Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3983 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3983 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 242/2019 R.G. proposto da:
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– ricorrente –
contro
NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
– controricorrente –
nonchè contro
COGNOME NOME, COGNOME‘ NOME NOME, COGNOME NOME;
– intimati-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MESSINA n. 960/2018 depositata il 23/10/2018; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/11/2023 dal
Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
Con atto di citazione del 09.07.2003, NOME COGNOME conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Patti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, chiedendo al giudice di pronunciare sentenza ex art. 2932 cod. civ. per il trasferimento della proprietà di due terreni promessi in vendita da NOME COGNOME in nome e per conto degli altri tre fratelli germani con due diversi preliminari stipulati in data 17.06.1996 e 25.06.1997, in cui si prevedeva la stipula dei definitivi rispettivamente il 31.12.1996 e il 31.12.1997. A sostegno della sua pretesa, l’attore affermava di essere stato immesso nella detenzione degli immobili al momento della stipula dei preliminari, di aver corrisposto integralmente il prezzo di vendita dei due fondi, nonché il costo per la stipula degli atti notarili. Le due sorelle NOME e NOME si costituivano in giudizio, mentre NOME e NOME restavano contumaci.
1.1. Il Tribunale di Patti accoglieva la domanda attorea dichiarando inammissibile, in quanto tardiva, l’eccezione in senso stretto formulata da NOME COGNOME nella comparsa di costituzione in primo grado depositata all’udienza del 18.03.2004, successiva, quindi, alla prima udienza del 06.11.2003, con la quale riteneva inesistente una formale procura a vendere degli immobili di cui era comproprietaria insieme ai fratelli germani convenuti in giudizio; trasferiva per l’effetto al COGNOME la proprietà degli immobili oggetto dei preliminari di vendita.
La pronuncia veniva impugnata da NOME COGNOME innanzi alla Corte d’Appello di Messina, che accoglieva il gravame e revocava la pronuncia di prime cure con cui veniva trasferita la proprietà degli immobili oggetto dei preliminari, ritenendo non possibile disporre il trasferimento dei beni limitatamente alle quote indivise di NOME, NOME e NOME COGNOME, come richiesto in comparsa conclusionale da NOME COGNOME. A sostegno della sua decisione osservava la Corte, per quel che qui rileva:
l’eccezione di inefficacia dei preliminari di vendita sollevata da NOME in seno alla comparsa di costituzione depositata all’udienza del 18.03.2004 non era tardiva, in quanto qualificabile come eccezione in senso lato, ovvero come mera difesa, rilevabile anche d’ufficio dal giudice, e pertanto poteva e doveva essere esaminata dal giudice di prime cure;
nel merito: la mancanza agli atti di causa di una valida procura a vendere beni immobili rilasciata per iscritto ex art. 1392 cod. civ. da NOME in favore del fratello NOME ha reso irrimediabilmente inefficaci i preliminari di vendita.
Impugnava la pronuncia NOME COGNOME per la cassazione, affidando il ricorso a tre motivi.
Si difendeva depositando controricorso NOME.
Restavano intimati NOME, NOME, NOME NOME.
In prossimità dell’adunanza entrambe le parti depositavano memorie.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 166, 167, 180 (vecchia formulazione) e 183 cod. proc. civ., nonché omessa e insufficiente motivazione su tale punto della
contro
versia. Nella ricostruzione del ricorrente, l’eccezione del difetto di rappresentanza è stata formulata da NOME COGNOME oltre i termini di cui all’art. 180 cod. proc. civ. nella formulazione antecedente alla riforma del 2005: costituitasi, infatti, all’udienza di trattazione del 18.03.2004 è incorsa nella decadenza di proporre le eccezioni non rilevabili d’ufficio, poiché si è costituita dopo il termine perentorio stabilito dall’art. 180 cod. proc. civ. L’ eccezione del difetto di rappresentanza, anche nella giurisprudenza della Corte di legittimità, è definita eccezione di merito (tra le altre: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24133 del 24/10/2013, Rv. 628199 – 01), in quanto connessa ad uno specifico potere del falsamente rappresentato di ratificare o meno il contratto impedendo il perfezionamento di quella che veniva definita una fattispecie a formazione progressiva, pertanto come tale non rilevabile d’ufficio. Si tratta di un fatto tale da estinguere in tutto o in parte il diritto dell’attore, come tale qualificabile come eccezione in senso stretto.
1.1. Il motivo è infondato. Il principio di diritto richiamato dal ricorrente (il contratto concluso dal rappresentante senza potere non è nullo e neppure annullabile, ma soltanto inefficace nei confronti dello pseudo-rappresentato, fino all’eventuale ratifica di questo, e tale inefficacia temporanea è rilevabile unicamente su eccezione dello pseudo-rappresentato e non d’ufficio) rispondeva alla domanda: se l’inefficacia del contratto stipulato dal falsus procurator possa essere rilevata d’ufficio o solo su iniziativa dello pseudo -rappresentato (per tutte: Cass. n. 24133 del 2013, cit.). Tuttavia, questo indirizzo interpretativo, che riconduceva l’inefficacia del contratto nei confronti della persona in nome della quale il falso rappresentante ha agito nel novero delle eccezioni riservate alla disponibilità dell’interessato, era stato messo in discussione per la sua non coerenza con il criterio
generale in tema di distinzione fra eccezioni in senso stretto ed eccezioni in senso lato nel frattempo elaborato, con riguardo alle fattispecie estintive, modificative o impeditive, dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite, a partire dalla sentenza 3 febbraio 1998, n. 1099, fino alla ordinanza 7 maggio 2013, n. 10531, passando per la sentenza 27 luglio 2005, n. 15661. In base a tale criterio distintivo, di norma, tutti i fatti estintivi, modificativi od impeditivi, siano essi fatti semplici oppure fatti-diritti che potrebbero essere oggetto di accertamento in un autonomo giudizio, sono rilevabili d’ufficio, e dunque rappresentano eccezioni in senso lato.
Di conseguenza, è stata rimessa alle Sezioni Unite la questione di massima di particolare importanza: se la deduzione della inefficacia del contratto concluso dal falsus procurator costituisca materia di eccezione in senso stretto, che come tale può essere sollevata solo dal falsamente rappresentato ed esclusivamente nella fase iniziale del processo di primo grado, o sia una eccezione in senso lato, dunque non solo rilevabile d’ufficio ma proponibile dalle parti per tutto il corso del giudizio di primo grado e finanche per la prima volta in appello. A tale quesito le Sezioni Unite di questa Corte hanno risposto con il seguente principio di diritto, al quale questo Collegio intende attenersi: «Poiché la sussistenza del potere rappresentativo in capo a chi ha speso il nome altrui è elemento costitutivo della pretesa che il terzo contraente intenda far valere in giudizio sulla base di detto negozio, non costituisce eccezione, e pertanto non ricade nelle preclusioni previste dagli artt. 167 e 345 cod. proc. civ., la deduzione della inefficacia per lo pseudo rappresentato del contratto concluso dal falsus procurator ; ne consegue che, ove il difetto di rappresentanza risulti dagli atti, di esso il giudice deve tener conto anche in mancanza di specifica richiesta della parte interessata, alla quale, a maggior ragione, non è preclusa
la possibilità di far valere la mancanza del potere rappresentativo come mera difesa» (Sez. U, Sentenza n. 11377 del 03/06/2015, Rv. 635537 -01, richiamata nella sentenza d’appello, confermata da: Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1751 del 24/01/2018, Rv. 647153 -01; Cass. Sez. 6 3, Ordinanza n. 26871 del 13/09/2022, Rv. 665720 -01).
Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del principio dell’apparenza del diritto e della tutela dell’affidamento: artt. 1350 cod. civ., forma scritta del contratto; 1351, forma scritta dal preliminare; 1392, forma scritta nella procura; 1393, giustificazioni dei poteri; 1388, efficacia del contratto del rappresentante; in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3) e 5) cod. proc. civ., nonché omessa ed insufficiente motivazione su tale punto della controversia. La Corte territoriale non ha tenuto in debito conto il fatto che nessuno dei fratelli germani ha mai contestato i poteri di rappresentanza del fratello NOME. Come emerge da talune pronunce della Corte di legittimità, applicando la disciplina di cui agli artt. 1398 e 1399 cod. civ. assume, invece, rilievo l’apparenza colposa nel caso in cui si accerti un malizioso o negligente comportamento del rappresentato apparente (NOME COGNOME) tale da far presumere la volontà di conferire al procuratore i suddetti poteri.
2.1. Il motivo è infondato . In disparte l’asserita inammissibilità della questione dell’apparenza colposa, in quanto nuova a giudizio della controricorrente (v. controricorso p. 9, sesto capoverso), posto che la corte d’Appello ha, invece, affrontato -sotto diversi profili – il problema già sollevato dal promissario acquirente in merito alla presunta volontà della sorella NOME di obbligarsi a vendere la quota parte degli immobili (v. sentenza, p. 6).
2.2. Quanto al principio dell’apparenza , è inconferente il richiamo a precedenti giurisprudenziali dei quali il ricorrente ha travisato i
principi di diritto ivi espressi (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 1192 del 18/01/2017, Rv. 642563 -01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 30938 del 27/12/2017, Rv. 647065 -01. In precedenza: Cass., Sez. 6-3, 25.06.2015, n. 13180; più di recente: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 27517 del 20/09/2022, Rv. 665696 – 01). In dette pronunce, infatti, questa Corte ha ribadito un principio di diritto risalente (Cass., Sez. 3, 19 aprile 2010, n. 9268), in virtù del quale in tema di contratto preliminare di compravendita immobiliare il principio dell’apparenza del diritto non può essere invocato dal promissario acquirente che abbia confidato nella sussistenza del potere rappresentativo del contraente che abbia speso il nome del promittente alienante, pur in assenza di una procura r ilasciata in forma scritta, per ottenere l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere il contratto definitivo, ex art. 2932 cod. civ. – sussistendo, in ragione del requisito formale richiesto ad substantiam per il conferimento di una simile procura, un onere legale di documentazione della stessa, in capo al rappresentante, ed un onere di diligenza in capo al terzo contraente, consistente nel chiedere la giustificazione degli altrui poteri e, quindi, l’esibizione dell’atto scritto con cui sono stati conferiti. Il passo riportato dal ricorrente investe, invece, il diverso profilo (richiamato in motivazione: Cass. n. 1192 del 2017, cit.) per cui il principio del l’apparenza colposa ingenerata dal rappresentato -mentre è escluso che possa vincolare il rappresentato, per le ragioni sopra richiamate – può fondare la richiesta risarcitoria del terzo nei confronti del falsus procurator e dello stesso falsamente rappresentato, in presenza di elementi esteriori ed obiettivi, atti a giustificare la sua opinione che il potere rappresentativo fosse stato effettivamente conferito.
Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1351 e 2932 cod. civ. Nonché omessa ed insufficiente motivazione
su tale punto della controversia. Il ricorrente ritiene che alla luce della giurisprudenza della Suprema Corte – peraltro non unanime -gli effetti di un contratto preliminare di vendita avente ad oggetto un bene in comproprietà sottoscritto soltanto da alcuni comproprietari in previsione della prestazione del consenso anche da parte di tutti gli altri comproprietari i titolari delle rispettive quote, possono essere limitati: a) all’inefficacia relativa del contratto, nel senso che soltanto l’acquirente può farla valere e non anche gli altri comproprietari promittenti venditori, in virtù della quale si sarebbe in presenza di una pluralità di contratti preliminari aventi ad oggetto le singole quote di ciascun promittente (Cass. 18.09.1991, n. 9749; più di recente: Cass. Sez. 2, n. 8092 del 2011); b) all’obbligo di stipulare il definitivo limitatamente alle quote di appartenenza dei comproprietari che abbiano stipulato il preliminare, fatto salvo l’esercizio del diritto di prelazione legale o convenzionale, e tenendo conto della proporzione delle rispettive quote, dell’oggetto del contratto e della previsione di un prezzo globale (Cass. 06.06.1989, n. 2749).
3.1. Anche il terzo motivo è infondato. L ‘orientamento maggioritario, costante ed attuale di questa Corte si è espresso nel senso opposto a quello suggerito dal ricorrente. A partire dal 1993, infatti, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che: «La promessa di vendita di un bene in comunione è, di norma, considerata dalle parti attinente al bene medesimo come un unicum inscindibile e non come somma delle singole quote che fano capo ai singoli comproprietari, di guisa che questi ultimi – salvo che l’unico documento predisposto per il detto negozio venga redatto in modo tale da farne risultare la volontà di scomposizione in più contratti preliminari in base ai quali ognuno dei comproprietari si impegna esclusivamente a vendere la propria quota al promissario acquirente, con esclusione di
forme di collegamento negoziale o di previsione di condizioni idonee a rimuovere la reciproca insensibilità dei contratti stessi all’inadempimento di uno di essi -costituiscono un’unica parte complessa e le loro dichiarazioni di voler vendere si fondono in un’unica volontà negoziale. Ne consegue che, quando una di tali dichiarazioni manchi (o sia invalida), non si forma (o si forma invalidamente) la volontà di una delle parti del contratto preliminare, escludendosi, pertanto, in toto la possibilità del promissario acquirente di ottenere la sentenza costitutiva di cui all’art. 2932 cod. civ. nei confronti dei soli comproprietari promittenti, sull’assunto di una mera inefficacia del contratto stesso rispetto a quelli rimasti estranei» (Cass. Sez. U, n. 7481/1993, Rv. 483048 -01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11358 del 30/12/1994, Rv. 489489 – 01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 715 del 26/01/1998, Rv. 511922 -01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8796 del 28/06/2000, Rv. 538128 -01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11008 del 26/07/2002, Rv. 556250 -01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6308 del 10/03/2008, Rv. 602526 -01; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 21286 del 08/10/2014, Rv. 632332 -01; Cass. Sez. 2, n. 12938/2018, Rv. 650079 – 01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2110 del 29/01/2021, Rv. 660355 -01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22011 del 12/07/2022, Rv. 665378 -01. Il principio è stato confermato da ultimo anche da: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 24313 del 05/08/2022, Rv. 665559 – 01, ove tuttavia non ha trovato applicazione poiché nel caso in esame il contratto preliminare aveva dichiaratamente ad oggetto la compravendita non già dell’intero immobile indiviso ma solo delle quote sullo stesso spettanti ai comproprietari che lo avevano sottoscritto). Questo Collegio intende aderire a tale orientamento, anche in considerazione del fatto che la sostanziale identità del bene oggetto del trasferimento costituisce elemento indispensabile di collegamento tra
contratto preliminare e contratto definitivo. Ne consegue che, in tema di esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto, ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., la sentenza che tiene luogo del contratto definitivo non concluso deve necessariamente riprodurre, nella forma del provvedimento giurisdizionale, il medesimo assetto di interessi assunto dalle parti (così le pronunce citate, in motivazione); condizione evidentemente non possibile nel caso che ci occupa, ove viene chiesto dal promissario acquirente il trasferimento dei beni di cui è causa limitatamente alle quote indivise di NOME, NOME e NOME.
In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso, le spese seguono la soccombenza come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che liquida in € 3.400,00 per compensi, oltre ad €200,00 per esborsi , alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda