Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13648 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13648 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 17004-2020 proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO nello studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso da ll’avv. NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO nello studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 2121/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata in data 14/10/2019
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato l’8.9.2006 Matera NOME evocava in giudizio COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Bari, sezione distaccata di Modugno, invocandone la risoluzione del contratto preliminare di compravendita del 25.1.2006, con il quale la convenuta si era impegnata ad acquistare la proprietà di un immobile sito in Modugno, INDIRIZZO con conseguente diritto di trattenere la caparra costituita all’atto della firma dell’accordo predetto.
Si costituiva in giudizio la convenuta, resistendo alla domanda ed eccependo che la mancata conclusione del rogito di compravendita era stata causata dall’inadempimento del promittente venditore, il quale non aveva consegnato il certificato di abitabilità e la concessione in sanatoria relativi all’immobile oggetto del preliminare di cui è causa.
Con sentenza n. 4839/2014 il Tribunale rigettava la domanda dell’attore, rilevando l’assenza della prova dell’inadempimento contestato alla COGNOME, la quale si era legittimamente rifiutata di stipulare la compravendita nel difetto della documentazione comprovante la regolarità urbanistico-edilizia dell’immobile.
Con la sentenza impugnata, n. 2121/2019, la Corte di Appello di Bari rigettava il gravame interposto dal Matera avverso la decisione di prime cure, confermandola. La Corte distrettuale rilevava che il contratto preliminare era stato validamente stipulato anche in assenza della documentazione comprovante la legittimità del cespite che ne costituiva oggetto, avendo lo stesso contenuto obbligatorio (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata) ed essendo stato precisato, nel
compromesso, che era pendente una pratica di sanatoria edilizia (cfr. pag. 8), ma che in assenza dei certificati di agibilità e abitabilità e della prova della conformità dell’immobile alla concessione edilizia, la promissaria acquirente si era legittimamente rifiutata di stipulare il rogito di compravendita (cfr. pag. 9).
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione NOMECOGNOME affidandosi a sei motivi.
Resiste con controricorso COGNOME NOME.
In prossimità dell’adunanza camerale, ambo le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente denunzia la violazione degli artt. 210 c.p.c. e 119 D. Lgs. n. 385 del 1994, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe dovuto rilevare che l’ordine di esibizione della documentazione bancaria, richiesto dalla COGNOME, ed ammesso dal Tribunale, era in effetti inammissibile. Ad avviso del ricorrente, infatti, la COGNOME avrebbe potuto produrre di proprio impulso la documentazione bancaria concernente il proprio conto corrente, senza dover necessariamente ottenere un provvedimento del giudice. Inoltre, il ricorrente si duole del fatto che la stessa COGNOME, dopo aver ottenuto il detto provvedimento, avrebbe depositato comunque di proprio impulso la documentazione di cui si discute, così offrendo una visione della propria consistenza patrimoniale del tutto soggettiva, da un lato, e conducendo indirettamente il Tribunale a ritenere inammissibile la prova orale che il Matera aveva articolato per dimostrare che il rifiuto della COGNOME di stipulare il rogito di compravendita era in realtà stato causato dal mancato ottenimento del mutuo finalizzato a tale acquisto.
La censura è inammissibile.
Da un lato, infatti, lo stesso ricorrente riconosce che la COGNOME, dopo aver ottenuto un provvedimento di esibizione, aveva provveduto autonomamente al deposito della propria documentazione bancaria. Da ciò deriva che la doglianza concernente l’ammissibilità della richiesta di esibizione va ritenuta superata dal successivo sviluppo del giudizio di prime cure. Quanto alle conseguenze che il ricorrente riconnette alla concessione del provvedimento di cui si discute, anche in relazione alla mancata ammissione della prova orale da lui articolata per dimostrare l’imputabilità dell’inadempimento alla COGNOME, va rilevato innanzitutto che il motivo non riproduce i capitoli di prova non ammessi dal Tribunale, con conseguente deficit di specificità della doglianza.
In ogni caso, va anche evidenziato che la Corte di Appello ha fondato la propria decisione sulla base della considerazione che la mancanza della documentazione attestante agibilità, abitabilità e conformità edilizia dell’immobile al momento fissato per la firma del rogito definitivo di compravendita giustifica la parte promittente acquirente a rifiutare di procedere alla stipula dello stesso. La doglianza non si confronta con tale ratio , la quale è evidentemente incompatibile con la prospettazione difensiva del Matera, secondo cui il rogito non sarebbe stato concluso perché la COGNOME non era riuscita ad ottenere in tempo utile il finanziamento necessario per l’acquisto. La mancata ammissione della prova orale che lo stesso Matera aveva articolato al fine di dimostrare la sua diversa tesi, quindi, è evidentemente dipesa dalla ricostruzione in fatto, diversa da quella ipotizzata dall’odierno ricorrente, operata nel caso di specie dal giudice di merito .
Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto giustificato il rifiuto della Lobello di stipulare il definitivo, anche se la certificazione di
abitabilità del bene oggetto del contratto preliminare di cui è causa era stata rilasciata.
Con il terzo motivo, il Matera si duole invece della violazione dell’art. 2697 c.c. e dell’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché il giudice di seconde cure avrebbe trascurato di dare rilievo alla circostanza che, prima della prima udienza di comparizione in prime cure, il Comune di Modugno aveva comunque rilasciato la certificazione in sanatoria attestante la regolarità urbanisticoedilizia del cespite oggetto del contratto preliminare.
Con il quarto motivo, il ricorrente contesta la violazione degli artt. 1460 e 1455 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe erroneamente ravvisato l’inadempimento grave del promittente venditore, senza considerare il complessivo comportamento delle parti, sia prima che dopo l’instaurazione del giudizio.
Le tre censure, suscettibili di esame congiunto, sono in parte inammissibili ed in parte infondate.
In particolare, occorre evidenziare che il ricorrente riconosce espressamente che la certificazione concernente la regolarità, sotto il profilo urbanistico-edilizio, del cespite oggetto del preliminare di cui è causa era stata rilasciata dal Comune solo ‘… due mesi dopo la notifica dell’atto di citazione …’ (cfr. pag. 9, rigo 7 del ricorso); da ciò deriva l’ammissione che detto documento non era disponibile alla data prevista per il rogito di compravendita. Il Matera sostiene, tuttavia, che il giudice di merito avrebbe dovuto apprezzare la sua condotta, posto che egli si era attivato per rendere comunque possibile il perfezionamento del progetto negoziale oggetto del preliminare di compravendita di cui è causa. Tuttavia, la tesi non considera che il giudizio di prime cure era
stato introdotto dallo stesso Matera, il quale, in tal modo, ha reso impossibile l’adempimento, ancorché tardivo, del preliminare oggetto di causa, posta la disposizione di cui al combinato disposto del secondo e terzo comma dell’art. 1453 c.c., che, rispettivamente, precludono alla parte che abbia agito per la risoluzione del contratto di chiederne l’adempimento (secondo comma) e alla parte inadempiente di adempiere, dopo la proposizione della predetta domanda di risoluzione (terzo comma). Il comportamento attivo tardivamente tenuto dal Matera, dopo la sua scelta di agire per la risoluzione del contratto preliminare di cui è causa, non poteva quindi essere considerato dal giudice di merito sub specie di condotta idonea a manifestare la sua volontà di adempiere, posto il divieto previsto dalle disposizioni di legge appena richiamate. Da ciò consegue l’infondatezza del terzo e quarto motivo del ricorso.
Quanto invece al secondo motivo, va rilevata in primo luogo l’inammissibilità delle censure che esso rivolge alla decisione di prime cure, anziché di quella della Corte distrettuale, oggetto della presente impugnazione. Sotto questo profilo, il secondo motivo si diffonde sulle argomentazioni utilizzate dal Tribunale per confutare la tesi della parte ricorrente, senza considerare che, anche in presenza di sentenza di appello confermativa di quella di primo grado, la critica va rivolta avverso la prima, posto che, giusta l’effetto sostitutivo dell’appello, la decisione del giudice del gravame supera e sostituisce in ogni caso quella impugnata, anche nel caso di sua conferma.
Nel resto, la censura non tiene conto del principio secondo cui ‘In tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti
non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 01). Mentre, con riferimento alla deduzione relativa alla violazione dell’art. 2697 c.c., va ribadito che ‘La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c.’ (Cass. Sez. L, Sentenza n. 17313 del 19/08/2020, Rv. 658541; conf. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19064 del 05/09/2006, Rv. 592634; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 2935 del 10/02/2006, Rv. 586772; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2155 del 14/02/2001, Rv. 543860). Nel caso di specie, il giudice di merito non ha fondato la propria decisione su prove non introdotte dalle parti, né ha errato nell’attribuzione dell’onere della prova, ma ha rilevato, sulla base di un complessivo apprezzamento del fatto, che al momento previsto per la firma del rogito la parte promissaria acquirente aveva legittimamente rifiutato di stipularlo, nel difetto della documentazione comprovante la regolarità e la commerciabilità del cespite compromesso in vendita tra le parti. Non si configura quindi, nel caso di specie, alcuna violazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c.
Con il quinto motivo, il ricorrente denunzia la violazione dell’art. 1385 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe dovuto ravvisare l’inadempimento della COGNOME.
La censura, sviluppata in soli quattro righi (cfr. pag. 10 del ricorso), è inammissibile perché la stessa è formulata in modo assolutamente generico. Con essa, infatti, si deduce in modo apodittico che il giudice di merito avrebbe dovuto ritenere inadempiente la COGNOME, ma non si indica alcuna ragione per la quale la Corte distrettuale sarebbe dovuta pervenire, in ipotesi, a detta conclusione. Peraltro, sul punto, valgono le considerazioni già esposte in relazione ai precedenti motivi di impugnazione, poiché, come già detto, il giudice di seconde cure ha ritenuto che la COGNOME avesse legittimamente rifiutato di stipulare il definitivo poiché mancava, al momento previsto per il rogito, la documentazione comprovante la regolarità dell’immobile; circostanza, questa, che come detto lo stesso ricorrente riconosce, quando afferma che il Comune la aveva rilasciata solo due mesi dopo la notificazione dell’atto di citazione in prime cure, con il quale, comunque, lo stesso Matera aveva optato per la domanda di risoluzione del contratto.
Con il sesto ed ultimo motivo, infine, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 40 della legge n. 47 del 1985, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe dovuto considerare che la COGNOME, con la raccomandata del 15.2.2007 inviata al Matera, aveva dichiarato di essere ancora interessata a concludere il contratto di compravendita. Di conseguenza, l’atto definitivo avrebbe ben potuto essere concluso anche dopo la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di prime cure.
La doglianza è infondata.
Come già evidenziato in relazione al secondo, terzo e quarto motivo del ricorso, una volta proposta la domanda di risoluzione del contratto la parte non può più pretendere l’adempimento (secondo comma) né la parte inadempiente può adempiere (terzo comma). Si tratta dunque di
una scelta irrevocabile, che manifesta la volontà della parte attrice -nella specie, il Matera- di non portare a termine il progetto negoziale; a fronte di detta scelta, che non ammette resipiscenza, non assume alcun rilievo l’eventuale disponibilità dell’altra parte di adempiere.
Peraltro, la censura in esame appare anche inammissibile, nella parte in cui con essa si contesta, in sostanza, l’omesso esame di un documento, sia perché si configura, nel caso specifico, una ipotesi di cd. doppia conforme, con conseguente preclusione del diritto di sollevare il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., sia perché, in ogni caso, l’omesso esame denunziabile in sede di legittimità deve riguardare un fatto storico considerato nella sua oggettiva esistenza, ‘… dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo’ (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17761 del 08/09/2016, Rv. 641174; cfr. anche Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 2805 del 05/02/2011, Rv. 616733). Non sono quindi ‘fatti’ nel senso indicato dall’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, ed infine neppure le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 7.700, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda