Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32810 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 32810 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 18298/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME c.f. PCNSLV49T31G213S, COGNOME NOMECOGNOME c.f. PCNMRC81S26S284R, COGNOME c.f.PCNPNG40B19G213M, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliati in Roma presso l’avv. COGNOME nel suo studio in INDIRIZZO
ricorrenti
contro
RAGIONE_SOCIALE, (n.71/2013 del Tribunale di Mantova), in persona del curatore autorizzato dal giudice delegato, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma presso l’avv. NOME COGNOME nel suo studio in INDIRIZZO
contro
ricorrente avverso la sentenza n. 427/2020 della Corte d’Appello di Brescia, depositata il 4-5-2020,
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 4-122024 dal consigliere NOME COGNOME
OGGETTO: contratto preliminare di compravendita di immobile
RG. 18298/2020
C.C. 4-12-2024
FATTI DI CAUSA
1.NOMECOGNOME NOME e NOME COGNOME hanno convenuto avanti il Tribunale di Mantova RAGIONE_SOCIALE esponendo di avere sottoscritto con la stessa il 25-9-2008 contratto preliminare avente a oggetto la vendita di alcune unità immobiliari di loro proprietà site a Padenghe sul Garda, che la società avrebbe dovuto demolire per realizzare un nuovo complesso immobiliare; il prezzo era stato pattuito in Euro 2.100.000,00, da corrispondere per Euro 100.000,00 a titolo di caparra confirmatoria da versare previa esibizione da parte dei COGNOME dell’atto di cancellazione della trascrizione della citazione della società RAGIONE_SOCIALE con la quale pendeva un contenzioso davanti al Tribunale di Brescia, Euro 100.000,00 da versare alla presentazione del progetto al Comune di Padenghe ed Euro 1.900.000,00 da versare alla stipula del rogito; le parti avevano previsto due condizioni ‘essenziali e imprescrittibili’, relativamente al rilascio del permesso a costruire e la definizione del contenzioso con la società RAGIONE_SOCIALE, ‘tale da comportare in favore dei Piceni la cancellazione a titolo definitivo dell’atto di citazione della Cupra’. Il 23 -7-2009 le parti modificavano il contratto limitatamente al prezzo di vendita ridotto a Euro 2.000.000,00 e stabilivano il termine massimo per la stipula del rogito al 31-1-2010; a seguito della mancata presentazione del progetto al Comune e della mancata convocazione per la stipula del rogito, gli attori il 28-1-2011 vendevano l’immobile oggetto del preliminare ad altra società, trattenendo la caparra. Di conseguenza gli attori hanno chiesto che fosse accertata l’intervenuta risoluzione del contratto intercorso tra le parti per grave inadempimento della società RAGIONE_SOCIALE e fosse dichiarato il diritto degli attori a trattenere l’importo ricevuto dalla società a titolo di caparra pari a Euro 200.000,00.
Dichiarata fallita RAGIONE_SOCIALE e riassunto il giudizio, si è costituito il Fallimento della società, chiedendo il rigetto della domanda,
stante l’inadempimento degli attori per il mancato esito positivo del contenzioso con la società RAGIONE_SOCIALE da cui era dipesa l’impossibilità di procedere alle volture necessarie per il rilascio del permesso a costruire e, in via riconvenzionale, ha chiesto la condanna degli attori alla restituzione del doppio della caparra confirmatoria a loro versata.
Con sentenza n. 308/2017 depositata il 23-3-2017 il Tribunale di Mantova ha qualificato la domanda come di ritenzione della caparra confirmatoria ex art. 1385 cod. civ., ha escluso che il contratto fosse sospensivamente condizionato, ha ritenuto che la società si era resa gravemente inadempiente perché non si era attivata per ottenere il permesso a costruire e non aveva convocato i venditori per il rogito entro il termine del 31-1-2010, mentre i venditori avevano provveduto alla cancellazione della domanda; per l’effetto ha dichiarato la legittimità del recesso dal contratto preliminare esercitato ex art. 1385 cod. civ. dai Piceni per il grave inadempimento della società e il diritto dei Piceni a trattenere definitivamente la caparra confirmatoria di Euro 200.000,00.
