Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 31223 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 31223 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 14089/2020 R.G. proposto da:
COGNOME quale titolare dell’omonima impresa edile , c.f. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale avvEMAIL
ricorrente
contro
COGNOME NOMECOGNOME c.f. CODICE_FISCALE, COGNOME NOME, c.f. CODICE_FISCALE, COGNOME NOMECOGNOME c.f. CODICE_FISCALE, già soci di RAGIONE_SOCIALE cancellata dal registro delle imprese, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME elettivamente domiciliati in Roma presso l’avv. COGNOME nel suo studio in INDIRIZZO
contro
ricorrenti avverso la sentenza n. 410/2019 della Corte d’Appello di Bari, depositata il 18-2-2019
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 1311-2024 dal consigliere NOME COGNOME
OGGETTO:
contratto misto di compravendita e appalto
RG. 14089/2020
C.C. 13-11-2020
FATTI DI CAUSA
1. NOME COGNOME titolare dell’omonima impresa edile ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo n. 242/2003 con il quale il Tribunale di Bari sezione distaccata di Putignano gli ha ingiunto il pagamento di Euro 63.06,24 oltre interessi e spese a favore di RAGIONE_SOCIALE, deducendo il grave inadempimento della società ingiungente al contratto di appalto intercorso tra le parti e proponendo domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni.
Con sentenza n. 125/2013 depositata il 15-5-2013 il Tribunale di Bari sezione distaccata di Putignano ha accolto l’opposizione e revocato il decreto ingiuntivo, rigettando anche la domanda riconvenzionale.
2. RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello, che la Corte d’appello di Bari con sentenza n. 410/2019 pubblicata il 18-2-2019 ha parzialmente accolto, condannando NOME COGNOME al pagamento a favore di RAGIONE_SOCIALE di Euro 51.180,24 con gli interessi dalla domanda al saldo e rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi.
La sentenza ha dichiarato che con contratto del 16-7-2001 l’impresa RAGIONE_SOCIALE aveva commissionato ad RAGIONE_SOCIALE la fornitura e posa in opera di serramenti da costruire, con pagamenti del corrispettivo da eseguire in base allo stato di avanzamento dei lavori; ha rilevato che era prevalente la fornitura rispetto alla posa in opera delle ringhiere e degli infissi, tenuto conto che RAGIONE_SOCIALE realizzava i serramenti e li commercializzava e i costi dei beni erano di gran lunga superiori rispetto a quelli della posa in opera, che era una prestazione accessoria. Ha rilevato che il ritardo della fornitura addotto da NOME COGNOME non giustificava il mancato pagamento, perché non interessava neppure accertare se il termine di consegna pattuito fosse stato essenziale, non essendo stata proposta domanda di risoluzione; inoltre, non erano stati provati danni conseguiti al ritardo, non era stata riproposta in appello la domanda volta a ottenere la penale per il
ritardo, rigettata in primo grado, e la circostanza che l’impresa RAGIONE_SOCIALE avesse accettato l’intera fornitura anche dopo la scadenza del termine pattuito senza alcuna obiezione induceva a ritenere che il ritardo non aveva avuto alcuna incidenza né sui presunti danni genericamente allegati né sul prezzo spettante alla società fornitrice. Ha escluso che l’obbligazione di pagamento fosse sottoposta alla condizione sospensiva del collaudo favorevole, in quanto il collaudo secondo la previsione contrattuale costi tuiva termine per l’adempimento; comunque, anche se si trattava di condizione, risultava che la condizione non si era verificata a causa dell’impresa Natile, che aveva interesse contrario al pagamento e perciò non aveva prestato consenso al collaudo, ma aveva accettato le opere a eccezione di quelle di cui al capo D) dell’ordine. Con riguardo ai vizi e difetti eccepiti dall’impresa COGNOME, il consulente d’ufficio aveva accertato che non si trattava di vizi che rendevano le opere inservibili e aveva quantificato una riduzione del prezzo concordato nella misura del 10% pari a Euro 1.100,00, un costo per i ripristini pari a Euro 8.400,00 oltre iva ed Euro 2.000,00 oltre iva per la redazione della S.C.I.A. e del piano di sicurezza. Quindi, qualificato il contratto come vendita, ha disposto la riduzione del prezzo richiesto, non contestato nel quantum, per la somma complessiva di Euro 11.916,00, per cui ha condannato l’acquirente al pagamento della somma residua di Euro 51.180,24.
3.Avverso la sentenza NOME COGNOME quale titolare dell’omonima impresa edile ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME quali soci e successori di RAGIONE_SOCIALE cancellata dal registro delle imprese il 26-7-2016, hanno resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 1 3-11-2024 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo il ricorrente deduce ‘ violazione dell’art. 132 comma 1 c.p.c. e dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. -nullità della sentenza per motivazione apparente’ e, svolte una serie di considerazioni generali sulla motivazione della sentenza, lamenta che la sentenza impugnata non abbia esaminato le sue ragioni e comunque abbia omesso di esplicitare i motivi per i quali non le ha ritenute fondate. Quindi dichiara che il rapporto era di appalto, il credito non era liquido, non vi era prova che RAGIONE_SOCIALE avesse adempiuto alla sua prestazione, non si erano verificate le condizioni per il pagamento con riguardo all’esecuzione del collaudo favorevole, la consulenza d’ufficio aveva accertato i vizi delle opere, non era sta ta provata la tempestività della consegna; aggiunge che la sentenza non spiega perché si trattasse di negozio misto assoggettato alle regole della vendita, per cui la motivazione è stata perplessa, incomprensibile e apparente.
1.1.Il motivo è infondato.
E’ acquisito il principio secondo il quale, sulla base dell’attuale formulazione dell’art. 360 co.1 n. 5 cod. proc. civ., non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost. e nel processo civile dall’art. 132 co.2 n. 4 cod. proc. civ. e il sindacato di legittimità rimane circoscritto alla sola verifica del rispetto del minimo costituzionale; tale obbligo è violato, concretandosi nullità
processuale deducibile ex art. 360 co. 1 n.4 cod. proc. civ., qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, o viziata da manifesta e irriducibile contraddittorietà o sia perplessa e incomprensibile, purché il vizio risulti dallo stesso testo della sentenza, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; al di fuori di tali ipotesi il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un fatto storico, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia decisivo ai fini di una diversa ricostruzione della controversia (Cass. Sez. U 7-4-2014 n. 8053 Rv. 629830-01, Cass. Sez. 3 12-10-2017 n. 23940 Rv. 645828-01, Cass. Sez. 6-3 25-9-2018 n. 22598 Rv. 650880-01). In particolare, la motivazione è apparente quando, benché graficamente esistente, non renda percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a fare conoscere il ragionamento eseguito dal giudice per la formazione del suo convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie e ipotetiche congetture (Cass. Sez. 6-1 1-3-2022 n. 6758 Rv. 66406101, Cass. Sez. U 30-1-2023 n. 2767, in motivazione a pag.10 e precedenti ivi richiamati).
Nella fattispecie la sentenza impugnata, come risulta anche dalla sintetica esposizione sopra eseguita, rispetta pienamente il minimo costituzionale, in quanto espone in modo logico e compiuto le ragioni per le quali è giunta alla conclusione di qualificare il contratto intercorso tra le parti come compravendita, ma esamina anche le deduzioni dell’odierno ricorrente sui vizi delle opere, sulla condizione alla quale era soggetto il pagamento e sul ritardo della consegna. La motivazione consente pienamente di comprendere e ripercorrere il ragionamento eseguito dalla Corte d’appello per giungere alla decisione, per cui la parte interessata è posta nella condizione di sottoporre a critica i singoli passaggi logici e giuridici. Infatti lo stesso ricorrente, al fine di
supportare la sua tesi, in sostanza riesce soltanto a sostenere, testualmente, che ‘il Giudice di appello, nel riformare la decisione di primo grado, non sia stato in grado di fornire una pronuncia equa e ragionata su tutte le vicende evidenziate e comprovanti la stipula e la inesatta esecuzione di un contratto di appalto’; in questo modo, il ricorrente fa emergere la sua convinzione che il vizio della sentenza sia stato quello di essersi discostata dalla pronuncia di primo grado ma, all’evidenza, non è su questo piano che può essere eseguito il sindacato sulla legittimità della motivazione.
2.Con il secondo motivo il ricorrente deduce ‘ violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1655 c.c. e dei principi e norme che disciplinano il contratto di appalto’ e sostiene che la sentenza impugnata abbia errato nel ritenere prevalenti gli elementi del contratto di compravendita rispetto a quelli dell’appalto; evidenzia che per questa ragione l’ingiunzione non avrebbe potuto essere emessa, che il contratto era stato intitolato ‘ appalto ‘ , in esso le parti erano state chiamate ‘committente’ e ‘ditta appaltatrice’, l’obbligazione della seconda riguardava la lavorazione e posa in opera dei materiali, il committente si riservava di apportare variazioni al progetto e di verificare l’opera attraverso il ‘collaudo’.
2.1.Il motivo è inammissibile per carenza di interesse nella parte in cui deduce l’erronea qualificazione del co ntratto come compravendita anziché come appalto al fine di sostenere che il decreto ingiuntivo non avrebbe potuto essere emesso per ottenere il pagamento del corrispettivo dell’appalto. Infatti, il decreto ingiuntivo è stato revocato già dal giudice di primo grado, con pronuncia non oggetto di riforma in appello.
Il motivo è altresì inammissibile perché non coglie la ratio della sentenza impugnata in quanto, limitandosi a sostenere che il contenuto del contratto fosse quello dell’appalto, non considera che la sentenza
impugnata ha dichiarato che nel contratto erano presenti sia elementi della vendita sia elementi dell’appalto; la sentenza ha ritenuto prevalente la fornitura rispetto alla posa in opera degli infissi, in quanto la società realizzava e commercializzava infissi e i costi dei beni oggetto di fornitura erano di gran lunga superiori rispetto a quelli di adattamento e posa in opera, ma non ha escluso l’applicazione di una qualche disposizione relativa all’appalto in termini pregiudizievoli per il ricorrente. La Corte d’appello, eseguendo l’a ccertamento in fatto spettante al giudice di merito e che rimane estraneo al sindacato di legittimità, ha soltanto ritenuto di trovarsi di fronte a contratto misto nel quale erano prevalenti gli elementi della vendita, per cui ha individuato la relativa disciplina giuridica in quella del contratto tipico nel cui schema erano riconducibili gli elementi prevalenti, secondo la teoria dell’assorbimento o della prevalenza, ma senza escludere rilevanza giuridica ad altri elementi voluti dalle parti, a loro volta concorrenti a fissare il contenuto del vincolo contrattuale e assoggettati alle disposizioni del contratto al quale appartengono (cfr. Cass. Sez. U 12-5-2008 n. 11656 Rv. 602976-01, secondo cui in tema di contratto misto di vendita e appalto, la relativa disciplina va individuata in quella risultante dalle norme del contratto tipico nel cui schema sono riconducibili gli elementi prevalenti cosiddetta teoria dell’assorbimento o della prevalenza-, senza escludere ogni rilevanza giuridica degli altri elementi, che sono voluti dalle parti e concorrono a fissare il contenuto e l’ampiezza del vincolo contrattuale, ai quali si applicano le norme proprie del contratto cui essi appartengono, in quanto compatibili con quelle del contratto prevalente).
3.Con il terzo motivo il ricorrente deduce ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 1655 c.c. e dei principi e norme che regolano il contratto di appalto in riferimento alla consegna dei beni e al compimento dell’opera appaltata unitamente a omesso esame circa un
fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra parti. Art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.’; sostiene che la sentenza abbia omesso l’esame dell’aspetto della ritardata consegna dell’opera, in quanto la conferma d’ordine del 16 -7-2001 prevedeva il termine di consegna di aprile 2002, mentre le consegne erano proseguite fino a settembre 2002, senza nessuna giustificazione di tale ritardo.
3.1. Il motivo proposto ai sensi dell’art. 360 co. 1 n.3 cod. proc. civ. è inammissibile, perché nelle deduzioni svolte nel motivo non si individua alcun argomento volto a fare emergere l’erronea interpretazione o applicazione dell’art. 1655 cod. civ. compiuta dalla sentenza impugnata, essendo le deduzioni finalizzate esclusivamente a sostenere l’omesso esame del fatto del ritardo nelle consegne.
Al contrario, non è configurabile alcun omesso esame ex art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ., perché la sentenza impugnata ha specificamente e analiticamente preso in esame la questione del ritardo nelle forniture a pag. 7, con gli argomenti già sopra sinteticamente richiamati, riferiti al fatto che non era stata proposta domanda di risoluzione con riguardo al mancato rispetto di termine essenziale, che non erano stati provati danni determinati dal ritardo e la consegna della fornitura era stata accettata anche dopo la scadenza del termine. E’ evidente che la circostanza che la disamina del fatto del ritardo nelle consegne non sia stato favorevole al ricorrente rimane estraneo al vizio lamentato.
4.Con il quarto motivo il ricorrente deduce ‘ violazione e falsa applicazione dell’art. 1655 c.c. e degli artt. 1353 e 1359 c.c. in ordine al mancato avveramento della condizione sospensiva cui era sottoposto il pagamento, che doveva essere proceduto dal collaudo favorevole delle opere unitamente a omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti. (Art. 360 nr. 35 c.p.c.)’; sostiene che la sentenza abbia omesso di motivare o considerare la
mancata effettuazione del collaudo, in quanto il contratto prevedeva che NOME COGNOME si riservava il diritto di verificare l’opera compiuta attraverso il collaudo, che invece non c’era stato e senza il quale, secondo le previsioni contrattuali, il corrispettivo non era esigibile; aggiunge che il credito non era liquido, in quanto i conteggi legati all’emissione delle fatture erano stati eseguiti unilateralmente dall’opposta e lamenta che la Corte d’appello non abbia dedotto sugli argomenti esposti dal giudice di primo grado, in ordine al fatto che il collaudo non vi era stato e non poteva ritenersi implicitamente attuato.
4.1.Come per il terzo motivo, gli argomenti svolti non individuano nella sentenza impugnata alcuna violazione delle disposizioni richiamate, ma si concretano nella volontà di ottenere una ricostruzione dei fatti diversa da quella eseguita dalla Corte d’app ello e corrispondente a quella del giudice di primo grado, in termini inammissibili nel giudizio di legittimità.
Infatti, non è configurabile neppure l’omesso esame del fatto della mancanza del collaudo, perché la sentenza impugnata (da pag. 7 in fondo) ha specificamente preso in esame la questione, esponendo le ragioni per le quali non ha condiviso le conclusioni del giudice di primo grado e dichiarando che il collaudo non era stato svolto perché la ditta RAGIONE_SOCIALE non aveva prestato il consenso alla sua esecuzione ma aveva accettato le opere, per cui la circostanza del mancato avveramento della condizione era stata smentita dall’istruttoria. Posto che il motivo ex art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ. non può essere proposto al fine di lamentare l’insufficienza della motivazione, è altresì evidente che rimane al di fuori del perimetro del vizio qualsiasi ipotesi di esame del fatto avvenuta in termini che il ricorrente non condivide.
5.In conclusione il ricorso è interamente rigettato e, in applicazione del principio della soccombenza, il ricorrente è condannato
alla rifusione delle spese di lite del giudizio di legittimità, in dispositivo liquidate, a favore di controricorrenti.
In considerazione dell’esito del ricorso, ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente alla rifusione a favore dei controricorrenti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 6.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege.
Sussistono ex art.13 co.1-quater d.P.R. 30 maggio 2002 n.115 i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi del co.1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione