Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1616 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1616 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5683/2019 R.G. proposto da: COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in LICATA (INDIRIZZO), INDIRIZZO presso lo studio dell’AVV_NOTAIO che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
nonchè contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in LICATA (INDIRIZZO), INDIRIZZO presso lo studio dell’AVV_NOTAIO che lo rappresenta e difende;
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di PALERMO n. 2079/2018 depositata il 18/10/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Agrigento accoglieva la domanda ex art. 2932 c.c. proposta da NOME COGNOME, in qualità di promissario acquirente, nei confronti della promittente venditrice, RAGIONE_SOCIALE in persona del suo legale rappresentante NOME COGNOME, nonché di quest ‘ ultimo in proprio, per l’esecuzione in forma specifica del contratto preliminare di vendita di un fabbricato sito in Licata. INDIRIZZO.
1.1 Il medesimo Tribunale rigettava la domanda di riduzione del prezzo di acquisto pattuito in € 250,000,00, di cui € 25.000,00 versati al momento della sottoscrizione del preliminare -condannava l’ attore al pagamento, in favore della società venditrice del saldo residuo, rigettava l’eccezione di carenza di legittimazione passiva svolta da NOME COGNOME, dichiarava assorbita la domanda riconvenzionale proposta dalla RAGIONE_SOCIALE per la declaratoria di risoluzione del contratto in questione per inadempimento del promissario acquirente e per il risarcimento dei danni nella misura della caparra confirmatoria.
Ric. 2019 n. 5683 sez. S2 – ud. 13/12/2023
RAGIONE_SOCIALE proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
COGNOME NOME resisteva al gravame e proponeva appello incidentale, per il risarcimento dei danni.
Veniva ordinato di integrare il contraddittorio nei confronti di confronti di NOME COGNOME evocato in primo grado, in proprio, oltre che quale legale rappresentante delta società appellante.
La Corte d’Appello di Palermo , dichiarato il difetto di legittimazione passiva di NOME COGNOME, in parziale accoglimento dell’appello principale e in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda di esecuzione specifica ex art 2932 c.c.. La Corte, inoltre, dichiarava risolto ex art. 1454 c.c. il contratto preliminare di compravendita stipulato tra la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, dichiarava inammissibile la domanda di ritenzione della caparra confirmatoria e per l’effetto, condannava la RAGIONE_SOCIALE a restituire a NOME COGNOME la somma di € 25.000,00 corrisposta a tal titolo, oltre agli interessi legali dalla data della domanda al soddisfo. Infine, dichiarava inammissibile ex artt. 342 e 345 c.p.c. l’appello incidentale.
In particolare, per quel che ancora rileva, la Corte d’Appello evidenziava che la domanda attorea era stata proposta per l’esecuzione in f orma specifica del contratto preliminare stipulato dalla RAGIONE_SOCIALE, proprietaria dell’immobile promesso in vendita. Infatti, il contratto preliminare era stato stipulato dal COGNOME, quale legale rappresentante della società e non in proprio.
Di conseguenza egli, quale persona fisica, non doveva essere coinvolto nella causa, difettando di legittimazione rispetto alla
domanda che doveva pertanto dichiararsi inammissibile nei suoi confronti.
Quanto alle vicende del preliminare, la Corte d’Appello evidenziava che il termine del 31 dicembre 2006 non era un termine essenziale alla stregua della giurisprudenza di legittimità che reputa il termine essenziale solo se, in relazione alle espressioni adoperate dai contraenti e/o alla natura e all’oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà delle parti di considerare perduta l’utilità economica del negozio con l’inutile decorso del termine.
Nella specie, non vi era alcun serio ed apprezzabile elemento per attribuire al termine stabilito nel contratto preliminare la qualità dell’essenzialità, posto che la dicitura ivi apposta si esauriva nella mera formula di stile ‘ entro e non oltre “, mentre la circostanza che la stipulazione del contratto definitivo era stata concordemente prorogata dalle parti, costituiva riscontro dell ‘ intenzione delle parti stesse di non considerare essenziale l’originario termine.
D’altra parte , nella specie, era documentalmente accertato che il COGNOME era stato diffidato ad adempiere, avendo la promittente venditrice già con missiva del 6 dicembre 2007 intimato per iscritto al promissario acquirente invito alla stipula del definitivo nel termine del 31 dicembre 2007, con dichiarazione che, decorso inutilmente detto termine, il contratto sarebbe stato considerato risolto di diritto e che tale diffida era rimasta senza riscontro.
Nella specie, la promittente venditrice aveva provato l’esistenza del rapporto contrattuale e dedotto e pienamente dimostrato l’inadempimento dell’attore. La decisione impugnata era, dunque, errata lì dove non aveva considerato che l’intervenuta
risoluzione del contratto dedotto in lite, per inadempimento del promissario acquirente, ostasse all’accoglimento della domanda di pronuncia traslativa della proprietà, prevedendo l’art. 2932 c.c., come condizione, una domanda proposta dalla parte non inadempiente.
Inoltre, la domanda avrebbe dovuto, comunque, essere dichiarata inammissibile, nel difetto di allegazione della necessaria documentazione ipo-catastale, dei titoli di provenienza, delle planimetrie e delle dichiarazioni di conformità ex art. 19, comma 14 del d.lgs. 78/2010 (e finanche degli estremi catastali).
Non poteva accogliersi, invece, la domanda della società RAGIONE_SOCIALE di trattenere la caparra, avendo la stessa società optato ai sensi dell’art. 1385, c. 3, c.c. per la risoluzione del contratto con preclusione della facoltà di trattenere la caparra conseguente solo all’esercizio della facoltà di recesso.
La Corte, infine, dichiarava inammissibile l’appello incidentale proposto da NOME COGNOME ex artt. 342 e 345 c.p.c. per assoluto difetto di specificità dei motivi e per violazione del divieto dei nova in appello.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di due motivi di ricorso.
La RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
Il ricorrente con memoria depositata in prossimità si è limitato esclusivamente a insistere nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ric. 2019 n. 5683 sez. S2 – ud. 13/12/2023
Il primo motivo di ricorso ha ad oggetto la statuizione di carenza di legittimazione di NOME COGNOME. L’assunto della Corte di merito sarebbe erroneo in quanto avrebbe omesso di valutare, totalmente ed apoditticamente, le prove testimoniali assunte nel giudizio di prime cure, e che avrebbero fornito la prova che NOME COGNOME è stato il vero protagonista della vicenda. Dunque, sussisterebbe una completa omessa valutazione delle prove testimoniali, che hanno consentito di provare come il NOME si sia reso protagonista di una condotta che ha provocato un danno economico e morale nei confronti del ricorrente.
1.1 Il primo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di specificità.
Il ricorrente fa riferimento del tutto genericamente alle prove testimoniali raccolte nel giudizio di primo grado che dimostrerebbero una non meglio specificata responsabilità del COGNOME. Risulta evidente l’inammissibilità del motivo sia in relazione alla prova testimoniale solo genericamente richiamata sia in relazione al titolo di responsabilità che legittimerebbe passivamente il COGNOME. Inoltre, il ricorrente non si confronta con la decisione impugnata che ha evidenziato che il contratto preliminare era stato stipulato dal COGNOME in qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE che è una società a responsabilità limitata.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: Omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio.
La Corte d’Appello di Palermo avrebbe errato nella applicazione della legge e ciò inciderebbe sulla motivazione della sentenza. In
particolare, il ricorrente evidenzia che a pag. 4 della impugnata sentenza, penultimo rigo, si legge: ” Le parti convennero che il saldo del prezzo sarebbe stato corrisposto alla stipula dell’atto definitivo di vendita che doveva avvenire entro e non oltre il 31.12.2011 “.
Inoltre la Corte d’Appello a pag 5 della impugnata sentenza scrive che ” è pur vero, come prospettato dall’appellante che nella specie non avrebbe potuto prescindersi dalla circostanza documentalmente accertata, che il COGNOME fosse stato diffidato all’adempimento da oltre un anno, avendo la promittente venditrice già con missiva del 6.12.2007 intimato per iscritto l’acquirente alla stipula del definitivo nel termine del 31.12.2007, con dichiarazione che, decorso inutilmente detto termine, il contratto sarebbe stato considerato risolto di diritto e che tale diffida fosse rimasta senza riscontro ‘ .
A parere del ricorrente quest’ultima affermazione sarebbe frutto di un omesso esame di un fatto decisivo non corrispondendo al vero la circostanza che la diffida sia rimasta priva di riscontro. Infatti, alla stessa ha fatto seguito tempestivamente, la lett. racc. a r. di COGNOME NOME del 28.01.2008, con la quale si faceva seguito alla missiva del 6.12.2007 e con la quale si rappresentava che, già a quella data, l’immobile presentava delle modifiche realizzate arbitrariamente; si evidenziava che, in quel preciso momento storico, mancava in toto la conformità del bene rispetto alle previsioni contrattuali.
L’avere disatteso il termine fissato per la stipula del contratto definitivo sarebbe imputabile, esclusivamente, al COGNOME che attraverso una serie di escamotage avrebbe impedito la vendita del bene, trattenendosi la somma versata a titolo di caparra, ancora
Ric. 2019 n. 5683 sez. S2 – ud. 13/12/2023
oggi non restituita. La sentenza non farebbe menzione delle interlocuzioni avvenute fra COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE, ritualmente documentate. La circostanza che COGNOME non abbia inviato una diffida antecedente al 28 gennaio 2008, per il ritardo ne ll’ inizio dei lavori derivava dalla ulteriore circostanza, verbalmente concordata fra le parti, alla presenza di testimoni, che ci sarebbe stata una revisione del prezzo finale per il ritardo imputabile alla RAGIONE_SOCIALE.
2.1 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Il ricorrente fa riferimento ad una lettera raccomandata spedita dopo l’intervenuta risoluzione del contratto e asserisce che il tardivo invio della suddetta raccomandata derivava dalla ulteriore circostanza, verbalmente concordata fra le parti, alla presenza di testimoni, che ci sarebbe stata una revisione del prezzo finale per il ritardo imputabile alla RAGIONE_SOCIALE.
Tali circostanze non risultano dalla sentenza impugnata e il ricorrente non indica in quale atto le abbia sollevate e quali siano le testimonianze acquisite agli atti che proverebbero l’intenzione di rivedere il prezzo per il ritardo. Nel motivo di ricorso si fa riferimento solo al fatto che la lettera del gennaio 28 gennaio 2008 era inserita nel fascicolo di parte. In altri termini, non vi è alcun riferimento a quale atto difensivo abbia dedotto il fatto che si assume omesso, il che rende inammissibile la censura sollevata.
Deve farsi applicazione del seguente principio di diritto: «In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico
Ric. 2019 n. 5683 sez. S2 – ud. 13/12/2023
atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio» ( ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 20694 del 2018, Sez. 61, Ord n. 15430 del 2018). Infatti, il ricorrente che proponga in sede di legittimità una determinata questione giuridica, la quale implichi accertamenti di fatto, ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (per l’ipotesi di questione non esaminata dal giudice del merito: Cass. 02/04/2004, n. 6542; Cass. 10/05/2005, n. 9765; Cass. 12/07/2005, n. 14599; Cass. 11/01/2006, n. 230; Cass. 20/10/2006, n. 22540; Cass. 27/05/2010, n. 12992; Cass. 25/05/2011, n. 11471; Cass. 11/05/2012, n. 7295; Cass. 05/06/2012, n. 8992; Cass. 22/01/2013, n. 1435; Cass. Sez. U. 06/05/2016, n. 9138).
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti di ognuna delle due parti controricorrenti che liquida rispettivamente in euro 7800, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione