Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19275 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19275 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 222-2021 proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO , rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME , rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1458/2020 della CORTE DI APPELLO di CATANIA, depositata il 05/08/2020;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 28.4.2009 COGNOME NOME e COGNOME NOME evocavano in giudizio COGNOME NOME innanzi il Tribunale di Modica, esponendo di aver acquistato dal convenuto un appartamento con annesso garage e che il predetto non aveva rispettato i tempi pattuiti per la consegna dei beni e la stipula del rogito di compravendita, e che il garage aveva un accesso difficoltoso e presentava vizi; invocavano dunque la condanna del convenuto predetto al risarcimento del danno derivante dall’inadempimento denunziato.
Si costituiva in giudizio il COGNOME, resistendo alla domanda.
Con sentenza n.271/2016 il Tribunale di Ragusa, al quale medio tempore era stato accorpato quello di Modica, rigettava la domanda degli attori, ritenendo non provato l’inadempimento contestato al convenuto.
Con la sentenza impugnata, n. 1458/2020, la Corte di Appello di Catania rigettava il gravame interposto dagli originari attori avverso la decisione di prima istanza, confermandola.
Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME NOME e COGNOME NOME, affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso COGNOME NOME.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1218 e 1223 c.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente affermato che le pattuizioni contenute nel rogito
definitivo di compravendita superano, e tolgono efficacia, a quelle previste dal precedente contratto preliminare, costituendo il primo l’unica fonte della disciplina del rapporto intersoggettivo.
La censura è infondata.
La Corte di Appello ha affermato che, ove le parti stipulino prima un contratto preliminare, e poi, in esecuzione di questo, un contratto definitivo, è a quest’ultimo che si deve far riferimento per individuare la disciplina del rapporto intersoggettivo nascente dalla compravendita, restando invece irrilevanti le pattuizioni contenute nel primo accordo, ove non riprodotte nel secondo.
A sostegno di tale statuizione, la Corte distrettuale ha richiamato espressamente l’insegnamento di questa Corte, secondo cui ‘Qualora le parti, dopo aver stipulato un contratto preliminare, concludano in seguito il contratto definitivo, quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto e non mera ripetizione del primo, in quanto il contratto preliminare resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che i contraenti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva. La presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova -la quale deve risultare da atto scritto, ove il contratto abbia ad oggetto beni immobilidi un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenute nel preliminare, sopravvivono, dovendo tale prova essere data da chi chieda l’adempimento di detto distinto accordo’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9063 del 05/06/2012, Rv. 622654; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7064 del 11/04/2016, Rv.
639679 e Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 30735 del 21/12/2017, Rv. 646612).
Nella fattispecie, tuttavia, è pacifico che il contratto preliminare di compravendita, stipulato il 7.12.2005, sia stato adempiuto mediante conclusione del rogito definitivo in data 27.3.2007 e che, contestualmente, le parti abbiano previsto, con separata scrittura, una serie di opere da ultimare entro il termine del 30.9.2007. La Corte distrettuale, dunque, ha errato nel non considerare che, proprio per effetto della conclusione, contestualmente al rogito di compravendita, di una pattuizione separata, le parti avevano inteso confermare l’obbligo del venditore di completare l’immobile, eseguendo le opere elencate in detta scrittura privata, entro una scadenza fissa, ed avrebbe dovuto verificare se il comportamento in concreto osservato dal venditore fosse, o meno, adempiente rispetto a tale specifica obbligazione, nel rispetto del criterio generale, pure affermato da questa Corte, secondo cui ‘il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 13533 del 30/10/2001, Rv. 549956; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20073 del 08/10/2004, Rv. 577642; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13674 del 13/06/2006, Rv. 589694, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1743 del 26/01/2007, Rv. 594931; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9351 del 19/04/2007, Rv. 598321; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15677 del 03/07/2009, Rv. 609003; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3373 del 12/02/2010, Rv. 611587; Cass. Sez. 1,
Sentenza n. 15659 del 15/07/2011, Rv. 618664; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 826 del 20/01/2015, Rv. 634361).
Ciò posto, la Corte di Appello ha comunque esaminato la domanda risarcitoria che era stata proposta dagli odierni ricorrenti, sia con riferimento alla mancata concessione del finanziamento richiesto dagli acquirenti per finalizzare l’operazione, al tasso sperato, che con riguardo all’impossibilità di ritrarre, dal bene compravenduto, un reddito da locazione. Sotto il primo profilo, la Corte di merito ha ritenuto che il contratto di mutuo ben avrebbe potuto essere concluso anche a prescindere dal completamento dell’immobile, ed ha quindi escluso la configurabilità del danno invocato dal COGNOME e dalla COGNOME, corrispondente alla differenza tra il tasso che essi avrebbero potuto avere se avessero ottenuto tempestivamente il finanziamento, e quello, maggiore, che essi avevano in concreto potuto conseguire, essendo rivolti all’istituto di credito molto tempo dopo la scadenza per la consegna dell’immobile e l’ultimazione dei lavori che era stata pattuita tra le parti (cfr . pag. 6 della sentenza impugnata). Sotto il secondo aspetto, invece, la Corte distrettuale ha considerato impossibile che gli odierni ricorrenti avessero potuto promettere ad un terzo il godimento dell’immobile di cui è causa, che essi erano consapevoli di non poter locare perché non ultimato, né ancora entrato nella loro disponibilità (cfr. pag. 7 della sentenza). In tal modo, la Corte territoriale ha esaminato la domanda risarcitoria proposta dal COGNOME e dalla COGNOME, escludendone la fondatezza per mancanza della relativa prova, ed in tal modo ha comunque esaminato la predetta domanda, rigettandola. A fronte di questa statuizione, non specificamente censurata dagli odierni ricorrenti e comunque fondata su un apprezzamento del fatto ed una valutazione delle risultanze istruttorie acquisite agli atti del giudizio di merito, che come tali sfuggono al sindacato di legittimità,
posto che il motivo di ricorso non può risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790), diviene irrilevante l’erronea affermazione della Corte di Appello, secondo cui il contenuto del contratto definitivo prevale sempre su quello del preliminare, anche quando -come nella specie- le parti abbiano inteso conservare l’efficacia di alcune pattuizioni contenute nel predetto preliminare, e non ancora adempiute dal promittente venditore, consacrandole in un accordo scritto a latere del rogito di compravendita. Una volta esclusa, infatti, la sussistenza di un danno risarcibile causalmente derivante dall’inadempimento contestato al promittente venditore, è superfluo condurre la valutazione -in astratto- sulla configurabilità, o meno, dell’inadempimento eccepito dal promissario acquirente.
Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano l’omesso esame di un fatto decisivo, perché la Corte distrettuale non avrebbe considerato che, contestualmente al rogito di compravendita, le parti avevano concluso separata scrittura, in pari data, con la quale avevano previsto l’obbligo del venditore di completare l’immobile, eseguendo una serie di opere ancora mancanti, entro la data del 30.9.2007.
La censura è infondata, in quanto la Corte di Appello richiama più volte, nel corso della motivazione della sentenza impugnata, la scrittura coeva al definitivo, che dunque tiene in considerazione. Non si configura, dunque, alcun vizio di omesso esame, la cui deduzione è comunque preclusa, poiché nel caso di specie si configura una ipotesi di cd. coppia conforme, avendo la Corte di Appello confermato la statuizione già assunta dal Tribunale.
Con il terzo motivo, infine, i ricorrenti denunziano la violazione o falsa applicazione degli artt. 1495, 2697 c.c. e 115 c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto della specifica domanda di vizi da loro proposta in relazione al garage annesso all’appartamento ed oggetto della compravendita di cui si discute. I ricorrenti lamentano, in particolare, che il Forgione non avrebbe mai eccepito la prescrizione della domanda, ma solo la decadenza dall’azione, e che dunque la Corte distrettuale avrebbe dovuto, sul punto, accogliere il loro gravame, avendo il Tribunale erroneamente ritenuto maturata la prescrizione.
La censura è inammissibile.
La Corte di Appello ha affermato che i vizi denunziati dagli odierni ricorrenti erano visibili, in quanto connessi alla dimensione ristretta dalla corsia di manovra a servizio del garage, ed ha quindi ritenuto non operante la garanzia. Ha infatti evidenziato che nella scrittura del 27.3.2007, coeva al rogito, non si faceva alcuna menzione di opere concernenti il garage ed ha ritenuto dunque che quest’ultimo fosse ultimato, alla data della stipula del contratto definitivo. Infine, ha precisato che, rispetto a tale data, gli odierni ricorrenti non avevano fornito la prova di aver tempestivamente denunziato i vizi oggetto della domanda, e che comunque erano trascorsi i termini previsti dagli artt. 1667 e 1669 c.c. per l’introduzione del giudizio, con conseguente prescrizione dell’azione.
La statuizione, che si fonda su un apprezzamento di fatto, è coerente con i dati normativi emergenti dagli artt. 1495, 1667 e 1669 c.c., poiché in assenza di prova della tempestiva denunzia del vizio, la garanzia prevista dalle predette disposizioni non opera. Gli odierni ricorrenti, nella censura in esame, non hanno peraltro specificamente contestato la ratio del rigetto della loro domanda, come sopra ricostruita, poiché non hanno indicato alcun elemento dal quale si
possa ricavare, diversamente da come opinato dal giudice di merito, la tempestiva denunzia dei vizi, ovvero la dimostrazione della loro natura occulta, evidentemente esclusa dalla Corte distrettuale.
La doglianza, dunque, difetta del richiesto grado di specificità, non si confronta in modo adeguato con la ratio della decisione, e finisce per risolversi nella contrapposizione, alla ricostruzione del fatto e delle prove prescelta dal giudice di merito, di una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014,
Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).
Né, per concludere, sussiste alcun profilo di apparenza, o manifesta illogicità, della motivazione della sentenza impugnata, la quale è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logicoargomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di quella controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 3.200, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali in ragione del 15%, iv, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda