Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27050 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27050 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 23558-2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in ROMA alla INDIRIZZO
-resistente – avverso la sentenza n. 465/2023 della CORTE D’APPELLO DI TORINO, depositata il 10/05/2023;
lette le memorie delle parti;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Il Tribunale di Torino, decidendo sull’opposizione proposta dalla società RAGIONE_SOCIALE (di seguito ‘RAGIONE_SOCIALE‘) avverso il decreto ingiuntivo emesso su ricorso della società RAGIONE_SOCIALE (di seguito ‘RAGIONE_SOCIALE‘) che, allegando di aver sottoscritto con la RAGIONE_SOCIALE un contratto di agenzia per la promozione della vendita in esclusiva di un immobile in Torino di proprietà di quest’ultima, contestava l’inadempimento agli obblighi in esso indicati e quindi pretendeva il pagamento della penale convenzionalmente prevista per la violazione del patto di esclusiva, con sentenza n. 3544 del 12 ottobre 2020 revocava il decreto ingiuntivo.
In particolare, il Tribunale adito riteneva che non si fosse mai perfezionato il contratto in base al quale la Iulacase rivendicava il pagamento della penale e che, quindi, la pretesa creditoria risultava priva di titolo in quanto la società non aveva assolto all’onere probatorio a suo carico.
Il giudice di primo grado, pertanto, nell’accertare la non contestualità della sottoscrizione del contratto, confermava la ricostruzione dei fatti prospettata dall’opponente COGNOME per cui nessuna comunicazione dell’accettazione – che, in base alle norme convenzionali, sarebbe dovuta avvenire in caso di non contestualità della sottoscrizione, entro dieci giorni – era giunta da COGNOME
La società RAGIONE_SOCIALE interponeva appello avverso tale sentenza e, nel richiederne la riforma integrale, lamentava l’errata
applicazione del generale principio di cui all’art. 2697 c.c. e l’omessa considerazione del fatto che il contratto si era comunque concluso, come emergeva anche dalle dichiarazioni rese dalla controparte.
Si costituiva in giudizio la società RAGIONE_SOCIALE chiedendo il rigetto del gravame.
La Corte d’Appello di Torino, con sentenza n. 465 del 10 maggio 2023, rigettava l’impugnazione proposta, ritenendo del tutto condivisibile la ricostruzione operata dal primo giudice che aveva accertato, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, non la presenza di una condizione risolutiva (la mancanza di contestualità delle sottoscrizioni), ma il mancato perfezionamento del contratto di mediazione per non contestualità delle sottoscrizioni e la mancanza di comunicazione formale dell’accettazione da parte dell’appellante (come da convenzione).
Secondo il giudice di secondo grado correttamente il Tribunale aveva attribuito alla società RAGIONE_SOCIALE l’onere di provare l’esistenza del titolo del suo credito e, cioè, l’esistenza del contratto di mediazione.
Per la cassazione di tale sentenza la società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso sulla base di due motivi.
La società RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza
Preliminarmente occorre dare atto della tardività, e conseguente inammissibilità del controricorso depositato dalla società intimata, atteso che, a fronte della notifica del ricorso, avvenuta in data 19 ottobre 2023, il deposito da parte della
società opponente dell’atto denominato come controricorso, è avvenuto solo in data 22 aprile 2024, e quindi ben oltre il termine prescritto dall’art. 370 c.p.c., con la conseguenza che la partecipazione al giudizio dell’intimata va limitato alla sola possibilità di prendere parte all’eventuale discussione orale, non potendosi inoltre tenere conto del contenuto dello scritto tardivamente depositato nonché della memoria depositata in prossimità dell’adunanza.
4. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per aver la Corte territoriale erroneamente applicato le regole ordinarie circa la ripartizione dell’onere della prova con riferimento alla conclusione del contratto di mediazione, essendo onere della COGNOME dimostrare i fatti su cui si fonda la propria eccezione relativa alla non contestualità delle firme apposte sul contratto e alla conseguente presunta mancata conclusione dell’accordo per omessa comunicazione dell’accettazione dell’incarico da parte della Iulacase. Con tale doglianza la ricorrente sostiene che la propria pretesa creditoria sarebbe stata efficacemente provata tramite l’allegazione del contratto di conferimento dell’incarico di mediazione sottoscritto dai legali rappresentanti delle società e che, di contro, l’odierna controricorrente non avrebbe fornito una prova adeguata della propria eccezione di inefficacia del contratto suddetto, gravando sulla stessa l’onere della prova contraria in relazione ai fatti impeditivi, estintivi o modificativi della pretesa creditoria.
Il motivo è infondato, dovendosi ritenere che, anche a voler per ipotesi ritenere erroneo il riparto degli oneri probatori, la
sentenza impugnata si fonda sul ben preciso convincimento, tratto dai mezzi istruttori esperiti, per cui non vi sarebbe la prova che il contratto sia stato sottoscritto contestualmente dalle parti presso la sede della società intimata. In tal senso rileva il richiamo alle deposizioni dei testi addotti da parte convenuta, dai quali è stato tratto il conforto che in occasione della sottoscrizione del contratto da parte della RAGIONE_SOCIALE non era presente anche la legale rappresentante della società di mediazione, e che l’incaricato di quest’ultima aveva recato con sé la copia sottoscritta ‘…. per perfezionare i timbri e firme’ (teste COGNOME), e che nessuno egli altri testi era stato in grado di riferire di una sottoscrizione contestuale.
Ne consegue che il motivo in esame si risolve in una inammissibile contestazione alla valutazione delle prove così come operata in maniera conforme nei due gradi di merito, il che preclude che la censura mossa possa essere positivamente vagliata da questa Corte.
5. Il secondo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per vizio di pronuncia in violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e dell’art.112 c.p.c. per non aver la Corte territoriale preso posizione in merito alla circostanza, dedotta quale motivo di appello, che il contratto di mediazione intercorso tra le parti, anche se non si fosse ritenuto concluso con le formalità ivi previste, doveva ritenersi concluso per fatti concludenti, anche in virtù del fatto che la norma di cui all’art. 1326, co. 4, c.c. è posta nell’esclusivo interesse del proponente che vi può rinunciare dando seguito alle pattuizioni contrattuali.
A parere della ricorrente, l’omessa trattazione del suddetto motivo di appello, il cui accoglimento avrebbe condotto ad una pronuncia diversa da quella oggetto di gravame, integrerebbe una lesione del diritto costituzionale ad una tutela giurisdizionale effettiva e tendenzialmente completa in base al principio della corrispondenza, necessaria e doverosamente completa, tra le domande delle parti e le statuizioni giudiziali.
Il motivo è infondato.
Con l’atto di appello è stato in realtà sviluppato un unico motivo di gravame che, mentre nella prima parte poneva la questione del riparto dell’onere della prova circa il carattere contestuale della sottoscrizione del contratto, con la relativa critica alla valutazione delle prove effettuata dal giudice di primo grado, nella seconda parte, a partire dalla pag. 14 dell’atto di appello, rilevava che ‘…. anche nella denegata e non creduta ipotesi in cui il contratto di mediazione non si fosse perfezionato con le formalità ivi previste, lo stesso si sarebbe comunque concluso per fatti concludenti come confermato dalla stessa controparte con dichiarazioni, in sede giudiziale, che hanno valore confessorio (cfr. atto di citazione avv. del 17/1/19 a pag. 13: il Signor NOMECOGNOME infatti, nel mese di gennaio del 2018, si metteva in contatto con il Signor NOME COGNOME comunicandogli che il rapporto contrattuale per la vendita dell’immobile di INDIRIZZO doveva ormai considerarsi concluso stante ‘l’invendibilità’ del bene e chiedeva di avere altro e diverso incarico. E, non a caso, è solo da quel momento, difatti, che la RAGIONE_SOCIALE si è mossa in autonomia per reperire un soggetto interessato all’acquisto del proprio immobile’).
A tal fine richiamava il principio giurisprudenziale secondo cui, anche nel caso in cui le parti abbiano previsto una particolare forma convenzionale per la conclusione del contratto, il cui mancato rispetto rende di norma inefficace la diversa formalità di conclusione, tuttavia, trattandosi di prescrizione posta nell’interesse del proponente, costui ha la possibilità di poter rinunciare al rispetto della previsione convenzionale, ritenendo sufficiente un’adesione manifestata in modo diverso, non potendo poi in seguito contestare il perfezionamento del contratto’ (Cass. n. 13033/2018, cui adde in senso conforme, Cass. n. 14657/2007; Cass. n. 406/2004).
Tuttavia, non può condividersi l’assunto della ricorrente secondo cui si tratterebbe di una censura connotata da autonomia rispetto a quella formulata nella prima parte del motivo, costituendo a ben vedere una deduzione argomentativa finalizzata a supportare la tesi circa la piena operatività tra le parti del contratto di mediazione, del quale si invocava l’applicazione della clausola penale.
Infatti, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; tale vizio, pertanto, non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità pur in assenza di una specifica argomentazione (Cass. Sez. 3, 29/01/2021, n. 2151).
Inoltre, il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed
argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, c.p.c., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l'”iter” argomentativo seguito. Ne consegue che il vizio di omessa pronuncia – configurabile allorché risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto (Cass. Sez. 2, 25/06/2020, n. 12652; Cass. n. 7662/2020, secondo cui non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata, in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, comporti necessariamente il rigetto di quest’ultima, non occorrendo una specifica argomentazione in proposito, essedo sufficiente quella motivazione che fornisce una spiegazione logica ed adeguata della decisione adottata, evidenziando le prove ritenute idonee a suffragarla, ovvero la carenza di esse, senza che sia necessaria l’analitica confutazione delle tesi non accolte o la disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significative).
Nella specie la sentenza di appello ha rigettato l’impugnazione della ricorrente, confermando quindi il oggetto della pretesa azionata in via monitoria, così che non può ravvisarsi per quanto detto il vizio di omessa pronuncia, che è specificamente oggetto della cesura, potendosi al più dibattere di una insufficienza della motivazione, che però oltre che non essere dedotto, non rientra
più fra i vizi suscettibili di essere denunciati, anche alla luce del limite che nella fattispecie opera quanto alla deducibilità del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., al cospetto di un’ipotesi di cd. doppia conforme.
Il ricorso è pertanto rigettato, nulla dovendosi disporre quanto alle spese, attesa la rilevata tardività del controricorso e non essendosi celebrata la pubblica udienza.
Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
A i sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, in data 24 giugno 2025.
La Presidente
NOME COGNOME