Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26499 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 26499 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/10/2024
SENTENZA
OGGETTO:
azione ex art. 2932 c.c.
RG. NUMERO_DOCUMENTO/2021
P.U. 19-9-2024
sul ricorso n. 28087/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE liquidazione, P_IVA, in persona del legale rappresentante pro tempore,
NOME, c.f. CODICE_FISCALE,
NOME, c.f. CODICE_FISCALE,
COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE,
BASSO NOME, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, con domicilio digitale EMAIL
ricorrenti
contro
RAGIONE_SOCIALE , c.f. 0195464004023, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliati in Roma presso l’AVV_NOTAIO COGNOME nel suo studio in INDIRIZZO
contro
ricorrente
nonché contro
COGNOME IN PERSONA DEL CURATORE FALLIMENTARE
intimato avverso la sentenza n. 925/2021 della Corte d’Appello di Ancona, depositata il 4-8-2021,
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19-92024 dal consigliere NOME COGNOME, udito il Pubblico Ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso, udit o l’AVV_NOTAIO per la controricorrente
FATTI DI CAUSA
1.Con sentenza n. 925/2021 depositata il 4-8-2021 la Corte d’appello di Ancona ha integralmente rigettato l’appello propost o da RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, NOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, nella contumacia del fallimento di NOME COGNOME, avverso la sentenza del Tribunale di Macerata depositata il 31-12-2015; la sentenza di primo grado aveva accolto la domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE e le aveva trasferito ex art. 2932 cod. civ. il complesso aziendale denominato RAGIONE_SOCIALE, condannando la convenuta RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e gli eredi di NOME COGNOME a rifondere le spese di lite.
Con riguardo alla censura relativa al fatto che il trasferimento dell’azienda era già avvenuto il 20 -4-1998 e ciò comportava la cessazione della materia del contendere, la Corte d’appello ha rilevato che, a seguito della sentenza 1-6-2012 n. 8860 della Cassazione, era risultata confermata la sentenza della Corte d’appello di Ancona che aveva dichiarato l’inefficacia nei confronti di GI.COGNOME. del contratto di cessione d’azienda, per cui tale cessione non comportava la cessazione della materia del contendere né il venire meno dell’interesse di RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE alla pronuncia ex art. 2932 cod. civ. Con riguardo al fatto che il corrispettivo residuo non era stato oggetto di offerta formale, ha dichiarato che l’offerta era stata implicitamente eseguita con la proposizione della domanda, applicandosi il principio posto da Cass. 14372/2018, secondo cui il pagamento del prezzo doveva essere imposto come condizione per il verificarsi dell’effetto traslativo derivante dalla pronuncia del giudice; ha aggiunto che la circostanza che vi fossero ratei non ancora venuti a scadenza (ai quali si applicava lo stesso principio) era superata dalla loro scadenza nel corso del giudizio e in ogni caso la dilazione era a favore del promissario acquirente. Con riguardo al fatto che i pagamenti, al di fuori dell’importo di Euro 453.000,00 , erano stati eseguiti al COGNOME, nonostante la promissaria acquirente fosse consapevole che lo stesso non era legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, ha dichiarato che la richiesta di nomina di un curatore speciale per la società promittente venditrice da parte della società promissaria acquirente si collocava al momento della proposizione della domanda il 7-5-1996, ma i pagamenti erano avvenuti a favore di COGNOME il 20-4-1998 e poco prima il 31-3-1998 il Tribunale di Fermo aveva dichiarato lo scioglimento di GI.DI.CI., per cui a quell’epoca COGNOME era per statuto il liquidatore della società e quindi apparentemente destinato e legittimato a ricevere i pagamenti, avvenuti con assegni circolari non trasferibili intestati alla società; gli altri pagamenti erano precedenti alla richiesta di nomina del curatore speciale. Con riguardo al fatto che NOME COGNOME aveva rinunciato all’eredità del socio NOME COGNOME, la sentenza di primo grado aveva condannato alla rifusione delle spese di lite gli eredi COGNOME , nell’epigrafe della sentenza NOME COGNOME era stata distinta dagli eredi NOME e quindi la condanna non poteva essere considerata estesa anche a lei.
