Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10227 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10227 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/04/2025
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso iscritto al n. 5226/2020 R.G. proposto da: COGNOME NOME COGNOME DITTA INDIVIDUALE
DEMETRIO GRASSO
-ricorrenti- contro
COGNOME UGO
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 7359/2019 depositata il 28/11/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nel 2007 NOME COGNOME conveniva davanti al Tribunale di Viterbo, NOME COGNOME, NOME COGNOME, la RAGIONE_SOCIALE e la ditta individuale NOME COGNOME per la condanna alla restituzione del doppio della caparra confirmatoria versata in esecuzione di un contratto preliminare di compravendita, nonché al risarcimento del
danno. I beni oggetto del contratto consistevano nell’immobile denominato «INDIRIZZO», con le relative autorizzazioni per la gestione di un bar, ristorante e locanda, nonché la rivendita di tabacchi e il contratto di gestione di un distributore di carburante. Il prezzo della compravendita era stato pattuito in € 750.000 con il versamento immediato di € 40.000 a titolo di caparra confirmatoria e il saldo da corrispondere entro il 14/04/2007 alla stipula dell’atto pubblico. Consegnata dai convenuti la documentazione necessaria, attestante la titolarità degli immobili, delle licenze e dei contratti aziendali. Secondo l’attore emergeva che la particella n. 120, oggetto del trasferimento, risultava intestata alla RAGIONE_SOCIALE, titolare di un diritto di superficie che i promittenti venditori non erano riusciti a eliminare; che la gestione del distributore di carburante era affidata alla RAGIONE_SOCIALE, la quale aveva originariamente rinunciato al diritto di prelazione in favore dei convenuti, a condizione che questi ultimi sottoscrivessero un nuovo contratto di locazione, mai perfezionato; che la rivendita di tabacchi era stata concessa in gestione provvisoria a NOME COGNOME con provvedimento del 2005 e che, ai sensi dell’art. 31 l. n. 1293/1957, il trasferimento a terzi sarebbe stato possibile solo dopo il 02/11/2007. L’attore s osteneva, quindi, che tali inadempimenti rendevano impossibile la stipula del contratto definitivo e giustificavano l’esercizio del diritto di recesso, che era stato formalizzato con raccomandata del 27/04/2007. I convenuti contestavano le allegazioni dell ‘attore. In primo luogo, negavano che il termine del 15/04/2007 fosse essenziale per la stipula del definitivo, sostenendo che tale data fosse riferita esclusivamente al pagamento del saldo del prezzo. Affermavano, inoltre, che la somma versata dall’attore era stata imputata a differenti cespiti della compravendita e che l’accordo preliminare prevedeva obbligazioni autonome e distinte, non suscettibili di una valutazione unitaria ai fini dell’inadempimento. Sostenevano, inoltre, di aver agito con correttezza e buona fede, adottando tutte le misure
necessarie per rimuovere gli ostacoli alla stipula del definitivo. In via riconvenzionale, domandavano l’accertamento dell’illegittimità del recesso dell’attore e la condanna di quest’ultimo al risarcimento del danno per inadempimento, nella misura di € 40 .000. Nel 2012, il Tribunale di Viterbo accoglieva la domanda dell’attore, dichiarando l’inadempimento dei convenuti e la legittimità del recesso esercitato da Sannino. Il giudice di primo grado rilevava che il contratto preliminare aveva per oggetto un complesso unitario di beni e attività, il cui trasferimento sarebbe dovuto avvenire contestualmente alla stipula dell’atto definitivo. Riteneva che il termine del 15/04/2007 non fosse meramente dilatorio, ma essenziale per il promissario acquirente, il quale doveva ottenere la disponibilità del compendio per avviare l’attività commerciale. Rilevava, inoltre, che alla data fissata per la stipula i convenuti non avevano eliminato gli ostacoli alla vendita: la particella n. 120 risultava ancora intestata alla RAGIONE_SOCIALE la RAGIONE_SOCIALE manteneva un diritto di prelazione non ancora estinto nei termini previsti; la licenza tabacchi non poteva essere ceduta prima del 02/11/2007. Alla luce di tali elementi, il Tribunale condannava i convenuti, in solido, al pagamento in favore dell’attore della somma di € 80.000. Nel 2019 la Corte di appello di Roma confermava la decisione di primo grado.
Ricorrono in cassazione i convenuti con tre motivi, illustrati da memoria . Resiste l’attore con controricorso e memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., nonché la violazione dell’art. 112 c.p.c., per motivazione apparente e per omesso esame e omessa pronuncia sui motivi di appello. Si censura la Corte di appello per avere confermato la sentenza di primo grado mediante un mero richiamo alle relative argomentazioni, senza esaminare le specifiche censure sollevate con l’atto di appello, tra cui l’omessa e/o insufficiente e/o erronea interpretazione del contratto preliminare
del 14/12/2006 in violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. Si contesta che la motivazione della sentenza impugnata sia meramente apodittica nella parte in cui afferma l’essenzialità del termine per l’acquirente, senza fornire un’adeguata analisi delle risultanze istruttorie, trascurando che il contratto di locazione con la RAGIONE_SOCIALE era stato comunque sottoscritto venti giorni dopo la scadenza del termine e che non era stato provato in alcun modo che tale breve ritardo avesse compromesso l’utilità economica dell’operazione.
Parte della sentenza censurata dal primo motivo, sotto il profilo del carattere essenziale del termine, è la seguente: « Appare evidente come per il promittente acquirente fosse essenziale potere acquisire la proprietà entro il termine stabilito, dovendo esercitare le attività commerciali anzidette, previo versamento del rilevante prezzo di saldo, senza rischiare di perdere o compromettere l’avviamento commerciale ».
Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 1350 e 2643 c.c., nonché la violazione dell’art. 116 co. 2 c.p.c., per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto esistente un diritto di superficie in capo alla RAGIONE_SOCIALE sulla particella n. 120, basandosi esclusivamente su una visura catastale dalla quale risultava un accatastamento in categoria E3, tipica degli impianti di distribuzione carburanti. Si afferma che la costituzione di un diritto di superficie, secondo l’orientamento della giurisp rudenza di legittimità, richiede un atto scritto e la relativa trascrizione nei registri pubblici, mentre nella fattispecie la visura catastale non rappresentava un elemento idoneo a provare l’esistenza del diritto reale. Si contesta, inoltre, l’erroneo ap prezzamento della testimonianza del notaio, la cui deposizione, richiamata dal Tribunale a sostegno della decisione, non aveva valore di prova legale. Si rileva che, in sede di appello, erano stati allegati documenti attestanti l’insussistenza di un diritt o reale sulla particella n. 120, tra cui una visura camerale della RAGIONE_SOCIALE e una visura ipotecaria, elementi che la Corte di appello avrebbe
dovuto esaminare prima di ritenere provata l’esistenza del diritto di superficie.
La sentenza di appello, nella parte criticata dal secondo motivo di ricorso, afferma: « Si deve rilevare che, per emerge dalla documentazione prodotta dalla parte essa risulta intestata alla RAGIONE_SOCIALE Tale elemento comporta un inadempimento da parte dei convenuti i quali si erano impegnati alla vendita di tutti i loro beni liberi da ogni peso e, pertanto, la presenza del suddetto diritto reale in capo ad un terzo soggetto rende, di fatto, impossibile il suddetto trasferimento ». Inoltre, si legge: « Sul punto assume rilievo la testimonianza del notaio NOME COGNOME incaricato dall’attore alla stipula del contratto di compravendita oggetto di giudizio, il quale ha affermato che l’atto di precisazione catastale indicato dai convenuti non poteva valere, così come dimostrato dalla visura sopra indicata, a sanare sotto il profilo formale l’attribuzione del bene (particella 120) in capo ai convenuti, in quanto essa non era stata trascritta, con la conseguenza che non era possibile trasferire la piena e libera proprietà di tale bene ».
Il terzo motivo denuncia l’omesso esame di fatti decisivi ed elementi istruttori che li rappresentano, con particolare riferimento alle circostanze emerse in primo grado circa la stipula del contratto di locazione tra i promittenti venditori e la RAGIONE_SOCIALE Si evidenzia che la conclusione di tale contratto era stata inizialmente fissata per il 25/01/2007, ma rinviata su richiesta dello stesso COGNOME per apportarvi modifiche, come confermato dalla testimonianza dell’amministratrice della RAGIONE_SOCIALE e dallo stesso promissario acquirente nel suo interrogatorio formale. Si rileva, inoltre, che tra il 23 e il 27 marzo 2007 vi era stata una corrispondenza tra le parti finalizzata alla ridefinizione del contratto e che il 05/04/2007 si era tenuto un incontro tra COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE, in cui erano state concordate le modifiche richieste dallo stesso COGNOME. Si deduce che la Corte di appello, trascurando questi elementi, avrebbe
erroneamente qualificato come essenziale il termine del 15/04/2007. Ulteriori elementi omessi riguardano la deliberazione del mutuo a favore di Sannino in data 17/04/2007, la cui concessione dimostrava che l’operazione immobiliare era ancora in corso, e il fatto che Sannino, nei primi giorni di aprile 2007, avesse proposto a COGNOME di assumere la gestione dell’intera azienda sino a dicembre dello stesso anno, confermando così la sua volontà di proseguire la trattativa oltre il termine fissato nel contratto preliminare.
3. -La parte controricorrente eccepisce che il ricorso è inammissibile per la mancata proposizione del ricorso per cassazione da parte della RAGIONE_SOCIALE, società promittente venditrice delle licenze commerciali, la cui mancata impugnazione della sentenza di appello ha determinato il passaggio in giudicato della decisione nei suoi confronti. Si richiama la giurisprudenza secondo cui i soci della società estinta subentrano nella legittimazione processuale dell’ente estinto. Poiché gli ex soci non hanno impugnato la sentenza, si afferma che il contratto preliminare deve considerarsi definitivamente risolto nei confronti della RAGIONE_SOCIALE con conseguente inscindibilità del sinallagma contrattuale e inammissibilità del ricorso.
In relazione a ciò, nel ricorso si afferma che la RAGIONE_SOCIALE è «cessata» il 30/01/2017, mentre nella memoria i ricorrenti affermano di essere i due unici soci della società, senza allegare documentazione né della prima, né della seconda affermazione.
In relazione a ciò questo Collegio reputa necessario assegnare alla parte ricorrente sessanta giorni dalla comunicazione della presente ordinanza per integrare il contraddittorio nei confronti della RAGIONE_SOCIALE oppure per documentare che la società è estinta e che gli attuali ricorrenti sono gli unici successori di quest’ultima . Pertanto, si dispone il rinvio a nuovo ruolo della trattazione del ricorso.
P.Q.M.
La Corte assegna alla parte ricorrente sessanta giorni dalla comunicazione della presente ordinanza per integrare il contraddittorio nei confronti della RAGIONE_SOCIALE oppure per documentare che la società è estinta e che gli attuali ricorrenti sono gli unici successori di quest’ultima; dispone il rinvio della trattazione del ricorso a nuovo ruolo.
Così deciso in Roma, il 05/03/2025.