Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 33412 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 33412 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6936/2023 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME (Pec: EMAIL, EMAIL), come da procura in calce al ricorso, ex lege domiciliata in ROMA, presso la Cancelleria della Corte di cassazione, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
Oggetto:
Contratto di
somministrazione –
Qualificazione – Contratto di
compravendita per la fornitura
di controsoffitti.
CC 17.09.2024
Ric. n. 6936/2023
Pres L.A. COGNOME
Est. I. COGNOME
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso dagli Avv.ti NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, come da procura in calce al controricorso, elettivamente domiciliata presso il loro studio (Gianni RAGIONE_SOCIALE) in Roma, INDIRIZZO (pec:EMAIL, EMAIL, EMAIL);
-Controricorrente, ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 1601/2022 pubblicata il 20.12.2022 dalla Corte d’appello di ANCONA ;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/09/2024 dalla Consigliera Dott.ssa NOME COGNOME
Ritenuto che
1. con atto di citazione in data 23 novembre 2007, RAGIONE_SOCIALE conveniva RAGIONE_SOCIALE (ora RAGIONE_SOCIALE avanti al Tribunale di Ancona, chiedendo accertarne la responsabilità e dichiarare la risoluzione del contratto di somministrazione a tempo indeterminato stipulato nel 1997 tra le parti per la fornitura continuativa di pannelli in fibra minerale per la realizzazione di contro soffitti, nonché la condanna della convenuta al risarcimento del danno subito e subendo nella misura di Euro 2.410.000,00 o la maggiore o minore ritenuta di giustizia, per il mancato preavviso; chiedeva altresì di dedurre da tale credito il corrispettivo dovuto ad RAGIONE_SOCIALE per l’ultima fornitura (commissioni n. 369 del 17.07.2006 e 408 del 3.9.2007), previa decurtazione del prezzo del 40%, e condannare comunque la convenuta al versamento del conguaglio; chiedeva, infine, di disporre la rivalutazione delle somme e condannare la convenuta al risarcimento del maggior danno pari ai tassi bancari
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Est. I. COGNOME
passivi per il credito a medio termine computati sulle medesime somme; – in via subordinata, ove per qualunque ragione le altre domande di risoluzione o risarcitorie non fossero accolte, chiedeva di disporre comunque la riduzione del prezzo nella misura di almeno il 40% in relazione alle forniture di cui alle commissioni citate, oltre al risarcimento del danno, con spese rifuse;
si costituiva in giudizio COGNOME chiedendo il rigetto di tutte le domande avversarie ed in via riconvenzionale, la condanna di C.B.I. al pagamento della somma di Euro 384.059,26 (o quella maggiore o minore ritenuta accertata), oltre interessi moratori, quale importo dovuto per le fatture inevase, con concessione di ordinanza provvisoriamente esecutiva ai sensi dell’art. 186 -bis c.p.c. o ai sensi dell’art. 186 -ter c.p.c.; sempre in via riconvenzionale, in caso di inquadramento del rapporto intercorso tra le parti come contratto di somministrazione, chiedeva la condanna di CRAGIONE_SOCIALE. al risarcimento dei danni patrimoniali di natura contrattuale ed extracontrattuale subiti da COGNOME per una somma non inferiore ad € 2.200.000,00; n ella denegata ipotesi in cui COGNOME fosse condannata a pagare una qualsiasi somma in favore dell’attore, la riduzione, anche in via equitativa, dell’importo complessivo dovuto ad COGNOME; o comunque, in via riconvenzionale subordinata, la compensazione di tale somma con quanto sarebbe stato riconosciuto ad COGNOME a titolo di risarcimento danni e/o comunque con la somma di Euro 384.059,26 -o quella maggiore o minore che sarà accertata in corso di causa -oltre interessi moratori sino al saldo, con eventuale condanna di C.B.I. al pagamento dell’importo residuo, in ogni caso confermando le eventuali ordinanze emesse a favore della convenuta ex art. 186-bis e ter c.p.c., il tutto con vittoria di spese e compensi;
il Tribunale di Ancona a ll’udienza del 18 luglio 2009, emetteva ordinanza n. 2/09 ai sensi dell’art. 186 -bis c.p.c. con cui ordinava a C.B.I. il pagamento di Euro 229.044,80, ossia il 60% dell’importo
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Est. I. Ambrosi complessivo delle fatture insolute, a favore di COGNOME, contestualmente rinviando la causa alla successiva udienza dell’11 febbraio 2010; con successiva ordinanza in data 30 agosto 2010, il Tribunale, modificava la precedente ordinanza e condannava RAGIONE_SOCIALE al pagamento dell’ulteriore importo di Euro 1.391,08 a titolo di capitale, oltre che al pagamento degli interessi di mora maturati sulla quota capitale di cui alla citata o rdinanza (sull’importo di Euro 230.435,88, pari al 60% del totale dovuto);
esperita l’ istruttoria mediante prove documentali e testimoniali e CTU contabile, con sentenza n. 647/2019, il Tribunale rigettava tutte le domande formulate da RAGIONE_SOCIALE e condannava quest’ultima a versare ad COGNOME Euro 153.623,38, oltre interessi legali (cioè la differenza tra l’importo complessivo dovuto per fatture inevase e quanto già corrisposto in ottemperanza delle ordinanze emesse in data 18.07.2009 e 30.08.2010), oltre spese per CTU e di lite.
Avverso la sentenza del Tribunale, RAGIONE_SOCIALE proponeva appello dinanzi la Corte d’appello di Ancona e COGNOME resisteva, chiedendone il rigetto e proponendo a sua volta appello incidentale.
la Corte d’ appello di Ancona, con sentenza n. 1601/2022, rigettava l’appello principale proposto da RAGIONE_SOCIALE , accoglieva l’appello incidentale promosso da COGNOME, con condanna della C.B.I. alla rifusione delle spese di lite del grado;
avverso la sentenza d ella Corte d’ appello di Ancona, RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi d’impugnazione; ha resistito con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE e, a sua volta, proposto ricorso incidentale sorretto da un unico motivo;
la trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis 1 c.p.c.;
la parte ricorrente e quella controricorrente, ricorrente incidentale, hanno depositato distinte e rispettive memorie.
Considerato che
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1. con il primo motivo la ricorrente principale denunzia ‘ ex art. 360, 1° co. n. 3 c.p.c.’ la ‘violazione e falsa applicazione degli artt. 1559 e 1560 c.c. ‘ ; in particolare, assume che la Corte d’appello avrebbe non correttamente interpretato e quindi qualificato, la disciplina del contratto di somministrazione inter partes e, nello specifico, non avrebbe considerato che l’ art. 1559 c.c., che non prevede particolari rigorismi di forma, lasciando alla volontà delle parti ampia libertà e il contratto in esame, è caratterizzato in base alla periodicità e continuità delle prestazioni in funzione del fabbisogno del somministrato, elementi presenti nel rapporto contrattuale intercorso tra le parti, e che l’art. 1560 c.c. secondo cui in ip otesi di mancata pattuizione sull’entità della somministrazione, questa si intende corrispondente al fabbisogno della parte avente diritto; contesta che la Corte d’appello abbia negato la riconducibilità del rapporto in esame a quel tipo contrattuale per non esservi stata la prova della predeterminazione del fabbisogno del somministrato;
1.2 . con il secondo motivo denunzia ‘ ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c.’ la ‘ violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1561, 15641565, 1567, 1568 e 1569 c.c., 1175 e 1375 c.c. ‘ ; in particolare, la corte territoriale non avrebbe tenuto conto del fatto che la predeterminazione e quantificazione del prezzo sarebbe elemento assolutamente anodino e non significativo ; difatti, l’art. 1561 c.c. recita ‘Nella somministrazione a carattere periodico, se il prezzo deve essere determinato secondo le norme dell’articolo 1474, si ha riguardo al tempo della scadenza delle singole prestazioni e al luogo in cui queste devono ess ere eseguite’ e la norma lascia alla libera determinazione delle parti, stabilire il corrispettivo, che può essere pattuito periodicamente o anche per singola fornitura, ed il riferimento all’art. 1474 c.c. significa solo che, se le parti non si sono valse del potere di regolamentazione, allora soccorre la norma codicistica; evidenzia inoltre, come gli artt. 1564-1565 c.c. escludono la risoluzione del contratto e/o la sospensione della
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RAGIONE_SOCIALE somministrazione solo se, rispettivamente, l’inadempimento di una parte è di notevole importanza e/o di lieve entità; tale profilo viene evidenziato in quanto la Corte d ‘a ppello ha ritenuto di dare rilievo al fatto che gli acquisti operati da RAGIONE_SOCIALE presso altri fornitori in misura percentuale annua ricompresa tra lo 0,05% (sic) e l’ 1.29% (sic) nel periodo 2004-2006 (sentenza di appello pagina 7), fosse significativo di assenza di patto di esclusiva o di qualche violazione della C.B.I. Europe tale d a giustificare l’iniziativa di COGNOME di disconoscere il contratto di somministrazione; evidenzia inoltre la società ricorrente che gli artt. 1567 e 1568 c.c. prevedono chiaramente che una esclusiva può essere pattuita a favore del somministrante (art. 1567) o dell’avente diritto alla somministrazione (art. 1568), ma non che l’esclusiva rappresenti elemento essenziale del contratto, e lamenta che la Corte non avrebbe fatto applicazione degli artt. 1565 e 1569 c.c. che prevedono sempre l’obbligo del preavviso, per il somministrante che voglia sospendere le prestazioni o, addirittura, recedere dal contratto;
1.3. con il terzo motivo lamenta ‘ ai sensi dell’art. 360, 1° comma n. 4 c.p.c. ‘ la ‘ Violazione dell’art. 115 c.p.c.. erronea percezione dell’esistenza di prove in realtà inesistenti ‘ ; assume il vizio come sussistente nel caso in esame alla luce del recente arresto di Cassazione, Sezioni Unite 5/03/2024 n. 5792, secondo cui ‘… se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere deducendo il vizio dell’ art. 360, n. 4, o n. 5, c.p.c. , a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale’.
1.4. con il quarto motivo lamenta ‘ ai sensi dell’art. 360, co. 1. n. 3 c.p.c. ‘ la ‘ Omessa e/o errata applicazione degli artt. 1474, 3° co, c.c.., 1473, 2° co, 1349, 1175, 1375, 1560 e 159 c.c. per la determinazione dei prezzi per le forniture operate da COGNOME nel
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2007 ‘ ; il Giudice d ‘a ppello, infatti, pur dando espressamente atto dell’assenza di un accordo tra le parti in ordine al prezzo delle forniture 2007, non avrebbe fatto applicazione degli artt. 1474, comma 3, e art 1473, comma 2, c.c., che prevedono in proposito uno specifico istituto : l’ arbitrium boni viri ;
1.5. c on il quinto motivo lamenta ‘ ai sensi degli artt. 111 cost e 132 n. 4 c.p.c. ‘ la ‘ Nullità della sentenza per illogicità e/o motivazione apparente per la mancata applicazione della normativa dell’art. 9 delle legge 192/1998 ‘ ; difatti, la Corte d ‘a ppello avrebbe reso al riguardo una pronuncia basata su argomentazioni inconciliabili, perplesse o incomprensibili, violando così la garanzia costituzionale della motivazione dei provvedimenti giurisdizionali (cfr. da ultimo Cass. 04.07.2024 n. 18287); ebbene, la ricorrente evidenzia di essere stata costretta, nell’anno 2007 , ad acquistare presso altri, vista la ‘fine’ del contratto con Armstrong, e che i dati da prendere in considerazione fossero quelli dall’anno 2002 al 2006 (come indicati nella perizia del ragioniere COGNOME), non quelli relativi all’anno 2007, al fine di accertare che RAGIONE_SOCIALE dipendeva totalmente da Armstrong, che era la sua esclusiva fornitrice dei pannelli;
1.6. con il sesto motivo lamenta ‘ ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 3 c.p.c. (ed in subordine ex art. 360, 1° co. n. 3 c.p.c.) ‘ la ‘ Nullità della sentenza per omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c.; in subordine l’ errata interpretazione e/o mancata applicazione dell’art. 186 bis c.p.c. ‘ ; secondo la società ricorrente la Corte d ‘ appello avrebbe omesso di pronunciarsi su un motivo; infatti, la C.B.IRAGIONE_SOCIALE con l’atto di appello (doc. 3.3 allegato) aveva formulato specifica domanda di restituzione delle somme pagate in virtù delle ordinanze emesse durante il procedimento di primo grado e non confermate in sentenza, indicando in modo preciso gli importi richiesti in restituzione; nessuna altra deduzione era necessaria e su tale domanda vi sarebbe stata omessa pronuncia;
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2. con un unico motivo la società ricorrente incidentale lamenta la ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 112, 132 comma 4 n. 2 e 324 c.p.c. e vizio di motivazione ex art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. ‘ per avere la Corte d’ appello erroneamente ed immotivatamente rideterminato la liquidazione delle spese per il primo grado del giudizio in € 10.343,00 oltre accessori di legge ; assume che sul punto la decisione è contraria al consolidato principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità, se condo cui ‘il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronuncia adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite, laddove, in caso di conferma della decisione impugnata, la pronuncia sulle spese può essere modificata soltanto se il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto di uno specifico motivo d’impugnazione. Tuttavia, anche in ragione dell’operare del c.d. effetto espansivo interno di cui all’art. 336 c.p.c., comma 1, l’accoglimento parziale del gravame della parte vittoriosa in cui favore il giudice di primo grado abbia emesso condanna alla rifusione delle spese di lite non comporta, in difetto di impugnazione sul punto, la caducazione di tale condanna’ (così Cass. 7616/2021); in proposito assume che la Corte d’ appello non avrebbe dovuto procedere a modificare d’ufficio la decisione assunta, in punto di spese, dal Tribunale di Ancona, ma avrebbe dovuto prevedere che per il primo grado del giudizio non vi fossero ragioni per determinare in modo diverso il regolamento delle spese di lite e/o, in ogni caso, la condanna di RAGIONE_SOCIALE al rimborso in favore di COGNOME delle spese di lite del primo grado pari ad € 21.387,00, come già complessivamente liquidate nella precedente fase di merito;
va pregiudizialmente rigettata, poiché infondata, l’ eccezione di improcedibilità del ricorso sollevata dalla società RAGIONE_SOCIALE
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odierna controricorrente e ricorrente incidentale; invero, con il ricorso principale è stata depositata copia della sentenza notificata dalla Armstrong in data 12.01.2023, con la relata di notifica e il messaggio pec di ricezione, con in calce l’ attestazione di conformità, ove è esattamente indicato che la sentenza è stata notificata in data 12.01.2023 (cfr. doc. 1 allegato al ricorso) e ciò, in osservanza dell’art. 369 2° co. n. 2 c.p.c.;
i primi due motivi del ricorso principale, che possono essere esaminati congiuntamente per l’evidente nesso di connessione, sono inammissibili;
con essi, RAGIONE_SOCIALE deduce solo apparentemente la violazione di numerose norme sostanziali, ma in concreto mira, invece, ad una rivalutazione dello stato dei fatti sui quali il giudice d’appello ha basato la propria decisione – peraltro in conformità a quanto aveva già deciso il Tribunale; ebbene, lungi dall’introdurre un vizio di violazione e falsa applicazione delle norme indicate, tende a suscitare da questa Corte, inammissibilmente, un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello formulato dalla Corte d’appello, omettendo di considerare che tanto l’accertamento dei fatti, quanto l’apprezzamento – ad esso funzionale – delle risultanze istruttorie è attività riservata al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 6 – 3, 04/07/2017 n. 16467; Cass. Sez. 1, 23/05/2014 n. 11511; Cass. Sez. L, 13/06/2014 n. 13485; Cass. Sez. L, 15/07/2009 n. 16499);
la c orte d’ appello ha verificato l’eventuale predeterminazione del fabbisogno di C.B.I. e la presenza di un patto di esclusiva in favore di COGNOME da cui si sarebbe potuto eventualmente dedurre che le parti avessero stipulato oralmente un contratto di quel genere; l ‘esito negativo di tale verifica, quindi, ha condotto alla necessaria
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Est. I. COGNOME conclusione che non vi fosse prova nel caso in esame dell’esistenza di un contratto di somministrazione;
sulla base della istruttoria esperita, la Corte d’ appello ha desunto che per ogni singola fornitura le parti concordavano di volta in volta la quantità del materiale da consegnare ed il relativo prezzo, secondo uno schema operativo che, con ogni evidenza, appare riconducibile non tanto ad un’unica radice causale costituita da un contratto di somministrazione, di cui le singole forniture rappresentino solo momenti esecutivi, quanto piuttosto ad una successione di altrettanti separati contratti di compravendita;
4.2. parimenti inammissibile è il terzo motivo;
la ricorrente principale assume esservi stata violazione dell’art. 115 c.p.c. da parte della Corte d’Appello, la quale avrebbe erroneamente considerato accertati fatti invece non provati quanto quali: – i marchi apposti sui pannelli oggetto delle forniture, – le modalità di fissazione del prezzo e la circostanza che RAGIONE_SOCIALE si servisse anche da altri fornitori;
in proposito giova rammentare che col ricorso per cassazione non è censurabile l’errore nella valutazione dei mezzi di prova, che attiene alla selezione da parte del giudice di merito di una specifica informazione tra quelle astrattamente ricavabili dal materiale istruttorio acquisito; la violazione dell’art. 115 c.p.c. può essere dedotta qualora il giudice abbia posto a fondamento della decisione prove inesistenti: il che può verificarsi sia quando la motivazione si sia basata su mezzi di prova mai acquisiti, sia quando da una fonte di prova sia stata tratta un’informazione che è impossibile ricondurre a tale mezzo; ciò, tuttavia, sempre a condizione che il ricorrente assolva al duplice onere di prospettare l’assoluta impossibilità logica di ricavare dagli elementi probatori acquisiti i contenuti informativi individuati dal giudice e di specificare come la sottrazione al giudizio di detti contenuti avrebbe condotto a una decisione diversa, non già
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Est. I. COGNOME in termini di mera probabilità, bensì di assoluta certezza (cfr. tra tante, di recente, Cass., Sez. U, 30/09/2020, n. 20867);
ebbene, le censure proposte da RAGIONE_SOCIALE non rientrano nel perimetro del travisamento della prova tracciato dalla Suprema Corte;
4.3. parimenti inammissibile il quarto motivo di ricorso in quanto con esso la società ricorrente deduce solo apparentemente una violazione di legge, mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti e alla prospettazione di una diversa interpretazione (di merito) rispetto a quella operata dal giudice dell’appello in modo coerente, logico e congruo sulla base di una puntuale valutazione del materiale probatorio prodotto dalle parti (cfr., in proposito, Cass., sez. Lav., nn. 14811/2013, 7993/2014);
la c orte d’appello ha in proposito affermato che «nella fattispecie de qua le prove assunte in primo grado fanno propendere più verso una pluralità di contratti di vendita effettuati dalla ditta RAGIONE_SOCIALE alla ditta RAGIONE_SOCIALE piuttosto che verso un contratto di somministrazione, vendite il cui prezzo veniva contrattato di volta in volta sulla base degli ordinativi richiesti dalla ditta RAGIONE_SOCIALE e sulla base delle condizioni di mercato vigenti al momento dell’ordinativo medesimo. Risulta agli atti il calo di merce ordinata dalla ditta appellante alla COGNOME il che rendeva per quest’ultima impossibile praticare i prezzi in linea con quelli precedenti» (cfr. la sentenza impugnata, pag. 9);
la corte territoriale ha aggiunto che il prezzo praticato da COGNOME «variava di volta in volta siccome determinato dal quantitativo di materiale ordinato e dalle condizioni del mercato, pertanto, in caso di diminuzione della merce ordinata tale prezzo non poteva che aumentare» (cfr. sentenza impugnata, pag. 8);
la Corte d’ appello, pertanto, sulla base di tale ricostruzione di fatto riguardante le forniture eseguite nell’anno 2007 , ha correttamente rilevato che « non può rilevare nel caso di specie l’art.
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1474 c.c., attinente alla determinazione del prezzo in caso di mancanza di indicazione, sulla base di quanto normalmente praticato dal venditore» (cfr. sentenza impugnata, pag. 9);
4.4. inammissibile è pure la censura prospettata col quinto motivo di ricorso principale;
il vizio di motivazione apparente della sentenza ricorre quando essa benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (così Cass. 6758/2022; cfr. Cass. S.U. 16599/2016);
ebbene, nel caso di specie i pretesi vizi della motivazione della pronuncia impugnata, non impediscono comunque di comprendere con chiarezza il ragionamento logico-giuridico seguito dalla Corte d’ a ppello nell’escludere l’asserito abuso di dipendenza economica e, pertanto, non consentono di affermare che la motivazione, sul punto, sia inesistente o soltanto apparente; al riguardo, la Corte dorica ha così pianamente statuito: «emerge dalle prove assunte in corso di causa che la COGNOME aumentava il prezzo s olo a far data dall’anno 2007 e per il motivo, già spiegato, attinente alla diminuzione degli ordinativi da parte della parte appellante essendo il prezzo determinato anche sulla base di questo criterio. Prezzi, peraltro, che, in virtù degli ordinativi precedenti, risultavano più bassi di quelli praticati dalla ditta fornitrice. Inoltre, non corrisponde al vero che il materiale fornito dalla COGNOME non fosse reperibile altrimenti, atteso che proprio nel 2007 la C.RAGIONE_SOCIALE compensava la riduzione della fornitura rivolgendosi ad altri produttori. Quindi non risulta dimostrato il disegno posto in essere dalla RAGIONE_SOCIALE, così come prospettato dalla parte appellante, di erodere progressivamente il mercato della RAGIONE_SOCIALE abusando della propria posizione ‘con il
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4.5. infondati sono il sesto e il settimo motivo del ricorso principale;
non sussiste la pretesa omessa pronuncia né la violazione dell’art. 112 c.p.c. ; contrariamente a quanto preteso dalla ricorrente, la Corte d’appello ha confermato la condanna di CRAGIONE_SOCIALEI. a pagare ad COGNOMEl’importo totale’ delle fatture inevase, una parte del quale già oggetto delle ordinanze rese nel 2009 e nel 2010 dal tribunale nel corso del giudizio;
correttamente l’odierna controricorrente COGNOME sul punto, osserva che in proposito si era espresso il Giudice di prime cure confermando il contenuto delle adottate ordinanze e prevedendo l’ulteriore condanna rispetto alle somme non oggetto di esse e ciò, nel rispetto della regola sancita dall’art. 186 ter c.p.c. (pagg. 30 e 31 controricorso), e di non aver avuto, quindi, alcuna ragione per impugnare la sentenza di primo grado (circostanza, invece, sottolineata dalla odierna ricorrente), posto che la caducazione di tali ordinanze sarebbe avvenuta solo per effetto di una loro revoca e/o modifica, nei fatti mai avvenuta;
l’uni co motivo del ricorso incidentale è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati;
giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronuncia adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite, laddove, in caso di conferma della decisione impugnata, la pronuncia sulle spese può essere modificata soltanto se il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto di uno specifico motivo d’impugnazione; tuttavia, anche in ragione dell’operare del c.d.
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effetto espansivo interno di cui all’art. 336, comma 1, c.p.c. l’accoglimento parziale del gravame della parte vittoriosa in cui favore il giudice di primo grado abbia emesso condanna alla rifusione delle spese di lite non comporta, in difetto di impugnazione sul punto, la caducazione di tale condanna (così Cass. Sez. 6-2, 18/03/2021 n. 7616);
c on l’ulteriore conseguenza che ‘la preclusione nascente dal giudicato impedisce al giudice dell’impugnazione di modificare la pronuncia sulle spese della precedente fase di merito, qualora abbia valutato la complessiva situazione sostanziale in senso più favorevole alla parte vittoriosa in primo grado’ (così , Cass. Sez. 3 29/10/2019 n.27606, nonché Cass. Sez. 6-2, 18/03/2021 n. 7616 e Cass. Sez. 3, 07/01/2004 n. 58);
con la sentenza qui impugnata la corte d’appello non ha deciso in confor mità rispetto all’appena richiamato principio là dove, nel rigettare l’appello promosso da RAGIONE_SOCIALE e accogliere viceversa, l’appello incidentale promosso da COGNOME ha ricompreso nella condanna già disposta in primo grado di RAGIONE_SOCIALE anche la corresponsione anche degli interessi moratori ex d.lgs. n.231/2002 dall’emissione delle fatture al saldo, a tale stregua invero valutando la complessiva situazione sostanziale in senso più favorevole alla parte già vittoriosa in primo grado;
in conclusione, il ricorso principale va integralmente rigettato, mentre va accolto l’unico motivo del ricorso incidentale ;
la sentenza d’appello va di conseguenza cassata quanto alla modifica della condanna della odierna ricorrente principale alle spese di lite pronunciata nella sentenza di primo grado, mentre va confermata per il resto;
le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore della controricorrente e ricorrente incidentale, seguono la soccombenza;
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Pres L.A. COGNOME
Est. I. COGNOME
La Corte accoglie il ricorso incidentale, rigetta il ricorso principale. Cassa in relazione la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, elimina la condanna alle spese del giudizio di 1° grado, inalterato il resto. Condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro Euro 20.200,00, di cui Euro 20,000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, favore della controricorrente e ricorrente incidentale società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE).
A carico della società ricorrente principale, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto (Cass. Sez. U, 20 febbraio 2020, n. 4315), ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione