Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 28756 Anno 2024
ORDINANZA
sul ricorso N. 13235/2021 R.G. proposto da:
ISGRÒ NOME, domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso la cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall ‘ avv. NOME COGNOME come da procura allegata al ricorso, domicilio digitale EMAIL
– ricorrente –
contro
COMUNE DI COGNOME, in persona del Sindaco pro tempore, domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso la cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso dall ‘ avv. NOME COGNOME come da procura allegata al controricorso, domicilio digitale EMAIL
– controricorrente –
N. 13235/21 R.G.
avverso la sentenza n. 235/2019 della Corte d ‘ appello di Messina, depositata il 27.3.2019;
udita la relazione della causa svolta nella adunanza camerale del 2.10.2024 dal Consigliere relatore dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, con sentenza del 10.1.2013, accolse l ‘ opposizione proposta dal Comune di Pagliara al decreto ingiuntivo n. 12/2010, con cui gli si era ingiunto di pagare all ‘ing. NOME COGNOME la somma di € 86.589,80 per prestazioni professionali rese. Rilevò il Tribunale -dopo aver rigettato le eccezioni di difetto di giurisdizione e di incompetenza per territorio -che difettava un valido contratto avente forma scritta come previsto dagli artt. 16 e 17 del r.d. n. 2440/1923, così derivando l ‘ infondatezza della pretesa creditoria, con conseguente revoca del d.i. opposto. NOME COGNOME propose gravame e la Corte d ‘ appello di Messina, nella resistenza del Comune di Pagliara, con sentenza del 27.3.2019 lo rigettò, osservando che il contratto d ‘ opera professionale intercorso tra il professionista e la P.A. deve essere redatto, a pena di nullità, in forma scritta e che tanto non poteva dirsi sussistente nella specie, non essendo all ‘ uopo idonei né la delibera di G.M. n. 138 del 21.5.1994, né il disciplinare d ‘ incarico del 17.5.1994, così come depositato in atti; aggiunse che, pur sussistendo l ‘ utilità dell ‘ opera per la P.A., tanto era irrilevante, non essendo stata proposta l ‘ azione ex art. 2041 c.c.; che, ancora, neppure era rilevante l ‘ asserito riconoscimento di debito avvenuto in sede di conferenza di servizi, non potendo farsi ricorso, all ‘ uopo, a facta concludentia da parte della P.A.; che comunque non poteva prescindersi dalla necessità che il contratto fosse
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contenuto in un unico apposito documento, giacché la possibilità opposta era consentita solo per i contratti tra la P.A. e imprese commerciali, a mente dell ‘ art. 17, ultima parte, del r.d. n. 2440/1923.
Avverso detta sentenza NOME COGNOME propose ricorso per revocazione ex art. 395, n. 4, c.p.c.; la Corte d ‘ appello di Messina, asseritamente dopo aver disposto la sospensione dei termini per la proposizione del ricorso per cassazione con ordinanza del 24.10.2019, rigettò l ‘ impugnazione con sentenza del 20.5.2021. NOME COGNOME propone adesso ricorso per cassazione avverso la sentenza del 27.3.2019, sulla scorta di sei motivi, cui resiste con controricorso il Comune di Pagliara. Il Collegio ha riservato il deposito dell ‘ ordinanza entro sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 -Con il primo motivo si denuncia la nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., ‘ in quanto la sentenza è affetta da un errore di fatto risultante dagli atti e documenti della causa ex art. 395, 1° comma, n. 4 c.p.c. (Corte costituzionale n. 17/1986) ‘ , giacché -contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte messinese -risultava depositato in atti il disciplinare d ‘ incarico firmato sia dal Sindaco del Comune opponente che dal professionista. 1.2 -Con il secondo motivo si lamenta l ‘ omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., ossia la ‘ Mancata valutazione di un documento decisivo: incomprensibile motivazione della sentenza ritenuto che in atti era stato depositato il disciplinare d ‘ incarico firmato congiuntamente dal Sindaco e dal professionista’.
1.3 -Con il terzo motivo si denuncia la ‘ Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, 1° comma, n. 3, c.p.c. con riferimento all ‘ art. 14 della L.
