Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19680 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19680 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18398/2020 R.G. proposto da :
DI NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME e NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende,
-ricorrenti- contro
NOME ed NOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi anche disgiuntamente dagli avvocati COGNOME e COGNOME NOME COGNOME -controricorrenti-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di FIRENZE n.887/2020 depositata il 4.3.2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5.6.2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con citazione notificata il 26.2.1998, COGNOME NOME e COGNOME NOME convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Livorno COGNOME NOME e COGNOME NOME per ottenere, ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., una sentenza produttiva degli effetti del contratto preliminare di compravendita stipulato inter partes l’1.6.1986, come integrato dalla scrittura privata transattiva del 4.9.1993, avente ad oggetto oltre al terreno adiacente un’unità immobiliare sita nell’isola d’Elba, in comune di Rio Marina, frazione di Cavo, INDIRIZZO comprensiva di due appartamenti da ultimare e rifinire a cura dei promittenti venditori secondo il modello campione dell’immobile di COGNOME Isa, unità immobiliare per la quale era stata rilasciata concessione edilizia dal Comune, lamentando che pur avendo pagato acconti per £ 60.200.000 secondo le previsioni contrattuali, avevano ottenuto solo la consegna anticipata del primo appartamento (prevista per il maggio 1987) e non del secondo (il cui termine di consegna scadeva nel maggio 1988), che i lavori di rifinitura non erano stati ultimati ed il contratto di compravendita non era stato stipulato una volta trascorsi i tre anni dal preliminare previsti.
Costituendosi in giudizio, i convenuti esponevano che il contratto di compravendita avrebbe dovuto essere stipulato nel termine di trenta giorni dal rilascio, da parte del Comune di Rio Marina, della concessione in sanatoria relativa ai due appartamenti in cui andava suddiviso l’unità immobiliare promessa e che, tuttavia, al tempo dell’instaurazione del giudizio il prefato Comune non aveva ancora provveduto in tal senso. Pertanto, l’COGNOME e la COGNOME articolavano domanda riconvenzionale volta ad ottenere la risoluzione del
contratto preliminare e la condanna degli attori alla restituzione dell’immobile.
Con sentenza n. 964/2006, il Tribunale di Livorno accoglieva la domanda attorea in ordine al trasferimento dell’unica unità immobiliare per cui era stata rilasciata concessione edilizia.
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME questi ultimi in qualità di eredi di COGNOME NOME, interponevano appello avverso la predetta sentenza. Resistevano al gravame COGNOME NOME, nonché NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME, eredi di COGNOME NOME.
Con sentenza n. 1387/2012, la Corte d’Appello di Firenze riformava la pronuncia di prime cure, accogliendo la domanda riconvenzionale di risoluzione per inadempimento dei promissari acquirenti, respingendo la loro domanda ex art. 2932 cod. civ. in quanto riteneva che la sentenza di primo grado nel disporre il trasferimento immobiliare avesse modificato inammissibilmente la volontà delle parti, dichiarando compensate per 1/3 le spese processuali e condannando i predetti al pagamento dei residui 2/3.
Avverso tale decisione Di NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME proponevano ricorso per cassazione. Nella resistenza dei germani COGNOME NOME e COGNOME NOME, eredi dei genitori COGNOME NOME e NOME, la sentenza di appello veniva cassata dalla sentenza n. 1809/2014 di questa Corte per vizio di insufficiente motivazione, con rinvio della causa ad altra sezione della medesima Corte territoriale.
In particolare la citata sentenza n. 1809/2014 di questa Corte rilevava la carenza della motivazione di riforma della sentenza ex art. 2932 cod. civ. addotta dalla sentenza di secondo grado, che si scontrava con le risultanze probatorie e la volontà dei contraenti, che erano state convergenti sulla possibilità di compravendere il manufatto in modo unitario e non frazionato. Questa Corte aveva affermato la necessità di accertare sotto un primo profilo se, come
prospettato dai ricorrenti nell’eventualità dell’impossibilità di acquisire la proprietà dei due immobili oggetto della promessa di vendita separati per ragioni di natura urbanistica (mancato rilascio di concessione edilizia o di sanatoria), essi avessero comunque il diritto di divenire proprietari di un’unica unità immobiliare concessionata, e sotto un secondo profilo, che erano state violate le norme dettate dalle parti ad integrazione dell’originario preliminare di vendita, che avevano previsto, in aggiunta alla possibilità di acquisto di due distinte unità di un unico complesso immobiliare edilizio (un primo piano composto da due appartamenti), senza pregiudizio per l’obbligo di trasferire l’unico immobile complessivamente costituito dalle due unità abitative oltre le pertinenze, ponendosi così a base della modifica della domanda operata dai promissari acquirenti nella memoria ex art. 183 5° comma c.p.c..
