 8, par. 2).
3.3. Alla luce delle disposizioni sopra richiamate si deve ritenere che l’affidamento diretto del servizio pubblico di trasporto locale alla
da parte della con il contratto in data 19.12.2013 sia legittimo. Come si evince dalla deliberazione di Giunta Comunale n. 135/2013 (v. doc. n. 9 del fascicolo di parte appellata – primo grado di giudizio), infatti, tale affidamento è stato motivato alla luce del combinato disposto dell’art. 5 del Regolamento CE n. 1370/2007 e dell’art. 61
della legge n. 99/2009, quindi quale affidamento diretto sottosoglia in favore di una piccola e media impresa.
Ai sensi dell’art. 2 dell’allegato 1 del Regolamento CE n. 800/2008, si definisce piccola e media impresa una società ‘che occupa meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non supera i 50 milioni di euro e/o il cui totale di bilancio annuo non supera i 43 milioni di euro’. Dalla lettura dei dati di bilancio della emerge che il valore della produzione era pari ad € 4.578.335,00 e il numero di addetti/dipendenti era pari a 56: la società, pertanto, rientrava nella nozione di PMI di cui alla disposizione normativa sopra riportata.
Il numero di mezzi impegnati nel servizio era pari a diciassette, come si evince dalla Delibera del Comune di Guidonia n. 5 del 18.1.2016 (v. doc. n. 10 del fascicolo di parte appellata – primo grado di giudizio) e il valore del contratto era pari a € 1.067.265,00 anno, di gran lunga inferiore ai due milioni di Euro annui previsti dall’art. 5 del Regolamento CE n. 1370/2007 ai fini della legittimità di un affidamento sottosoglia.
3.4. Consapevole della legittimità, sotto il profilo della procedura di stipula, del contratto di appalto azionato in sede monitoria dalla l’Amministrazione comunale deduce che quello avente ad oggetto il servizio di TPS sarebbe un appalto, e non una concessione, con conseguente inapplicabilità del Regolamento CE n. 1370/2007. Al riguardo, è sufficiente osservare che l’applicabilità di detto Regolamento, a prescindere dalla natura dell’affidamento (appalto o concessione), deriva direttamente dall’art. 61 della citata legge n. 99/2009, che ha esteso le previsioni comunitarie sul ‘sotto-soglia’ all’affidamento di qualsiasi contratto di servizio.
Non merita censura, dunque, la sentenza di primo grado laddove ha richiamato il combinato disposto dell’art. 5 del Regolamento CE n. 1370/2007 e dell’art. 61 della legge n. 99/2009 nel dichiarare la legittimità dell’affidamento diretto disposto dalla in favore della
con il contratto in data 19.12.2013.
Allo stesso modo, non merita censura la sentenza di primo grado laddove ha ritenuto legittima la proroga di tale contratto, in quanto questa è stata disposta – come indicato nella determina n. 105/2016 (v. doc. n. 2 del fascicolo di parte appellata – primo grado di giudizio) – nelle more
dell’espletamento delle procedure di selezione del nuovo gestore del servizio di trasporto scolastico. L’art. 5, par. 5, del Reg. CE n. 1370/2007, anche questo richiamato dall’art. 61 della legge n. 99/2009 (come si è detto sopra), consente l’affidamento diretto o la proroga in caso di emergenza, ovvero quando c’è interruzione o pericolo imminente di interruzione del servizio
Come ha condivisibilmente ritenuto il giudice di primo grado, dunque, si è trattato di una proroga c.d. ‘tecnica’, considerata pienamente compatibile con la normativa in materia di contratti pubblici quale ‘istituto volto ad assicurare che, nelle more dello svolgimento di una gara per il nuovo affidamento di un servizio, l’erogazione dello stesso non subisca soluzioni di continuità’ (cfr., tra molte, Cons. Stato, Sez. III, 3.4.2017, n. 1521; Cons. Stato, Sez. V, 17.1.2018, n. 274).
Da ultimo, la censura la sentenza di primo grado per avere omesso di pronunciarsi sulla domanda riconvenzionale proposta dall’opponente, volta ad accertare e dichiarare il diritto dell’ente locale al risarcimento del danno all’immagine, da accertarsi anche in via equitativa, nella misura di € 500.000,00, ovvero nella misura che sarà ritenuta di giustizia. Al riguardo, l’appellante deduce che l’Amministrazione comunale opponente avrebbe subito un grave danno alla propria immagine, in ragione del clamore mediatico che ha avuto la vicenda a livello nazionale, in quanto tutti i tg delle tv nazionali, nonché i maggiori quotidiani nazionali, hanno riportato tali vicende.
Sebbene il giudice di prime cure abbia effettivamente omesso una pronuncia in ordine a tale domanda proposta dall’opponente, la stessa non può trovare accoglimento.
4.1. La configurabilità, in astratto, del danno all’immagine con riguardo alla Pubblica Amministrazione (nel quale va ricondotto quello alla reputazione), e quindi la risarcibilità dello stesso, costituisce un principio del tutto consolidato nella giurisprudenza sia della Corte dei Conti (cfr., per tutte, Corte Conti, Sez. II, n. 114/94; C. Conti, Sez. Lombardia, n. 31/94; C. Conti, Sez. Sardegna, n. 372/97; C. Conti, Sez. I, n. 10/98; C. Conti, Sez. II, n. 207/98; C. Conti SS.RR. n.16/99/QM; C. Conti, Sez. Lombardia, n.1551/99; C. Conti, Sez. I, n.96/2002; C. Conti, Sez. Lazio, n.439/2003; C. Conti, SS.RR.,
n.10/2003/QM; C. Conti, Sez. Lombardia, n.433/04; C. Conti, Sez. I, n.49/A/2004; C. Conti, Sez. I, n. 173/A; C. Conti, Sez. II, n. 231/07; C. Conti, Sez. I, n. 202/08; C. Conti, Sez. n. 686/09; Corte Conti, Sez. I, n. 97/09; C. Conti, Sez. n. 1942/2011) sia – soprattutto, per quanto di interesse ai fini del presente giudizio – della Corte di Cassazione (cfr. Cass. civ., S.U., 25.10.1999, n. 744; Cass. civ., S.U., 6.4.2006, n. 20886).
Tale danno consiste, più in particolare, nel grave nocumento arrecato al prestigio, all’immagine e alla personalità pubblica della Pubblica Amministrazione in conseguenza della condotta penalmente illecita posta in essere dai propri dipendenti. Ogni azione dannosa compiuta dal pubblico agente in violazione dell’art. 97 Cost. ‘si traduce, infatti, in un’alterazione dell’identità della pubblica amministrazione e, più ancora, nell’apparire di una sua immagine negativa, in quanto struttura organizzata confusamente, gestita in maniera inefficiente, non responsabile e non responsabilizzata’ (così Corte Conti, S.U., 23.4.2003, n. 10/QM).
Al contempo, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che non è possibile escludere la possibilità di una tale condanna a carico di soggetto privo della qualifica di pubblico dipendente e circoscrivere tale voce di danno ai soli casi di responsabilità contrattuale (cfr. Cass. civ., Sez. III, 16.2.2010, n. 3672). Nel caso in esame, quindi, è astrattamente configurabile la responsabilità della (e, per essa, del successore a titolo universale costituitosi nel presente grado di giudizio), vale a dire il privato corruttore, peraltro rispondendo di tale condotta in sede penale non soltanto la persona fisica che, per conto dell’appaltatrice, ha corrotto il pubblico ufficiale (o l’incaricato di pubblico servizio), ai sensi dell’art. 321 c.p., ma anche la stessa società, ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. n. 231/2001, che indica la corruzione quale reato-presupposto, vale a dire quale primo criterio obiettivo di imputazione della responsabilità alla persona giuridica.
4.2. Ciò opportunamente premesso, come ha rilevato il giudice di primo grado (seppure con riferimento alla ritenuta mancanza di prova della condotta contraria a norme penali in relazione a cui è stata dedotta la nullità del contratto di appalto per cui è causa), ‘La sentenza penale di patteggiamento, nel giudizio civile di risarcimento e restituzione, non ha efficacia di vincolo né di giudicato e neppure inverte l’onere della prova, costituendo, invece, un
indizio utilizzabile solo insieme ad altri indizi se ricorrono i tre requisiti previsti dall’art. 2729 c.c., atteso che una sentenza penale può avere effetti preclusivi o vincolanti in sede civile solo se tali effetti siano previsti dalla legge, mentre nel caso della sentenza penale di patteggiamento esiste, al contrario, una norma espressa che ne proclama l’inefficacia agli effetti civili (art. 444 c.p.p.)’ (così Cass. civ., Sez. III, ord. 11.3.2020 n. 7014; cfr., nello stesso senso, Cass. civ., Sez. III, 30.7.2018, n. 20170; e per quanto riguarda l’esclusione del valore di prova, Cass. civ., Sez. III, ord. 12.4.2011, n. 8421).
Non ignora questo giudicante che, secondo altro orientamento della giurisprudenza di legittimità, pur dovendosi affermare che la sentenza penale di applicazione della pena ai sensi degli artt. 444 e 445 c.p.p. non implica un accertamento capace di fare stato nel giudizio civile (e neanche determinando un’inversione dell’onere della prova: Cass. civ., Sez. III, ord. 7.11.2023, n. 31010; contra, ma isolata, Cass. civ., Sez. L, 29.2.2016, n. 3980), contiene però pur sempre un’ipotesi di responsabilità di cui il giudice di merito non può escludere il rilievo senza adeguatamente motivare (cfr. Cass. civ., Sez. III, ord. 31.1.2024, n. 2897; Cass. civ., Sez. III, 11.10.2023, n. 28428; Cass. civ., Sez. VI-3, ord., 6.12.2011, n. 26263; Cass. civ., Sez. L, 19.11.2007, n. 23906). Ad avviso di questo giudicante, tuttavia, tale orientamento finisce per determinare, in concreto, quell’inversione dell’onere della prova che pure afferma deve escludersi, dando alla sentenza di patteggiamento una rilevanza che – a ben considerare – non è quella di un mero indizio.
Così facendo, peraltro, tale orientamento si pone in palese contrasto con la previsione dell’art. 445, co. 1-bis, c.p.p., sia nel testo in vigore fino al 29.12.2022 sia in quello introdotto dal d.lgs. 10.10.2022, n. 150, il quale denuncia l’intenzione del legislatore di rafforzare l’inefficacia quale condanna, in altra sede, della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, anche al fine di non neutralizzare la preziosa efficacia deflattiva del contenzioso penale che alla stessa viene affidata.
4.3. La versione attualmente in vigore dell’art. 445, co. 1-bis, c.p.p. prevede che ‘La sentenza prevista dall’articolo 444, comma 2, anche quando è pronunciata dopo la chiusura del dibattimento, non ha efficacia e non può essere
utilizzata a fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso il giudizio per l’accertamento della responsabilità contabile’.
Ad avviso di questo giudicante, tale testo trova applicazione anche al presente giudizio. Infatti, come ha osservato il Consiglio Nazionale Forense (con riguardo ai procedimenti disciplinari, ma il ragionamento può essere mutuato con riguardo ai giudizi civili), in sede giurisdizionale, ‘La norma qui di interesse non reca disposizioni transitoria, con conseguente applicazione del principio del tempus regit processum. Pertanto, la regola di nuovo conio è destinata a trovare applicazione a tutti i giudizi (…) pendenti (…) alla data di entrata in vigore del decreto legislativo indipendentemente dalla data di conclusione del patteggiamento’ (così C.N.F., sentenza 26.2.2024, n. 40). Nel caso di specie, è dunque irrilevante che la sentenza di patteggiamento sia stata emessa in data antecedente all’entrata in vigore del nuovo art. 445, co. 1-bis c.p.p., poiché esso trova applicazione in quanto la norma extrapenale che la disposizione di nuovo conio prevede essere improduttiva di effetti è stata applicata dall’amministrazione.
Ciò ritenuto, nel caso in esame non è possibile ritenere raggiunta la prova della responsabilità dell’appaltatrice nella causazione dell’evento dannoso dedotto sulla scorta della sentenza di patteggiamento a carico dell’allora procuratore speciale e amministratore di fatto (come ritenuto in sede penale)
della
. In ogni caso, anche qualora si voglia considerare la sentenza suddetta quale indizio, da valutare dunque unitamente agli altri elementi di prova indicati da parte appellante, parimenti deve escludersi che possa ritenersi raggiunta la prova della responsabilità nel presente giudizio.
Infatti, la memoria del Pubblico Ministero presso il Tribunale di Tivoli nel processo penale a carico dell’ex Vice Sindaco della
neanche può ritenersi abbia una valenza indiziaria in quanto atto di parte, e segnatamente proveniente da una parte del processo penale (cfr. Cass. civ., Sez. I, ord. 4.3.2025, n. 5667; Cass. civ., Sez. V, 27.12.2018, n. 33503): infatti, essa contiene una valutazione delle emergenze processuali, e non l’indicazione di circostanze di fatto.
Neanche è possibile valutare unitamente alla sentenza di patteggiamento, quale ulteriore elemento, la sentenza n. 2077/2022 depositata dal Tribunale
di Tivoli, in sede penale, in data 11.4.2023, e prodotta da parte appellante nel presente grado di giudizio (v. doc. n. 8 del fascicolo di parte appellante). La valutazione della stessa, seppure quale indizio, deve necessariamente tenere conto di come la stessa non sia passata in giudicato e, perciò soltanto, si deve ritenere non possegga i requisiti di cui all’art. 2729 c.c. richiesti dalla giurisprudenza sopra richiamata.
5. In conclusione, l’appello proposto dalla avverso la sentenza n. 13466/2022 emessa dal Tribunale di Roma -Sezione Specializzata in Materia di Impresa il 16.9.2022 deve essere rigettato.
Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano nella misura indicata in dispositivo.
La Corte deve dare atto, con la presente sentenza, della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1-quater, del d.P.R. 30.5.2002, n. 115, introdotto dall’art. 1, co. XVII, della legge 24.12.2012, n. 228.
P.Q.M.
La Corte di appello di Roma, definitivamente pronunciando nella causa indicata in epigrafe, ogni altra difesa, eccezione e istanza disattesa, così provvede:
rigetta l’appello proposto dalla avverso la sentenza n. 13466/2022 emessa dal Tribunale di Roma -Sezione Specializzata in Materia di Impresa il 16.9.2022;
condanna la a rimborsare alla le spese del presente grado di giudizio, che liquida in € 30.000,00 per compensi, oltre rimborso spese forfetarie (art. 2, co. 2, d.m. 10.3.2014, n. 55), I.V.A. (qualora dovuta) e C.P.A. nella misura di legge;
dà atto che, per effetto della presente decisione, sussistono i presupposti di cui al primo periodo dell’art. 13, co. 1 -quater, del d.P.R. n. 115/2002.
Roma, 14.7.2025
IL GIUDICE EST. NOME COGNOME
IL PRESIDENTE NOME COGNOME