2.Avverso la sentenza la curatela fallimentare di RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello, che la Corte d’appello di Brescia ha deciso con sentenza n. 427/2020 depositata il 4-5-2020.
La sentenza ha accolto il primo motivo di appello, con il quale la curatela fallimentare aveva censurato la sentenza di primo grado per avere qualificato la domanda attorea, che era domanda di risoluzione del contratto per inadempimento, come domanda di ritenzione della caparra confirmatoria ex art. 1385 cod. civ.
La sentenza ha altresì accolto il secondo motivo di appello, relativo all’interpretazione del contratto, ritenendo, diversamente da quanto statuito dal giudice di primo grado, che le questioni relative al rilascio del permesso a costruire e alla definizione della controversia con la società RAGIONE_SOCIALE costituissero condizioni sospensive; accogliendo anche il
terzo motivo di appello, con il quale la curatela fallimentare aveva negato la propria responsabilità per il mancato rilascio del permesso a costruire, ha dichiarato che entrambe le condizioni sospensive non si erano avverate senza responsabilità dei contraenti. Per l’effetto ha dichiarato che dovevano essere restituite le prestazioni già eseguite e perciò doveva essere accolta la domanda proposta in via subordinata di restituzione della caparra versata da 2 G e dovevano essere rigettate le reciproche domande di risoluzione del contratto per inadempimento. In conclusione, ha condannato i consorti Piceni in solido alla restituzione alla curatela fallimentare di RAGIONE_SOCIALE della somma ricevuta a titolo di caparra confirmatoria, con gli interessi e la rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi.
3.NOME, NOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
La curatela fallimentare di RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 4-12-2024 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione ex art. 360 co. 1 n.3 cod. proc. civ. dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la sentenza impugnata erroneamente qualificato la loro domanda. Lamentano che la sentenza impugnata abbia ritenuto che la loro domanda fosse stata erroneamente qualificata dal giudice di primo grado come domanda di recesso e di ritenzione della caparra, per il fatto che essi avevano chiesto, oltre di trattenere la caparra, anche di ottenere il risarcimento del danno ulteriore; sostengono che tale
negazione della possibilità di ricondurre la loro domanda nel l’ambito del disposto dell’art. 1385 cod. civ. si fondi su presupposti smentiti dagli atti processuali, in quanto sia nell’atto di citazione, sia nel ricorso per riassunzione essi avevano chiesto di essere autorizzati a trattenere a titolo definitivo la somma di Euro 200.000,00 ricevuta a titolo di caparra, non formulando domanda di risarcimento del danno, ma chiedendo di trattenere la caparra quale acconto sul maggiore danno subito, secondo la funzione propria della caparra; quindi negano di avere posto in essere la modificazione della domanda ritenuta dalla Corte d’appello, per cui il Tribunale aveva qualificato la domanda legittimamente, sulla base dei principi posti da Cass. Sez. U 553/2009.
1.1.Il motivo è inammissibile per carenza di interesse sotto due distinti profili, dovendosi fare applicazione del principio secondo il quale anche nel giudizio di cassazione l’impugnazione è finalizzata a ottenere un risultato favorevole per la parte e non a denunciare l’errore in quanto tale.
In primo luogo, è vero che la sentenza impugnata, accogliendo il primo motivo di appello, ha dichiarato che la qualificazione della domanda eseguita dal giudice di primo grado non era condivisibile, in quanto gli attori non si erano limitati a chiedere di trattenere la caparra ma avevano chiesto anche il risarcimento del danno ulteriore e avevano rinunciato alla domanda di risarcimento del maggiore danno per il fatto che la domanda era divenuta improcedibile a seguito del fallimento della società RAGIONE_SOCIALE Però, la sentenza ha anche dichiarato (pag. 12) che la domanda degli attori doveva essere qualificata come domanda di risoluzione del contratto e di ritenzione della somma versata dalla società RAGIONE_SOCIALE quale acconto sul maggior danno. Con questa pronuncia la Corte d’appello non ha escluso in sé il diritto degli attori a trattenere la caparra ‘quale acconto sul maggior danno’, come del resto sostengono gli stessi ricorrenti di avere chiesto nel ricorso (e come consentito, cfr.
Cass. Sez. 2 8-9-2017 n. 20957 Rv. 645245-01); invece, la sentenza non ha poi provveduto a esaminare la questione del danno, e perciò a verificare se sussistessero i presupposti per trattenere la caparra, per il fatto che ha escluso l’inadempimento de lla società promissaria acquirente. Poiché la relativa pronuncia resiste alle critiche dei ricorrenti, per le ragioni di seguito svolte nella disamina dei successivi motivi di ricorso, risulta l’ulteriore profilo di inammissibilità del motivo, in quanto l’esclusione dell’inadempimento della promissaria acquirente esclude in radice qualsiasi diritto dei promittenti venditori.
2.Con il secondo motivo i ricorrenti deducono ex art. 360 co. 1 n.4 e 5 cod. proc. civ. la violazione dell’art. 132 co. 2 n. 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza per error in procedendo e inesistenza di motivazione, per essere state rigettate le contrapposte domande di risoluzione del contratto formulate dalle parti senza fornire alcuna argomentazione sul punto. Lamentano che la sentenza, arbitrariamente trasformando le obbligazioni contrattuali assunte dalle parti in condizioni, non abbia esaminato il fatto decisivo costituito dal dedotto e reciproco inadempimento delle parti.
2.1.Il motivo è manifestamente infondato.
La sentenza impugnata, accogliendo il secondo e il terzo motivo di appello, ha escluso che l’interpretazione del contratto eseguita dal giudice di primo grado fosse corretta e ha ritenuto che il rilascio del permesso a costruire da parte del Comune di Padenghe e la definizione con esito positivo della vertenza con la società RAGIONE_SOCIALE fossero condizioni sospensive, in quanti eventi ai quali le parti avevano voluto condizionare gli effetti del contratto, esponendo le ragioni di tale conclusione da pag. 17 (da ‘Ritiene la Corte’). Di s eguito (da fine pag. 20) la sentenza ha esposto le ragioni per le quali ha ritenuto che il mancato rilascio del permesso a costruire non potesse essere addebitato alla società RAGIONE_SOCIALE e, considerato che neppure la prosecuzione
del giudizio con la società Cupra poteva essere addebitato ai promittenti venditori COGNOME ha concluso che nessuna delle due condizioni sospensive si era verificata entro il termine massimo per addivenire al rogito, senza che ciò potesse essere imputato alle parti; quindi ha concluso che il contratto era rimasto improduttivo di effetti, con la conseguenza che le prestazioni eseguite dovevano essere restituite, per cui doveva essere restituita alla società promissaria acquirente la caparra che la stessa aveva versato e dovevano essere rigettate le reciproche domande di risoluzione del contratto per inadempimento.
Con questo contenuto la motivazione ampiamente rispetta il minimo costituzionale entro il quale è circoscritto il sindacato di legittimità, per cui non sussistono la violazione dell’art. 132 co.2 cod. proc. civ. e la relativa nullità della sentenza sostenute con il motivo di ricorso; infatti la motivazione non è né mancante, né meramente apparente, né affetta da manifesta e irriducibile contraddittorietà, né perplessa o incomprensibile, mentre diverse questioni -oggetto dei successivi motivi di ricorso- sono quelle poste dalle critiche dei ricorrenti al ragionamento svolto dalla Corte d’appello (Cass. Sez. U 74-2014 n. 8053 Rv. 629830-01, Cass. Sez. 3 12-10-2017 n. 23940 Rv. 645828-01, Cass. Sez. 1 3-3-2022 n. 7090 Rv. 664120-01, per tutte, per l’individuazione dei limiti sul sindacato di legittimità della motivazione).
Non è neppure vero che la sentenza abbia omesso di esaminare la questione dell’inadempimento, perché la sentenza ha specificamente esaminato i fatti che, secondo la tesi dei promittenti venditori, integravano inadempimento e ha escluso il ricorrere di tale inadempimento, ritenendo che il contratto fosse sottoposto a condizioni sospensive e che il mancato avveramento di tali condizioni non fosse ascrivibile alla responsabilità delle parti.
3.Con il terzo motivo i ricorrenti deducono la violazione degli artt. 99 e 112 cod. proc. civ. ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 e anche n. 5 cod. proc. civ., per avere la sentenza dichiarato inefficace il contratto preliminare e avere disposto la restituzione della caparra per mancato avveramento delle condizioni di cui all’art. 3 del contratto preliminare, nonostante nessuna delle parti avesse chiesto tale pronuncia, con conseguente vizio di mancata corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, violazione del principio del contraddittorio ed erronea sussunzione della fattispecie concreta nel disposto degli artt. 1353 e ss. cod. civ., anziché in quello degli artt. 1453 e ss. cod. civ. e conseguente violazione dei criteri di riparto dell’onere probatorio. Rilevano che il Fallimento non aveva proposto alcuna domanda volta a ottenere la restituzione della caparra per mancato avveramento delle condizioni sospensive previste dall’art. 3 del contratto e sostengo no che perciò la Corte d’appello non potesse pronun ciare in tal senso. Aggiungono che, comunque, ai sensi dell’art. 1358 cod. civ., spettava alla società debitrice dimostrare di avere assolto all’obbligazione di presentare i progetti per l’edificazione del lotto e di curarne tutti gli adempimenti funzionali al rilascio del permesso a costruire, mentre erroneamente la Corte d’appello ha sussunto la fattispecie nell’ipotesi di cui all’art. 1359 cod. civ.
3.1.Il motivo, in via assorbente rispetto ai profili di inammissibilità evidenziati dal controricorrente, è infondato.
Non si configurano violazioni degli artt. 112 e 99 cod. proc. civ., da qualificare correttamente ex art. 360 co. 1 n. 4 cod. proc. civ., dovendosi in primo luogo escludere che in tali vizi sia incorsa la Corte d’appello per avere interpretato il contratto come assoggettato alle condizioni sospensive del rilascio del permesso a costruire e della definizione della controversia con la società RAGIONE_SOCIALE. In tale senso, e cioè censurando la sentenza di primo grado per avere qualificato le
condizioni contrattuali come obbligazioni, la curatela fallimentare aveva proposto il secondo motivo di appello (da pag. 12 della sentenza) e tale motivo la Corte d’appello ha accolto. Quindi la sentenza ha tratto le conseguenze derivanti dal mancato avveramento delle condizioni sospensive, riferite all’inefficacia del contratto e al conseguente obbligo di restituzione delle obbligazioni già eseguite, che si concretava per i promittenti venditori nell’obbligo di restituire la caparra ricevuta.
In questo modo, la Corte d’appello ha accolto parzialmente la domanda proposta dalla società, che era volta a ottenere il doppio della caparra versata, senza incorrere nelle violazioni dedotte dai ricorrenti. Infatti, non sussiste violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato allorché il giudice, qualificando giuridicamente in modo diverso rispetto alla prospettazione della parte i fatti posti a fondamento della domanda, attribuisca alla parte un bene della vita omogeneo, ma ridimensionato rispetto a quello richiesto; quindi, proposta domanda di risoluzione per inadempimento di contratto preliminare e di conseguente condanna del promittente venditore alla restituzione del doppio della caparra ricevuta, non pronuncia ultra petita il giudice che ritenga che il contratto si sia risolto non per inadempimento ma per impossibilità sopravvenuta di esecuzione derivante dalle scelte risolutorie di entrambe le parti e perciò condanni il promittente venditore alla restituzione della sola caparra -la cui ritenzione è divenuta sine tituloe non del doppio della caparra (Cass. Sez. 2 15-6-2020 n. 11466 Rv. 658263-03, Cass. Sez. 2 5-11-2009 n. 23490 Rv. 610624-01, Cass. Sez. 2 26-4-1971 n. 1232 Rv. 35138701). Analogamente in questo caso, nel quale entrambe le parti imputavano alla responsabilità della controparte la mancata conclusione del contratto definitivo, i promittenti venditori per l’inadempimento della promissaria acquirente e la promissaria acquirente per il mancato avveramento delle condizioni da imputare ai
promittenti venditori; la Corte d’appello ha ritenuto che le condizioni non si erano avverate senza responsabilità dei contraenti e perciò ha disposto la restituzione della sola caparra a carico dei promittenti venditori che l’avevano ricevuta, in quanto la ritenzione era diven uta senza titolo.
4. Con il quarto motivo i ricorrenti deducono ‘ violazione dell’art. 115 c.p.c. con conseguente ricorrenza dell’ipotesi di cassazione di cui all’art. 360 primo comma n. 4 c.p.c. nullità della sentenza per ‘errore di percezione’ sentenza basata su prova ‘immaginaria’ cioè reputata dal giudice esistente ma in realtà inesistente né mai dedotta dalle parti’. I ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata abbia ritenuto che il mancato rilascio del permesso di costruire sia dipeso dalla mancata intestazione dell’immobile in capo a RAGIONE_SOCIALE nonché dalla mancata voltura della pratica antincendio, che ha ritenuto circostanze non imputabili alla società promissaria acquirente; rilevano che, per giungere a tale erronea conclusione, la sentenza sia partita dall’erroneo assunto che, alla data fissata per il rogito del 31 -1-2010, fosse pendente la vertenza tra i RAGIONE_SOCIALE e la società Cupra, perché tale fatto era inesistente e mai era stato sostenuto dalle parti in causa e provato; evidenziano che, dopo che in data 22-9-2008 era divenuta definitiva la sentenza tra i Piceni e la società RAGIONE_SOCIALE che aveva dichiarato l’incompetenza -in ragione della clausola compromissoriasulle domande proposte dalla società Cupra, i Piceni avevano provveduto a cancellare la trascrizione della domanda giudiziale e solo nel giugno 2011, dopo oltre un anno dalla scadenza del termine fissato per il rogito, la società RAGIONE_SOCIALE aveva notific ato l’atto introduttivo del giudizio arbitrale. Quindi sostengono l’errore di percezione sulle circostanze, da denunciare ex art. 360 co. 1 n. 4 cod. proc. civ. per violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.
4.1.Il motivo è inammissibile, in quanto il travisamento del contenuto oggettivo della prova, se il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata abbia pronunciato, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, deve essere fatto valere ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. se si tratta di fatto sostanziale (Cass. Sez. U 5-3-2024 n. 5792 Rv. 670391-01).
Non ricorrono le condizioni per riqualificare il motivo nei termini corretti, sia perché nelle deduzioni dei ricorrenti non si ravvedono i fatti decisivi dei quali sarebbe stato omesso esame, sia perché l’intero impianto del motivo si fonda su una lettura della sentenza impugnata non corrispondente al suo contenuto. La sentenza (da pag. 21) ha rilevato che, nonostante i Piceni addebitassero il mancato rilascio del permesso a costruire alla condotta della società, già il Tribunale aveva accertato che 2G aveva regolarmente presentato al Comune il progetto al fine di ottenere il permesso a costruire e che, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, dalla lettera dei Vigili del Fuoco di data 18-11-2009 risultava che, per procedere alla voltura della pratica di prevenzione incendi già presentata da Cupra, era necessario produrre la documentazione comprovante il passaggio dell’intestazione della pratica dalla prima alla seconda società e tale passaggio era incontestato che non fosse avvenuto nel termine fissato per la stipula del rogito; come dichiarato dal teste COGNOME, il nulla osta dei Vigili del Fuoco era stato rilasciato solo a maggio 2010 -quando il termine di gennaio 2010 per la stipula del rogito era ampiamente decorso- e senza tale nulla osta non poteva essere rilasciato il permesso a costruire. A fronte di questi dati, accertati sulla base della lettera 18-11-2009 e della deposizione del teste COGNOME, con riguardo ai quali gli argomenti dei ricorrenti non individuano alcuna erronea percezione del fatto probatorio, la sentenza ha escluso qualsiasi comportamento negligente
in capo a 2G, ma ha attribuito al fatto che fosse ancora in corso la vertenza tra i Piceni e Cupra la mancata voltura della pratica incendi, che era necessaria per il rilascio del permesso a costruire. Diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, la sentenza ha considerato anche (pag.23) la cancellazione della trascrizione della domanda relativa al giudizio promosso davanti al Tribunale di Brescia e ha dato atto che ciò che aveva bloccato la pratica del rilascio del permesso a costruire a nome di 2G era l’avvenuta presentazione di precedente progetto da parte di Cupra, il cui ritiro dipendeva dall’esito della lite tra Cupra e i Piceni; ha altresì dichiarato (da pag. 23 ultimo capoverso) che, diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, la condizione prevista al punto 3 del preliminare non era tanto la cancellazione della domanda, ma la chiusura tombale del contenzioso in senso definitivamente favorevole ai Piceni e tale risultato non poteva essere stato raggiunto con la semplice cancellazione della trascrizione della domanda a seguito della pronuncia di incompetenza.