241/90 ed omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360, 1° comma, n. 5 cpc ‘. Si sostiene che, anche a ritenere, contro il vero, che non fosse presente in atti il disciplinare d ‘ incarico completo della firma delle parti, erano stati comunque prodotti numerosi altri documenti (delibera d ‘ incarico della G.M., attestazione del responsabile del servizio finanziario dell ‘ ente, attestazione del Segretario comunale circa la regolarità formale dell ‘ atto e circa la trasmissione al Co.Re.Co.) che denotavano logicamente per la regolarità formale del conferimento dell ‘ incarico stesso; e che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d ‘ appello, il documento redatto nella conferenza di servizi è a tutti gli effetti un atto amministrativo valido ed efficace e comunque costituente una ricognizione di debito per l ‘ importo di € 86.978,71.
1.4 -Con il quarto motivo si lamenta la ‘ Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, 1° comma, n. 3 con riferimento all ‘ art. 115 c.p.c., 1° comma ‘ , per non aver la Corte d ‘ appello considerato quale prova regolarmente fornita dalla parte il documento recante il disciplinare d ‘ incarico sottoscritto dal Sindaco e dal professionista, e comunque per non aver tenuto conto dell ‘ assenza di contestazione sulla stessa esistenza del rapporto professionale, da parte dell ‘ ente.
1.5 -Con il quinto motivo si denuncia la ‘ Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c. n. 3 con riferimento all ‘ art. 23 del d.l. n. 66/89 applicabile ratione temporis’. Si sostiene che la Corte messinese avrebbe erroneamente applicato, nella specie, gli artt. 16 e 17 del r.d. n. 2440/1923, anziché la disposizione in rubrica, che stabilisce le condizioni formali
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(registrazione dell ‘ impegno contabile e attestazione della copertura finanziaria) cui è subordinata l ‘ efficacia del contratto nei confronti della P.A.
1.6 -Con il sesto motivo, infine, si lamenta la ‘ Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti ex art. 360, comma 1, n. 3, in relazione alla legge della Regione Sicilia n. 21/85 (art. 5 comma 9) nonché in relazione alla Legge n. 109 dell ‘ 11/2/1994 artt 17 e 27 ‘. Si sostiene che erroneamente la Corte messinese ha fatto riferimento alla disciplina del regolamento di contabilità pubblica, che disciplina i rapporti tra la P.A. e i terzi estranei all ‘ amministrazione, giacché -per effetto della normativa in rubrica, e come anche ritenuto dalla giurisprudenza -il direttore dei lavori è soggetto parte integrante della P.A., sicché allo stesso non può applicarsi la suddetta disciplina.
2.1 -Il ricorso è inammissibile per difetto di autosufficienza, ai sensi dell ‘ art. 366, comma 1, nn. 3 e 6, c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis ), in relazione alle vicende del giudizio di revocazione avviato dall ‘ odierno ricorrente avverso la stessa sentenza qui impugnata, in guisa tale da non consentire a questa Corte il controllo officioso circa la tempestività dell ‘ impugnazione che qui occupa, della cui specifica allegazione e prova è comunque onerato chi intende dispiegarla.
Infatti, dal ricorso -notificato il 21.5.2021 – si evince semplicemente che, avverso la sentenza della Corte peloritana pubblicata il 27.3.2019, l ‘ Isgrò propose (ovviamente, prima di impugnarla per cassazione) revocazione dinanzi alla stessa Corte, iscritta al N. 657/2019 R.G.; che la Corte d ‘ appello di Messina avrebbe sospeso i termini per la proposizione del ricorso per cassazione, ai sensi dell ‘ art. 398, comma 4, c.p.c., con ordinanza del 24.10.2019 (indicata come all.
7); che la Corte d ‘ appello rigettò l’impugnazione per revocazione con sentenza n. 229 del 20.5.2021, comunicata in pari data (all. 8 del ricorrente). Né dal ricorso, né dalla documentazione allegata, però, risultano la data di notifica della citazione in revocazione e la data di comunicazione della ordinanza di sospensione ex art. 398, comma 4, c.p.c.; non senza dire che l ‘ all. 7 della produzione del ricorrente non contiene affatto una simile ordinanza, ma soltanto il verbale d ‘ udienza tenutasi dinanzi alla Corte d ‘ appello in data 24.10.2019, all ‘ esito della quale quest ‘ ultima riservò la decisione: pertanto, l ‘ ordinanza di sospensione, ove mai adottata, neppure risulta prodotta, per quanto evincibile dagli atti a disposizione del Collegio.
2.2 -Ebbene, è noto che ‘ La notificazione della citazione per la revocazione di una sentenza di appello equivale, sia per la parte notificante che per la parte destinataria, alla notificazione della sentenza stessa ai fini della decorrenza del termine breve per proporre ricorso per cassazione, onde la tempestività del successivo ricorso per cassazione va accertata non soltanto con riguardo al termine lungo dal deposito della pronuncia impugnata, ma anche con riferimento a quello di sessanta giorni dalla notificazione della citazione per revocazione, a meno che il giudice della revocazione, a seguito di istanza di parte, abbia sospeso il termine per ricorrere per cassazione, ai sensi dell ‘ art. 398, comma 4, c.p.c., con effetto dalla data di comunicazione del provvedimento di sospensione ‘ (così, da ultimo, Cass., n. 15926/2024; conf., ex multis , Cass., 22220/2019).
Ciò chiarito, è evidente che, nella specie, il ricorso avrebbe dovuto proporsi nel rispetto del termine breve ex art. 325 c.p.c., corrente dalla data di notifica della
revocazione, fatti salvi gli effetti della sospensione disposta dalla Corte d ‘ appello ex art. 398, comma 4, c.p.c.
Tuttavia, questa Corte si trova nella assoluta impossibilità di verificarne il rispetto, giacché – come in parte anticipato – non sono noti: 1) né il dies a quo (ossia, la data di notifica della revocazione, non evincibile -anche a ritenerlo possibile -neanche dalla stessa sentenza che pronuncia sulla revocazione, all. 8 del ricorrente); 2) né la data di comunicazione dell ‘ ordinanza di sospensione dei termini adottata dal giudice della revocazione; 3) infine, a ben vedere, neppure lo stesso contenuto di tale ordinanza, asseritamente emessa il 24.10.2019, ma non allegata (e la cui esistenza -anche qui, ove mai tanto fosse possibile -non risulta neppure dalla sentenza che pronuncia sulla revocazione). In proposito, devono inevitabilmente richiamarsi i principi di recente ribaditi da Cass. n. 20054/2023, secondo cui ‘ L ‘ onere della prova dell ‘ osservanza del termine d ‘ impugnazione e, quindi, della sua tempestività e ammissibilità, anche in ragione della ricorrenza di cause ostative al decorso del termine stesso, incombe sulla parte impugnante, sicché il mancato assolvimento di tale onere comporta che il gravame debba essere dichiarato d ‘ ufficio inammissibile. (Nella specie la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione di una sentenza d ‘ appello, già impugnata per revocazione dallo stesso ricorrente, il quale aveva omesso di indicare e di provare la data di notifica della citazione per revocazione, equivalente alla notificazione della sentenza ai fini della decorrenza del termine breve per l ‘ impugnazione) ‘ ; e ancora, da Cass., Sez. Un., n. 9776/2020, secondo cui ‘ Il testo vigente dell ‘ art. 398, comma 4, c.p.c. esclude che l ‘ impugnazione per revocazione sospenda automaticamente il
termine per proporre il ricorso per cassazione o il relativo procedimento, essendo necessario un apposito provvedimento del giudice della revocazione, in mancanza del quale i due giudizi procedono in via autonoma, potendo il ricorso per cassazione essere discusso anche prima che giunga la decisione sull ‘ istanza di sospensione ‘; ed infine da Cass., Sez. Un. n. 21874/2019, secondo cui ‘ L ‘ art. 398, comma 4, secondo inciso, c.p.c. deve interpretarsi nel senso che l ‘ accoglimento, da parte del giudice della revocazione, dell ‘ istanza di sospensione del termine per proporre ricorso per cassazione determina l ‘ effetto sospensivo (come, del resto, l ‘ eventuale sospensione del corso del giudizio di cassazione, se frattanto introdotto) soltanto dal momento della comunicazione del relativo provvedimento, non avendo la proposizione dell ‘ istanza alcun immediato effetto sospensivo sebbene condizionato al provvedimento positivo del giudice ‘ (nello stesso senso, la già citata Cass. n. 15926/2024).
In applicazione dei suddetti principi, tenuto conto della applicabilità certa, nella specie, del termine breve per impugnare ex art. 325 c.p.c., nonché della data di pubblicazione della sentenza d ‘ appello (27.3.2019) e di notifica del ricorso per cassazione (21.5.2021), ed infine delle rilevanti manchevolezze sui molteplici elementi prima evidenziati, come già anticipato, questa Corte non è stata messa in condizione di apprezzare da quando detto termine abbia iniziato il suo decorso, se il termine (ove non già spirato) sia stato effettivamente sospeso dal giudice della revocazione, e da quando ciò abbia eventualmente avuto effetto nei confronti dell ‘ odierno ricorrente: in dette condizioni, non può che dichiararsi l ‘ inammissibilità del ricorso per carenza di prova della sua tempestività.
È appena il caso di precisare, infine, che la circostanza che il Comune di Pagliara non abbia sollevato contestazioni circa la tempestività del ricorso per cassazione non incide minimamente sulle suddette questioni, stante la doverosità del controllo officioso demandato, al riguardo, al giudice dell ‘ impugnazione, in considerazione di evidenti ragioni di ordine pubblico processuale.
3.1 -Davvero ad abundantiam , pare però opportuno evidenziare che il ricorso in esame non avrebbe comunque potuto conseguire un esito favorevole per l ‘ Isgrò.
Infatti, il primo e il secondo motivo avrebbero dovuto considerarsi inammissibili perché ponenti la medesima questione già sottoposta al giudice della revocazione e perché il vizio ex art. 395, n. 4, c.p.c., deve essere proposto al medesimo giudice d ‘ appello che ha emesso la sentenza, non rientrando nel novero di quelli proponibili in questa sede di legittimità ai sensi dell ‘ art. 360 c.p.c. Peraltro, non constando avere l ‘ Isgrò impugnato simultaneamente anche la sentenza sulla revocazione, avrebbe dovuto ritenersi oramai coperto dal giudicato il fatto processuale per cui il disciplinare d ‘ incarico firmato da esso ricorrente e dal Sindaco non era stato tempestivamente prodotto, con conseguente decadenza dell ‘ Isgrò (come ritenuto dalla suddetta sentenza).
Il terzo motivo, invece, avrebbe dovuto dirsi infondato. Infatti, premesso che il tema della contestualità uno actu dei contratti della P.A. -su cui anche si sofferma la sentenza impugnata -risulta in effetti temperato da Cass., Sez. Un., n. 9775/2022, sicché l ‘ esistenza di un valido contratto con la P.A. potrebbe dimostrarsi anche con la produzione di due o più documenti attestanti la inequivoca volontà delle parti, riportata per iscritto, di vincolarsi
contrattualmente, il motivo sarebbe risultato fuori centro, perché all ‘ unico atto che avrebbe potuto assumere valenza decisiva (il verbale della conferenza di servizi) – in quanto firmato anche dal Sindaco (unico organo in grado di impegnare l ‘ ente comunale all ‘ esterno) -viene ascritto il significato di riconoscimento del debito ex art. 1988 c.c., che però comporta solo una relevatio ab onere probandi per la parte che ne è destinataria, stante l ‘ astrazione processuale che ne deriva, salvo prova contraria. Ma quanto precede integra un aspetto (la prova del credito) che non potrebbe che risultare superata dalla accertata carenza di forma scritta (con conseguente sua nullità) del contratto da cui detto credito deriva, il che costituisce appunto la prova contraria, idonea a superare la presunzione relativa che dall ‘ art. 1988 c.c. discende.
Insomma, la pretesa del ricorrente che il documento in questione rilevi sia come ‘ indice di un precedente conferimento dell ‘incarico … e come riconoscimento da parte del Comune dell ‘ importo dovuto al professionista per quell ‘ incarico ‘ (v. ricorso, p. 17) è fondata su uno specifico significato attribuito all ‘ atto (appunto, quello di ricognizione del debito) che non gli avrebbe giovato in ogni caso. Del resto, gli altri documenti il cui contenuto sarebbe stato pretermesso non appaiono dotati di decisività, perché il contratto della P.A. non si può dimostrare per presunzioni, come correttamente ritenuto dalla Corte peloritana.
Anche il quarto motivo avrebbe dovuto dirsi infondato, per le medesime ragioni appena viste, giacché -fermo il giudicato sulla mancata produzione della prova necessaria (ossia il contratto redatto in forma scritta) -il contratto della P.A. non si può dimostrare per il tramite della ‘non contestazione’ , ma appunto mediante la produzione documentale inerente.
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Infine, il quinto e il sesto motivo avrebbero dovuto considerarsi inammissibili, per difetto di autosufficienza, non risultando dal ricorso quando e mediante quale atto le questioni ad essi sottese fossero state introdotte nel giudizio di merito, posto che la sentenza impugnata non ne fa cenno, così non consentendosi alla Corte di valutare se le questioni siano o meno affette da novità.
4.1 -In definitiva, il ricorso è inammissibile. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
In relazione alla data di proposizione del ricorso (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell ‘ applicabilità dell ‘ art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n.115 (nel testo introdotto dall ‘ art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
P. Q. M.
la Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in € 4.3 00,00 per compensi, oltre € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario in misura del 15%, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il giorno