2.Avverso la sentenza RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, NOME, NOME COGNOME ed NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
E’ rimasta intimata l a curatela fallimentare di NOME COGNOME, alla quale la notifica è stata eseguita a mezzo pec al curatore fallimentale NOME AVV_NOTAIO con consegna del messaggio il 28-102021.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione per la pubblica udienza del 19-9-2024 e nei termini di cui all’art. 378 cod. proc. civ. il Pubblico Ministero ha depositato memoria con le sue conclusioni e ha depositato memoria illustrativa il controricorrente.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Il primo motivo è intitolato ‘ violazione di legge in relazione all’art. 1351 c.c., 2932 c.c. ed art. 100 c.p.c. anche con richiamo alla sentenza della Corte di Cassazione del 23 ottobre 2020 n. 23307 (circa l’assorbimento del contratto preliminare nel contratto definitivo), in relazi one all’art. 360 n. 3 c.p.c., atteso che la Corte di merito aveva illegittimamente riconosciuto la sussistenza dell’interesse ad agire in capo alla RAGIONE_SOCIALE all’esecuzione specifica dell’obbligo a contrarre ex art. 2932 c.c. del preliminare intervenuto tra le parti nel 1995, nonostante le medesime parti avessero poi concluso -con espresso richiamo al preliminare stessoil contratto definitivo’. La ricorrente lamenta che la sentenza non abbia ritenuto il venire meno dell’interesse di RAGIONE_SOCIALE e la cessazione della materia del contendere, a seguito della stipula del contratto definitivo avvenuta il 20-4-1998 a fronte del preliminare concluso il 22-3-1995, evidenziando come la stipula del contratto definitivo esaurisca la funzione del preliminare, assumendo ruolo assorbente nel contesto dell’operazione contrattuale.
1.1.Il motivo è inammissibile, perché non coglie la ratio della pronuncia impugnata.
La sentenza impugnata ha espressamente rigettato il relativo motivo di appello, evidenziando che la sentenza n.8860/2012 della Cassazione aveva rigettato il ricorso avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona che aveva dichiarato l’inefficacia nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE del contratto di cessione di azienda; sulla base di questo dato ha escluso la cessazione della materia del contendere e il venire meno dell’interesse della società promissaria acquirente a ottenere la pronuncia ex art. 2932 cod. civ. Quindi, l’affermazione dei ricorrenti secondo la quale la cessione di azienda era già avvenuta non trova fondamento nella sentenza impugnata, che ha accertato essere passata in giudicato la pronuncia che aveva escluso l’efficacia della cessione nei confronti della promittente venditrice RAGIONE_SOCIALE e per questo ha ritenuto l’interesse della promissaria acquirente a ottenere il trasferimento ex art. 2932 cod. civ. A fronte di tale accertamento, non è pertinente il principio richiamato dai ricorrenti perché, per ritenere che, dopo la stipulazione del contratto definitivo, il contratto preliminare resti superato dal contratto definitivo, è evidentemente necessario che il contratto definitivo sia efficace per le parti che hanno concluso il contratto preliminare. Infatti, è già stato posto anche il principio secondo il quale, in caso di dichiarazione di nullità o di annullamento del contratto definitivo, l’efficacia retroattiva del le pronunce determina la reviviscenza del contratto preliminare e delle obbl igazioni che le parti con quest’ultimo abbiano assunto, per cui è esperibile l’azione di esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre assunto con la stipulazione del contratto preliminare (Cass. Sez. 2 112-1998 n. 1395 Rv. 512483-01).
2.Il secondo motivo è intitolato ‘ violazione di legge in riferimento agli articoli 2697 c.c., 2932 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.,
atteso che la Corte di merito di Ancona riteneva illegittimamente che la RAGIONE_SOCIALE (attrice nel giudizio) non fosse tenuta all’assolvimento dell’onere della prova circa l’esatto adempimento (pagamento integrale del corrispettivo) o che, comunque, dovevasi ritenere aver assolto a tale obbligo perché le rate del pagamento previste nel preliminare maturavano la scadenza nel corso del giudizio’. La ricorrente lamenta che la sentenza impugnata abbia ritenuto l’ammissibilità della domanda ex art. 2932 cod. civ. ritenendo provato l’adempimento della controprestazione relativa al pagamento del corrispettivo, limitandosi a dedurre che vi era stata l’offerta nell’atto introduttivo del giudizio e che il pagamento rateale era stato convenuto nell’interesse della promissaria acquirente, nonostante la stessa non avesse assolto all’onere della prova su di essa gravante.
2.1.Il motivo è inammissibile.
Non è configurabile la violazione dell’art. 2697 cod. civ. lamentata, che è deducibile quale vizio ex art. 360 co.1 n.3 cod. proc. civ. soltanto nel caso in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne era onerata e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, sindacabile entro i limiti dell’art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ. (Cass. Sez. 3 17-6-2013 n. 15107 Rv. 626907-01, Cass. Sez. 3 29-5-2018 n. 13395 Rv. 649038-01, Cass. Sez. 6-3 31-8-2020 n. 18092 Rv. 658840-01). Nella fattispecie non si pone questione di erronea attribuzione dell’onere della prova, perché la sentenza non ha neppure affrontato la questione, ma ha rigettato il motivo di appello con il quale era stata lamentata la mancata offerta del corrispettivo residuo; nel rigettare tale motivo, la sentenza ha richiamato il principio posto da Cass. Sez. 2 5-6-2018 n. 14372 (Rv. 648974-03), corretto e al quale si deve dare continuità, secondo il quale se le parti di un preliminare hanno convenuto che il pagamento del prezzo debba
essere effettuato alla stipulazione del definitivo, il requisito dell’offerta di cui all’art. 2932 co.2 cod. civ. è da ritenersi soddisfatto con la proposizione della domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre, perché in essa necessariamente implicito; in tale ipotesi deve essere emessa la sentenza produttrice degli effetti del contratto non concluso e il pagamento del prezzo va imposto come condizione per il verificarsi dell’effetto traslativo derivante dalla pronuncia del giudice. Nessuna delle deduzioni svolte dai ricorrenti nel motivo è finalizzata a sostenere che la sentenza abbia fatto erronea applicazione di questo principio e quindi non possono essere esaminate in questa sede ulteriori questioni; nella ricostruzione in fatto dello svolgimento del processo i ricorrenti sostengono che erroneamente il giudice di primo grado avesse ritenuto che i pagamenti di tutti gli importi dovuti fosse avvenuto nel corso del giudizio di primo grado ma, non essendo tali deduzioni veicolate attraverso motivo di ricorso ammissibile, non si configurano questioni che possano essere esaminate in questa sede.
3.Con il terzo motivo i ricorrenti deducono ‘ violazione di legge con riferimento all’art. 132 co.2 n. 4 in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.; la Corte di merito di Ancona non ha reso percepibili, in alcun modo, le ragioni della statuizione riguardo lo status dell’accertamento del COGNOME NOME come legittimo destinatario dei pagamenti dei corrispettivi previsti nel preliminare di vendita, sul punto limitandosi a richiamare una sentenza del Tribunale di Fermo del 31/03/1998 riguardo la pronuncia di scioglimento della società RAGIONE_SOCIALE che di conseguenza risultava amministrata dal liquidatore socio accomandatario COGNOME da tempo peraltro escluso dalla compagine sociale e revocato dall’amministrazione incontestabilmente’. Sostengono che la sentenza abbia solo apparentemente motivato, in modo incomprensibile, sulle circostanze.
3.1.Il motivo è infondato.
E’ acquisito il principio secondo il quale, sulla base dell’attuale formulazione dell’art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ., non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost. e nel processo civile dall’art. 132 co.2 n. 4 cod. proc. civ. e il sindacato di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica del rispetto del minimo costituzionale; tale obbligo è violato, concretandosi nullità processuale deducibile ex art. 360 co. 1 n.4 cod. proc. civ., qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, o viziata da manifesta e irriducibile contraddittorietà o sia perplessa e incomprensibile, purché il vizio risulti dallo stesso testo della sentenza, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; al di fuori di tali ipotesi il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un fatto storico, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia decisivo ai fini di una diversa ricostruzione della controversia (Cass. Sez. U 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629830-01, Cass. Sez. 3 12-10-2017 n. 23940 Rv. 645828-01, Cass. Sez. 6-3 25-9-2018 n. 22598 Rv. 650880-01). In particolare, la motivazione è apparente quando, benché graficamente esistente, non renda percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a fare conoscere il ragionamento eseguito dal giudice per la formazione del suo convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie e ipotetiche congetture (Cass. Sez. 6-1 1-3-2022 n. 6758 Rv. 66406101, Cass. Sez. U 30-1-2023 n. 2767, in motivazione a pag.10 e precedenti ivi richiamati).
Nella fattispecie la pronuncia censurata non è affetta dal vizio lamentato, perché la Corte d’appello, decidendo sui motivi di appello relativi ai pagamenti eseguiti a COGNOME, ha evidenziato che i
pagamenti erano stati eseguiti il 20-4-1998 e il Tribunale di Fermo il 31-3-1998 aveva dichiarato lo scioglimento della società e quindi all’epoca dei pagamenti COGNOME era per statuto liquidatore della società e per questo appariva legittimato alla riscossione, avvenuta per di più con assegni circolari non trasferibili intestati a GICOGNOME. Con questo contenuto la sentenza ha chiaramente esplicitato il concetto secondo il quale COGNOME, alla data dei pagamenti, aveva la qualifica di liquidatore, in forza della quale appariva legittimato a ricevere i pagamenti; evidenziando altresì che i pagamenti erano avvenuti con assegni circolari non trasferibili intestati a NOMECOGNOME, ha esplicitato il concetto che i pagamenti erano stati ricevuti dalla società. In questo modo, senza necessità di congetture da parte dell’interprete, la sentenza ha esposto il ragionamento in forza del quale ha ritenuto efficaci i pagamenti eseguiti a mani di NOME COGNOME, sia in quanto lo stesso era liquidatore della società al momento dei pagamenti e perciò appariva legittimato a ricevere i pagamenti, sia in quanto i pagamenti erano stati eseguiti con modalità tali -assegni circolari non trasferibili intestati a COGNOME– da garantirne il ricevimento da parte della società. Le affermazioni dei ricorrenti, in ordine al fatto che COGNOME era già stato escluso dalla società, non sono utili a fare emergere il vizio lamentato, in quanto si tratta di circostanze delle quali la sentenza non dà atto, mentre il vizio di motivazione sussiste se emerge dal contenuto della sentenza, a prescindere dal confronto con le altre risultanze processuali. Per di più, e in via assorbente rispetto a ogni altra questione, si tratta di circostanze irrilevanti, a fronte dell’accertamento pure eseguito dalla sentenza impugnata in ordine al fatto che il pagamento era stato ricevuto dalla società in quanto eseguito con assegni circolari intestati alla società e non trasferibili.
4.Con il quarto motivo i ricorrenti deducono ‘ violazione di legge in relazione all’art. 132 comma 2 n. 4, in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.,
perché la Corte di merito di Ancona, parimenti al precedente motivo, non rendeva assolutamente percepibili le ragioni di fatto e di diritto della decisione, limitandosi a dire di aver constatato che nella sentenza del Tribunale di Macerata il giudice aveva distinto (?) la posizione di COGNOME NOME da quella degli eredi del NOME; i ricorrenti sostengono l’assoluta incomprensibilità della motivazione con la quale è stato rigettato l’appello di NOME COGNOME, evidenziando che nella precedente sentenza non definitiva la stessa Corte d’appello aveva dichiarato la carenza di legittimazione della stessa.
4.1.Il motivo è infondato.
Richiamato quanto sopra esposto in ordine al vizio di motivazione che determina nullità della sentenza, si osserva come la motivazione sia rispettosa del minimo costituzionale, in quanto comprensibile e coerente. Infatti la sentenza impugnata, esaminando il punto f), riferito al fatto che NOME COGNOME aveva rinunciato all’eredità di NOME, ha considerato che la sentenza di primo grado aveva condannato NOME COGNOME e gli ‘eredi NOME alla rifusione delle spese di lite, evidenziando c he nell’epigrafe della sentenza erano stati indicati distintamente gli eredi NOME ed NOME COGNOME, per cui la condanna alla rifusione delle spese di lite non era stata pronunciata a carico di NOME COGNOME, anche se nella parte motiva della sentenza nulla si era detto sul punto. In questo modo la sentenza impugnata, interpretando il contenuto della sentenza di primo grado e valorizzando il dato che nell’epigrafe erano stati distinti gli eredi NOME da NOME COGNOME, ha escluso che la condanna alla rifusione delle spese di primo grado fosse stata pronunciata anche a carico di NOME COGNOME. Non risulta dal contenuto della sentenza che il motivo di appello di cui al punto f) richiedesse una ulteriore e diversa disamina, tale da ritenere che la motivazione sia stata mancante e, al contrario, gli stessi ricorrenti dichiarano che la precedente sentenza
non definitiva aveva già dichiarato la carenza di legittimazione passiva di NOME COGNOME.
5.In conclusione il ricorso è interamente rigettato e, in applicazione del principio della soccombenza, i ricorrenti devono essere condannati alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, in dispositivo liquidate.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti alla rifusione a favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 6.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione