SENTENZA TRIBUNALE DI MILANO N. 6245 2025 – N. R.G. 00040622 2022 DEPOSITO MINUTA 26 07 2025 PUBBLICAZIONE 26 07 2025
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO
QUARTA SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice NOME COGNOME ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 40622/2022 promossa da:
(C.F. ), con il patrocinio dell’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in INDIRIZZO 27058 VOGHERA presso il difensore avv. NOME COGNOME P.
ATTORE
contro
-C.F. ) rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Milano, INDIRIZZO presso il difensore Avv. NOME COGNOME
CONVENUTO
CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come da note scritte depositate in sostituzione dell’udienza ex art. 127 ter c.p.c.
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
La ha convenuto in giudizio la per sentir accogliere le seguenti conclusioni:
1. Accertare in via giudiziale l’autenticità delle sottoscrizioni della scrittura privata del 17.03.2022 sottoscritta tra
2. Darsi atto e accertare che la convenuta in persona del legale rappresentante pro tempore, con sede a Crema, INDIRIZZO capitale sociale euro 10.000,00 interamente versato, iscritta nel Registro delle Imprese di Cremona al n. e al R.E.A. al n. CR-CODICE_FISCALE, codice fiscale e partita I.V .A.: , si è resa inadempiente al contratto preliminare di compravendita sottoscritto avanti al notaio di Sondrio registrato a Sondrio il 05.08.2021 n. 7745 serie 1T trascritto a Milano 1 il 05.08.2021 ai nn. 67619/47389, avente a oggetto il diritto di superficie quarantennale a partire dal 15 novembre 2006, dell’area sita in Comune di P. P.
Milano, alla INDIRIZZO individuata nel locale catasto terreni con il mappale di Foglio 85 numero 45 prato U are 26,20 R.D. Euro 6,63 R.A. Euro 8,80, prorogato con atto di modifica di contratto preliminare di vendita sempre avanti il notaio di Sondrio registrato a Sondrio il 05.08.2021 n. 7745 serie 1T trascritto a Milano 1 il 05.08.2021 ai nn. 67619/47389 e con scrittura privata del 17.03.2022;
3. Pronunciare, ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., sentenza produttiva degli effetti del contratto di vendita alla cui conclusione le parti si erano obbligate in forza del contratto preliminare stipulato per atto pubblico ai rogiti del notaio di Sondrio registrato a Sondrio il 05.08.2021 n. 7745 serie 1T trascritto a Milano 1 il 05.08.2021 ai nn. 67619/47389, prorogato con atto di modifica di contratto preliminare di vendita sempre avanti il notaio di Sondrio registrato a Sondrio il 05.08.2021 n. 7745 serie 1T trascritto a Milano 1 il 05.08.2021 ai nn. 67619/47389 e con scrittura privata del 17.03.2022, e per l’effetto trasferire, sotto la condizione sospensiva di cui all’approvazione della variante urbanistica di cui al contratto preliminare , in capo alla società il diritto di superficie quarantennale a partire dal 15 novembre 2006 dell’area sita in Milano alla INDIRIZZO individuata nel locale catasto terreni con il mappale foglio 85, numero 45, prato U are 26,20 R.D. Euro 6,63 R.A: Euro 8,80.
4. Dato, altresì, atto e accertato che la qualora non si perfezioni il predetto contratto definitivo per la causa civile insorta tra la e l’ ha subìto gravi danni a causa della condotta di er oltre euro 3.000.000,00, o veriore somma che verrà accertata in corso di istruttoria, e per la quale si chiede la condanna al pagamento di nel caso in cui non vengano accolte le domande n.1, 2, e 3;
5. Con vittoria di spese di giudizio e patrocinio, oltre IVA e CP A sugli importi imponibili e con sentenza provvisoriamente esecutiva come per legge ‘.
Si è costituita con comparsa di risposta del 20 aprile 2023 la instando: ‘ NEL MERITO: respingere tutte le domande proposte dall’attrice nei confronti della convenuta in quanto infondate in fatto ed in diritto. Ordinare al competente Conservatore dei Registri Immobiliari la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale trascritta presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari di Milano in data 7/11/2022 al Reg.gen. 85367 – Reg.part. 59556. Condannare l’attrice al risarcimento dei danni tutti subiti dalla convenuta ai sensi dell’art. 96 cpc ‘.
Il g.i. ha aggiornato la prima udienza di comparizione e trattazione (in forma cartolare) all’8 giugno 2023 al fine di conseguire la documentazione attestante la conclusione del procedimento di mediazione instaurato dall’attrice.
Preso atto della sua conclusone, ha concesso i termini di cui all’art. 183 comma sesto c.p.c. e rinvia to la causa per la discussione sulle eventuali istanze istruttorie all’udienza del 9 novembre 2023 . Con successiva ordinanza ha:
· ritenuto i inammissibili capitoli di prova orale dedotti dalla parte attrice nella seconda memoria ex art. 183 comma sesto c.p.c. poiché aventi ad oggetto circostanze documentali o da provarsi documentalmente (cap. a,b,d in parte generica, e, f, g, h, i j, l, q e genericamente formulata, r, t, u ed irrilevante, v e genericamente formulata in quanto inverante una narrativa di più fatti, x, gg, kk,pp, qq, rr, ss, tt, uu, ) genericamente formulate (cap, c, k, o, s,w, y, z, aa, bb e documentale, cc, ee, hh,jj,ll , mm, nn, ww,xx), irrilevanti e/o superflue ai fini della decisione (cap. m, n, p, dd, ff,ii, oo,), negativa (cap. vv);
· ritenuto l’inammissibilità dell’istanza di esibizione richiesta ex art. 210 c.p..c stante il difetto di specificità del mezzo (essendo rivolto a tutta la documentazione inerente a una vicenda urbanistica);
· rinviato la causa per la precisazione delle conclusioni all’udienza del 12 dicembre 2024 .
Le parti hanno concluso coma da note scritte depositate telematicamente ex art. 127 -ter c.p.c.
La manifesta Insussistenza dei presupposti per la sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c.
Appare opportuno rammentare che la sospensione necessaria del processo può essere disposta, a norma dell’art. 295 cod. proc. civ., quando la decisione del medesimo dipenda dall’esito di altra causa, nel senso che questo abbia portata pregiudiziale in senso stretto, e cioè vincolante, con effetto di giudicato, all’interno della causa pregiudicata, ovvero che una situazione sostanziale rappresenti fatto costitutivo, o comunque elemento fondante della fattispecie di altra situazione sostanziale, sicché occorra garantire uniformità di giudicati, essendo la decisione del processo principale idonea a definire, in tutto o in parte, il ” thema decidendum ” del processo pregiudicato (infra Cass. VI-III, Ord. 23 febbraio 2023, n. 5671; Cass. VI-III, Ord. 9 dicembre 2011, n. 26469). La disposizione, infatti, allude ad un vincolo di stretta ed effettiva conseguenzialità fra due emanande statuizioni e quindi, coerentemente con l’obiettivo di evitare un conflitto di giudicati, non ad un mero collegamento fra diverse statuizioni per l’esistenza di una coincidenza o analogia di riscontri fattuali o di quesiti di diritto da risolvere per la loro adozione ma ad un collegamento per cui l’altro giudizio (civile, penale o amministrativo), oltre a investire una questione di carattere pregiudiziale, cioè un indispensabile antecedente logico-giuridico, la soluzione del quale pregiudichi in tutto o in parte l’esito della causa da sospendere, dev’essere pendente in concreto e coinvolgere le stesse parti (infra Cass. I, Ord. 28 novembre 2023, n. 32996; Cass. 6844/2012; Cass. 17235/2014).
Il raffronto tra tali presupposti e la giustificazione in fatto esposta dalla difesa attrice nei propri atti di causa (ancora nella ‘copiosa’ comparsa conclusionale) , elide da sé ogni valutazione positiva dell’ istituto: ‘Stante quanto sopra, la validità l’efficacia del contratto preliminare e la conseguente legittimità della domanda ex art. 2932 c.c., non può che essere subordinata all’esito del giudizio pendente tra ed in quanto solo qualora effettivamente non possa vantare diritti verso è possibile la formalizzazione dell’atto ex art. 2932 c.c. alle condizioni convenute, mentre in caso contrario non potrà che essere richiesto da parte di
la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità ed il risarcimento del danno già richiesto con la domanda iniziale.
ha appreso che avanti il giudice di Prime COGNOME la domanda di sarebbe stata rigettata, ma che sia pendente il giudizio di appello.
Si insiste, pertanto, nella richiesta di sospensione del presente giudizio necessaria o quantomeno facoltativa ‘ . Si tratta di una mera questione economica di convenienza dell’affare che sarebbe influenzato ( in thesi ) dagli esiti di un giudizio in essere tra la convenuta ed un terzo. Esito che non influisce in alcun modo sulla validità ed efficacia (a ritenere integrata la condizione sospensiva di cui all’art. 4) del contratto preliminare. Approdo, peraltro, negato dalla stessa difesa attorea laddove afferma che una determinata sentenza in quel processo potrebbe determinare un’ipotesi di eccessiva onerosità della prestazione tanto da giustificare (in un altro processo si suppone) la risoluzione ex art. 1467 c.c.. In sintesi, un rimedio ad una sopravvenienza di natura economica (peraltro straordinaria ed imprevedibile) che riguarda la mera funzionalità del sinallagma nella sua attuazione e non nella sua genesi. Peraltro, tale circostanza non potrebbe che essere veicolata in altro processo e con una pronuncia costitutiva. Da qui l’impossibilità di poter affermare una pregiudizialità tra giudizi non essendo il presente quello avente ad oggetto la domanda di risoluzione.
La domanda di esecuzione in forma specifica è manifestamente infondata.
In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (Cass. SS.UU., 30 ottobre 2001, n. 13533). L’azione ex art. 2932 c.c. costituisce una domanda di adempimento in forma specifica dell’obbligo di contrarre rimasto inadempiuto con quel che ne segue circa l’applicabilità del medesimo criterio di riparto dell’onere della prova testé indicato.
L’attore deve dare, quindi, la prova del titolo ma anche della sua esigibilità. Questo requisito insito nei contratti a prestazioni corrispettivi subisce un’emersione normativa nella disciplina di cui all’art. 2932 comma secondo c.c.. il quale, in tema di esecuzione in forma specifica di contratti preliminari prevedenti il trasferimento della proprietà di beni o la costituzione o trasferimento di altri diritti, condiziona l’accoglimento della domanda al preventivo adempimento, o all’offerta nei modi di legge, della controprestazione dovuta dalla parte che agisce per l’esecuzione, a meno che tale prestazione non sia ancora eseguita
Il fulcro giuridico della vicenda si appunta attorno al famigerato art. 4 del contratto preliminare di compravendita del diritto di superficie che le parti stipularono il 30 ottobre 2020 (doc. 1 fasc.
che così dispone:’ Il presente contratto preliminare di vendita è espressamente sottoposto alla condizione sospensiva dell’ottenimento entro il termine del 30 giugno 2021, termine che si intende prorogabile per effetto dell’accordo tra le parti, della sottoscrizione dell’atto modificativo della convenzione citata in premessa che preveda la possibilità di realizzare e gestire lo , e che dovrà necessariamente prevedere la proroga della durata del diritto di superficie per un periodo non inferiore a 40 (quaranta) anni a decorrere dalla data di sottoscrizione dell’atto modificativo della Convenzione,…….’ . Termine di integrazione della condizione al quale era ‘allineato’ quello di adempimento della prestazione ovvero quello per la conclusione del contratto definitivo (v. art. 3).
E’ pacifico che le parti abbiano pattuito una proroga del termine massimo di integrazione della condizione sospensiva in quanto dalle stesse ammesso in causa. A rigore di atti prodotti, tuttavia (docc. d, e fasc. doc. 2 fasc. intervennero due proroghe di un anno ciascuno, del termine di esecuzione del contratto ovvero:
-la prima proroga dal 30 giugno 2021 al 30 giugno 2022 ;
-la seconda proroga dal 30 giugno 2022 al 30 giugno 2023.
Non intervenne expressis verbis la proroga scritta del termine di integrazione della condizione come previsto nel citato art. 4 originario. Si può indurre, tuttavia, sia dal comportamento negoziale, e processuale delle parti, nonché dal tenore del preambolo della scrittura privata del 17 marzo 2022. In questa si dava atto, proprio per ‘giustificare’ l’ulteriore proroga del termine di adempimento della prestazione, che a quel momento non era ancora intervenuta la modificazione della Convenzione urbanistica a cui era sospensivamente condizionata l’efficacia del contratto preliminare.
Risulta pacifico non solo che tale modificazione della Convenzione non sia intervenuta entro il citato termine né durante il presente giudizio,, ma addirittura che l’attrice ha introdotto il presente giudizio il 1° novembre 2022 ovvero sette mesi prima del termine massimo stabilito per l’integrazione della condizione. Ciò palesa di per sé che ha agito per l’esecuzione di un contratto che non era ancora efficace con quel che ne segue circa il rigetto necessitato della domanda.
A questo proposito risulta dirimente richiamare non solo la massima ma l’intero apparato motivazionale della sentenza della Corte di cassazione richiamata dalla convenuta per stigmatizzare
questo corto circuito assertivo e giuridico in cui è incorsa la difesa attorea (Cass.II, 6 settembre 2019, n. 22343). Si tratta di un caso analogo in fatto nel quale la Suprema Corte ebbe a rigettare le medesime argomentazioni, oggi spese dalla difesa attorea, soprattutto in materia di atti conservativi in pendenza della condizione ex art. 1356 c.c. ed impossibilità di emettere una sentenza costitutiva condizionata all’avverarsi del fatto ancora non realizzatosi in via negoziale.
Ebbene:’ ritenuto che avverso la decisione d’appello il e il ricorrono con unitaria censura e che l’intimata resiste con controricorso; ritenuto che i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione degli artt. 1356 e 1358, cod. civ., in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., assumendo che: – il contratto sottoposto a condizione sospensiva si perfeziona immediatamente, con lo scambio dei consensi; – nel tempo in cui la condizione non si è ancora avverata il contraente che ha interesse al suo avveramento può compiere gli atti conservativi idonei ad assicurare il suo diritto, ai sensi dell’art. 1356, cod. civ.; – poiché la domanda era «diretta non già ad ottenere nell’immediato declaratoria di trasferimento a loro favore della proprietà dei beni oggetto della compravendita, ma più semplicemente ad ottenere una pronuncia che condizionasse quel trasferimento al verificarsi della condizione sospensiva», così da consentire la trascrizione del titolo, al fine della opponibilità ai terzi, la Corte locale aveva ingiustamente negato il diritto al compimento di un atto conservativo ;
considerato che la doglianza è manifestamente destituita di giuridico fondamento, dovendosi osservare quanto segue:
a) i ricorrenti pretendono, qualificandolo atto conservativo, il trasferimento ope iudicis, ai sensi dell’art. 2932, cod. civ., in relazione a un contratto preliminare la cui esecuzione è per volontà delle parti sospesa fino all’avveramento della condizione sospensiva, costituita dall’avvenuto decesso di entrambi i genitori della promittente alienante;
b) è da escludersi, per la contraddizione che non lo consente, che possa costituirsi, e, quindi, trasferirsi per sentenza costitutiva del giudice, un diritto ancora sottoposto a condizione sospensiva o ancora sottoposto a termine, per la ragione che l’aspettativa della parte non può essere mutata prima del tempo nel diritto anelato, così frustrando la volontà negoziale;
c) cosa ben diversa è che possa farsi luogo per sentenza del consenso mancante per il trasferimento di un bene (trasferimento, ovviamente del quale il promittente alienante si è reso inadempiente, perché appunto non sottoposto, o non più sottoposto, a termine o condizione), anche nell’ipotesi in cui il tempo per la controprestazione non sia ancora scaduto (come nel caso in cui tutto o parte del prezzo debba corrispondersi in epoca successiva), condizionando l’effetto traslativo al pagamento dell’intero prezzo (giurisprudenza pacifica, cfr., ex multis, Sez. 2, n. 1940/1982), stante che in questo caso si è in presenza di un contratto che, per volontà delle parti, nel momento in cui la vicenda viene davanti al giudice, è pienamente efficace (il promittente alienante, perché scaduto il termine, o consumatasi l’attesa della condizione, è inadempiente, mentre il promissario acquirente, che ha diritto all’immediato trasferimento, conserva il diritto ad effettuare il pagamento al tempo previsto ed è quindi logico e del tutto rispettoso della volontà contrattuale che il trasferimento debba essere condizionato dal giudice all’effettivo integrale pagamento del prezzo);
d) non può ipotizzarsi, perché si tratterebbe di spendita giudiziaria inutile, l’emissione di una sentenza, che, siccome pretendono i ricorrenti si limitasse a riaffermare quel che già prescrive il contratto preliminare, e cioè che, come nel caso al vaglio, il trasferimento resti condizionato sospensivamente all’avveramento di quella che le parti hanno qualificato come condizione
sospensiva; affermazione che, in disparte, è appena il caso di soggiungere, non assolverebbe neppure a quella funzione cautelare alla quale i ricorrenti ambiscono, funzione cautelare che l’ordinamento assicura con ben altri strumenti;
e) in linea con quanto fin qui esposto si colloca la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale il giudice adito ai sensi dell’art. 2932 cod. civ. deve emettere la sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso quando l’evento previsto come condizione sospensiva nel contratto preliminare, pur insussistente al momento della proposizione della domanda, risulta essersi verificato al momento della decisione (Sez. 2, n. 628, 17/01/2003, Rv. 559822; conf. Sez. 1, n. 8388, 20/6/2000) ‘.
Tanto basta per il rigetto della domanda attorea. Qualora le parti abbiano sospensivamente condizionato il contratto al verificarsi di un evento, indicando il termine entro cui esso possa utilmente avverarsi, il contratto deve considerarsi inefficace per il mancato avveramento della condizione dal momento in cui sia decorso inutilmente il suddetto termine ( infra Cass. II, Ord. 4 luglio 2024, n. 18351). La definitiva inefficacia del contratto elimina il diritto di azionare l’adempimento sia spontaneo che coattivo delle obbligazioni in esse dedotte.
A diversa conclusione non può invocarsi l’applicazione del regime giuridico di cui all’art. 1359 c.c. sulla fictio iuris di avveramento della condizione.
In primis, come anticipato, è la stessa parte a domandare una pronuncia costitutiva ex art. 2932 c.c.’ sotto la condizione sospensiva di cui all’approvazione della variante urbanistica di cui al contratto preliminare ‘. L’evocazione di tale regula iuris appare contraria a quando dimesso nel petitum attoreo con quel che ne segue circa il cortocircuito logico in cui è caduta la parte nel menzionare, poi, la disciplina eguale e contraria dell’avveramento. Ciò, peraltro, appare in linea con lo stesso interesse dell’attrice la quale aveva l’interesse ad acquistare il diritto di superficie dell’area solo in virtù della variata conformazione urbanistica della stessa.
In termini funzionali supporre un eventuale ‘ finzione di avveramento della condizione non soddisfacerebbe l’interesse concreto della in quanto la conformazione edilizia ed urbanistica dell’area cui il diritto di superficie è stato compromesso è rimasta la stessa.
In secundis non ricorrono gli estremi giuridici della sua applicazione in quanto la parte tenuta condizionatamente ad una determinata prestazione aveva anch’essa interesse all’avveramento di essa (la c.d. condizione bilaterale). L’orientamento tradizionale ritiene che la condizione può ritenersi apposta nell’interesse di una sola delle parti contraenti soltanto quando vi sia un’espressa clausola contrattuale che disponga in tal senso ovvero un insieme di elementi che nel loro complesso inducano a ritenere che si tratti di condizione alla quale l’altra parte non abbia alcun interesse, in mancanza, la condizione stessa deve ritenersi apposta nell’interesse di entrambi i contraenti” (Cass. n. 4178/1998 Cass. n. 417898, Cass. n.7973 0, Cass. n. 6423 3, Cass.n. 419 6, e, più recentemente, Cass. n. 16620/2013 e Cass. L 26 luglio 2017, n. 18512 del 26/07/2017).
L’applicazione dell’art. 1359 c.c. (ossia l’avveramento fittizio della condizione) è indiscutibilmente legata, per un verso, all’accertamento di un vero controinteressato al verificarsi della condizione e, per altro verso, alla prova del dolo o della colpa (Sez. 6-2, n. 31728 del 4 novembre 2021; Sez. 2, n. 23417 del 19 settembre 2019).
In questo caso, poi, ricorre un’ulteriore circostanza ovvero la natura di condizione potestativa mista di quella apposta al preliminare atteso che l’evento condizionante era dipendente non solo dall’attività della promittente venditrice ma anche da quella del Comune di Milano. La variante urbanistica, infatti,
avrebbe dovuto essere veicolata attraverso la modificazione di una convenzione urbanistica che, come noto, è un vero e proprio accordo sostitutivo di diritto pubblico dell’esercizio della potestà amministrativa (peraltro anche regolamentare) ex art. 11 della l. 241/1990. Questa notazione elide ogni rilievo a quel filone pretorio che valorizza il comportamento tenuto in violazione dei canoni di correttezza e buona fede della parte non interessata (o non più interessata) all’integrazione del fatto condizionante rispetto al frammento potestativo della condizione. In questo caso l’attività propedeutica a propulsare la conclusione della convenzione urbanistica da parte della promittente venditrice.
Purtuttavia appare evidente che ciò non sarebbe stato neanche rilevante visto che il frammento casuale della stessa ovvero il comportamento del terzo Ente pubblico non si è comunque realizzato.
A negare, comunque, qualsiasi rilevanza all’art. 1359 c.c. , e all’ininfluenza sullo stesso della violazione del precetto, in thesi , dell’art. 1358 c.c., è la considerazione secondo cui l’omissione di un’attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità, in quanto essa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, che, invece, deve escludersi per l’attività di attuazione dall’elemento potestativo in una condizione mista (Sez. 2, n. 17919 del 22 giugno 2023; Sez. 2, n. 25025 del 22 agosto 2022; Sez. 2, n. 22046 dell’11 settembre 2018) .
In fatto vale la pena segnalare -visti gli assorbenti profili giuridici esplicati -che la violazione degli obblighi di correttezza e buona fede da cui l’attrice vorrebbe trarre un nesso casuale con il mancato avveramento della condizione e, quindi, evocare la fictio iuris di avveramento, appaiono inconferenti causalmente rispetto alla stessa.
I fatti contestati alla convenuta riguardano:
-la mancata ripetizione in forma pubblica della citata scrittura privata del 17 marzo 2022 (recante la proroga del termine della conclusione del contratto);
-la mancata tempestiva informativa circa la pendenza della causa civile instaurata dalla terza RAGIONE_SOCIALE nei confronti della avente ad oggetto il pagamento di un’ingente somma a titolo di regresso.
Fatti avulsi dall’iter di perfezionamento o meno della parte casuale della condizione mista.
Ciò rende superflua e priva di interesse ad agire la domanda di accertamento dell’autenticità delle sottoscrizioni apposte alla scrittura privata del 17 marzo 2022.
La scrittura in parola è stata riconosciuta nel presente giudizio da parte della convenuta senza che vi fosse alcuna contestazione. In termini strutturali non vi è alcuna utilità pratica nel ribadire ciò che fra le parti è ammesso.
Per altre ragioni poi non vi è alcuna utilità rispetto alla astratta pubblicità che l’attrice vorrebbe far e della scrittura di proroga attraverso l’accertamento giudiziale di autenticità delle sottoscrizioni. In questo caso l’atto da ‘autenticare’ nella sottoscrizione è un accordo di proroga di un contratto preliminare stipulato nel 2020 e ciò cozza in modo deciso con la disciplina temporale della provvisoria anticipazione degli effetti prenotativi del contratto preliminare e delle sue proroghe ovvero la durata massima del triennio. Durata sostanziale della trascrizione su cui incide anche l’eventuale processo instaurato per accertare l’autenticità della sottoscrizione vista la precipua funzione transitoria di tale forma trascrizionale.
Ed infatti In tema di trascrizione del contratto preliminare, i due termini previsti dall’art. 2645 bis, comma 3, c.c. rispondono alla stessa ratio di tutela di interessi di carattere generale, rappresentati dalla duplice esigenza di evitare, da un lato, che l’immobile possa essere sottratto dal promittente venditore a tempo indeterminato, tramite un preliminare “di comodo”, alla garanzia patrimoniale generica ex art. 2740 c.c., e, dall’altro lato, che si realizzi, di fatto, la sottrazione del bene alla libera circolazione; ne consegue che, in caso di inutile decorso di entrambi i predetti termini – l’uno dei quali, quello annuale,
prorogabile a data ricadente nel medesimo triennio per accordo opponibile ai terzi se trascritto prima della sua scadenza – l’effetto prenotativo della trascrizione del preliminare viene meno, senza che sia necessaria la cancellazione della stessa, ed i terzi recuperano la pienezza dei loro diritti e delle loro prerogative in relazione al bene che era stato oggetto della prenotazione ( infra Cass. II, 22 marzo 2025, n. 7634).
Evidente l’inutilità dell’odierno accertamento atteso che è già spirato il termine di durata massima della trascrizione del contratto preliminare a monte (e della sua prima proroga) sicchè l’attrice non potrebbe procedere a trascrivere l’atto di proroga di un termine già spirato (30 giugno 2023).
Tanto basta per la reiezione della domanda.
La domanda di risarcimento del danno è infondata e va respinta.
E noto che il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (Cass. SS.UU., 30 ottobre 2001, n. 13533).
L’art. 1218 c.c disciplina l’ipotesi della mancata o inesatta esecuzione della prestazione dovuta, ponendo a carico del debitore l’obbligo di risarcire il danno quale immediata conseguenza dell’inesecuzione. Essa viene solitamente coordinata da parte della dottrina dominante con l’art. 1256 c.c. il quale prevede l’estinzione dell’obbligazione nel caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione, fissando il criterio legale di distribuzione tra le parti del rischio dell’impossibilità della prestazione, che il legislatore ha posto a carico del creditore.
La responsabilità del debitore si ricollega ad una valutazione della sua condotta sotto il profilo della colpa/negligenza, in quanto il debitore che non abbia eseguito la prestazione per liberarsi da responsabilità deve provare sia l’impossibilità della prestazione, sia che l’impedimento non dipende da un fatto a lui imputabile, aggettivo che è sempre stato usato nel senso di imputabilità a colpa.
Ciò vale a determinare in astratto e su un piano logicogiuridico il perimetro dell’accertamento della responsabilità della parte inadempiente. Solo una volta accertata la sua sussistenza si può procedereseguendo una logica tipicamente giuridica e non razionalealla individuazione dell’insorgenza di pregiudizi sofferti dal creditore in termini fattuali (danno-evento) e alle loro eventuali conseguenze giuridicamente rilevanti (danno-conseguenza).
Pertanto occorre distinguere nettamente, da un lato, il nesso che deve sussistere tra comportamento ed evento perché’ possa configurarsi, a monte, una responsabilità “strutturale” e, dall’altro, il nesso che, collegando l’evento al danno, consente l’individuazione delle singole conseguenze dannose, con la precipua funzione di delimitare, a valle, i confini di una (già accertata) responsabilità risarcitoria (a questo secondo momento va riferita la regola dell’art. 1223 c.c. per il quale il risarcimento deve comprendere le perdite “che siano conseguenza immediata e diretta” del fatto lesivo – c.d. causalità giuridica). Ne segue che la ricostruzione del nesso di derivazione eziologica esistente tra la condotta del danneggiante e la conseguenza dannosa risarcibile implica la scomposizione del giudizio causale in due autonomi e consecutivi segmenti, il primo volto ad identificare – in applicazione del criterio del “più probabile che non” – il nesso di causalità materiale che lega la condotta all’evento di danno, il secondo essendo diretto, invece, ad accertare il nesso di causalità giuridica che lega tale evento alle conseguenze dannose risarcibili, accertamento, quest’ultimo, da compiersi in applicazione dell’art. 1223 cod. civ., norma che pone essa stessa una regola eziologica (infra Cass. II, Ord. 30 giugno 2021, n. 18509; Cass. n. 21255/2013; Cass. n. 4439/2014).
Ebbene non si ravvedono i presupposti di una responsabilità contrattuale in capo alla convenuta. Il titolo contrattuale dedotto in giudizio non era esigibile ai fini dell’adempimento sia spontaneo che
coattivo in quanto inefficace. Da qui l’impossibilità strutturale di poter configurare un inadempimento contrattuale e, quindi, un comportamento contra ius della convenuta e, a fortiori , un danno risarcibile causalmente riconducibile a quella condotta (non dovuta).
Il danno lamentato dall’attrice costituirebbe il risarcimento dell’interesse positivo leso dalla (non ) condotta della convenuta ovvero il surrogato di quanto conseguibile in forma specifica con l’odierna azione costitutiva. Come detto, la citata domanda non poteva essere accolta proprio perché la prestazione non era esigibile né poteva discorrersi di fictio iuris di avveramento; ne segue l’insussistenza di un danno ricollegabile, anche in via surrogatoria, al comportamento tenuto dalla convenuta.
Allo stesso modo, peraltro, non può configurarsi una responsabilità contrattuale fondata sull’inadempimento all’obbligo di ripetizione in forma pubblica della seconda proroga convenzionale in quanto irrilevante rispetto al danno lamentato dall’attrice. L’eventuale stipula in tale forma non avrebbe comportato alcuna utilità rispetto alla stipula del contratto definitivo vista la mera funzione di provvisoria prenotatività che la trascrizione avrebbe comportato (comunque già sfumata nel novembre 2023 visto il decorso del triennio di cui all’ar.t 2645 bis c.c.) rispetto ad eventuali altri gravami. L’attrice non si è doluta di tale pregiudizio quanto di quello che sarebbe derivato dal mancato avveramento della condizione sospensiva. Ogni altro fatto allegato risulta irrilevante proprio per le assorbenti ragioni spese ut supra .
In definitiva l’alea insita in tale tipo di condizione potestativa mista non si è concretizzata in favore delle parti essendo il contratto divenuto definitivamente inefficace.
A questo proposito sorge il diritto dell’attrice alla restituzione della somma versata a titolo di caparra confirmatoria che, tuttavia, non è stato azionato, neppure in via subordinata, nel presente giudizio, con quel che ne segue circa l’impossibilitò del giudice di pronunciare ex officio.
La domanda riconvenzionale di risarcimento del danno per responsabilità aggravata ex art. 96 è infondata e va respinta.
Difetta la prova del danno.
In limine litis va affermato che la convenuta abbia proposto tale domanda nella propria comparsa di costituzione e risposta atteso che nelle conclusioni ha domandato il ‘ risarcimento dei danni tutti subiti dalla convenuta ai sensi dell’art. 96 cpc ‘ e nel corpo del libello ha così ‘illustrato’ la sua intenzione:’ ha addirittura trascritto nei pubblici registri immobiliari la domanda giudiziale proposta, pregiudicando in questo modo anche qualsiasi intervento sulle aree promesse e soprattutto qualsiasi possibilità di realizzazione degli obbiettivi della Convenzione Urbanistica in essere nei relativi tempi di validità.
E’ quindi intenzione della convenuta richiedere, oltre al rigetto delle domande proposte ex adverso, anche la condanna al risarcimento ai sensi dell’art. 96 cpc per la palese temerarietà dell’iniziativa giudiziaria intrapresa e per la trascrizione della domanda giudiziale nei registri immobiliari, eseguita senza la normale prudenza ed anzi nella piena consapevolezza dell’infondatezza della pretesa azionata e del danno creato alla convenut a ‘(p. 13). Ne segue l’irrilevanza della riserva di azione risarcitoria aliunde dimessa nella propria comparsa conclusionale attesa la chiara proposizione della domanda nell’ambito delle due fattispecie riferibili all’art. 96 c.p.c.
Va ricordato che il secondo comma dell’art. 96 c.p.c., prevede la possibilità che la parte soccombente sia condannata al risarcimento del danno, dal giudice che abbia accertato l’infondatezza della domanda proposta, se ha agito in giudizio senza la normale prudenza, nelle ipotesi in cui alla proposizione della domanda giudiziale si associ il compimento di – o che essa sia preceduta da – altre attività processuali o accessorie, particolarmente invasive della sfera giuridica della controparte ed astrattamente idonee ad
essere fonte di un pregiudizio patrimoniale come la trascrizione della domanda (Cass. SS.UU. 23 marzo 2011, n. 6597)
L’accertamento dei requisiti costituiti dall’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, ovvero in difetto della normale prudenza, implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità, (Cass. III, 31 luglio 2015, n. 16272).
Purtuttavia la responsabilità civile – anche quella speciale recata dall’art. 96 comma secondo c.p.c. – è imperniata introno al concetto fondamentale di danno risarcibile sicché ogni qualvolta non è nè allegata né dimostrata una conseguenza pregiudizievole immediata e diretta derivante dal fatto illecito (dannoevento) difetta il debito risarcitorio e, quindi, la responsabilità aquiliana non potendosi predicare nel nostro ordinamento una responsabilità senza debito almeno ai fini dell’azione risarcitoria.
Occorre tenere a mente che il sistema di valutazione e determinazione dei danni, siano essi contrattuali o extracontrattuali, in virtù del rinvio operato dall’art. 2056 c.c., è composto dagli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c..
Ai fini della responsabilità civile ciò che si imputa è il danno e non il fatto in quanto. E tuttavia un “fatto” è pur sempre necessario perché la responsabilità sorga, giacché l’imputazione del danno presuppone l’esistenza di una delle fattispecie normative di cui agli artt. 2043 e ss. c.c., le quali tutte si risolvono nella descrizione di un nesso, che leghi storicamente un evento o ad una condotta o a cose o a fatti di altra natura, che si trovino in una particolare relazione con il soggetto chiamato a rispondere. Il “danno” rileva così sotto due profili diversi: come evento lesivo e come insieme di conseguenze risarcibili, retto il primo dalla causalità materiale ed il secondo da quella giuridica. Il danno oggetto dell’obbligazione risarcitoria aquiliana è quindi esclusivamente il danno conseguenza del fatto lesivo ( di cui è un elemento l’evento lesivo). Se sussiste solo il fatto lesivo, ma non vi è un danno-conseguenza, non vi è l’obbligazione risarcitoria.
Ne segue che esistono due momenti diversi del giudizio aquiliano: la costruzione del fatto idoneo a fondare la responsabilità e la determinazione dell’intero danno cagionato, che costituisce l’oggetto dell’obbligazione risarcitoria (v. infra in motivazione Cass. SS.UU. 11 gennaio 2008, n. 576)
A questo secondo momento va riferita la regola dell’art. 1223 c.c.(richiamato dall’art. 2056 c.c.), per il quale il risarcimento deve comprendere le perdite “che siano conseguenza immediata e diretta” del fatto lesivo (c.d. causalità giuridica).
Manca proprio questa seconda frazione di ‘fatto’ in quanto la convenuta non ha allegato i fatti pregiudizievoli specifici, sui quali far innestare una liquidazione del danno anche ai fini dell’art. 96 primo comma c.p.c.. Non sono state allegate specifiche operazioni sfumate o detrimenti patrimoniali cui agganciare una valutazione giudiziale e liquidazione del danno.
A chiosa finale di tale assunto il Tribunale non può neanche procedere ad ordinare la cancellazione della trascrizione della domanda giudiziale in quanto l’attrice (quale soggetto trascrivente onerato) non ha provveduto a depositare la nota di trascrizione della domanda (in atti vi è una ispezione ipotecaria per soggetto senza specifica produzione della nota in parola) né lo ha fatto, in sua ‘surroga’ , la difesa della convenuta, pur indicando gli estremi di una nota nelle proprie conclusioni. Va da sé che il Tribunale non può procedere ex art. 2668 comma secondo c.c. senza la nota della relativa formalità e che l’attrice dovrà assentire alla suddetta cancellazione (qualora la sentenza passi in giudicato) a propria cura e spese quale suo specifico obbligo sostanziale.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in € 22.457,00 per compensi, oltre spese generali al 15%, I.V.A., se dovuta, e C.P.A. e vista l’istanza formulata ex art. 93 c.p.c., vengono distratte in favore della patrona antistataria.
P.Q.M.
il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni domanda o eccezione avversa
• rigetta tutte le domande proposte dalla
in confronto della
•
rigetta la domanda di risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. proposta dalla in confronto della
• condanna la alla rifusione delle spese di lite della liquidate in € 22.457,00 per compensi, oltre spese generali al 15%, I.V.A., se dovuta, e C.P.A. e vista l’istanza formulata ex art. 93 c.p.c., le distrae in favore della patrona antistataria.
Milano, 26 luglio 2025
Il Giudice NOME COGNOME