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Contratto d’opera: il sito web è funzionante?

La Corte d’Appello di Venezia ha confermato la condanna di un’azienda al pagamento del corrispettivo per la creazione di un sito web, rigettando le sue lamentele. La Corte ha qualificato il rapporto come contratto d’opera, sottolineando che l’eccezione di inadempimento del cliente era generica e contraria a buona fede, dato che il sito risultava funzionante e che lo stesso consulente tecnico del cliente ne aveva inizialmente attestato la qualità. È stato ribadito che non si può rifiutare il pagamento sulla base di contestazioni pretestuose e sollevate solo in sede giudiziale.

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Contratto d’opera per sito web: quando il rifiuto di pagare è illegittimo?

Il committente di un sito web può rifiutarsi di pagare il corrispettivo pattuito adducendo vizi e difetti? La questione è centrale in una recente pronuncia della Corte d’Appello di Venezia, che ha esaminato un caso di contratto d’opera per la realizzazione di una piattaforma e-commerce. La sentenza chiarisce i limiti dell’eccezione di inadempimento e l’importanza del principio di buona fede, offrendo spunti preziosi sia per i freelance e le piccole imprese che sviluppano software, sia per le aziende che commissionano tali lavori.

Il caso: un sito web contestato e il mancato pagamento

Una società committente si era rivolta a un professionista per la creazione di un sito web con funzionalità e-commerce. Dopo la consegna del lavoro, l’azienda si rifiutava di saldare il compenso, lamentando una serie di vizi, difformità e la mancata collaborazione dello sviluppatore con il proprio supervisore tecnico. Di conseguenza, avviava una causa per la risoluzione del contratto e il risarcimento dei danni.

Il Tribunale di primo grado aveva respinto le richieste dell’azienda e, al contrario, l’aveva condannata a pagare il corrispettivo dovuto al professionista. La società decideva quindi di appellare la decisione, insistendo sulla presenza di difetti e sulla scorretta qualificazione del rapporto giuridico.

La qualificazione del contratto d’opera

Uno dei punti cruciali della controversia era la corretta definizione del contratto. L’azienda sosteneva si trattasse di un appalto, mentre il Tribunale lo aveva qualificato come contratto d’opera ai sensi dell’art. 2222 c.c.

La Corte d’Appello ha confermato questa seconda interpretazione. La distinzione, tutt’altro che formale, si basa sulla struttura organizzativa del prestatore. Si ha contratto d’opera quando il lavoro è svolto principalmente dal professionista stesso, con un’organizzazione d’impresa modesta (la “piccola impresa” dell’art. 2083 c.c.). Si parla di appalto, invece, quando il prestatore è un’impresa di medie o grandi dimensioni, con una complessa organizzazione di mezzi e personale.
Nel caso di specie, il professionista operava come ditta individuale, senza una complessa struttura aziendale, il che ha giustificato pienamente la qualificazione di contratto d’opera.

L’eccezione di inadempimento e il principio di buona fede

Il cuore della decisione ruota attorno al principio di buona fede nell’esecuzione del contratto. Il committente può sollevare l’eccezione di inadempimento (art. 1460 c.c.) e rifiutare di pagare solo se tale rifiuto è, appunto, conforme a buona fede.

La Corte ha ritenuto che il comportamento dell’azienda committente fosse contrario a questo principio per due ragioni principali:
1. Genericità delle contestazioni: Le lamentele sui vizi sono state sollevate in modo generico e solo dopo l’inizio del contenzioso, non in una fase precedente.
2. Prove contraddittorie: Inizialmente, lo stesso consulente tecnico incaricato dall’azienda aveva espresso pareri positivi sulla qualità del codice, definendolo “di medio/alto livello”. Solo in un secondo momento, in sede di causa, sono state evidenziate le presunte carenze.

Questo comportamento è stato interpretato come pretestuoso, volto a sottrarsi al pagamento di un’opera che, di fatto, era stata consegnata ed era funzionante.

Il diniego della Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU)

L’azienda appellante si doleva anche del fatto che il giudice di primo grado non avesse ammesso una CTU per accertare i difetti. La Corte ha ribadito un principio consolidato: la CTU non è un mezzo di prova a disposizione delle parti per sopperire a proprie carenze assertive o probatorie. In altre parole, non si può chiedere al giudice di nominare un perito per “cercare” le prove dei vizi. È onere della parte che lamenta i difetti allegarli in modo specifico e circostanziato; solo a quel punto la CTU può essere utile per una valutazione tecnica. Data la genericità delle accuse, la richiesta è stata correttamente respinta.

Le motivazioni

La Corte d’Appello ha rigettato l’appello confermando integralmente la sentenza di primo grado. Le motivazioni si fondano su una valutazione rigorosa dei fatti e dei principi giuridici. I giudici hanno evidenziato che l’eccezione di inadempimento deve essere valutata alla luce della correttezza e della buona fede. Sollevare contestazioni vaghe e contraddittorie rispetto a precedenti valutazioni positive, solo dopo aver ricevuto il prodotto e in sede di giudizio, costituisce un abuso del diritto. Inoltre, la Corte ha confermato la corretta qualificazione del rapporto come contratto d’opera, data la struttura individuale del prestatore e il valore limitato della commessa. Di conseguenza, il diritto del professionista al pagamento del corrispettivo è stato ritenuto fondato, poiché l’opera era stata regolarmente consegnata e il committente non aveva fornito prove concrete e specifiche di un grave inadempimento che potesse giustificare la risoluzione del contratto o il mancato pagamento.

Le conclusioni

La sentenza offre importanti lezioni pratiche. Per il committente, emerge la necessità di contestare eventuali vizi in modo tempestivo, specifico e, soprattutto, coerente. Non è possibile cambiare versione a seconda della convenienza processuale. Per gli sviluppatori e i freelance, la decisione rappresenta una tutela contro contestazioni pretestuose e strumentali, rafforzando il diritto a ricevere il compenso per un lavoro eseguito e funzionante. Infine, viene ribadita la distinzione fondamentale tra contratto d’opera e appalto, un aspetto cruciale che determina la disciplina applicabile, inclusi i termini per la denuncia dei vizi.

Quando un committente può legittimamente rifiutarsi di pagare un sito web commissionato?
Un committente può rifiutarsi di pagare solo se il suo rifiuto è conforme a buona fede. Secondo la sentenza, non è legittimo rifiutare il pagamento sulla base di contestazioni generiche, sollevate solo in sede giudiziale e in contraddizione con precedenti valutazioni positive, specialmente se l’opera consegnata risulta funzionante.

Qual è la differenza tra contratto d’opera e appalto nella creazione di un software?
La differenza risiede nell’organizzazione di chi esegue il lavoro. Si ha un contratto d’opera quando il servizio è prestato da un professionista o una piccola impresa che agisce prevalentemente con il proprio lavoro personale. Si ha un appalto quando il lavoro è eseguito da un’impresa con una complessa organizzazione di mezzi e personale.

È sempre possibile chiedere una perizia tecnica (CTU) al giudice se si ritiene un sito web difettoso?
No. La richiesta di una CTU è ammissibile solo se la parte che lamenta i difetti li ha già allegati in modo specifico e dettagliato. La CTU non può essere utilizzata come uno strumento “esplorativo” per cercare prove che la parte non è stata in grado di fornire autonomamente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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