Con citazione in riassunzione notificata il 22.1.2015, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME NOME e NOME COGNOME adivano la Corte d’Appello di Firenze, domandando la conferma della decisione di primo grado traslativa della proprietà ex art. 2932 cod. civ.. Si costituivano nel giudizio di rinvio i germani COGNOME che riproponevano la loro riconvenzionale di risoluzione, oltre a chiedere il rigetto dell’avversa azione ex art. 2932 cod. civ..
Con la sentenza n. 887/2020 del 4.3/29.4.2020, la Corte d’Appello fiorentina, in accoglimento della domanda riconvenzionale, dichiarava la risoluzione per inadempimento del preliminare di compravendita e, per l’effetto, condannava gli attori in riassunzione alla restituzione degli appartamenti oggetto del contratto risolto. Alla luce della scrittura privata transattiva del 1993, la Corte distrettuale riteneva gravante sui Perra-Di Vita un onere di comunicazione della scelta inerente la prestazione contrattuale, al cui mancato assolvimento conseguiva necessariamente la
trasformazione dell’obbligazione da alternativa in semplice. La Corte territoriale evidenziava altresì la disomogeneità della strategia seguita dai promissari acquirenti, i quali avevano modificato in corso di causa le conclusioni formulate nell’atto di citazione, originariamente afferenti alle due porzioni immobiliari per cui è giudizio e, successivamente all’intervenuta rettifica, riferite all’intera unità immobiliare, la sola munita di concessione in sanatoria. Infine, il Giudice di seconde cure non rilevava alcun inadempimento dei convenuti in riassunzione in relazione al procedimento amministrativo di sanatoria e, quanto all’accollo del mutuo gravante sull’immobile, riteneva che i suoi effetti economici, e dunque il versamento dei ratei, dovevano ritenersi decorrenti dalla data di immissione dei Di Vita-COGNOME nel possesso degli immobili e non, per converso, da quella del rogito.
Avverso tale sentenza COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME e NOME hanno proposto ricorso a questa Corte, affidandosi a cinque motivi, e COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno resistito con controricorso.
Nell’imminenza dell’adunanza camerale i soli ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Col primo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, nn. 3) e 5) c.p.c., si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 ss. cod. civ., 2932 cod. civ. e 12 delle preleggi, il travisamento di fatto e l’omessa valutazione delle pregresse risultanze istruttorie (artt. 115 e 116 c.p.c.). In spregio alle indicazioni fornite dalla Corte di Cassazione, nella sentenza di rinvio, la Corte distrettuale avrebbe fondato il proprio convincimento sulla sola scrittura privata transattiva del 1993, omettendo di valorizzare il contenuto del contratto preliminare del 1986 e di esaminare la ratio complessiva degli accordi intercorsi tra le parti, dai quali sarebbe emersa la chiara intenzione dei
contraenti di procedere all’alienazione dell’unica unità immobiliare munita di concessione, con facoltà meramente eventuale di acquistare l’immobile già frazionato nei due appartamenti.
Col primo motivo i ricorrenti sostengono che la Corte d’Appello di Firenze in sede di rinvio, nell’interpretare le intese tra le parti risultanti dal contratto preliminare di compravendita dell’1.6.1986 e dalla scrittura transattiva integrativa del 9.10.1993, che secondo la sentenza di questa Corte, che aveva disposto il rinvio (Cass. n.18090/2014), dovevano essere esaminate congiuntamente, per individuare le ragioni che ne avevano determinato la conclusione, non avrebbe colto che le parti avevano tenuto ferma la volontà, espressa nell’originario preliminare, di addivenire alla vendita dell’unica unità immobiliare di 80 mq, per la quale era stata rilasciata dal Comune di Rio Marina la concessione in sanatoria n.68 del 31.8.1991 (inerente alla sopraelevazione realizzata al primo piano di un’unica unità immobiliare secondo l’originario progetto), a prescindere dalla sorte del frazionamento delle due unità abitative realizzate al primo piano, che avrebbe altrimenti condizionato la possibilità del trasferimento delle due distinte unità immobiliari del primo piano.
L’impugnata sentenza, sulla base del mero criterio dell’interpretazione letterale, avrebbe riconosciuto, invece, che dalla scrittura transattiva del 9.10.1993 le parti avessero fatto scaturire un’obbligazione alternativa dei promittenti venditori di vendita per intero della sopraelevazione del primo piano, con fruizione quindi della concessione già rilasciata e possibilità immediata di stipulazione dell’atto di compravendita, o di vendita delle unità immobiliari del primo piano distinte, subordinata all’esito positivo della pratica di condono edilizio ancora pendente (la n. 116/1995, relativa alla realizzazione di tre finestre, alla trasformazione di una finestra in porta finestra ed al prolungamento di un balcone esistente) ed al perfezionamento
conseguente del frazionamento. La sentenza di secondo grado avrebbe poi fatto discendere, dalla mancata comunicazione dell’opzione per la prima ipotesi, quella della vendita unitaria immediata, da parte dei promittenti acquirenti, entro 30 giorni dalla firma della scrittura transattiva del 9.10.1993, ossia entro l’8.11.1993, la conseguenza che i promittenti venditori dovessero trasferire le due unità immobiliari del primo piano a condizione che le procedure di condono edilizio e di frazionamento avessero esito positivo, solo entro trenta giorni da quell’esito, con assicurazione ai promissari acquirenti del possesso anticipato ( rectius detenzione) delle unità immobiliari non ancora trasferibili, ed imposizione ai medesimi dell’obbligo di rimborso ai promittenti venditori delle rate del mutuo ipotecario gravante sugli immobili a partire dal 1994 (oltre al rimborso per metà dell’ultima rata con scadenza nel 1993) da essi pagate alla banca mutuante.
La sentenza di secondo grado non avrebbe considerato: a) che la mancata comunicazione da parte dei promittenti acquirenti entro l’8.11.1993 della volontà di acquistare l’intera unità immobiliare del primo piano, era conseguenza della comune intenzione delle parti, di tenere ferma quella volontà, già espressa nel contratto preliminare dell’1.6.1986, che rendeva superflue ulteriori comunicazioni; b) che lo scambio di note tra avvocati, avvenuto proprio l’8.11.1993, avrebbe richiesto un maggiore approfondimento della comune intenzione delle parti; c) che il silenzio serbato dai promittenti acquirenti, nel suddetto termine, non poteva essere considerato isolatamente, dovendosi valutare anche in rapporto al comportamento successivo delle parti.
Il primo motivo é inammissibile, in quanto per giurisprudenza di questa Corte ‘ l’interpretazione del contratto può essere sindacata in sede di legittimità solo nel caso di violazione delle regole legali di ermeneutica contrattuale, la quale non può dirsi esistente sul semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una piuttosto
che un’altra tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale, sicchè, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra. D’altro canto, l’art. 1362 cod. civ., allorché nel comma 1, prescrive all’interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l’elemento letterale del contratto ma, al contrario, intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile ‘ (Cass. sez. lav. ord. 3.7.2024 n.18214; Cass. sez. lav. 7.7.2020 n. 14082; Cass. ord. 10.5.2018 m. 11254; Cass. 15.11.2017 n. 27136).
Ulteriormente il primo motivo è inammissibile laddove prospetta un’erronea interpretazione del contratto, in quanto non individua i canoni interpretativi violati dalla sentenza impugnata, ma si limita a proporre una propria lettura degli accordi intercorsi tra le parti. Diversamente, poiché l’interpretazione del contratto -concretandosi in un’operazione di accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico- si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, la parte ricorrente, al fine di fare valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è tenuta altresì a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati, o se lo stesso li abbia applicati sulla base di considerazioni illogiche o insufficienti; non può la censura risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta dalla sentenza impugnata, poiché
quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni (Cass. 19.4.2025 n. 10366; Cass. 9.4.2021 n. 9461; Cass. 28.11.2017 n. 28319; Cass. 15.11.2017 n. 27136).
Nella specie, la parte ricorrente non indica sotto quale profilo la sentenza impugnata avrebbe violato il criterio dell’interpretazione letterale dell’art. 1362 cod. civ., che peraltro é stato applicato considerando il contenuto complessivo delle clausole della scrittura transattiva modificativa del 9.10.1993 ed in particolare delle clausole VII, VIII e XVII (vedi pagina 19 capoverso e seguenti), ed anche il comportamento complessivo successivo delle parti (domanda ex art. 2932 cod. civ. proposta nel 1998 dai promittenti acquirenti inizialmente, per ottenere solo il trasferimento delle unità immobiliari distinte del primo piano, poi sostituita dopo la scadenza dei termini ex art. 183 comma 5° c.p.c. applicabile, dalla richiesta di trasferimento invece dell’intera unità immobiliare del primo piano e cura successiva della pratica di condono edilizio, addirittura con intervento in essa degli stessi promittenti acquirenti quali possessori delle unità immobiliari promesse, consegnate loro in via anticipata), e ricostruendo la comune intenzione delle parti sulla base delle clausole modificative dell’originario preliminare contenute nell’ultima scrittura privata del 9.10.1993, laddove i ricorrenti pretendono, apoditticamente, di individuare la comune intenzione delle parti in un’indicazione mai fornita dalla sentenza di questa Corte che aveva disposto il rinvio, e nell’originario preliminare, che era stato poi modificato il 9.10.1993, proprio perché era emerso il mancato completamento della pratica di condono edilizio e di frazionamento.
Per il resto la doglianza di violazione dell’art. 2932 cod. civ. e dell’art. 12 delle preleggi é inammissibile, in quanto non si assume che la Corte d’Appello abbia erroneamente inteso il significato normativo di tali disposizioni, ma si punta ad ottenere una diversa
ricostruzione del contenuto negoziale del contratto preliminare dell’1.6.1986, come modificato con la scrittura privata transattiva del 9.10.1993.
Quanto alle lamentate violazioni degli articoli 115 e 116 c.p.c., i ricorrenti si dolgono di un’errata valutazione del materiale istruttorio, ma é sufficiente ricordare che secondo la giurisprudenza di questa Corte ‘ per dedurre la violazione del paradigma dell’articolo 115 del c.p.c., è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve aver giudicato, o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma (cioè dichiarando di non doverla osservare), o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso articolo 115 del c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla ‘valutazione delle prove’ (vedi ex multis Cass. ord. 5.11.2024 n. 28453).
Quanto al richiamo fatto alla violazione dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. in relazione agli elementi probatori richiamati a pagina 2 lettere a), b) e c), il motivo é inammissibile, e comunque infondato, perché si tratta più che di un singolo fatto storico principale, o secondario oggetto di contestazione tra le parti e decisivo non considerato, di un insieme di elementi probatori, che già sono stati valutati, sia pure complessivamente, dal giudice di
merito, nel formarsi il suo convincimento vagliando le risultanze istruttorie, elementi ai quali i ricorrenti vorrebbero attribuire un peso maggiore nella ricostruzione della comune intenzione delle parti, che deve comunque prioritariamente basarsi sul contenuto testuale delle disposizioni contrattuali e che non può essere richiesta nel giudizio di legittimità, che non é un giudizio di fatto.
Attraverso la seconda censura i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360, comma 1°, nn. 3) e 5) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1285-1291 cod. civ.. La Corte d’Appello sarebbe incorsa in un’erronea applicazione della disciplina in materia di obbligazioni alternative, considerando la facoltà di scelta degli odierni ricorrenti di effettuare l’acquisto dell’immobile indiviso, da esercitarsi nel termine di trenta giorni decorrenti dalla data della stipula dell’accordo integrativo del 1993, alla stregua di un vero e proprio onere.
Col secondo motivo i ricorrenti si dolgono che l’impugnata sentenza avrebbe posto a loro carico un onere, ossia una situazione giuridica passiva di svantaggio, produttivo di una decadenza mai eccepita dalla controparte, anziché attribuire loro una mera facoltà di comunicare ai promittenti venditori, entro trenta giorni dalla firma della scrittura transattiva del 9.10.1993, l’intenzione di acquistare l’intera unità immobiliare del primo piano, che già aveva ottenuto dal Comune di Rio Marina la concessione in sanatoria n. 68 del 31.8.1991. Ulteriormente assumono che sia stato violato l’art. 1288 cod. civ., in quanto essendo impossibile il trasferimento delle due unità immobiliari del primo piano separate, senza il completamento della pratica di condono edilizio e di frazionamento, per tale obbligazione non poteva essere neppure preteso il pagamento, e l’unica obbligazione era quella del trasferimento dell’intera unità del primo piano.
Tale motivo é infondato, in quanto l’impugnata sentenza si é attenuta alle pattuizioni concordate dalle parti nella scrittura
transattiva del 9.10.1993, che espressamente hanno previsto che entro trenta giorni dal 9.10.1993 i promittenti acquirenti potessero ‘ comunicare agli Allori se intendano addivenire alla stipula dell’atto notarile rogitando l’unica unità immobiliare oggi concessionata ‘, e che nel caso in cui tale comunicazione non vi fosse stata (circostanza pacifica), hanno stabilito che restasse solo l’obbligazione di vendita delle due unità immobiliari del primo piano separate, con conclusione del rogito entro trenta giorni dal rilascio della concessione edilizia in sanatoria la cui pratica era ancora pendente, rilascio indispensabile anche per l’ultimazione del frazionamento e per la vendita di due unità immobiliari separate. Come peraltro evidenziato all’ultimo capoverso di pagina 13 della sentenza impugnata, solo durante la pendenza di tale ultimo termine di trenta giorni, e quindi dopo il rilascio della concessione in sanatoria ed il perfezionamento del frazionamento, secondo la specifica pattuizione della scrittura transattiva del 9.10.1993, modificativa del preliminare originario, i promissari acquirenti avrebbero potuto comunque richiedere di effettuare la compravendita dell’unità immobiliare del primo piano nel suo complesso, e ciò dimostra l’insostenibilità della tesi dei ricorrenti, secondo la quale, in caso di mancata comunicazione della scelta da parte loro entro il termine di trenta giorni dalla scrittura privata transattiva del 9.10.1993, sarebbe comunque rimasta a carico dei promittenti venditori l’obbligazione di vendere l’unità immobiliare del primo piano nel suo complesso.
3) Col terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, nn. 3) e 5) c.p.c., i ricorrenti si dolgono della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1285, 1286, 1287 e 1362 cod. civ. e dell’art. 185 commi 5° e 6° c.p.c.. In esito ad un esame parziale degli atti di parte, il giudice di rinvio avrebbe erroneamente dedotto l’intervenuto esercizio del diritto di scelta dei promissari acquirenti dalle conclusioni rassegnate dagli stessi in prime cure, prima della loro
modifica, omettendo peraltro di considerare che, al tempo dell’instaurazione del giudizio, non era stata ancora accertata l’impossibilità di procedere all’alienazione delle due distinte porzioni immobiliari.
Col terzo motivo i ricorrenti lamentano che l’impugnata sentenza abbia considerato l’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado del 1998, nel quale i promittenti acquirenti avevano chiesto di ‘ dichiarare di voler esercitare la loro facoltà di procedere all’acquisto delle unità immobiliari oggetto di promessa ‘, come una conferma della scelta da loro operata mediante la mancata comunicazione alla controparte, entro trenta giorni dalla firma della scrittura transattiva del 9.10.1993, della loro volontà di acquistare le due unità abitative separate e non l’intera unità immobiliare concessionata al primo piano, senza peraltro tener conto che i promissari acquirenti, in corso di giudizio, avevano modificato la domanda ex art. 2932 cod. civ. iniziale, nella domanda intesa ad ottenere il trasferimento dell’intera unità immobiliare al primo piano, peraltro coincidente con le due distinte unità abitative indicate nella domanda iniziale.
Il terzo motivo é inammissibile, perché tende ad ottenere una diversa interpretazione delle clausole contrattuali della scrittura transattiva del 9.10.1993, plausibilmente interpretata dalla Corte d’Appello nel giudizio di rinvio, per giunta invocando una modifica della domanda dei ricorrenti ex art. 2932 cod. civ., estranea all’applicazione dell’art. 1453 comma 2° cod. civ. ed intervenuta dopo la scadenza del termine ex art. 183 comma 5° c.p.c., ratione temporis applicabile, ed ipotizzando che non possa essere validamente assunta un’obbligazione di trasferimento della proprietà di due unità immobiliari per le quali non sia stata ancora definita la pratica di condono edilizio e di frazionamento catastale, come se si trattasse di un trasferimento immediato di quelle proprietà.
4) Col quarto motivo, articolato in relazione all’art. 360, comma 1°, nn. 3) e 5) c.p.c., si denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175, 1176, 1221, 1321, 1372, 1374, 2932 cod. civ., XVI del contratto del 1993, il travisamento di fatto e l’omessa valutazione delle pregresse risultanze istruttorie (artt. 115 e 116 c.p.c.) e dell’art. 185 commi 5° e 6° c.p.c.. La Corte territoriale, incorrendo nel travisamento delle risultanze probatorie acquisite nel corso del giudizio, avrebbe omesso di rilevare l’inadempimento dei promittenti venditori, i quali non avevano operato alcuna collaborazione ai fini della rimozione degli ostacoli alla vendita delle due unità immobiliari separate e, in specie, erano rimasti inerti per oltre dieci anni rispetto alla gestione della pratica di condono edilizio, omettendo di produrre al Comune di Rio Marina la documentazione necessaria al perfezionamento del predetto procedimento amministrativo.
Col quarto motivo i ricorrenti lamentano che la Corte d’Appello non abbia ravvisato alcun inadempimento dell’obbligo dei promittenti venditori di curare, con diligenza, le pratiche del condono edilizio e del frazionamento dell’unità immobiliare del primo piano in due unità abitative separate, indispensabili per addivenire al trasferimento della loro proprietà, riconducendo il mancato rilascio della concessione in sanatoria per la pratica n. 116/1995, ed il mancato conseguimento del frazionamento per le due separate unità abitative, alla colpevole inerzia del Comune di Rio Marina, ed all’errato intervento, nel 2007, degli stessi promissari acquirenti, che contattati quali possessori delle unità immobiliari in questione, al posto della proprietaria NOME COGNOME avevano prodotto una planimetria progettuale del primo piano, anziché la richiesta planimetria catastale, e chiedono anche in proposito una rivalutazione delle risultanze probatorie.
Tale motivo, al di là degli apparenti richiami alla violazione di legge degli articoli 1175, 1176, 1221, 1321, 1372, 1374 e 2932 cod. civ.
e dell’art. 185 ( rectius 183) commi 5° e 6° c.p.c., é inammissibile, in quanto volto ad ottenere una ricostruzione in fatto diversa da quella plausibilmente espressa, anche sulla scorta delle CTU espletate, dalla sentenza impugnata, in ordine alle condotte serbate dalle parti e dal Comune di Rio Marina circa le pratiche di condono edilizio e di frazionamento, dimenticando che questa Corte é giudice di legittimità e non di merito.
Quanto alle lamentate violazioni degli articoli 115 e 116 c.p.c., é sufficiente rinviare alla giurisprudenza di questa Corte già richiamata nel trattare il primo motivo di ricorso.
5) Attraverso la quinta doglianza, ai sensi dell’art. 360, comma 1°, nn. 3) e 5) c.p.c., i ricorrenti lamentano la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1363, 1460, 1453 e 1455, 2041, 2043, 2932 cod. civ., VII, VIII e XII, comma 2° del contratto del 1993, il travisamento di fatto e l’omessa valutazione delle pregresse risultanze istruttorie (artt. 115 e 116 c.p.c.). Il Giudice di rinvio avrebbe travisato il contenuto dell’accordo del 1993, retrodatando erroneamente gli effetti economici del futuro accollo del mutuo, che si sarebbero invece dovuti produrre a far data dalla stipula del contratto definitivo, omettendo altresì di considerare la funzione transitoria dell’immissione anticipata degli odierni ricorrenti nel ‘possesso’ dell’immobile.
Col quinto motivo i ricorrenti lamentano che la Corte d’Appello abbia accolto la riconvenzionale dei promittenti venditori di risoluzione contrattuale per grave inadempimento dei promittenti acquirenti per avere pagato ai predetti solo le prime due rate semestrali del mutuo ipotecario gravante sulle unità immobiliari loro concesse in possesso anticipato ( rectius detenzione), ed in particolare la metà dell’ultima rata con scadenza 1993 e la prima rata del 1994, ma non le rate successive, ritenendo che la scrittura transattiva del 9.10.1993 avesse incrementato gli acconti sul prezzo dovuti dai promittenti venditori, ponendo a loro carico le
suddette rate di mutuo e prevedendo la riduzione del saldo del prezzo dovuto alla firma del rogito di compravendita, in base all’importo delle rate di mutuo rimborsate dai promittenti acquirenti ai promittenti venditori, mentre in realtà l’accollo del mutuo da parte dei promittenti acquirenti poteva avvenire soltanto al momento del rogito. Ulteriormente i ricorrenti si dolgono che la Corte d’Appello, discostandosi dai principi di diritto esposti da questa Corte con la sentenza n. 18090/2014, nel disporre il rinvio, non avrebbe tenuto conto dell’interferenza degli inadempimenti degli obblighi dei promittenti venditori relativi alla cura delle pratiche di condono edilizio e di frazionamento, funzionali al trasferimento degli immobili, sull’adempimento degli obblighi dei promittenti acquirenti, di pagamento delle rate semestrali del mutuo ipotecario per il periodo anteriore al rogito di trasferimento, incidente sulla valutazione della gravità dell’inadempimento. Da ultimo i ricorrenti lamentano che una volta dichiarata la risoluzione contrattuale con effetto retroattivo, non sia stata disposta dalla Corte d’Appello la restituzione in loro favore degli acconti sul prezzo versati.
Premesso che tale ultima doglianza é infondata, perché in assenza di specifica domanda dei promittenti acquirenti, la Corte d’Appello non poteva disporre d’ufficio la restituzione in loro favore degli acconti sul prezzo versati senza incorrere nella violazione dell’art. 112 c.p.c., per il resto tale ultimo motivo é inammissibile, in quanto al di là del richiamo ad asserite violazioni di legge degli articoli 1363, 1460, 1453, 1455, 2041, 2043 e 2932 cod. civ., dei quali non si assume l’errata nozione seguita dall’impugnata sentenza, si richiede ancora una volta, in sede di legittimità, una nuova valutazione del materiale istruttorio, contrapponendo una propria autonoma ed apodittica interpretazione contrattuale a quella, pur plausibile, seguita dalla Corte d’Appello di Firenze.
L’impugnata sentenza, in sede di rinvio, ha provveduto motivatamente ad identificare l’oggetto del contratto desumibile dalle modifiche apportate dalla scrittura transattiva del 9.10.1993 al contratto preliminare di compravendita immobiliare dell’1.6.1986, ha spiegato che le parti, nella fondamentale clausola XVII della scrittura transattiva del 9.10.1993, hanno fatto scattare effetti economici, con l’incremento degli acconti da versare, dalle date di immissione in possesso anticipato ( rectius detenzione) rispetto al trasferimento della proprietà delle due unità abitative (maggio 1987 e ottobre 1993), mentre hanno rinviato alla data del rogito per gli effetti giuridici traslativi con l’accollo del mutuo ed il saldo del prezzo, ha valutato grave l’inadempimento dei promittenti acquirenti all’obbligo di rimborsare ai promittenti venditori le rate semestrali del mutuo ipotecario ai sensi dell’art. 1455 cod. civ., accertando che fin dalla seconda rata semestrale del 1994 i promittenti acquirenti non avevano più adempiuto, ed ha escluso l’opponibilità da parte di essi dell’eccezione d’inadempimento ex art. 1460 cod. civ., ritenendo che i promittenti venditori non siano stati inadempienti relativamente alle pratiche di condono edilizio e di frazionamento, ascrivendo piuttosto la responsabilità per il ritardo all’amministrazione del Comune di Rio Marina ed alla documentazione errata inviata ai fini della pratica di condono dagli stessi promittenti acquirenti.
Per le violazioni degli articoli 115 e 116 c.p.c. lamentate, si rinvia nuovamente alla giurisprudenza di questa Corte già richiamata.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vanno poste a carico dei ricorrenti in solido nella misura liquidata in dispositivo.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002, per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti in solido, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione respinge il ricorso di COGNOME NOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e NOME COGNOME e li condanna in solido al pagamento in favore di COGNOME NOME e COGNOME NOME delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per spese ed € 4.100,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%. Dà atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico dei ricorrenti in solido, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 5.6.2025