5. Con il quinto motivo i ricorrenti deducono ‘ omesso esame di un fatto decisivo della controversia con conseguente ricorrenza dell’ipotesi di cassazione di cui all’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. l’accertato mancato avveramento di entrambe le condizioni dedotte in contratto -violazione del dispost o dell’art. 360 c.p.c. comma 1 n. 3 -violazione dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 c.c. con riguardo al disposto dell’art. 1359 c.c. l’inadempimento di RAGIONE_SOCIALE Costruzioni alla obbligazione di presentazione del progetto definitivo funzionale al rilascio del permesso di costruire’. Con esso i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata non abbia considerato che il progetto depositato dall’arch. COGNOME per RAGIONE_SOCIALE era diretto solo a ottenere il benestare della Sovraintendenza e che, nonostante i solleciti, RAGIONE_SOCIALE non aveva coltivato la domanda; quindi sostengono che, considerato che i Piceni avevano provveduto a cancellare la trascrizione della
domanda e invece il permesso non era stato rilasciato, la Corte d’appello avrebbe dovuto confermare la sentenza di primo grado.
5.1.Il motivo è inammissibile, in quanto si risolve nella richiesta di ottenere una ricostruzione dei fatti analoga a quella eseguita dal giudice di primo grado, senza riuscire a individuare nella sentenza impugnata alcuna violazione di legge, ma neppure il fatto o i fatti decisivi dei quali sarebbe stato omesso l’esame. Sulla base dell’interpretazione della seconda condizione prevista al punto 3 del preliminare eseguita dalla sentenza (da pag. 23), che avrebbe potuto essere censurata soltanto deducendo la violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale violati, la sentenza è giunta alla conclusione che quella condizione non consisteva nella mera cancellazione della domanda giudiziale della società Cupra, ma nella chiusura tombale del contenzioso con Cupra sugli immobili promessi in vendita. Neppure i ricorrenti sostengono che quella chiusura tombale vi sia stata, perché insistono nel sostenere che la sentenza avrebbe dovuto considerare il fatto dell’avvenuta c ancellazione della domanda, e perciò il dato che la sentenza , con pronuncia non censurata in modo ammissibile, ha ritenuto in sé insufficiente a integrare l’avverarsi della condizione sospensiva. Nell’ambito del motivo i ricorrenti ripropongono altresì le deduzioni in ordine alla mancata presentazione del progetto, che a loro volta non sono formulate in termini da integrare motivo ex art. 360 co. 1 n.5 cod. proc. civ., per la mancata individuazione del fatto decisivo del quale sarebbe stato omesso l’esame, per cui anche sotto questo profilo il motivo è inammissibile.
6.In conclusione il ricorso è integralmente rigettato e, in applicazione del principio della soccombenza, i ricorrenti devono essere condannati alla rifusione a favore della curatela controricorrente delle spese del giudizio di legittimità.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 co . 1quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti alla rifusione a favore della curatela controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed Euro 8.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege. Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione