Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18878 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 18878 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/07/2024
SENTENZA
sul ricorso 13354-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO
27, nello studio dell’AVV_NOTAIO che la rappresenta e difende unitamente all’AVV_NOTAIO
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2985/2020 della CORTE DI APPELLO di VENEZIA, depositata il 18/11/2020;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME;
udito il P.G., nella persona della AVV_NOTAIO. NOME COGNOME uditi i difensori delle parti
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato l’11.11.2011 RAGIONE_SOCIALE evocava in giudizio RAGIONE_SOCIALE innanzi il Tribunale di Vicenza, chiedendo accertarsi la nullità del contratto preliminare di compravendita avente ad oggetto una quota di comproprietà alberghiera con affitto garantito, stipulato tra le parti in data 26.4.2004, ovvero la sua risoluzione per inadempimento della convenuta, promittente venditrice, nonché l’accertamento del diritto dell’attrice alla ripetizione del corrispettivo versato ed al risarcimento del danno.
Si costituiva RAGIONE_SOCIALE, chiedendo il rigetto della domanda ed invocando, in via riconvenzionale, l’emissione di sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. in relazione al preliminare di compravendita della quota di comproprietà alberghiera, nonché l’accertamento dell’eccessiva onerosità sopravvenuta del diverso accordo, concluso contestualmente al preliminare, in virtù del quale RAGIONE_SOCIALE si era obbligata, a fronte della rinuncia preventiva, da parte di RAGIONE_SOCIALE, ad utilizzare i diritti di godimento nascenti dalla quota di comproprietà di cui è causa, a versare alla società attrice la somma annuale di € 9.645 oltre iva per le tre suites oggetto dell’accordo intervenuto tra le parti, e la conseguente condanna di RAGIONE_SOCIALE alla restituzione delle
somme percepite ed al pagamento di una indennità corrispondente al godimento anticipato delle suites di cui anzidetto.
Con sentenza n. 419/2018 il Tribunale rigettava le domande proposte da parte attrice, accoglieva invece la riconvenzionale ex art. 2932 c.c. e determinava in € 7.416 la somma dovuta a fronte della rinuncia al godimento dei beni oggetto di causa per gli anni dal 2009 al 2011.
Con la sentenza impugnata, n. 2985/2020, la Corte di Appello di Venezia rigettava il gravame proposto dalla odierna ricorrente avverso la decisione di prime cure, confermandola.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a cinque motivi.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
In prossimità dell’udienza pubblica , ambo le parti hanno depositato memoria ed il P.G. ha depositato note scritte.
Sono comparsi all’udienza pubblica il AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso, l’AVV_NOTAIO, per la parte ricorrente, che ha insistito per l’accoglimento, nonché l’AVV_NOTAIO, in sostituzione degli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, per la parte controricorrente, la quale ha invocato il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione degli artt. 112, 113 c.p.c., 1325, 1346, 1362, 1363, 1370 c.c. e 3 del D. Lgs. n. 427 del 1988, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe ravvisato la nullità del contratto preliminare oggetto di causa per indeterminatezza del suo oggetto. Mancherebbe infatti, ad avviso della società ricorrente, la previsione, nel predetto accordo, della quota millesimale oggetto della promessa di vendita delle tre suites .
La censura è infondata.
La Corte di Appello ha ritenuto che ‘… l’oggetto del contratto preliminare era ben determinato, sia nel testo negoziale, dalla scheda dati, sia dal regolamento che la RAGIONE_SOCIALE, sottoscrivendo il contratto, dava atto di aver ricevuto (all.3); in ogni caso, l’oggetto del contratto risultava determinato o determinabile, laddove si faceva riferimento alle suites dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE 501, 502, 503 e ai periodi di settimane di godimento della multiprpoprietà, nonché alla quota di proprietà di 1,04 millesimi -e ciò in ossequio al principio stabilito da Cass. 2018/6750 in tema di multiproprietà immobiliare’ (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata).
La statuizione è fondata sul principio, enunciato da questa Corte sia nel precedente richiamato dal giudice di merito che in altra pronuncia più risalente, secondo cui ‘ L’istituto della multiproprietà immobiliare, che si caratterizza per il diritto di godimento turnario di un medesimo bene da parte di una pluralità di soggetti, richiede che sia in concreto individuata la quota di ciascun comproprietario, come effettiva entità della partecipazione al godimento dell’alloggio; pertanto, il preliminare avente ad oggetto una quota di multiproprietà, dovendo contenere tutti gli elementi essenziali del futuro contratto definitivo, deve recare l’indicazione della quota nella sua effettiva misura o, comunque, i criteri per la sua determinazione millesimale, incidendo tali elementi sulla determinatezza o determinabilità dell’oggetto del contratto ex art. 1346 c.c., e non risultando sufficiente all’uopo l’indicazione del solo periodo di godimento dell’immobile riservato al promissario acquirente’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. del 19/03/2018, Rv. 647857; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. del 16/03/2010, Rv. 611856). Tale principio, che merita di essere ribadito, non è contraddetto dalla recente pronuncia con la quale questa Corte, esaminando proprio una fattispecie avente ad oggetto un contratto preliminare di compravendita di quote di
multiproprietà dell’RAGIONE_SOCIALE, ha affermato che ‘ Affinché un contratto preliminare di compravendita di multiproprietà o di godimento turnario di immobile soddisfi i requisiti minimi di determinatezza o determinabilità dell’oggetto, non è sufficiente l’osservanza dell’art. 1346 c.c., essendo piuttosto necessario che ad essa si accompagni il rispetto delle disposizioni normative di cui agli artt. 2, 3 e 4 del D. Lgs. n. 427 del 1998, ove applicabili ratione temporis’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. del 25/10/2023 Rv. 669303). Detta pronuncia, infatti, ha riguardato un preliminare di compravendita di quota di multiproprietà stipulato da un acquirente persona fisica, al quale -di conseguenza -si applica la disciplina speciale prevista dal D. lgs. n. 427 del 1998, la quale invece non è utilmente invocabile nel caso di specie, posto che RAGIONE_SOCIALE è società RAGIONE_SOCIALE. Giova, sul punto, evidenziare che l’art. 1 del D. Lgs. n. 427 del 1998, appena richiamato, prevede espressamente che ‘Ai fini del presente decreto si intende per: -omissis -c) “acquirente”: la persona fisica, che non agisce nell’ambito della sua attività professionale, in favore della quale si costituisce, si trasferisce o si promette di costituire o di trasferire il diritto oggetto del contratto’ . Qualora dunque, come nel caso di specie, il soggetto acquirente non sia una persona fisica, ma una società di RAGIONE_SOCIALE, non è applicabile al rapporto negoziale la disciplina speciale. Il profilo della determinazione, o determinabilità, dell’oggetto del contratto, quindi, va risolta sulla base delle disposizioni generali del codice civile, che, nel caso specifico, la Corte di Appello ha applicato.
Il giudice di merito, infatti, ha ritenuto che il contratto preliminare, costituito da un modulo e da una scheda dati ad esso allegata, consentisse l’identificazione del suo oggetto, in quanto in esso ‘… si faceva riferimento alle suites dell’RAGIONE_SOCIALE 501, 502, 503 e ai periodi di settimane di godimento della multiproprietà,
nonché alla quota di proprietà di 1,04 millesimi …’ (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata).
Con il secondo motivo, la società ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115, 116 c.p.c., 1418 c.c., 2, 5 e 6 del D. Lgs. n. 427 del 1998, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe considerato che la parte promittente venditrice non aveva consegnato al promissario acquirente la documentazione informativa concernente il diritto di multiproprietà oggetto del contratto preliminare di cui è causa.
Con il terzo motivo, la parte ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 115, 116 c.p.c., 2697 e 2702 c.c., nonché la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente escluso l’applicabilità alla fattispecie degli artt. 5 e 6 del D. Lgs. n. 427 del 1998, che disciplinano l’esercizio del diritto di recesso della parte acquirente in relazione al contratto di acquisto di un diritto di multiproprietà. Ad avviso della parte ricorrente, il giudice del gravame avrebbe erroneamente interpretato le risultanze documentali, non attribuendo rilevanza al pagamento dell’acconto, da parte di RAGIONE_SOCIALE ed alla circostanza che detto spostamento patrimoniale era confermato da un estratto conto e dalla scrittura privata del 4.5.2004, proAVV_NOTAIOi in atti del giudizio.
Le due censure sono infondate.
L’obbligo di consegna della documentazione informativa concernente il diritto oggetto del contratto, la natura e le condizioni di esercizio di esso previste nello Stato in cui è situato l’immobile, i dati del venditore, la descrizione ed ubicazione dell’immobile, con indicazione della relativa concessione edilizia e dei titoli autorizzativi che ne regolano la destinazione a scopo turistico -ricettivo, la precisazione della data in cui lo stesso, se in
costruzione, sarà completato e idoneo allo scopo, il suo allaccio alle reti elettrica, idrica e del gas, la garanzia del rimborso dei pagamenti eseguiti nel caso di mancato completamento del bene, i servizi e le strutture comuni ai quali l’acquirente avrà accesso, con le relative condizioni di utilizzazione, riparazione e manutenzione, con la stima delle spese relative, incluse tasse ed oneri, nonché le modalità di esercizio del diritto di recesso dal contratto e delle relative conseguenze, previsti dall’art. 2, primo comma, lettere da a) ad i) comprese, del D. Lgs. n. 427 del 1998, non si applicano infatti alla fattispecie.
Del pari inapplicabili alla fattispecie sono le altre disposizioni previste dalla normativa speciale, la cui violazione viene invocata nel secondo e terzo motivo in esame.
Con il quarto motivo, la società ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115, 116 c.p.c., 1350, 1351, 1418 c.c. e 3 del D. Lgs. n. 427 del 1998, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe ravvisato la nullità del contratto preliminare oggetto di causa per difetto della forma scritta, prevista ad substantiam per i contratti aventi ad oggetto diritti su beni immobili. Ad avviso della parte ricorrente, il contratto proAVV_NOTAIOo in atti, ancorché predisposto da RAGIONE_SOCIALE, mancherebbe della firma del legale rappresentante di quest’ultime, e tale carenza non potrebbe essere sanata dalla ricezione del telegramma del 31.5.2004, con il quale la proposta negoziale sarebbe stata accettata dalla società promittente venditrice, essendo stata contestata la ricezione della predetta comunicazione.
La censura è infondata.
Come evidenziato anche dalla parte controricorrente, l’art. 8 delle condizioni di contratto prevedeva espressamente che la proposta contrattuale potesse essere accettata mediante telegramma, che RAGIONE_SOCIALE ha inviato a RAGIONE_SOCIALE
S.RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE in data 31.5.2004. RAGIONE_SOCIALE ha contestato di aver mai ricevuto detto telegramma, ma tale deduzione non tiene conto, da un lato, del decisivo fatto che il contratto ha avuto comunque esecuzione, posto che l’odierna ricorrente ha potuto godere delle suites oggetto del preliminare di cui è causa, attraverso la percezione del corrispettivo pattuito, nella scrittura a latere del preliminare, per la loro messa a disposizione di RAGIONE_SOCIALE Peraltro, va anche ribadito il principio secondo cui ‘ La produzione in giudizio di un telegramma, o di una lettera raccomandata, anche in mancanza dell’avviso di ricevimento, costituisce prova certa della spedizione, attestata dall’ufficio postale attraverso la relativa ricevuta, dalla quale consegue la presunzione dell’arrivo dell’atto al destinatario e della sua conoscenza ai sensi dell’art. 1335 c.c., fondata sulle univoche e concludenti circostanze della suddetta spedizione e sull’ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico’ (Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. del 11/01/2019, Rv. 652130; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. del 19/08/2016, Rv. 641040). Spettava, quindi, a RAGIONE_SOCIALE, destinataria del telegramma di cui si discute, l’onere di dimostrare di essersi trovata, senza colpa, nell’impossibilità di acquisire la conoscenza dell’atto, e nella specie tale prova non emerge, né dalla sentenza, né dalla censura in esame, nella quale la parte ricorrente non indica alcun elemento che la Corte di merito non avrebbe valutato, o avrebbe erroneamente considerato, ma si limita a sostenere che, a seguito della contestazione della ricezione del telegramma, sarebbe spettata a RAGIONE_SOCIALE la prova della relativa circostanza, in tal modo non confrontandosi con il principio appena richiamato.
Con il quinto ed ultimo motivo, la parte ricorrente denunzia la violazione o falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115, 116 c.p.c., 1322, 1325, 1453 e 1455 c.c., in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte distrettuale non avrebbe ravvisato l’esistenza di un collegamento negoziale tra il contratto preliminare di compravendita ed il contestuale accordo avente ad oggetto la rendita garantita, escludendo in tal modo la rilevanza dell’inadempimento ad una delle predette pattuizioni in riferimento alla complessa operazione negoziale progettata dalle parti.
La censura è inammissibile.
La Corte di Appello ha escluso l’esistenza di un collegamento negoziale tra i due contratti sottoscritti tra le parti, valorizzando da un lato la diversa durata dei due accordi e, dall’altro lato, il fatto che il preliminare richiamasse una serie di allegati, tra i quali non era inclusa la scrittura concernente l’affitto dei diritti di godimento di cui è causa. Tali profili non risultano specificamente contestati da parte ricorrente, la quale si limita ad affermare che le due pattuizioni (preliminare di compravendita e scrittura a latere ) costituivano elementi di una operazione unitaria, poiché RAGIONE_SOCIALE non si sarebbe mai determinata all’acquisto, in assenza di una garanzia di remunerazione dell’investimento.
Sul punto, va ribadito che ‘ Nel caso di negozi collegati, il collegamento deve ritenersi meramente occasionale quando le singole dichiarazioni, strutturalmente e funzionalmente autonome, siano solo casualmente riunite, mantenendo l’individualità propria di ciascun tipo negoziale in cui esse si inquadrano, sicché la loro unione non influenza la disciplina dei singoli negozi in cui si sostanziano; il collegamento è, invece, funzionale quando i diversi e distinti negozi, cui le parti diano vita nell’esercizio della loro autonomia negoziale, pur conservando l’individualità propria di ciascun tipo, vengono tuttavia concepiti e voluti come avvinti teleologicamente da un nesso di reciproca interdipendenza, per cui le vicende dell’uno debbano ripercuotersi sull’altro, condizionandone la validità e l’efficacia. Ai fini della qualificazione giuridica della situazione negoziale, per accertare l’esistenza,
l’entità, la natura le modalità e le conseguenze di un collegamento funzionale tra negozi realizzato dalle parti occorre un accertamento del giudice di merito che passi attraverso l’interpretazione della volontà contrattuale e che, se conAVV_NOTAIOo nel rispetto dei criteri di logica ermeneutica e di corretto apprezzamento delle risultanze di fatto, si sottrae al sindacato di legittimità’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. del 27/03/2007, Rv. 596068).
Va infatti considerato che ‘ Il collegamento cd. funzionale fra negozi postula un accertamento riservato al giudice di merito e incensurabile in sede di legittimità sempreché sia conAVV_NOTAIOo nel rispetto dei criteri di logica ermeneutica e di corretto apprezzamento delle risultanze di fatto, quindi considerando la volontà dichiarata dalle parti alla stregua degli interessi dalle stesse perseguiti nella prospettiva dell’operazione economica complessiva’ (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. del 10/10/2023, Rv. 669374).
Il giudice di merito, nella fattispecie, ha valorizzato, nell’interpretazione della volontà negoziale delle parti, due elementi (la diversa durata dei due contratti asseritamente collegati e la mancata menzione, nell’uno, dell’altro), e tale interpretazione viene attinta dalla parte ricorrente mediante la semplice contrapposizione di una lettura alternativa del dato negoziale, senza considerare che ‘La parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni,
sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28319 del 28/11/2017, Rv. 646649; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. del 27/06/2018, Rv. 649677; in precedenza, nello stesso senso, Cass. Sez. 3, Sentenza n.
del 20/11/2009, Rv. 610944 e Cass. Sez. L, Sentenza n. del 15/11/2013, Rv. 628585). Nel caso di specie, la censura non denuncia la violazione di alcun criterio ermeneutico, ma contesta piuttosto il risultato del procedimento interpretativo, onde la stessa non soddisfa i requisiti di specificità richiesti.
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore di quella controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 7.700, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda